5
scopo di permettere una visione più completa dell’istituto; ne è
derivato che il termine matrimonio può essere utilizzato per spiegare:
1. la celebrazione delle nozze e più precisamente l’accordo,
il contratto o l’impegno consistente nello scambio del
consenso tra le due parti contraenti. Questo è quello che
la dottrina canonica ha identificato come matrimonium in
fieri; il tale situazione il matrimonio viene visto nel suo
aspetto dinamico e nel suo momento formativo.
2. Il termine matrimonio si riferisce ad una stabile forma di
comportamento la quale scaturisce come un effetto dallo
scambio del consenso e si sviluppa attraverso una
comunicazione reciproca tra gli sposi. La dottrina
canonica ha identificato questo “stadio permanente”
come matrimonium in facto esse; il matrimonio viene
quindi considerato nel suo aspetto statico e permanente
rappresentando così lo status coniugale.
In genere la trattazione giuridica dell’istituto
matrimoniale è svolta tenendo presente il matrimonio in
fieri, perché l’aspetto che maggiormente interessa
l’indagine giuridica, tanto in dottrina che in
giurisprudenza, è quello della validità del matrimonio e
più precisamente l’esame della fattispecie negoziale nel
suo momento genetico.
3. Gli elementi essenziali del matrimonio sono inoltre
indicati nella formulazione dell’istituto matrimoniale
data dal canone 1055 del codice di diritto canonico il
6
quale al 1° paragrafo afferma che : “il patto matrimoniale
con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la
comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene
dei coniugi e alla procreazione ed educazione della
prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore
alla dignità di sacramento”.
Questa tesi si prefigge lo scopo di analizzare l’istituto del
matrimonio e l’impatto che esso ha avuto nell’ambito della cultura
nord americana, prendendo in considerazione gli aspetti giuridici che
fondano e creano le basi della dottrina e della giurisprudenza.
In particolar modo si porrà l’attenzione su alcuni canoni del
codice di diritto canonico del 1983 evidenziando anche le diverse
interpretazioni datene dalla dottrina e giurisprudenza italiana che a
volte si sono rivelate in netto contrasto con quella nord americana.
7
CAPITOLO PRIMO
PRINCIPI GENERALI
1.1 QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELL’ ISTITUTO
MATRIMONIALE
L’istituto del matrimonio canonico trova le sue origini nella
“Sacra Scrittura” quale fonte di diritto divino positivo ed è disciplinato
dal diritto positivo di cui è ultima espressione il codice di diritto
canonico promulgato nel 1983
1
. I passi della Sacra Scrittura che
vengono in considerazione al fine di individuare e delineare con
maggior precisione i contorni dell’istituto matrimoniale sono: nel
Vecchio Testamento, i libri della Genesi, del Levitico e del
Deuteronomio; mentre nel Nuovo Testamento i quattro Vangeli e le
lettere di S.Paolo.
Come completamento di tale testo è individuata la Traditio e
cioè l’insieme delle “verità tramandate attraverso l’insegnamento
orale e successivamente messe per iscritto dai Padri e Dottori della
Chiesa”
2
. Essa è fonte sussidiaria per interpretare ed integrare la Sacra
Scrittura e si distingue in divina, se riguarda le verità insegnate
direttamente da Cristo, o umana se riguarda le verità insegnate
personalmente dagli Apostoli o dai loro successori
3
.
Fonte del diritto matrimoniale è anche il diritto naturale che,
secondo l’insegnamento di Tommaso D’Aquino, è considerato come il
1
Cfr. V. DEL GIUDICE, “Sommario di diritto matrimoniale canonico”, MILANO 1973
2
Cfr. P. GISMONDI, “Il diritto della Chiesa dopo il Concilio”, MILANO 1973
3
Cfr. P. GISMONDI, "Il diritto" cit., p. 12
8
complesso di principi impressi da Dio nella coscienza dell’uomo
1
e di
cui abbiamo discusso già nell’introduzione.
