2che testimoniano i risultati inauditi e inediti di tale
medicalizzazione. La vittoria della medicina avviene con la
resa del singolo che s’illude di alienare il suo soffrire,
riponendolo totalmente nelle mani efficaci e sicure dei camici
bianchi.
Il successo della ricerca umana in questo campo del sapere
è strettamente connesso alla centralità che, negli ultimi
decenni, ha acquisito l’istituzione ospedaliera, sempre più
scenario delle complesse dinamiche correlate al programma di
cura delle malattie e di difesa della salute. L’evoluzione
dell’ospedale
1
è un processo in atto da oltre duemila anni, che
ha avuto inizio con le prime strutture ospedaliere a noi note, le
aesculapia dell’antica Grecia: i templi di Esculapio, più che
ospedali, erano luoghi di culto in cui i malati si recavano in
pellegrinaggio, sperando di essere curati grazie all’intervento
degli dei. L’ospedale in senso più moderno ebbe origine in
epoca tardo-romana e coincise col diffondersi del
Cristianesimo in Europa: essi erano essenzialmente luoghi in
cui gli ammalati potevano soggiornare e riposare sino a che o
guarivano o morivano. Nell’immaginario l’ospedale diventa,
così, un luogo di sporcizia e sovraffollamento, una sorta
d’anticamera della tomba, e per questo andava, per quanto
possibile, evitato. I pazienti con maggiori disponibilità
economiche si facevano curare a casa, mentre negli ospedali
finivano solo i viaggiatori, i poveri ed i malati incurabili. Col
Rinascimento e la Riforma, gli ospedali e la pratica della
medicina cessarono di essere una prerogativa della Chiesa,
assumendo una forma più moderna per quanto riguardava le
sue funzioni. Chiaramente, da quei tempi le dimensioni e la
complessità dell’ospedale sono cresciute in modo straordinario.
Tanto più che, come anticipavo più sopra, oggi l’ospedale
1
M. Crichton, Casi di emergenza, Milano, Garzanti, 1995, pp. 40-43.
3acquista un nuovo ruolo: sotto l’egida della medicina, diventa
l’istituzione per eccellenza che si fa carico di chi muore, che
gestisce l’accompagnamento del malato terminale,
sostituendosi al tradizionale compito della famiglia. Le
famiglie, infatti, per problemi sia pratici sia culturali, delegano
di norma la gestione del morire agli ospedali e alle case di
riposo (si parla di morte "medicalizzata"). Lascia pensare che,
nonostante il tentativo in corso di invertire questa tendenza,
oggi si muore per lo più nelle strutture sanitarie (sette persone
su dieci, dicono le statistiche). E qui, però, spesso, la scarsità di
medici e specialmente d’infermieri, la spersonalizzazione e la
neutralità emotiva non garantiscono quell’attenzione personale,
quell’empatia, di cui il moribondo avrebbe bisogno.
Il lavoro che è stato svolto in questa tesi si propone di
illustrare tale stato di cose, inserendolo in una visione più
ampia che coinvolga anche la società nel suo complesso, con le
sue caratteristiche e le sue contraddizioni. Ho cercato di
mostrare che il linguaggio attraverso il quale si esprimono la
salute e la malattia, non è solo un linguaggio del corpo, ma è
anche espressione del rapporto dell’individuo con la società.
Nel portare avanti quest’obiettivo, mi è sembrato
appropriato indirizzare la mia analisi attraverso il commento di
una fortunata serie-tv: E.R.-Medici in Prima Linea. Riflettere
sugli aspetti evidenziati a partire dagli argomenti che E.R.
affrontava nelle sue storie, mi è parso anche un efficace
stratagemma per rendere meno teorico e più immediatamente
“visibile” il mio punto di vista. Penso di essere riuscita a
dimostrare, alla fine, quanto si possa considerarlo un valido
ritratto della società contemporanea, che mi ha permesso,
oltretutto, di notare numerose differenze tra il nostro sistema
culturale e quello anglosassone-americano.
