5
della natura giuridica ho quindi affrontato il tema della possibile dismissione della
RAI dal patrimonio dello Stato e la relativa ipotesi privatizzazione.
Inoltre, ho analizzato l‟attuale struttura societaria della concessionaria pubblica,
che a ben guardare si configura a tutti gli effetti come l‟azienda culturale più
importante del Paese. Infatti in questa ricerca è emerso chiaramente come la RAI
sia a capo di un grande impero mediatico, strutturato su più settori della
comunicazione. La RAI con le sue aziende controllate e collegate è attiva su vari
ambiti economici, cercando in questa maniera di presidiare efficacemente tutti gli
spazi di mercato. Il Gruppo RAI dispone di molte aree operative calibrate in base
alle diverse esigenze dei vari mezzi della comunicazione. Per intenderci
attualmente sono attive l‟area editoriale televisiva, l‟area editoriale radio, l‟area
editoriale nuovi media e digitale terrestre, l‟area commerciale e l‟area trasmissiva.
L‟intero Gruppo è finanziato tramite un mix di risorse, che comprendono il
canone di abbonamento, gli introiti pubblicitari e i ricavi commerciali. Il vero dato
interessante di questa indagine però riguarda l‟incidenza che questi ricavi hanno
sul totale delle entrate della concessionaria pubblica. Infatti, dal mio lavoro di
ricerca svolto sul bilancio RAI del 2006, emerge chiaramente che gli introiti
pubblicitari più i ricavi commerciali hanno praticamente lo stesso peso economico
del canone. Naturalmente, questa situazione finanziaria solleva forti dubbi e
perplessità sull‟effettiva autonomia del servizio pubblico dalle ingerenze degli
investitori privati e più in generale dal mercato. In queste condizioni, infatti, non
si capisce come la RAI possa adempiere alla sua missione di servizio pubblico e
contemporaneamente soddisfare volontà degli inserzionisti pubblicitari.
Inoltre per dar vita ad ricerca completa ho allargato lo sguardo ai meccanismi di
finanziamento delle altra concessionarie pubbliche europee. Da questa ricerca è
emerso che anche altri public broadcaster sfruttano un sistema di finanziamento
ibrido, ma solo in Italia i ricavi pubblici e le entrate private hanno quasi la stessa
incidenza economica. Si va infatti da situazioni in cui i ricavi pubblicitari sono
totalmente assenti, vedi il caso della BBC nel Regno Unito, a contesti in cui il
finanziamento privato raggiunge livelli bassissimi. Questo è il caso per esempio
della televisione pubblica tedesca, dove ARD e ZDF raggiungono rispettivamente
percentuali intorno al 3 per cento e all‟8 per cento. A rendere ancora peggiore
6
questa situazione bisogna aggiungere che la RAI dispone del canone di
abbonamento più basso d‟Europa, aggravando così l‟influenza degli investitori
privati sulla concessionaria pubblica.
Nell‟ultima parte del mio lavoro analizzando la legge di riforma 103 del 1975, la
legge 112 del 2004 e i recenti disegni di legge Gentiloni ho affrontato lo spinoso
tema della lottizzazione della RAI e del suo conseguente condizionamento
politico. Da questa indagine è emersa una stretta, continua e penetrante ingerenza
dei partiti nella gestione ordinaria della RAI. Nessuna delle leggi che ho
esaminato ha prodotto dei risultati positivi nell‟ottica di una concessionaria
pubblica veramente libera dai condizionamenti e dalla mire di potere della
politica. Solamente i recenti disegni di legge del precedente Ministro delle
comunicazioni Gentiloni prevedevano la possibilità di apportare, almeno in linea
teorica, dei miglioramenti a questa situazione. Come sappiamo però, tutto si è
fermato in seguito alla caduta del Governo di centro sinistra che per la verità si è
mosso con eccessiva prudenza e cautela sul tema.