Fonte del diritto canonico è inoltre lo “ius humanae
constitutionis” che trova la sua massima espressione nel Codex Iuris
Canonici promulgato nel 1983 il quale ha sostituito il codice
precedente del 1917; i motivi che hanno portato alla promulgazione
dei due codici in tempi relativamente brevi l’uno dall’altro, muovono
da due esigenze diverse: per quanto riguarda il codice del 1917 si è
voluto dare un assetto più compatto ed unitario della legislazione
canonica la quale si presentava vasta e frammentaria. Al contrario il
codice del 1983 è stato promulgato al solo scopo di far seguire, ad un
rinnovamento della vita della Chiesa, un rinnovamento del diritto
ecclesiale
2
.
Esaminate così le fonti del diritto matrimoniale occorre
esaminare la disciplina codicistica dell’istituto, al fine di comprendere
l’esatta qualificazione giuridica del matrimonio quale è operata
dall’ordinamento della Chiesa. Infatti il matrimonio, come un
qualsiasi altro atto umano, è preso in considerazione dall’ordinamento
canonico che lo disciplina nel momento del suo sorgere, nel momento
della sua formazione, dei suoi effetti e delle sue conseguenze. Il
codice del 1917 non dettava una definizione diretta di matrimonio in
quanto il legislatore dell’epoca riteneva che il vincolo coniugale, quale
istituto del diritto naturale, fosse comunque ben conosciuto alla
coscienza dei nubenti che si determinavano a contrarlo. Perciò il
canone 1012 si limitava ad identificarlo come un contratto -
1
SAN TOMMASO, “Summa Theologiae”, I, II q.99, art. 5
2
Cfr. E. VITALI, “Il matrimonio”, MILANO 1989
9
sacramento stabilendo che non vi poteva essere un valido contratto
matrimoniale senza che si avesse anche il sacramento. Tuttavia il
codice del 1917 dedicava un solo canone, più precisamente il 1033,
all’aspetto per così dire religioso dell’istituto, laddove trattava degli
ammonimenti religiosi che il parroco doveva rivolgere ai nubenti in
vista delle nozze
1
, mentre nel canone 1082 si limitava ad indicare gli
elementi minimi ed essenziali.
E’ evidente che questo modo di intendere il matrimonio era destinato
ad essere superato dall’insegnamento del Concilio Vaticano II che
nella Costituzione Pastorale “Gaudium et spes”
2
ha cercato di superare
gli schemi e le categorie della concezione tradizionale recuperando la
dimensione personalistica del matrimonio considerandolo non più
come un contratto ma come un patto: dà al consenso dei due sposi il
significato più pieno di una mutua donazione e pone come suo oggetto
non più il diritto sul corpo dell’altro coniuge, ma la reciproca
comunione di amore e di vita. Infatti al canone 1055 si parla di
“consortium totius vitae “ ordinato al bene dei coniugi e della prole ed
elevato da Cristo alla dignità di Sacramento
3
.
Dal punto di vista della sua struttura ed in relazione ai suoi
elementi il matrimonio canonico può essere considerato sotto diversi
profili:
1. La capacità dei coniugi e quindi di conseguenza la
mancanza di impedimenti. Nel codice del 1917 si
distingueva tra impedimenti dirimenti, che rendono
1
cfr. Ibid., p. 6
2
cfr. GS 418/1471
3
il concetto di dignità sacramentale verrà ampliamente trattato nel capitolo terzo
10
invalido il matrimonio ed impedimenti impedienti che lo
rendevano illecito importando solo delle sanzioni di
carattere spirituale per i coniugi che lo avessero celebrato
pur essendo consapevoli dell’esistenza dei medesimi.
Tuttavia è stato notato che la categoria degli impedimenti
impedienti, anche se formalmente soppressa, è ancora
variamente presente nella nuova normativa matrimoniale
canonica : “rientrano in questa categoria l’eventuale
proibizione posta dalla Conferenza Episcopale di contrarre
le nozze prima dell’età fissata, in aggiunta a quella minima
stabilita dal diritto comune” ( canone 1083 par. 2)
1
. D’altra
parte anche i vizi del consenso ed i difetti di forma si
oppongono al matrimonio nel suo fieri e quindi nella sua
esistenza; quando però ci riferiamo specificamente agli
impedimenti matrimoniali, ed è così come vengono
considerati nel Codice, si vuole intendere una realtà diversa
dai vizi e difetti di forma, gli impedimenti sono considerati
solo una realtà specificamente giuridica. Essi consistono in
leggi proibenti che nel nostro codice interessano la validità
del matrimonio e già nel Codice del 1917 si affermava che
costituivano delle proibizioni imposte dalla legge
1
.
