INTRODUZIONE
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Nel passaggio dal teatro allo studio - dal pubblico, costituito in
platea, al concetto di audience - il varietà risulta essere un
travaso di spettacoli ed artisti teatrali in televisione.
Successivamente diviene una forma di spettacolo
specificatamente pensata e realizzata per la tv.
Il varietà tradizionale rompe la monotonia di una televisione
pedagogica ed è percepito dal telespettatore come un‟occasione
festiva, pur essendo legato allo spettacolo teatrale classico, in cui
l‟immagine è statica e le esibizioni seguono rigidamente la
regola di alternanza tra sketch e musica.
I varietà degli anni Cinquanta-Sessanta sono degli eventi, per i
quali occorrevano mesi e mesi di preparazione: curati, eleganti,
luminosi, così come il regista principe dell‟epoca - Antonello
Falqui - li aveva concepiti.
Se la prima fase della storia del varietà è fortemente connotata
dallo stile Falqui, nei decenni successivi sono le intuizioni
registiche ed autorali di Enzo Trapani ad innovare il varietà
classico.
Nella programmazione televisiva degli anni Settanta ed Ottanta
si assiste ad una progressiva festivizzazione del quotidiano: il
varietà diventa feriale, occupa spazi sempre più ampi
nell‟economia del palinsesto e, naturalmente, cambia la sua
fisionomia, contestualmente al clima di generale mutamento
della televisione e dei suoi linguaggi.
INTRODUZIONE
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L‟avvento delle tv private, la nascita di quella che Eco definisce
neotelevisione e l‟affermarsi della pubblicità impongono la
logica del flusso come imperativo per la realizzazione di un
programma di intrattenimento. Non più rigidità nella struttura
interna, ma ampia libertà all‟improvvisazione. Scompare la
figura dell‟ingessato presentatore classico, per far spazio ad un
conduttore poliedrico al servizio dello spettacolo. E‟ l‟epoca di
“Drive in”.
Nel panorama televisivo attuale, caratterizzato dalla
contaminazione tra generi diversi, scompaiono i varietà di
stampo più classico e la spettacolarità del formato resta come
frammento, inserito all‟interno di altri contenitori .
Il varietà, inglobato il concetto di flusso, lo estremizza fino a
creare uno spettacolo, fiume ininterrotto di intrattenimento puro:
il one man show.
Il varietà - oggi nuovamente evento festivo - richiede lunghi
periodi di preparazione e la scrittura torna ad essere caposaldo
dello show, creando una struttura vincolante, impercettibile al
pubblico, poiché celata dall‟apparente improvvisazione, che
rende lo spettacolo scorrevole.
A mutare è l‟organizzazione interna dello spettacolo:
scompaiono i raccordi, scompare la rigidità, gli show si dilatano.
Il one man show, ormai raro, in una televisione dominata dai
reality, si configura come un evento, a causa della complessità
INTRODUZIONE
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produttiva e della difficoltà di reperire risorse artistiche ed
economiche adeguate.
Lavorando in una struttura produttiva ho avuto modo, oltre che
di osservare da vicino l‟imponente lavoro che precede e
accompagna la realizzazione di un varietà, di conoscere e parlare
con persone che in quel lavoro sono direttamente coinvolte.
La sezione “Intratteniamoci con…” riporta, dunque, una serie
di interviste rilasciate da professionisti che, con funzioni e ruoli
differenti, contribuiscono all‟ideazione e alla messa in opera di
un varietà televisivo: Stefano Torrisi - produttore – Riccardo
Cassini e Fabio di Iorio - autori - Giorgio Panariello e Paola
Cortellesi, conduttori.
Ad esse, si aggiunge il contributo di Carlo Freccero, importante
testimone del passaggio dalla tv anni Ottanta a quella dei giorni
nostri.
Preziosi tasselli che contribuiscono a tracciare un disegno
composito ed articolato del varietà televisivo, delineandone la
fisionomia, ripercorrendone la storia ed ipotizzandone le
evoluzioni future.
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Parte I
LE ORIGINI
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1. CHE VARIETA’ PRIMA DEL “ VARIETA‟ ”!
1.1 Archeologia di un genere
Perché andare a scavare nel passato del varietà? Perché ricercare
affannosamente i tasselli di un mosaico così difficile da
ricomporre?
Per dare una risposta esauriente a tale quesito, occorre citare
l‟indimenticabile Gino Bramieri - protagonista indiscusso degli
anni d‟oro del varietà italiano - il quale, a quanti accusavano
questo genere di essere superato e di andare, perciò, verso una
morte certa, replicava così: ”Non capisco questo pontificare sul
varietà che deve cambiare. Gli elementi del varietà sono sempre
validi”.1 E sempre lo saranno, potremmo profetizzare noi.