Infine, senza avere la pretesa di concepire una nuova legge di riforma del sistema
radiotelevisivo ho cercato di mettere in evidenza i punti critici dell‟attuale
meccanismo gestionale della RAI, provando a immaginare le possibili e
auspicabili trasformazioni normative di cui la concessionaria del servizio pubblico
avrebbe bisogno.
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CAPITOLO I
LA PROSPETTIVA DI PRIVATIZZAZIONE DELLA RAI
1 La natura giuridica della concessionaria pubblica
Il tema della natura giuridica della RAI rappresenta un elemento che si è
puntualmente riproposto ad ogni riforma dell‟assetto societario della
concessionaria pubblica. Su tale questione nel corso del tempo si è sviluppato un
forte dibattito, alimentato da tutta una serie di articoli legislativi e interpretazioni
giuridiche, alcune delle quali risultano oggi abrogate in conseguenza dell‟esito
positivo del referendum del 1995. In relazione a tutto ciò, l‟articolo 2,2 della legge
n. 223/1990 richiamando il principio già fissato dalla legge n. 103/1975 prevedeva
che: “il servizio pubblico è affidato mediante concessione ad una società per
azioni a totale partecipazione pubblica. La concessione importa di diritto
l‟attribuzione alla concessionaria della qualifica di società di interesse nazionale ai
sensi dell‟art. 2461 del codice civile”. In seguito l‟articolo 1 del d.l. 19/10/1992,
convertito poi nella legge 483/1992 fissava che “le azioni della Rai-
Radiotelevisione italiana S.p.a. possono appartenere soltanto allo Stato, ad enti
pubblici o a società a totale partecipazione pubblica”. Inoltre l‟articolo 1 della
legge 206/1993 ribadisce ancora che “la società a cui è affidato mediante
concessione il servizio pubblico radiotelevisivo ha natura di società per azioni ;
essa è soggetta alla disciplina delle società di interesse nazionale di cui all‟art.
2461 del codice civile”. Bisogna inoltre ricordare che in questo quadro nel 1995 è
intervenuto il referendum abrogativo che di fatto ha incominciato ad schiudere le
porte ad una privatizzazione seppur parziale della RAI. Infatti nel momento in cui
si va a cancellare la locuzione “a totale partecipazione pubblica” di cui
all‟articolo 2 della legge 223/1990 si apre alla possibilità che il capitale della RAI
sia posseduto anche da investitori privati.
8
Sulla base di tutte queste norme nasceva il ragionevole dubbio di quale natura
giuridica attribuire alla concessionaria del servizio pubblico. Il fatto è che proprio
per le peculiarità tipiche della RAI e per la sua relativa disciplina diventa difficile
inquadrarla meccanicamente nello schema giuridico di tipo privatistico o in
quello pubblicistico.
Il risvolto pratico di tale questione non è di poco conto, date le diverse
conseguenze che comportano le due scelte. Infatti, configurare la RAI come
soggetto privato vuol dire sottoporla alla disciplina societaria, salvo le deroghe
espressamente previste dal vecchio articolo 2461 del codice civile, oggi
trasformato nel 2451; al contrario accogliendo la tesi pubblicistica la
concessionaria statale sarebbe assoggettata alla legislazione tipica degli enti
pubblici. In questo modo lo schema pubblicistico risulterebbe prevalente su quello
privatistico che sarebbe applicato solo in via residuale, nei casi in cui non sia
incompatibile con il primo.
Proprio per la peculiarità della società presa in esame diventa difficile se non
impossibile inquadrare la concessionaria pubblica nell‟uno o nell‟altro schema
giuridico. Tutte queste caratteristiche hanno portato a considerare la RAI come un
“genus a sé stante che si diversifica sotto molti aspetti da qualunque altra figura
sia di diritto pubblico che privato”.1
Il dibattito nel corso del tempo si è evoluto verso la soluzione di tipo privatistico.
