7
• L’onere di provare di chi è la responsabilità grava su chi ritiene di avere subito il
danno; è quest’ultimo che deve dimostrare sia che il danno patrimoniale subìto è
stato commesso dal danneggiante, sia l’esistenza di un nesso di causalità tra l’azione
che ha provocato il danno e il danno stesso.
• La prescrizione per il diritto al risarcimento è di regola quinquennale.
Il fondamento su cui si basa la distinzione tra le due forme di responsabilità consiste nel
fatto che, “mentre nella responsabilità contrattuale l’obbligo di risarcimento ha
carattere derivato o secondario, in quanto presuppone la preesistenza tra le parti di un
vincolo obbligatorio, e quindi di una relazione particolare e di un programma specifico
di comportamento; nella responsabilità aquiliana, all’opposto, l’obbligo di risarcimento
si instaura, con carattere originario o primario, al di fuori di qualsiasi contatto o progetto
precedente”
1
.
Configurata tale differenza sistematica, vengono in rilievo anche delle differenze nella
disciplina positiva, come quella attinente alla risarcibilità dei danni non prevedibili: in
tema di responsabilità contrattuale, se non vi è dolo, ma solo colpa, sono risarcibili
soltanto i danni prevedibili; in tema di responsabilità aquiliana non ha mai rilevanza, ai
fini del risarcimento, la prevedibilità del danno.
La responsabilità debitoria si modella, quindi, sul diritto di credito rimasto
insoddisfatto, che essa mira a soddisfare in via succedanea, ponendo il creditore nella
stessa situazione in cui si sarebbe trovato se il contratto fosse adempiuto.
2
Mentre quella aquiliana, mancando un rapporto giuridico precedente, tende a mettere il
danneggiato nella stessa condizione in cui egli si sarebbe trovato se l’illecito non si
fosse verificato, sicché oggetto di tutela “non è il conseguimento di aspettative ma il
mantenimento dello status quo, ossia delle condizioni, personali e patrimoniali, del
soggetto, preesistenti all’illecito.”
3
.
1
G. ALPA , La responsabilità civile - Aggiornamento 1988-1996, p. 130 ss., Torino, UTET, 1997.
Concordi sul punto, sia pure con diverse sfumature, DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Comm.
cod. civ. SCIALOIA-BRANCA, Bologna – Roma, 1988, p. 234 ss.; GIARDINA, Responsabilità
contrattuale ed extra-contrattuale. Significato attuale di una distinzione tradizionale, Milano, 1993, p.
172; BIANCA, La responsabilità , in Diritto civile V, Milano, 1994, pp. 546-547.
2
DI MAJO, op.cit. supra a nt.1, p. 249.
3
DI MAJO, op.cit. supra a nt. 1, p. 246.
8
Altra rilevanza pratica della distinzione tra i due tipi di responsabilità riguarda l’onere
della prova: nella responsabilità contrattuale all’attore è sufficiente provare il suo
credito e la scadenza dell’obbligazione; è il debitore che, se vuole giustificarsi, ha
l’onere di dimostrare di non aver potuto adempiere per una causa a lui non imputabile
(art. 1218 c.c.).
Nella responsabilità extra-contrattuale, invece, è l’attore che ha l’onere di provare non
soltanto che la condotta del convenuto gli ha causato un danno, ma anche che si tratta di
un comportamento tenuto con colpa o, peggio, con dolo (a meno che non si tratti di un
caso di responsabilità aggravata o per fatto altrui).
Una breve considerazione va fatta anche in merito al diverso termine prescrizionale
dell’azione: prescrizione ordinaria decennale per l’azione nascente da contratto e
prescrizione breve quinquennale per il danno aquiliano (ridotti a due in materia di
circolazione di autoveicoli).
Accade quindi, nella pratica, che l’operatività delle prescrizioni brevi previste per alcuni
contratti in relazione ai quali opera il concorso di responsabilità (trasporto,
compravendita), rende spesso l’azione extra-contrattuale più agevole rispetto a quella
contrattuale.