4Come si evince dallo stesso titolo, centrale è il mondo della
medicina, con le sue vittorie e le sue sconfitte. Magistralmente,
vi sono tratteggiate le gravose questioni con cui tale scienza
convive da sempre: il rapporto medico-paziente, il conflitto
distacco-coinvolgimento nello stare accanto al morente,
l’incapacità di accettare i propri limiti o quelli altrui,
l’ingerenza di fattori extra-scientifici nella cura del malato.
Sorprendentemente, però, E.R. è riuscito ad andare oltre:
fotografa verosimilmente uno spaccato di società in cui più
fattori si combinano, interagendo tra loro, fino a renderci
un’immagine credibile di essa. Sicuramente ad influire su
questa capacità è la centralità di un reparto ospedaliero in
particolare, qual è il Pronto Soccorso. Esso è il reparto in cui la
fretta, l’affollamento e l’impersonalità trovano la massima
espressione; il luogo in cui si può vedere con maggiore
chiarezza il lavoro che viene svolto nell’ospedale, nei suoi
aspetti negativi e positivi; ma è anche il reparto in cui si può
osservare il maggiore contatto con la comunità esterna.
Quello che voglio dire è che nel momento in cui i pazienti
varcano la soglia del Pronto Soccorso si trascinano dietro il
proprio vissuto, perciò tale spazio non può essere affatto
indifferente alla realtà che lo circonda. In questo modo, ogni
caso particolare diventa un pretesto per soffermarsi su una
verità più generale, per mostrare le miserie umane o per
sorridere sulle stranezze della vita. L’ospedale, in questo caso,
diventa il punto d’incontro tra medici e pazienti, tra problemi
privati e problemi sociali, tra la lotta contro la malattia, la
morte, il dolore, e la loro accettazione.
Nel primo capitolo ho riportato le caratteristiche tecniche di
E.R.-Medici in Prima Linea, soffermandomi, poi, sui motivi
del grande successo di pubblico di questa serie. Dopo una
breve introduzione ai personaggi, ho evidenziato i punti in cui
E.R. mi è sembrato attenersi più alla realtà e quelli, invece, in
5cui sono più evidenti le licenze tipiche della drammaturgia,
indispensabili in un prodotto televisivo.
Il secondo capitolo l’ho dedicato al concetto di morte e tutto
quanto ad essa è correlato. Ho voluto far notare quanto siano
cambiati, rispetto al passato, le cause, le forme, i modi e, di
conseguenza, il significato sociale ed individuale del morire.
La medicalizzazione della vita, e di conseguenza della morte,
ha confuso il morire con la malattia e ha delegato ogni tipo
d’intervento all’organizzazione sanitaria, la cui massima
espressione è l’ospedale. Importanti, a questo punto, sono il
rapporto medico-paziente, sempre in bilico tra verità e
menzogna, e l’imbarazzo di fronte alla morte altrui, il quale
implica l’incapacità di essere d’aiuto concreto verso chi si
trova a vivere una situazione di dolore estremo, quale può
essere la malattia terminale di un familiare. Sempre nell’ambito
di questo capitolo, si analizza il problema dell’accanimento
terapeutico, sia quando è invocato dalla famiglia sia quando è
vissuto come un obbligo morale dall’équipe medica. Si rileva
che alla base di questa pratica sta la presunzione della società
occidentale, e quindi dell’istituzione medica, di ottenere il
dominio sulla malattia mortale e l’illusione di sconfiggere la
mortalità. In questo modo la scienza medica si assume il
compito di evitare la morte, considerando ogni decesso come
prematuro, quasi un fallimento del medico stesso. In questo
frangente la questione dell’eutanasia ha assunto le dimensioni
di uno dei grandi problemi morali dell’epoca.