La RAI, è infatti considerata come una “società privata di diritto speciale”; o
meglio, viene inquadrata in quella categoria che Giannini definisce “enti di
interesse pubblico”. Questa classificazione definisce tutti quegli enti che “hanno
natura giuridica privata, ma presentano un qualche profilo pubblicistico, per
effetto di un interesse pubblico attinente ad un qualche momento o modo di essere
dell‟ente”. E ciò pur nella consapevolezza che “quella di ente privato di interesse
pubblico non è una nozione giuridicamente unitaria “ e non esistono dei caratteri
unitari per identificarla: “certe volte vi sono obblighi degli enti, altre volte
controlli, altre volte soggezioni, e così via, secondo elencazioni che potrebbero
essere lunghissime”.2
1
Zingale, Gotti Porcinari, La legge di riforma RAI, Roma, 1976, pag. 73
2
Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, pag. 226
9
Anche accogliendo questa tesi, rimane comunque il problema di come conciliare
l‟anima privata della RAI con l‟esercizio da parte della stessa di un pubblico
servizio in concessione. Infatti, gli istituti giuridici tipici di un‟attività regolata dal
diritto privato male si amalgamano con tutta quella serie di controlli e vincoli di
estrazione parlamentare e governativa alla quale è sottoposta la RAI.
Proprio per tutti questi problemi e incertezze l‟articolo di riferimento per
inquadrare la concessionaria pubblica rimane il 2451 del codice civile in cui si va
a chiarire che alle società di interesse nazionale si applica “una particolare
disciplina circa la gestione sociale, la trasferibilità delle azioni, il diritto di voto e
la nomina degli amministratori, dei sindaci revisori e dei dirigenti”. 3
Pur con tutte queste deroghe e vincoli derivanti dall‟adempiere ad un pubblico
servizio la RAI conserva tutti quei connotati di imprenditorialità tipici delle
società di capitali. Proprio in relazione a ciò la Corte di cassazione con la sentenza
del 21 giugno del 1989 afferma: “alla società privata concessionaria va
riconosciuta la facoltà di agire con la discrezionalità e l‟autonomia proprie
dell‟imprenditore che deve adeguare le sue scelte e i suoi atti alle esigenze
immediate di un mercato economico in continuo movimento”.
Da tutto ciò si può facilmente comprendere come la natura giuridica della RAI,
porta la concessionaria a camminare in maniera incerta su un filo sospeso tra i
forti interessi privati derivanti dall‟agire sul mercato e i penetranti vincoli pubblici
necessari per l‟assolvimento della funzione informativa e culturale che le è stata
assegnata.
2 La RAI verso il mercato
Il problema della definizione della natura giuridica della concessionaria pubblica è
strettamente collegato con la questione relativa alla struttura societaria e al
possesso del capitale azionario della RAI. Questo discorso ci porta
3
Art. 2461 Codice civile
10
inevitabilmente a considerare l‟evoluzione che l‟assetto societario della RAI ha
avuto dal secondo dopoguerra a oggi.
Siamo infatti passati da una situazione in cui la proprietà della RAI era
saldamente nelle mani dello Stato ad una prospettiva di privatizzazione per il
momento solo virtuale della concessionaria pubblica. Segni evidenti di questo
cambiamento di mentalità sono state le sentenze della Corte costituzionale e le
varie leggi che in materia radiotelevisiva si sono susseguite nel corso del tempo.
Esemplare in questo senso è la sentenza n. 224 del 1974 in cui la Corte ribadiva
che l‟ente gestore del servizio pubblico radiotelevisivo possa essere tanto un ente
pubblico, quanto un concessionario privato, purché appartenente alla sfera statale.