La legge può influire sulla validità di un atto giuridico
almeno in due maniere: toccando direttamente l’atto stesso
oppure interessando direttamente la persona che
1
cfr. A.M. ABATE, “ Il matrimonio nella nuova legislazione canonica”, Pontificias Universitas
Urbaniana, 1985, p.82
11
rappresenta il soggetto dell’atto giuridico. Nel primo caso
siamo davanti ad una legge irritante, nel secondo caso si
tratta di una legge inabilitante. Tale dottrina è stata raccolta
nel canone 10 quando stabilisce che: “Sono da ritenersi
irritanti o inabilitanti solo quelle leggi con le quali si
stabilisce espressamente che l’atto è nullo o la persona è
inabile”
2
. Quindi gli impedimenti dirimenti sono leggi
inabilitanti in quanto rendono inabile una determinata
persona a contrarre matrimonio
3
.
2. Il profilo della forma di celebrazione, venendo in rilievo in
primo luogo la competenza territoriale secondo cui si
ritengono validi i matrimoni contratti dinnanzi
all’Ordinario del luogo ed in presenza di due testimoni.
3. Il profilo del consenso, che è elemento centrale
dell’istituto, il quale deve esistere e non può essere
sostituito da nessuna potestà umana ( canone 1057 ).
Nel codice del 1917 i fini del matrimonio erano essenzialmente tre:
uno primario e due secondari; era fine primario la “procreatio ed
educatio prolis” mentre erano considerati fini secondari il “mutuum
adiiutorum” ed il “rimedium concupiscentiae”. La dottrina, quindi,
riteneva che l’essenza del matrimonio fosse data dalla “deditio iuris in
corpus perpetui et exclusivi” che ciascun coniuge faceva all’altro,
1
Il canone 1038 par. 2 del codice del 1917 stabiliva che: “Eidem supremae auctoritati privative
ius est alia impedimenta matrimonium impedentia vel dirimentia pro baptizatis costituendi per
modum legis sive universalis sive particularis”.
2
L’attuale canone 10 corrisponde perfettamente al canone 11 del codice del 1917.
3
Cfr. GASPARRI, “Tractatus canonicus de matrimonio”, CITTA’ DEL VATICANO 1932,124,
n.205
12
ricevendone in cambio altrettanto
1
. Una volta espresso il consenso
nuziale, i soggetti manifestavano la volontà di donarsi reciprocamente
il diritto di compiere, l’uno sul corpo dell’altro, atti idonei alla
procreazione della prole in modo perpetuo, cioè fino a che il vincolo
rimanesse in vita, ed in modo esclusivo, vale a dire escludendo
eventuali terzi dal compimento di tali atti.
L’essenza del matrimonio consisteva nell’essere lo stesso finalizzato
al compimento di atti idonei alla procreazione, e non alla procreazione
in quanto tale. Il Concilio Vaticano II, valorizzando la dimensione
personalistica dell’istituto, ha affermato che il matrimonio consiste in
un’intima comunità di vita e di amore in cui i coniugi mutuamente si
donano e si ricevono
2
. Perciò il consortium coniugale non può essere
costituito solo dallo “ius” in ordine agli atti coniugali intesi in senso
materiale, ma il dono di sé deve essere indissolubilmente legato al
diritto a quegli atti che in sé sono ordinati alla generazione della prole,
cioè agli atti sessuali secondo natura.
Individuata così l’essenza del negozio matrimoniale canonico si
comprende la ragione per cui è venuta meno la gerarchia dei fini
operata dal codice abrogato e si è pervenuti ad una piena parificazione
tra il “bonum coniugum” e la “procreatio et educatio prolis”; tale
novità può essere ravvisata nel canone 1055 il quale definisce il
matrimonio come un patto con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra
loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei
coniugi ed alla procreazione della prole.