Nel terzo capitolo, invece, ho voluto porre l’accento su
quanto la cultura dominante sia pervasa dall’ossessione della
salute perfetta. In un mondo impregnato dell'ideale strumentale
della scienza, ciascuno esige che il progresso ponga fine alle
sofferenze del corpo, mantenga il più a lungo possibile la
freschezza della gioventù e prolunghi la vita all'infinito,
conducendo, così, al rifiuto della condizione umana e al
6disgusto dell'arte di soffrire. Eppure il dolore è una triste realtà,
come mostra l’esperienza del malato terminale, che deve
faticosamente imparare a convivere con esso e con l’idea della
sua inevitabile fine. Sono coinvolti in quest’esperienza, d’altra
parte, anche gli stessi medici (spesso sul piano umano, laddove
il sapere professionale non dà più alcun risultato), ed i familiari
(che spesso non riescono ad accettare la perdita di un congiunto
e si mostrano essi stessi bisognosi di un supporto psicologico).
Nell’ultimo capitolo, infine, mi è sembrato giusto dare
spazio ad una serie di temi secondari, ma non meno importanti,
che dimostrano l’attenzione di E.R. per il mondo esterno. Mi
riferisco alla violenza (nelle sue varie sfaccettature), al
problema della droga, ma anche alla questione religiosa (che ha
un peso non indifferente sulla nostra cultura) ed a quella dei
costumi sessuali.
7 Capitolo primo
E.R. specchio della società
1. E.R.-Medici in Prima Linea
E.R.-Medici in Prima Linea è un’originale commistione di
medical drama e action story, tra i generi più serializzati nella
televisione americana.
Ideatore della serie è Michael Crichton, che si avvale dei
prestigiosi marchi di Steven Spielberg, produttore esecutivo, e
John Wells, produttore e co-autore. Prodotta dalla Amblin
Television in associazione con la Warner Bros Television, non
c’è uno sceneggiatore unico ma un vero e proprio team,
coordinato ogni volta da un diverso head writer. Negli USA la
prima messa in onda risale al 19 settembre 1994, sul network
nazionale NBC, con ventidue puntate da cinquanta minuti; in
Italia all’11 gennaio 1996, su RAIDUE, con undici puntate da
cento minuti.
1
Attualmente, si è appena conclusa la decima
stagione (e sulla rete televisiva NBC sta partendo
l’undicesima). Il telefilm è stato campione d’ascolto in
America con una media di 60 milioni di telespettatori a puntata
e anche in Italia ha riscosso un notevole successo con una
media di cinque-sei milioni di telespettatori. Ma al gradimento
del grande pubblico si affianca anche una lunga serie di
riconoscimenti artistici: ben 14 Emmy Awards e un Golden
Globe per il Pronto Soccorso più famoso della televisione.
1
Nella presente tesi, per quanto riguarda la titolazione degli episodi, mi
rifarò all’edizione italiana.
81.1 Breve storia
La serie mette in scena le storie di un gruppo di medici che
lavora nel Pronto Soccorso del County General Hospital,
Policlinico universitario di Chicago. Oltre ai casi clinici, che
sono quasi sempre delle emergenze, si racconta anche la vita
privata dei medici, che certo non è indenne da risvolti
drammatici. La complessa commistione tra storie ospedaliere e
personali, produce una narrazione molto ricca che, da una parte
coinvolge lo spettatore in situazioni sospese tra la vita e la
morte, dall’altra lo fa familiarizzare e appassionare al destino
dei medici. Sorrette da un’ottima sceneggiatura e da un ritmo
incalzante, le storie presentano sempre due risvolti, come ha
fatto notare il critico televisivo Grasso
2
: uno “esterno” (i
malati) e uno “interno” (il personale sanitario).
Ogni malato è insieme portatore di un evento e di un
discorso: gli americani non amano fare prediche
sull’educazione civile, preferiscono mettere in scena i tormenti
che li affliggono e renderli in questo modo casi esemplari,
ricordi incancellabili. Così si racconta di un’infermiera che ha
tentato il suicidio, di un ubriaco che investe con l’auto una
famiglia e la distrugge, della donazione degli organi, di
diagnosi sbagliate.