Nonostante si discuta se sia ammissibile il concorso tra la responsabilità contrattuale e
quella extra-contrattuale
4
, spesso tale regola del concorso tra le due responsabilità
rappresenta un mero espediente equitativo volto ad evitare le conseguenze penalizzanti
di una prescrizione troppo breve
5
.
4
A.TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffré, 1994, p. 635.
5
G. ALPA, op. cit. supra a nt. 1, p. 134.
9
1.1 La responsabilità oggettiva e la responsabilità del produttore: presupposti.
Si profila un’ulteriore distinzione all’interno della classificazione dei tipi di
responsabilità, che riguarda la cd. responsabilità oggettiva, ossia quel tipo di
responsabilità del tutto indipendente da un eventuale criterio di imputabilità per colpa
6
.
Responsabilità oggettiva significa responsabilità basata sul solo rapporto di causalità tra
il fatto proprio e l’altrui evento dannoso; il rapporto di causalità, a sua volta, si basa
sulla normalità o regolarità statistica, che rende prevedibile un dato effetto come
conseguenza del verificarsi di una data causa.
Secondo alcuni autori
7
, la responsabilità del produttore per danni causati dai difetti del
prodotto deve andare a collocarsi proprio all’interno di questa categoria particolare di
responsabilità; la direttiva comunitaria del 25 luglio 1985, n. 374
8
che l’ha introdotta
nel nostro ordinamento la pone in rapporto di continuità con il già noto istituto della
responsabilità oggettiva del produttore a cui erano approdate dottrina e giurisprudenza
nelle fasi antecedenti il recepimento della suddetta normativa comunitaria in materia di
“responsabilità per danno da prodotti difettosi”.
Secondo altri autori
9
, invece, la responsabilità del produttore costituisce una nuova
forma di responsabilità, che non deroga, ma si aggiunge alla disciplina generale in tema
di responsabilità extra-contrattuale e contrattuale, costituendo una fattispecie a sé di
responsabilità.
Poiché già in precedenza la giurisprudenza tendeva ad affermare la responsabilità del
produttore per danni arrecati a cose o persone da vizi dei prodotti posti in circolazione
dal fabbricante, ritenendo in genere presunta una colpa del produttore, anche in assenza
di prove - ben difficili da rintracciare - circa specifiche negligenze del ciclo produttivo,
ora la responsabilità del produttore di una merce (purchè messa in circolazione
successivamente all’entrata in vigore della nuova disciplina) è sancita senza bisogno di
alcuna prova di una sua specifica colpa e dipende dal fatto oggettivo della lesione
arrecata al cliente da un difetto del prodotto.
6
FRANZONI, La responsabilità oggettiva, Padova, Cedam, 1988, p. 123.
7
Così F. GALGANO, G. ALPA, M. BIN, P. CENDON, La responsabilità del produttore - Trattato di
diritto commerciale di diritto pubblico dell’economia, Padova, Cedam, 1989, p. 5.
8
In G.U.C.E. n. 215 bis del 12 settembre 1985.
9
A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, op.cit. supra a nt. 4, p. 633.
10
Sia che si voglia considerare la responsabilità del produttore come un’estensione della
responsabilità oggettiva, sia che la si voglia considerare come autonomo sistema e
autonoma categoria di responsabilità, l’introduzione di questa peculiare disciplina
risarcitoria ha dato soluzione ad un annoso problema che non era risolto esplicitamente
dal codice civile, un problema tipico della società moderna basata su criteri di
produzione e di consumo di massa.
L’esperienza di tutti i paesi industriali mostra che l’espansione produttiva dei beni di
consumo corrisponde ad un proporzionale aumento di eventi dannosi patiti dai
consumatori e cagionati dalle condizioni difettose del prodotto
10
.