Di solito, si dice che per comprendere l‟uomo che si è bisogna
guardare al bambino che si è stati. Quindi, così come accade per
gli esseri umani, nei quali la crescita genera un mutamento ed un
arricchimento delle proprie conoscenze, lo stesso processo ha
luogo negli apparati dell‟industria culturale. Ogni balzo in avanti,
ogni nuova attività culturale fagocita le precedenti, le riutilizza,
le rinnova, finge di dimenticarle, ma esse continuano ad essere
presenti, per ricordare e ricordarci lo spessore di ogni cultura.
1
Lorenzi A., “I segreti del varietà”,Celip, Milano 1988 (pp.29)
LE ORIGINI
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E‟ improprio, quindi, parlare di varietà televisivo se prima non
si conoscono tutte le esperienze che hanno concorso alla sua
creazione, che lo hanno plasmato.
Il varietà, nell‟arco di un secolo e mezzo, ha sperimentato forme
e modificazioni diverse, che in ogni caso si sono compenetrate a
vicenda. Esiste una selva inestricabile di definizioni, complicata
anche dalle allocuzioni straniere e dalle conseguenti nostre
derivazioni. Tuttavia, come osserva giustamente Giancarlo
Pretini, studioso dello spettacolo leggero: “Sono tutte
denominazioni scalari e consequenziali alle trasformazioni e al
progresso della vita della gente”, perché, continua l‟autore, “le
sue radici affondano nella vita, nell‟anima, nei linguaggi (i
dialetti) e nelle tradizioni popolari.“ 1.
Nonostante queste doverose considerazioni, il varietà è sempre
stato etichettato come genere “leggero”, connotando tale
definizione in modo negativo: leggero non in quanto spettacolo
mirato ad ottenere come risultato “il divertimento leggero, creato
solo con i mezzi naturali, dall‟intraprendenza e dalle capacità
intellettuali e fisiche degli artisti”2, ma leggero, in quanto
minore, senza alcuna rilevanza culturale.
Enrico Vaime, nel suo testo “Il varietà è morto”, chiarisce meglio
tali pregiudizi:
“Leggero: classificazione rivolta a generi diversi (teatro,
1
Pretini G., “Spettacolo leggero”, Trapezio, Udine, 1997 (pp.11-12)
2
Pretini G., op. cit.
1. CHE VARIETA’ PRIMA DEL VARIETA‟
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musica, narrativa ecc.) con intenti chiaramente
discriminatori. Leggero è stato spesso usato come sinonimo
di sciocco, frivolo, vacuo quando non aberrante”.Ex.: per
”teatro leggero” s‟intende un tipo di spettacolo che, pur
affrontando di solito gli stessi temi del serio (alla fin fine
“l‟eterna lotta fra il bene e il male”) lo fa con un‟ironia che a
volte, risultando popolare, riesce ad irritare alcuni settori
critici.”
3
.
Il varietà: un genere disprezzato dalla critica colta, ma osannato
dal pubblico, che lo ha amato e seguito in ogni sua
trasformazione e che continua ad osservare le vicissitudini di
questo genere, anche nella versione televisiva.
Ma quali sono le esperienze che hanno contribuito a creare il
varietà televisivo così come lo conosciamo ed apprezziamo oggi?
Si parte dal Cinquecento, quando l‟Italia era uno dei maggiori
centri culturali ed irradiava i suoi lumi in tutta Europa: fu allora
che nacque la commedia dell‟arte, con le sue tecniche, le sue
maschere e la sua accentuata popolarità.
Proprio da una costola della commedia dell‟arte - la figura del
clown - si specializzò il circo, nato alla fine del Settecento in
Inghilterra.
Si giunge poi all‟Ottocento, al café-chantant francese e al
music-hall inglese: lo spettacolo era “all'aperto o al chiuso e si
3
Vaime E., “Il varietà è morto”, Mondadori, Milano 1988
LE ORIGINI
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svolgeva su una pedana di legno sistemata tra i tavolini dei
caffè”
4
.
Con l'avvento del Novecento si affermò il teatro di varietà che,
come dice il nome, portava alla ribalta i numeri più vari: c‟erano
i comici, gli illusionisti, i contorsionisti, le ballerine, gli acrobati,
i cantanti, i poeti, gli uomini-scimmia, le donne-sirena e altri
mostri simili5.
Verso la metà degli anni Trenta il caffè-concerto e il varietà
cominciarono ad esaurirsi ed i loro grandi interpreti si
riproposero in una forma teatrale un po' diversa, più disinvolta e
meno elitaria, adeguata al medium emergente: il cinema.
Nacquero così la rivista e l'avanspettacolo: la prima si affermò
a cavallo tra le due guerre mondiali e riuscì a contrastare
dignitosamente il cinema, cucendo le sue diverse attrazioni
provenienti dal morente varietà, nella rete d'una storia completa.