La Corte rivedeva così un suo precedente indirizzo giurisprudenziale derivante
dalla sentenza n. 58 del 1965, in cui prevedeva che anche un‟azienda privata
poteva ambire all‟affidamento della concessione per lo svolgimento del servizio
pubblico radiotelevisivo. Con la pronuncia del 1974 viene ribadita la legittimità
costituzionale della concessione ad una società privata, ma solo ed esclusivamente
alla precisa condizione di appartenere alla mano pubblica. Questo principio
sarebbe stato poi ripreso e ribadito dall‟art. 3 della legge n.103/1975 in cui il
legislatore “non si limiterà solo a chiedere la prevalente partecipazione pubblica
nelle società per azioni, bensì la totale partecipazione pubblica”4.
“Il rapporto complessivo tra Stato e società concessionaria risulta caratterizzato da
alcune peculiarità, tra cui: a) la predeterminazione normativa di una parte del
contenuto della concessione; b) l‟esistenza di poteri di indirizzo e vigilanza,
oltreché di regolamentazione diretta di alcuni settori, in capo alla rispettiva
Commissione bicamerale; c) la previsione di poteri di controllo tecnico e
contabile degli organi governativi; d) la speciale disciplina della formazione degli
organi principali della RAI, in conformità alle previsioni di cui all‟art. 2451 cod.
civ”5. Da tutto questo si desume che esisteva un penetrante sistema di vincoli
sulla concessionaria del servizio pubblico, che ha permesso allo Stato di avere la
responsabilità politica sull‟attività del servizio pubblico radiotelevisivo.
4
Della Penna, Riassetto del settore radiotelevisivo, Milano, 2004, pag 87
5
Della Penna, Riassetto del settore radiotelevisivo, Milano, 2004, pag 87
11
In questo quadro è intervenuto l‟11 giugno del 1995 il referendum abrogativo che
di fatto ha riaperto la questione sulla proprietà pubblica della concessionaria del
servizio radiotelevisivo.
Di fatto in seguito all‟esito positivo di questo referendum furono abrogati gli
articoli 2,2 della legge 223/90 e dell‟art. 1 del d.l. n. 408/92, convertito con
modificazioni in legge n. 483/92. Tutto ciò era mirato ad eliminare quell‟insieme
di norme che limitavano il possesso delle azioni RAI alla sola mano dello Stato o
comunque a tutti gli enti pubblici o alle aziende a totale partecipazione pubblica.
L‟obiettivo dichiarato era quindi quello di permettere anche agli investitori privati
di possedere quote di capitale sociale della RAI, impedendo al legislatore di
ripristinare la riserva esclusiva della proprietà della RAI alla partecipazione
unicamente pubblica.
Bisogna inoltre dire che il referendum da una parte apriva a una sostanziale
privatizzazione della RAI, ma dall‟altra non andava a intaccare né la natura
pubblica del servizio radiotelevisivo, né il carattere di società di interesse
nazionale riconosciuto dall‟art. 2461 del codice civile. Questo veniva anche
confermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 7 del 1995 con la quale si
rendeva ammissibile il quesito referendario. La sentenza affermava che lo
svolgimento del servizio pubblico radiotelevisivo poteva essere realizzato dalla
RAI “indipendentemente dalla qualità pubblica o privata dei soggetti titolari del
capitale azionario”.
A questo punto il problema vero era quello di stabilire le modalità di ingresso del
capitale privato all‟interno della RAI. Nel corso del tempo sono state avanzate
diverse ipotesi sulla privatizzazione della concessionaria del servizio pubblico.