Quindi, alla base di fondamento da cui iniziare la nostra indagine giuridica sulla
responsabilità del produttore va posta, in primo luogo, la produzione industriale di
massa, la cd. “produzione in serie”, destinata al pubblico di largo consumo. In merito è
interessante citare la autorevole riflessione di un noto economista, Galbraith: “La
produzione in serie, caratteristica della moderna società industriale, ha largamente
soppiantato la lavorazione artigianale; così come, grazie ad una tecnologia sempre più
complessa, le macchine hanno sostituito la semplice manodopera e, nella misura in cui
sono utilizzate per fornire istruzioni ad altre macchine, vengono progressivamente
sostituendosi alle forme più elementari di intelligenza umana.”
11
. E’ la serie, quindi,
destinata a dominare il mercato, cioè una molteplicità infinita di prodotti aventi
caratteristiche uniformi e destinati a soddisfare bisogni tipizzati di altrettanti acquirenti
anonimi.
10
Cfr. P. KEETON, Products liability - Some observation about allocation of risks, in Michigan Law
Review, 1966, p. 1329 ss..
11
J. K. GALBRAITH, Il nuovo stato industriale, Torino, 1968.
11
Ne consegue un aumento dimensionale della potenzialità dannosa inerente ai prodotti
difettosi: ciò che precedentemente rappresentava di regola un difetto isolato di un
singolo prodotto, ora si può trasformare in un pericolo di danno che accompagna
ognuno dei prodotti fabbricati da un imprenditore
12
.
Un secondo aspetto rilevante concernente il tema in questione, è rappresentato dal
mutamento assai rapido del sistema produttivo, particolarmente nel rapporto rivenditore
- acquirente.
Tale mutamento è caratterizzato dall’evoluzione che ha subito la figura del rivenditore,
in quanto nel moderno assetto del mercato al rivenditore non compete di regola un ruolo
attivo, ma soltanto la semplice funzione di conservare e distribuire i prodotti. La vera
controparte contrattuale dell’acquirente finale del prodotto, da un punto di vista
sostanziale, avendo cioè riguardo ai termini effettivi dello scambio, è il produttore; al
rivenditore si attribuisce il semplice ruolo di intermediario in una catena più o meno
lunga, che ha i suoi poli nel produttore e nel consumatore finale, mentre il dettagliante
rappresenta ormai solo un anello di questa complessa catena distributiva.
Ad una irrilevanza del rivenditore sul piano sostanziale corrisponde una analoga
irrilevanza della sua posizione sul piano formale: a colui che formalmente sarebbe il
soggetto chiamato a rispondere - il rivenditore del prodotto dannoso - deve sostituirsi
colui che ha nelle sue mani il controllo della produzione, cioè colui che rappresenta la
reale controparte dell’acquirente – il fabbricante del prodotto industriale
13
.
La centralità della figura del produttore all’interno del moderno assetto del mercato è
ancora più evidente se si pone mente a due aspetti:
a) il produttore non si limita a soddisfare dei bisogni, ma tende a crearne, tanto da
“giustificare l’ipotesi che la domanda non sia più il risultato dei desideri e gusti
12
La relazione tra società industriale ed esperienza giuridica è stata ampiamente analizzata da un
autorevole autore che ha richiamato l’attenzione sui problemi della produzione di massa , includendola tra
i fenomeni “di tale portata da richiedere idonei strumenti e adeguate categorie per la loro elaborazione sul
piano concettuale di una moderna dottrina generale del diritto” (NICOLO’, Riflessioni sul tema
dell’impresa e su talune esigenze di una moderna dottrina del diritto civile, in Riv. Dir. Comm., 1956, I,
p. 181.)
13
Cfr. U. CARNEVALI, La responsabilità del produttore, Milano, Giuffrè, 1979, p. 6.
12
originari dei consumatori, ma dell’immaginazione dei dirigenti e della frenetica
attività dei loro uffici commerciali e pubblicitari.”