1
cfr. E. VITALI, “ Il matrimonio”, p. 14
2
cfr. Costitutio Gaudium et spes, 48 a
13
Da un punto di vista formale la nuova redazione del canone 1055,
rispetto al precedente codice, evita quella specie di insinuazione
accademica e scolastica la quale potrebbe costituire un ostacolo alla
valutazione della realtà propria del Concilio, dove i fini del
matrimonio sono indicati nel canone 1055 come obiettivi ai quali
tende il matrimonio; tali fini inoltre appaiono come l’unica
intenzionalità nel progetto degli sposi i quali nel seguire la propria
tendenza naturale cercano il matrimonio “per il bene personale proprio
e per la procreazione ed educazione dei figli”
1
.
Nel canone 1055 troviamo dei forti indizi di cambiamento rispetto
all’abrogato codice del 1917; infatti nei termini con cui ora si
enunciano le finalità del matrimonio “bene dei coniugi, procreazione
ed educazione della prole” è sparita l’espressione “rimedio della
concupiscenza” la quale rappresenta una rigorosa indicazione di uno
degli scopi del matrimonio nella concezione del codice pio-
benedettino
2
.
Per quanto riguarda le proprietà essenziali del matrimonio il
Codice del 1983 non ha modificato la disciplina precedente lasciando
inalterate come proprietà l’unità e l’indissolubilità, le quali si possono
desumere dal canone 1056 dove è stabilito che tali proprietà nel
matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del
sacramento.
Sulla base dell’insegnamento di Sant’Agostino la dottrina canonica
identificava, nella vigenza del codice del 1917, tre grandi beni che
1
cfr., V. FAGIOLO, “L’amore coniugale”, cit. p. 57ss
2
cfr., IL CODICE DEL VATICANO II, “Matrimonio canonico”, EDIZIONI DEHONIANE,
BOLOGNA
14
mentre da un lato caratterizzavano l’essenza del matrimonio, dall’altro
costituivano capi di obbligazioni per le parti: il “bonum prolis”
consistente nello “ius in corpus” o anche nel dovere di riconoscere
all’altro nubente il diritto sul proprio corpo finalizzato al compimento
di atti idonei alla procreazione; il “bonum fidei” consistente nel diritto
del coniuge all’esclusività per il debito coniugale dell’altra parte e la
reciproca fedeltà nell’adempimento dei doveri matrimoniali; il
“bonum sacramenti” consistente nell’indissolubilità del vincolo.
Certamente i detti “bona” conservano intatta la loro validità anche
dopo la riforma del 1983: poiché, peraltro, è venuta meno la gerarchia
tra i fini che, sotto il vigore del codice piano- benedettino, portava a
distinguere tra fine primario, la “procreatio ed educatio prolis”, e fini
secondari, il “mutuum adiutorium” ed il “remedium concupiscentiae”,
pare corretto ricomprendere nei “bona” anche il “bonum coniugum”
che si realizza nell’intima comunione delle persone e degli atti con cui
gli sposi si perfezionano a vicenda per “collaborare con Dio alla
generazione ed educazione di nuove vite”.
Inoltre è stato evidenziato il fatto che i “ bona matrimonii” sono
elementi da considerare insiti nel matrimonio e quindi inseparabili da
esso in quanto conseguono direttamente dal sorgere del vincolo. Allo
stesso modo però possono essere rifiutati da entrambi i contraenti o da
uno solo di essi; in tali casi il matrimonio è invalido per l’esistenza di
una “intentio contra substantiam matrimonii” ove gli sposi abbiano
inteso escludere, con un atto positivo di volontà, uno o più dei “bona
matrimonii” ( cd simulazione totale o parziale)
1
.
1
Tale argomento verrà ampiamente trattato nel terzo capitolo.
15
CAPITOLO SECONDO
IL CONSENSO MATRIMONIALE
2.1 IL CONSENSO NELL’ EVOLUZIONE DEL VINCOLO
MATRIMONIALE
Secondo quanto stabilisce il canone 1057 del codice di diritto
canonico il consenso manifestato dalle parti non può essere supplito
da alcuna potestà umana; da ciò risulta evidente come tale requisito
costituisca il nucleo centrale della disciplina dell’ istituto
matrimoniale rispetto agli altri elementi costituivi che abbiamo
identificato nella forma della celebrazione e nella capacità dei
nubenti
1
. Tali considerazioni sono state riaffermate anche da Papa
Giovanni Paolo II in un messaggio indirizzato alla Rota Romana del
28 gennaio 1991
2
.