Queste teorie, non necessariamente alternative, prevedevano l‟ingresso di
investitori privati in varie forme:
ξ attraverso la realizzazione di una public company sul modello
anglosassone. Questa prospettiva di azionariato diffuso si sarebbe dovuta
realizzare però solo sulla parte minoritaria del capitale sociale, lasciando la
prevalenza delle azioni in mano pubblica. Era previsto inoltre un regime di
favore nei confronti delle associazioni dei cittadini telespettatori che
12
avrebbero potuto esprimere un proprio rappresentante nel Consiglio di
amministrazione;
ξ applicando in maniera settoriale l‟art. 46 della Costituzione, che afferma
testualmente “ai fini dell‟elevazione economica e sociale del lavoro e in
armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il
diritto dei lavoratori a collaborare , nei modi e nei limiti stabiliti dalle
leggi, alla gestione delle aziende”. La prospettiva era quindi quella di
riconoscere anche ai dipendenti RAI la possibilità di partecipare
all‟amministrazione dell‟azienda tramite la corresponsione di piccole
percentuali dello stipendio annuo o di premi di produttività o incentivi
sotto forma di pacchetti azionari. Di fatto si voleva replicare un progetto
pilota già realizzato in alcuni ambiti del settore delle telecomunicazioni.
Bisogna però riconoscere che questo tipo di privatizzazione è di difficile
attuazione, considerando anche gli elementi culturali e sociali che
contraddistinguono il nostro Paese. Infatti nel corso degli anni in tutti gli
ambiti aziendali si è assistito a una crescente conflittualità tra i lavoratori e
gli imprenditori che ha di fatto escluso forme di collaborazione così
intense e penetranti. Ciò perché da una parte gli imprenditori hanno temuto
l‟ingresso dei lavoratori nelle scelte gestionali, a discapito delle loro
prerogative di controllo, dall‟altra i sindacati non hanno voluto rischiare di
compromettere il proprio ruolo, inserendo direttamente i lavoratori nella
conduzione delle aziende;
ξ creando due diversi organismi con apposite e specifiche competenze.
Infatti si prevedeva la nascita di una particolare fondazione sul modello
bancario e l‟istituzione di una holding. La fondazione avrebbe dovuto
assicurare l‟autonomia della concessionaria, funzionando da barriera nei
confronti dei forti poteri politici ed economici ai quali è soggetta da anni la
RAI. La fondazione non si sarebbe quindi occupata della gestione
aziendale, che invece spettava ad una specifica holding. Questo organismo
avrebbe potuto garantire l‟ingresso dei capitali privati nelle società
operative del gruppo RAI, permettendo in tal modo una privatizzazione
della concessionaria pubblica controllata dalla fondazione e quindi non
13
traumatica. Di fatto, questo modello dava possibilità di distinguere le
funzioni di garanzia da quelle di gestione, superando molte difficoltà
operative che ostacolano l‟azione della RAI.
Tenendo presenti tutte queste opzioni, il legislatore è chiamato a definire il grado
di partecipazione dei privati al capitale aziendale della RAI e lo status
dell‟azionista della concessionaria pubblica.
Inoltre bisogna ricordare che l‟eventuale processo di privatizzazione della RAI
non rientra all‟interno di problematiche relative alla riduzione del debito pubblico
italiano o all‟apertura di settori di mercato, ma attiene a temi se vogliamo più
delicati, come la situazione culturale e il pluralismo della nostra società. Infatti,
andare a toccare la più grande e importante azienda culturale italiana richiama
tutta una serie di questioni che vanno dalla libertà di espressione, alla libertà di
informazione sia attiva che passiva, al pluralismo sia interno che esterno. Tutti
questi elementi rappresentano dei cardini fondamentali per la tenuta di tutto il
sistema democratico e proprio per questo vengono anche tutelati e disciplinati
dalla nostra Costituzione. Quello che voglio dire è che il processo di
privatizzazione della RAI non può essere così semplice e immediato come è stato
per le altre aziende economiche gestite dalla mano pubblica, ma deve comportare
tutta una serie di regole che vanno rispettate per tutelare le libertà fondamentali
prima ricordate.