14
b) la dipendenza psicologica che il consumatore manifesta nei confronti dei cd.
prodotti di marca, i quali ingenerano nel consumatore una fiducia in merito alla loro
qualità e sicurezza tale da condizionarne la libertà decisionale in fase di acquisto.
15
Il venir meno delle suddette garanzie da parte dei prodotti acquistati può comportare,
quindi, una violazione della fiducia che il consumatore aveva riposto nei confronti del
fabbricante del prodotto in questione.
Da qui l’esigenza di una tutela diretta, da una parte, alla pratica preventiva di consumer
protection, termine adottato per indicare l’insieme delle iniziative volte alla tutela degli
interessi dei consumatori; dall’altra, volta ad attribuire al produttore la responsabilità del
danno per la messa in circolazione il prodotto dannoso.
Il legislatore italiano ha disciplinato la responsabilità civile del produttore per danni
causati dal difetto del prodotto soltanto con il D.P.R. 24 maggio n. 224
16
, portando a
recepimento la direttiva della Comunità Europea n. 374 del 1985
17
, relativa al
riavvicinamento delle disposizioni legislative degli stati membri in materia di
responsabilità per danni da prodotti difettosi.
14
U. RUFFOLO, La grande impresa nella società moderna, Torino, 1967, p. 174.
15
Sul punto v. A. VALSECCHI in U. DRAETTA e C. VACCÀ, Responsabilità del produttore e nuove
forme di tutela del consumatore, Milano, Egea, 1993, p. 5.
16
In G.U. n. 146 del 23 giugno 1988.
17
In G.U.C.E. n. 215 bis del 12 settembre 1985.
13
2 Evoluzione storica della disciplina in tema di responsabilità del produttore.
In tutti i Paesi membri della Comunità la problematica della responsabilità civile da
prodotti si è sviluppata all’inizio degli anni Sessanta.
Il sistema della responsabilità del produttore antecedentemente al D.P.R. 224 del 1988 è
il frutto di un’elaborazione giuridica che approda alla negazione di una responsabilità
di tipo diretto del produttore in sostituzione di quella del dettagliante (reale controparte
del consumatore - acquirente).
Infatti, l’idea della responsabilità del produttore era manifestamente estranea al
legislatore del ’42; tuttavia, si è cercato di individuare, in seno all’ordinamento, norme
capaci di fondare positivamente il principio di detta responsabilità.
In particolare, la disciplina relativa al contratto di vendita prevede solo alcune situazioni
che comportino una responsabilità in capo al venditore, il quale tuttavia è ben distinto
dal produttore: sono i casi di responsabilità per evizione e per i vizi della cosa oggetto di
vendita (art. 1476 cod. civ.).
Inoltre, altri articoli nel Codice Civile sono volti a tutelare il consumatore - acquirente:
-l’art. 1490 cod. civ., che prevede l’esistenza di una forma di garanzia per i vizi della
cosa venduta;
-l’art. 1494 cod. civ., relativo al risarcimento del danno;
entrambi, però, sono limitati nei loro scopi da ulteriori disposizioni, che possono
ostacolare l’attuazione di una efficace tutela del consumatore universalmente praticabile
(ad esempio, il fatto che all’art. 1494 cod. civ. sia permesso al venditore di non risarcire
il danno se egli è in grado di dimostrare di aver ignorato consapevolmente i vizi della
cosa venduta).
È chiaro, dunque, come le norme relative alla compravendita attualmente in vigore
nell’ordinamento giuridico italiano non siano idonee a tutelare in via generale gli
interessi dei consumatori. In sostanza, le norme vigenti non sono atte ad una corretta
disciplina delle vendite ‘a catena’, proprio perché il codice considera la vendita alla
stregua di un ‘affare individuale’, quindi “la normativa sulla vendita lascia quasi sempre
il carico del danno in capo all’acquirente”
18
.
18
G. GHIDINI, La responsabilità del produttore dei beni di consumo. Profili precontrattuali, Milano,
Giuffrè, 1970, p. 36-37.