Il matrimonio nasce dal e unicamente dal consenso delle parti;
consenso in quanto è formalmente atto di volontà e pertanto scaturente
dalla razionalità intelligente e volente dei coniugi.
L’elemento “consenso” è da considerare assolutamente
indispensabile non potendo essere supplito in alcun modo; esso non
può mancare in un valido matrimonio, per questo non esiste nel codice
alcuna norma che permetta di ritenere valido un matrimonio in cui la
1
cfr. J.M. GONZALES DEL VALLE, “Derecho matrimonial canonico segun el codigo” del 1983,
PAMPLONA 1983
2
GIOVANNI PAOLO II, 28 gennaio 1991: “ La fede cristiana, mentre introduceva il valore
dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale, trovava nella riflessione giuridica romana sul
consenso, lo strumento per esprimere il principio fondamentale che sta alla base della disciplina
canonica in materia. Questo principio fu ribadito con fermezza da Papa Paolo VI nell’incontro che
16
volontà dei contraenti manchi o sia viziata. Il consenso matrimoniale
non può essere integrato nemmeno dal legislatore ecclesiastico e
questo spiega perché nel diritto canonico non valgano e non esistano
termini di decadenza entro cui far valere i vizi della volontà i quali
possono essere eccepiti senza alcuna preclusione, né temporale né di
altra natura e questo proprio in forza del principio dell’insostituibilità
del consenso. Accanto a tale previsione si pone il principio
dell’effettività inteso come quella situazione in cui la volontà
manifestata all’esterno deve essersi liberamente e consapevolmente
formata all’interno dell’animo del nubente che la esterna
1
.
2.2 LA MANCANZA DEL CONSENSO
Nell’ambito dei fenomeni patologici del consenso si assiste ad
una mancanza della volontà quando uno dei nubenti manifesta
all’esterno una volontà che in effetti egli non ha, una volontà che non
si è formata in modo libero e consapevole all’interno dell’animo del
soggetto; si verifica così una discordanza tra la manifestazione
estrinseca e la volontà interna del nubente la quale può essere voluta o
non voluta, secondo che il soggetto sia incapace di esprimere un
valido consenso oppure nel caso in cui egli contragga matrimonio
versando in uno stato di ignoranza o di errore o ancora nell’ipotesi in
cui non sia dotato della necessaria capacità di intendere e di volere.
Per legge si presume una conformità, una corrispondenza tra il
ebbe con voi nel 1976 dove, proprio in quell’occasione, affermava il principio “ matrimonium facit
partium consensus”.
1
Cfr. G.J. ROCHE “Consent is a union of wills : a study of the bilateral dimension of matrimonial
consent”, in STUDIA CANONICA 1984
17
consenso interno dell’animo e tutte le parole o i segni adoperati per
esternarlo: questa presunzione è esplicitamente dettata nel canone
1101 par. 1 del vigente codice di diritto canonico come presunzione
“iuris tantum” nel senso che, nel processo canonico di invalidità del
matrimonio, può essere fornita la prova di un’intentio contraria. Ed è
logico che sia così: proprio in forza del principio di effettività, il
consenso deve sussistere veramente, non potendo essere supplito da
alcuna potestà umana. Però, tuttavia, può accadere che il nubente
ponga in essere un’intentio contraria al modello matrimoniale
proposto dalla Chiesa attraverso un positivo atto della volontà: in
simili occasioni manifesta all’esterno un’intenzione che non
corrisponde alla volontà interna. In tal caso la presunzione non opera
ed ha luogo quel determinato difetto di consenso denominato
simulazione e di cui parleremo più ampiamente nel capitolo terzo.
Quindi il soggetto per poter esprimere un valido consenso deve
possedere una duplice attitudine: da un lato deve rappresentarsi la
realtà esterna e dall’altro deve valutare correttamente le azioni che
compie; tale attitudine è denominata “capacità di intendere e volere” e
se dovesse mancare verrebbe meno anche il consenso manifestato.
Determinare quando in un soggetto manchi tale capacità non è certo
compito agevole: da una parte le scienze psichiatriche e psicologiche
non hanno raggiunto risultati definitivi circa le anomalie che possono
turbare e compromettere la psiche, mentre dall’altra la materia è
talmente delicata e complessa che dottrina e giurisprudenza
pervengono ad interpretazioni contrastanti.