A questo punto non si può dimenticare il fatto che tra il 1998 e il 2002 si è
realizzato il più grande processo di societarizzazione della storia della RAI, che
ha permesso di creare nuove importanti aziende come: RAI Cinema, RAI Sat,
RAI Way, RAI Click e RAI Net. All‟interno di questo progetto c‟era l‟idea di
quotare in borsa, se il mercato l‟avesse consentito, tutta la parte relativa ai new
media realizzando così una importante innovazione nel mondo RAI. Inoltre per la
prima volta nella storia della concessionaria pubblica un privato acquistava quote
di capitale sociale della RAI. Infatti, in quegli anni, il gruppo RCS riuscì ad
entrare nella galassia aziendale della RAI accaparrandosi il 10 per cento di RAI
Sat.
Il più ambizioso processo di privatizzazione riguardava però RAI Way. Questa
società che gestisce gli impianti per conto della concessionaria pubblica era
14
nell‟obiettivo della statunitense Crown Castle che aveva vinto una complessa gara
nei confronti della francese TDF. La Crown Castle puntava ad acquistare il 49
per cento di RAI Way, dando vita ad una forte alleanza strategica nel settore delle
telecomunicazioni. Questo accordo avrebbe permesso un forte traino per il lancio
del digitale terrestre in Italia e una imponente entrata economica per la RAI di
circa quattrocento milioni di euro. Il matrimonio però, tra la Crown Castle e RAI
Way non vide mai la luce, in quanto il nuovo Governo di centrodestra, insediatosi
nel 2001, tramite per il Ministro delle comunicazioni negò il nulla osta necessario
all‟operazione. Da allora, nonostante il parere positivo dato all‟operazione dall‟
Autorità garante per le comunicazioni e da quella antitrust, il contratto non fu mai
più perfezionato facendo saltare un proficuo accordo già raggiunto. Gasparri,
l‟allora Ministro delle comunicazioni, preferì imporre alla RAI un processo di
privatizzazione molto più incisivo e radicale che è sintetizzato benissimo
nell‟articolo 21 della legge 112 del 2004.
3 La privatizzazione della RAI secondo la legge 112 del 2004
Con l‟articolo 21 legge 112 del 2004, il legislatore ha puntato per la prima volta
su un percorso di privatizzazione della RAI non soltanto formale come era
avvenuto in precedenza, ma anche sostanziale, prevedendo precise norme e regole
all‟ingresso dei privati nel capitale azionario della concessionaria pubblica. Quello
che salta di più all‟occhio dell‟osservatore è il fatto che con questa legge di
sistema c‟è stato un totale cambio di prospettiva nei confronti della RAI, sia dal
punto di vista del diritto positivo, sia della sua concreta interpretazione.
Bisogna comunque sottolineare che “in realtà il termine privatizzazione sembra
più la stereotipata traduzione giornalistica o la vulgata politica dei contenuti
dell‟articolo in esame, piuttosto che la corretta rappresentazione dei suoi contenuti
reali. La dismissione della partecipazione della Stato nella RAI, come recita il
titolo dell‟articolo, o l‟avvio del procedimento di alienazione della partecipazione
stessa, come si dice nel comma 3, costituiscono infatti – come una lettura
15
sistematica dell‟intero capo IV della legge rivela con sufficiente chiarezza –
piuttosto il primo timido avvio di un iter lungo, complesso e del tutto eventuale,
che non il prologo di una operazione definita nei contenuti e prevedibile negli
esiti”.
6
Rimane comunque il fatto che l‟articolo in questione affronta in pochi commi uno
dei problemi storici della concessionaria pubblica italiana e prospetta un percorso
di privatizzazione quanto mai radicale. Tale processo sarebbe stato costituito da
due fasi. La prima prevedeva il riassetto societario del Gruppo che si doveva
realizzare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, quindi entro il
4 luglio del 2004. Questa tappa in particolare, determinava il completamento della
fusione per incorporazione di RAI Radiotelevisione Italiana Spa in RAI- Holding
Spa con il passaggio di tutte le licenze, autorizzazioni e concessioni di cui è
titolare l‟incorporata in capo alla società incorporante. Tale trasferimento era
disciplinato direttamente dalla legge 112, senza il bisogno di ulteriori
provvedimenti o norme specifiche.