14
A questo punto si è ritenuto preferibile dirottare il sistema della responsabilità del
produttore verso la regola generale della responsabilità aquiliana, definita dall’art. 2043
cod. civ.: “qualunque atto doloso o colposo, che cagiona ad altro un danno ingiusto,
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”
In questo senso, è possibile prevedere in via diretta l’affermazione della responsabilità
del produttore per i danni subiti dal pubblico dei consumatori in seguito alla
circolazione di prodotti difettosi. Tuttavia, essa non appare sufficiente come soluzione,
in quanto, codificando il brocardo “nessuna responsabilità senza colpa”, comporta un
limite all’applicazione dell’art. 2043 cod. civ.:
- la ‘colpa’ del produttore: il danneggiato deve fornire la prova (se non del dolo,
quanto meno) della ‘colpa’ del danneggiante, cioè dell’impresa. Una prova, questa,
che riesce assai difficile: il consumatore ignora sia le tecniche di distribuzione del
prodotto (in questa fase si potrebbero facilmente verificare errori, negligenze,
imprudenze commesse dal produttore stesso o dai suoi preposti nell’esercizio
dell’impresa ); sia le cause dell’evento dannoso che possono manifestarsi nel corso
del processo produttivo e che, talvolta, risultano ignote anche al fabbricante.
19
In conclusione, con questo sistema di attribuzione della responsabilità, la circolazione di
prodotti dannosi pare perciò comportare un rischio che ricade sul consumatore, senza
possibilità pratica di trasferirlo su quei soggetti che lo hanno creato.
19
G. ALPA, M. BESSONE, La responsabilità del produttore, Milano, Giuffrè, 1999, p. 20.
15
3 La Direttiva 85/374/CEE.
La problematica, in assenza di una specifica disciplina legislativa, veniva risolta via via
dalla giurisprudenza, la quale, come successivamente vedremo, è stata costretta a
ricollegare la fattispecie “danno da prodotto” ora all’una, ora all’altra regola di
responsabilità, senza esprimere, tuttavia, linee di tendenza uniformi. Si è cercato di
elaborare modelli di responsabilità oggettiva del produttore
20
, o modelli di
responsabilità oggettiva integrati (nell’ipotesi di danni dovuti a difetti di serie) da
modelli di responsabilità per colpa
21
o, ancora, modelli di responsabilità precontrattuale
(per delusione dell’affidamento suscitato nel consumatore nell’impresa)
22
, che, facendo
ricorso a diverse tecniche, erano rivolti a tutelare la posizione più debole del
consumatore danneggiato. Altri tentativi sono stati diretti a ricollegare la responsabilità
per danno da prodotto ad un modello di responsabilità contrattuale per garanzia, senza
però raggiungere linee uniformi
23
.
Fin dall’inizio degli anni Settanta la Commissione delle Comunità Europee ha iniziato
ad elaborare vari progetti di direttiva sulla responsabilità del produttore per la
circolazione di beni di consumo dannosi.
La direttiva è stata approvata il 25 luglio 1985, n. 374
24
.
Le ragioni di politica del diritto che stanno alla base dell’adozione della direttiva sono
costituite dalla necessità di uniformare gli ordinamenti interni degli Stati membri in
tema di responsabilità del produttore, al fine di garantire il libero gioco della
concorrenza e la libera circolazione delle merci all’interno del Mercato comune.
Emerge con chiarezza nei “considerando” la scelta di responsabilizzazione del
produttore come soluzione al problema di una corretta distribuzione dei rischi inerenti
alla produzione tecnica moderna.
25
20
M. BESSONE, Prodotti dannosi e responsabilità dell’impresa, in Rivista trim. dir. e proc. Civ.,1971,
p.112.