L‟avanspettacolo, invece, era un genere nuovo, creato dalla
contaminazione tra varietà, café-chantant e operetta, un misto di
canto, danze, scenette comiche e siparietti che precedevano la
proiezione di film al cinema: uno dei pochi modi di fare
spettacolo in epoca fascista, poiché gli spazi per la comicità
erano ristretti dalla soffocante propaganda a senso unico.
Nell‟avanspettacolo c‟era un umorismo spesso eccessivo,
travolgente, più che popolare6.
4
Fano N., ”Vieni avanti cretino!Storie e testi dell‟avanspettacolo e del varietà”,
Gremese, Roma, 1989 (pp.12-13)
5
Fano N., op. cit.
6
Molinari V.,”Ultimi guizzi”, in “Sipario”, Marzo 1990
1. CHE VARIETA’ PRIMA DEL VARIETA‟
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Il dopoguerra segnò il gran successo di quei tipi di spettacolo
allestiti con grandi mezzi economici: la rivista a grande
spettacolo e la commedia musicale. Solo alla fine del boom
economico - verso la metà degli anni Sessanta - quando già era
emersa un‟altra tendenza, quella del cabaret, politico ed
irriverente, giunse la morte, teatrale, del varietà. In realtà più che
di morte, si trattò, probabilmente, di una sua naturale evoluzione:
il pubblico si era ingigantito talmente, da sentire troppo strette le
poltrone dei teatri; aveva il desiderio uscire allo scoperto, voleva
scoprirsi massa.
Così si giunge alla prima esperienza di varietà di largo consumo:
il varietà radiofonico, cui seguirà quello televisivo.
Nei paragrafi successivi analizzeremo più approfonditamente gli
apporti che ognuna di queste esperienze ha reso al varietà
televisivo.
1.2 La commedia dell‟arte
“Totus mundus agit histrionem“
The Globe theatre-London
I primi documenti che attestano l‟esistenza di una commedia
dell‟arte risalgono alla metà del Cinquecento, quando gli attori
comici italiani si unirono in compagnie e divennero
professionisti dell‟arte teatrale, raccogliendo l‟eredità del giullare
medievale e dell‟istrione itinerante.
LE ORIGINI
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Con l‟espressione commedia dell’arte si vuole intendere un
genere di teatro caratterizzato dalla mancanza di un testo vero e
proprio, sostituito da una semplice trama, detta anche soggetto,
scenario o canovaccio.
I protagonisti, personaggi abbigliati con particolari costumi ed
identificati con nomi insoliti, rappresentano dei tipi fissi o
maschere, perciò le loro caratteristiche psichiche e sociologiche
non mutano da rappresentazione a rappresentazione7. Particolare
valore artistico assume la tecnica dell‟attore, chiamato non più ad
interpretare un testo, ma a creare direttamente lo spettacolo
attraverso il virtuosismo personale, basato sull‟improvvisazione
e sulla comicità.
L‟essere svincolati dal testo, il fenomeno dell‟identificazione con
la maschera, il rapporto imprevedibile coi propri compagni e con
il pubblico, sono gli elementi che consentono alla commedia
dell‟arte di meravigliare e divertire lo spettatore. Attraverso la
libertà di ritmo e la fantasia la recitazione diviene, un vero e
proprio atto creativo estemporaneo.8
I comici sfruttarono liberamente la commedia classica,
irrigidendone alcuni caratteri. Infatti, nella commedia letteraria
di ispirazione plautina o terenziana, si trovavano già personaggi
tipici, ai quali i commediografi italiani ne aggiunsero altri,
prendendo spunto dalla vita quotidiana: il pedante, il soldato
millantatore - generalmente uno spagnolo rubacuori - i vari servi
7
Molinari C., “La commedia dell‟arte”, Mondadori, Milano 1985
8
“Universo.La grande enciclopedia per tutti”, Volume quarto, Istituto Geografico De
Agostini, Novara 1963
1. CHE VARIETA’ PRIMA DEL VARIETA‟
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mariuoli o sciocchi. Questi personaggi tipici divennero le
cosiddette “maschere” ed ebbero, in alcuni casi, singolare fortuna
per l'abilità degli attori che li impersonavano. Le quattro
maschere fondamentali sono il Magnifico (Pantalone), il Dottore
(il vecchio bonario chiamato prima Graziano, poi Balanzone), il
primo Zanni (di solito anche capocomico), il secondo Zanni. Le
prime due maschere sono i cosiddetti “vecchi” e presentano
alcune caratteristiche comuni: stessi vizi e difetti, il destino di
andare incontro a una serie di smacchi, l‟essere padri di famiglia.