Inoltre come detta il secondo comma dell‟art 21 “per effetto dell‟operazione di
fusione di cui al comma 1, la società RAI- Holding Spa assume la denominazione
sociale di RAI- Radiotelevisione italiana Spa e il consiglio di amministrazione
della società incorporata assume le funzioni di consiglio di amministrazione della
società risultante dalla fusione”.7
La seconda fase invece, prevedeva l‟avvio della dismissione della partecipazione
dello Stato in RAI tramite l‟offerta pubblica di vendita, da definire nei tempi,
nelle condizioni e nelle modalità di presentazione attraverso una o più
deliberazioni del Comitato interministeriale per la programmazione economica
(CIPE). Questo processo si doveva compiere entro quattro mesi dalla fusione delle
due società e quindi entro il 6 novembre 2004. Naturalmente come sappiamo,
nulla di tutto ciò è stato realizzato, con la “conseguenza che la privatizzazione
della RAI, un tema costante del dibattito politico di questi ultimi anni, non è
6
Bruno, Nava, Il nuovo ordinamento delle comunicazioni. Radiotelevisione, comunicazioni
elettroniche, editoria, Milano, 2006, pag. 41
7
Articolo 21, comma 2, legge n.112/2004
16
ancora divenuta una prospettiva di business concretamente praticabile per gli
eventuali soggetti interessati”.8
Importante ai fini di questa trattazione è ricordare l‟assetto societario della
concessionaria pubblica antecedente a quello prospettato dalla legge 112 del 2004.
Bisogna infatti sottolineare che la proprietà della RAI è sempre stata controllata
direttamente o indirettamente dallo Stato. La mano pubblica in un primo momento
controllava la RAI tramite l‟IRI che deteneva il 99,55% del capitale azionario e la
S.I.A.E. che possedeva il restante 0,45%. In seguito l‟IRI fu sciolta e il pacchetto
di controllo della RAI passò alla società RAI- Holding, creata appositamente per
la gestione della concessionaria pubblica. Naturalmente RAI- Holding dal
momento della sua nascita ha fatto sempre capo allo Stato, tramite il Ministero
dell‟Economia che ne detiene il controllo integrale.
Con la legge 112/2004, denominata anche legge Gasparri, dal nome dell‟allora
Ministro delle comunicazioni, si voleva rompere questo stretto legame tra lo Stato
e la RAI , giungendo alla totale privatizzazione di quest‟ultima. Di fatto però nulla
di tutto ciò si è realizzato, concretizzando tutti i dubbi e le perplessità relativi a
questa legge.
In particolare rimangono le incertezze circa l‟effettiva risposta del mercato ad un
offerta pubblica di vendita che presenta dei caratteri molto rigidi e dei vincoli
fortemente penalizzanti. Infatti l‟articolo 21, della legge in questione fissa una
clausola di limitazione del possesso azionario all‟uno per cento delle azioni aventi
diritto di voto e vieta “i patti di sindacato di voto o di blocco, o comunque gli
accordi relativi alla modalità di esercizio dei diritti inerenti alle azioni della RAI-
Radiotelevisione italiana Spa, che intercorrano tra soggetti titolari, anche
mediante soggetti controllati, controllanti o collegati, di una partecipazione
complessiva superiore al limite di possesso azionario del 2 per cento, riferito alle
azioni aventi diritto al voto”9.
Questi vincoli rispondono a una precisa scelta del legislatore, che ha voluto
fortemente puntare su una struttura ad azionariato diffuso, sul modello delle
public company anglosassoni, ma con scarso successo. Questo perché limitando
8
Bruno, Nava, Il nuovo ordinamento delle comunicazioni. Radiotelevisione, comunicazioni
elettroniche, editoria, Milano, 2006, pag. 41
9
Articolo 21, comma 5, legge n. 112/2004