21
U. CARNEVALI, op. cit. supra a nt. 13, Milano, Giuffrè, 1979, p. 177.
22
G. GHIDINI, op.cit. supra a nt. 18, Milano, Giuffrè, 1970, p. 45.
23
G. PONZANELLI, Responsabilità del produttore, in Riv. Dir. Civ., 1990, II.
24
In G.U. n. 215 bis del 12 settembre 1985.
25
G. ALPA, M. BESSONE, op. cit. supra a nt. 19, Milano, Giuffrè, 1999, p. 244; che rinvia a
WHITTAKER, The EEC directive on product liability, 5 , Y.E.L., 1986, p. 237.
16
Al quarto “considerando” si anticipa la scelta della responsabilizzazione, in solido con il
produttore, di tutti i partecipanti al ciclo produttivo, quali gli importatori e coloro che
appongono il proprio marchio o segno distintivo sul prodotto.
Un altro punto di notevole importanza che emerge dal sesto “considerando” è
l’enunciazione del concetto di “sicurezza” del prodotto. Non è sufficiente una nozione
di “difettosità”, dovendosi fondare la protezione del consumatore sulla sicurezza che il
grande pubblico può legittimamente attendersi. È proprio dal concetto di sicurezza che
prendiamo le mosse per descrivere in dettaglio il contenuto della direttiva 85/374/CEE.
Esattamente due anni prima, il legislatore europeo ha emanato una normativa
specificamente dedicata alla “sicurezza dei consumatori”(Direttiva 21 luglio 1983,
n.83/660), in cui rileva il principio generale per cui tutti i prodotti ed i servizi presenti
sul mercato devono, in condizioni ragionevolmente prevedibili da un soggetto esperto,
offrire la sicurezza che ci si può legittimamente attendere e non danneggiare la salute
delle persone. È semplice capire la relazione che intercorre tra le due direttive: la
direttiva dell’83 introduce un principio (di sicurezza del prodotto),che diventa il
fondamento e il fine ultimo della direttiva dell’85, cioè il raggiungimento della totale
soddisfazione del consumatore, che coincide con la qualità del prodotto e quindi con la
sicurezza di esso o, in caso contrario con la risarcibilità del danno da prodotto. Nel 1992
la Commissione emana una seconda Direttiva sul tema della sicurezza dei prodotti: la
Direttiva 92/59/CE
26
, che assume la una rilevante importanza se letta in combinato con
la 85/374/CEE.
La direttiva 85/374/CEE si apre con il principio generale in virtù del quale “il
produttore è responsabile del danno causato da un difetto del suo prodotto” (art. 1).
Questo principio può essere rettamente inteso solo esaminando la terminologia
impiegata nella disposizione; all’art. 2 si precisa che cosa s’intende per “prodotto”:
“ogni bene mobile, ivi compresa l’elettricità, ad esclusione dei prodotti agricoli
naturali”; per “produttore” (art. 3) s’intende “il fabbricante di un prodotto finito, il
produttore di una materia prima o il fabbricante di una materia componente, nonché
ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchi, marchio o altro segno distintivo
sul prodotto, si presenti come produttore dello stesso”. La nozione di produttore è assai
26
In G.U.C.E. n. L 228/24 dell’11 agosto 1992. V. in seguito.
17
lata, in quanto si stabilisce che tale si deve intendere anche l’importatore e, in caso di
mancata identificazione del produttore, si considera tale il fornitore. La scelta compiuta
dal legislatore comunitario può dirsi coerente con una linea di tendenza rivolta alla
statuizione di una regola di strict liability
27
, della quale l’esperienza giuridica europea è
certo debitrice delle esperienze di common law, e segnatamente di quella
nordamericana.
La direttiva introduce una vera e propria responsabilità oggettiva (il produttore è
responsabile…), perché prescinde dall’accertamento della colpa; il danneggiato (art. 4)
deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno.