Gli Zanni incarnavano originariamente i villani, i rozzi, i poveri
ignoranti calati dalle valli bergamasche a fare i facchini in città.
La differenza tra il primo e il secondo Zanni è quella tra
Brighella e Arlecchino, ossia tra il tipo furbo e quello sciocco.
Successivamente, la distinzione si è affievolita sempre più,
dando luogo ad un'unica maschera, un misto di scaltrezza e
balordaggine.
A questi personaggi principali spesso si aggiungeva una lista di
personaggi ricorrenti: il Capitano - fanfarone e vigliacco - la
Servetta - una contadina furba, sveglia, piccante, dalla lingua
sciolta - e gli Innamorati.
La psicologia fissa delle maschere impoverì via via il significato
dei personaggi della commedia dell‟arte. Per questo, nel XVIII
sec, quando si determinarono nuove condizioni sociali, Goldoni,
nella sua riforma teatrale, sentì anche il bisogno di dare nuova
vita alle maschere ereditate dalla commedia dell‟arte, adeguando
LE ORIGINI
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la loro personalità a quel sentimento del vero che è caratteristico
del suo teatro.
Più importante è l'influsso che, in tempi recenti, la commedia
dell‟arte ha esercitato su attori-ideatori di un personaggio tipico:
il Felice Sciosciammocca di Eduardo Scarpetta e lo Charlot di
Charlie Chaplin, il Signor Bonaventura di Sergio Tofano - un
fumetto magro e allungato con larghi pantaloni bianchi
all‟americana, un bizzarro e striminzito giacchetto rosso con
mantellina, scarpe e bombetta ugualmente rosse – che, dalle
colorate pagine del Corriere dei piccoli9, passò ai palcoscenici
dei teatri, interpretato dal suo stesso inventore.
Non va, inoltre, dimenticata l‟influenza della commedia dell‟arte
nell‟ideazione di alcuni celebri clowns, quali Grock e i Fratellini.
Per non parlare, poi, del fatto che della lezione della commedia
dell‟arte tennero conto registi e uomini di teatro di tutti i paesi:
Reinhardt, Copeau, Craig. 10
Dopo aver illustrato brevemente cosa s‟intende per commedia
dell‟arte, torniamo al nostro obiettivo principale: la ricerca dei
debiti artistici che il varietà televisivo ha nei confronti della
commedia dell‟arte. Con un‟analisi attenta e approfondita della
9
Il “Corriere dei Piccoli nasce nel 1908 ad opera di Paola Lombroso, pedagogista di
valore, la quale elabora il progetto della rivista con scopi educativi: insegnare
divertendo. Tuttavia essendo una donna, non fu lei a dirigerlo ma fu Silvio Spaventa
Filippi ed alla Lombroso restò la rubrica della corrispondenza (Colombo F., “La
cultura sottile”, Bompiani, Milano, 1998)
10
Cfr. Commedia dell’arte in “Enciclopedia Multimediale Rizzoli-Larousse”, Rizzoli
new media, Milano, 2002
1. CHE VARIETA’ PRIMA DEL VARIETA‟
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struttura della commedia dell‟arte, tali elementi sono più che
evidenti.
Innanzitutto la centralità del riso - contenuto specifico della
commedia dell‟arte - che esige l‟osservanza e l‟obbedienza di
norme proprie e di certe leggi che, ritmicamente, sono sempre le
stesse
11
. Tuttavia, sostiene Propp: “Noi ridiamo in modo diverso
da quello in cui si rideva una volta”12 ed è senz‟altro così, poiché
il riso ha ragioni antropologiche che riguardano i cambiamenti
dell‟uomo nei rapporti con i diversi tipi di società.
Ciò che ci permette di connettere il riso del „500 al riso presente
nei nostri programmi televisivi di varietà, non è il cosa suscita
riso, ma il perché si ride. Ridiamo per “conciliazione”, per
esorcizzare il pericolo e i problemi drammatici della realtà: il
riso, secondo Bergson, è un‟arma sociale per criticare il proprio
ambiente e, talvolta, per celare la propria dissonanza. Le
maschere della commedia dell‟arte facevano ridere perché
esageravano alcuni caratteri tipici della società di allora: una
società chiusa, che reputava attori solo coloro che appartenevano
ad élites religiose ed accademiche.
Ai giorni nostri troviamo il nobel Dario Fo che riesce a far ridere
descrivendo il lavoro in catena di montaggio: egli non parla di
cose false, ma della realtà, che purtroppo è comprensibile solo
agli appartenenti a quella classe ed a poche altre menti; gli
estranei giudicheranno tale comicità volgare e da censura, come
11
Apollonio M., “Storia della Commedia dell‟arte”, Augustea, Roma 1930
12
Propp A., Il riso attuale nel folklore in “Edipo alla luce del folgore”, Einaudi,
Torino,1975