L’attenzione si accentra quindi sul criterio di imputazione, che, anche se non
menzionato, può identificarsi nel rischio o, se si preferisce, nella immissione del
prodotto nel mercato, in particolare attraverso la nozione di difetto del prodotto. A
questo proposito, l’art. 6 dispone che un prodotto è difettoso quando non offre la
sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra
cui si annovera la presentazione del prodotto, l’uso cui il prodotto è ragionevolmente
destinato, il momento di messa in circolazione.
La portata assai generale della norma di apertura è tuttavia limitata da esclusioni e
limitazioni della responsabilità. Quanto alle esclusioni, l’art. 7 precisa che il produttore
non è responsabile se non ha messo il prodotto in circolazione, se il difetto non esisteva
al momento in cui il prodotto è entrato nel mercato, se la vendita non è avvenuta a scopo
economico, se il difetto è dovuto alla conformità a regole imperative, se lo stato della
scienza e della tecnica al momento della immissione sul mercato non poteva consentire
l’accertamento del difetto (con ciò si esclude la responsabilità per rischio da sviluppo) e,
nel caso di produttore di parte componente, quando risulta che il difetto è dovuto alla
concezione del prodotto in cui è stata incorporata la parte o alle istruzioni date dal
produttore del prodotto. La responsabilità non risulta diminuita quando accanto al
difetto vi è intervento del terzo, mentre può essere diminuita o soppressa se vi è colpa
del danneggiato (art. 8).
27
Il termine strict liability sta ad indicare una responsabilità che prescinde dalla prova della colpa del
produttore, in quanto il consumatore leso deve unicamente provare il danno subìto e l’esistenza del difetto
del prodotto.
18
Per quanto concerne, poi, l’incidenza della direttiva in questione sull’ordinamento
italiano, bisogna tenere presente che le direttive si distinguono dagli altri atti comunitari
(regolamenti, decisioni, raccomandazioni e pareri), poichè vincolano gli Stati membri
cui sono indirizzate esclusivamente “per quanto riguarda il risultato da raggiungere,
salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”
(art. 189 Trattato C.E.E.). In altre parole, le direttive comunitarie stabiliscono il risultato
che i singoli ordinamenti statali devono conseguire, lasciando però agli stessi la libertà
di determinare i mezzi necessari al raggiungimento di tale scopo nell’ambito delle
guidelines fissate dalla direttiva stessa.
L’attuazione della direttiva è stata effettuata in Italia mediante legge speciale, con il
D.P.R. 24 maggio 1997 n. 224
28
, il quale, per la prima volta, ha introdotto
nell’ordinamento italiano il concetto di responsabilità del produttore. Inoltre, sempre per
la prima volta, è stata data una definizione sia di prodotto, sia di produttore,
identificando, poi, nel consumatore il soggetto destinatario della tutela.
Proprio il consumatore è il vero “protagonista” della legge in questione: al consumatore,
in senso lato
29
, è riconosciuto il diritto ad ottenere “la sicurezza che ci si può
legittimamente attendere” (art. 5), dal momento in cui un prodotto è offerto sul mercato.
La norma di apertura riproduce sia dal punto di vista formale, sia per quanto concerne lo
spirito, l’art. 1 della Direttiva comunitaria; è formulato infatti sulla sua falsariga,
recitando: “il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto”.
Anche il legislatore italiano ha optato quindi per l’adozione di un regime di strict
liability, secondo gli indirizzi emersi negli Stati Uniti da alcuni decenni, compiendo un
notevole passo in avanti; questo tipo di regolamentazione in materia di responsabilità
derivante dalla circolazione di beni di consumo difettosi, la strict liability, “fornisce una
razionalizzazione delle attività potenzialmente dannose alle imprese, come pure, offre
28
In Gazzetta Ufficiale n. 56 del 23 giugno 1988
29
La nozione di consumatore deve intendersi riferita sia a chi ha acquistato il prodotto difettoso, sia a
chiunque lo usa sulla base di un rapporto contrattuale (ad esempio: locazione, leasing, comodato, etc.) o
di cortesia (familiari, amici, etc.); più controversa, invece , l’estensione ai cosiddetti bystanders, i quali,
pur non servendosi direttamente del prodotto difettoso, vengono a trovarsi, casualmente o meno, nella
zona di rischio rimanendone coinvolti.
19
un’adeguata forma di risarcimento a vantaggio dei consumatori per la funzione
assicurativa svolta, per la più giusta distribuzione delle perdite e perché riesce ad
attivare corretti incentivi nel processo di prevenzione del danno”.
30
L’impatto della normativa comunitaria sull’ordinamento interno è stato senz’altro
notevole sia a livello teorico, sia a livello sistematico, tuttavia, un resoconto delle
occasioni di applicazione della direttiva e della legge nazionale di recepimento in
occasione del decimo anniversario dell’adozione dello strumento normativo ha peraltro
messo in luce la scarsità di decisioni basate su di essa. Pare che i giudici nazionali
disapplichino sostanzialmente la direttiva, preferendo rifarsi di volta in volta alle varie
norme nazionali generali in tema di responsabilità civile, in ciò legittimati dalla
previsione facoltizzante della stessa direttiva (art. 15).
31
30
G. PONZANELLI, Commento all’art.1, nel Commentario al D.P.R. n.224/88,a cura di
R.PARDOLESI, in Le nuove leggi civili commentate, 1989, pp.508 -509.
31
A. STOPPA, La Direttiva sulla responsabilità da prodotti difettosi compie dieci anni, in Economia
Diritto Terziario, 1995, p. 905 ss.
20
3.1 La Direttiva 92/59/CEE.
Quanto alla valutazione del risarcimento del danno, è poco rassicurante offrire al
consumatore un risarcimento senza fissare standards di sicurezza minimi dei prodotti,
eventualmente con formule generali che il giudice, di volta in volta apprezza con la
prudenza che gli è propria e comunque con l’ausilio del consulente tecnico. Da questa
considerazione sorge il rimedio del diritto comunitario: la già accennata Direttiva
92/59/CE
32
, che rappresenta un “ulteriore tassello della politica comunitaria diretta alla
tutela dei consumatori che con il trattato sull’Unione Europea è poi assurta a dignità di
azione autonomamente prevista.”
33
Lo scopo della Direttiva è duplice: in via preventiva stabilire requisiti minimi
armonizzati di sicurezza dei prodotti destinati alla circolazione infracomunitaria; in
secondo luogo, introdurre procedure di emergenza atte ad intervenire correttivamente
nel caso di insorgenza di difetti. Il principio generale in tema di sicurezza è che i
produttori devono immettere nel mercato soltanto prodotti sicuri (essendo tale sicurezza
definita come la situazione in cui ogni prodotto destinato al ragionevolmente
prevedibile uso, anche continuativo, non presenta rischi o comunque presenta un
minimo di rischi compatibile con l’uso del prodotto, considerato come accettabile e
coerente con un alto livello di protezione per la salute e sicurezza delle persone).
Dopo aver considerato l’evoluzione legislativa della responsabilità del produttore, è
giusto fare un cenno anche alla disciplina speciale. Viene in considerazione l’intricata e
complessa (per non dire caotica) disciplina della produzione farmaceutica e la disciplina
della produzione e vendita di cosmetici, di cui alla legge 11 ottobre 1986, n. 713, in
attuazione di altra direttiva comunitaria (n. 768 del 1976), e la legge 18 febbraio 1983,
n. 46, recante norme sulla commercializzazione di giocattoli fabbricati e importati in
Italia.
32
In G.U.C.E. n. L 228/24 dell’11 agosto 1992, attuata in Italia con Decreto legge 17 marzo 1995, n. 115,
in G.U. del 20 aprile 1995 n. 92.
33
M. CODINANZI, L’attuazione della Direttiva sulla sicurezza generale dei prodotti, in Contratto e
impresa/Europa, 1997, p. 941.