La fiction s’intreccia con uno sguardo realistico sulla
malattia, sul mondo dell’ospedale, senza retorica del sangue e
del pietismo. Punto nevralgico della serie è sicuramente
l’ospedale,
3
sia come spazio fisico (l’insieme degli ambienti
che lo costituiscono), sia come spazio simbolico (l’istituzione
presso cui lavorano medici, infermieri, tecnici…). Preso in
2
A. Grasso, Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti, 2004, p.
624.
3
L. Tornabuoni, E.R. Medici sull’orlo di una crisi di nervi, « La Stampa »,
12 gennaio 1996.
9questo secondo senso, rappresenta l’elemento che caratterizza e
dà unità alla serie: tutti i suoi protagonisti lavorano al Pronto
Soccorso, sebbene la loro vita privata, cui è dedicata una parte
consistente dell’attenzione, si estenda oltre i limiti fisici
dell’ospedale; anzi, il confine fra vita privata e impegni
professionali costituisce uno dei temi ricorrenti della serie.
Lo spazio fisico dell’ospedale diventa casa in cui ci si ferma
persino per dormire, come accade nella sequenza d’apertura,
che vede l’avvicendarsi di due medici in un’improvvisata
stanza da letto; viceversa, lo spazio simbolico dell’ospedale
preme costantemente sulle vite private dei protagonisti e dei
loro familiari anche quando questi si trovano nelle loro case.
Preso invece nel senso di luogo concreto, il Pronto Soccorso è
costituito da una molteplicità di spazi articolati tra loro, che
assumono diverse funzioni e sono rappresentati in modi
differenti: l’accettazione, per esempio, è il luogo in cui
l’interazione fra medici e infermieri si fa più rilassata, e i
personaggi partecipano ad un dialogo collettivo circa eventi
che riguardano loro stessi oppure l’ospedale (si tratta
frequentemente di spunti da commedia, ripresi poi nel corso
dell’episodio: il topolino sfuggito ai laboratori, oppure i
pettegolezzi ironici sulla vita sentimentale dei colleghi). I
corridoi e soprattutto le sale operatorie sono i luoghi di
massima tensione, dove è in gioco la vita dei pazienti: lo spazio
è dinamizzato dalle azioni dei personaggi, dai movimenti più
concitati della macchina da presa e dai frequenti tagli di
montaggio (sui volti dei medici, delle infermiere, dei pazienti,
dei familiari, su dettagli di vario genere). Le sale operatorie
sono frequentemente teatro di conflitti fra i personaggi. Vi sono
poi tutta una serie di stanze laterali dove vengono presi in
considerazione i casi meno urgenti, o dove i personaggi si
ritirano per una pausa o per discutere fra loro: sono spazi in cui
l’azione rallenta, il dialogo si fa di nuovo più tranquillo e può
10
coinvolgere i pazienti o riguardare soltanto i dipendenti
dell’ospedale (si tratta, spesso, dei luoghi dove si chiariscono
vecchi conflitti o ne sorgono di nuovi, o si discutono problemi
personali).
1.2 I personaggi
In questa drammaturgia perfetta, tutta giocata sull'incalzare
degli eventi (nessuno sta mai fermo sulla scena, e lo spettatore
non può distrarsi), i singoli s’inseriscono con discrezione, le
loro vicende private non sono mai ossessive o invadenti. Il
protagonista assoluto è ciò che si sta svolgendo nelle sale del
Pronto Soccorso di un ospedale immerso nel freddo di
Chicago, alle prese ogni giorno con il tumulto della vita. È il
fatto che conta, non solo il privato. I personaggi, poi, non sono
eroi, ci piacciono non per quello che sono, ma per ciò che
fanno: anche per gli errori, anche se qualche volta mandano
(per stanchezza, per una malaugurata distrazione o per una
fatalità) qualche poveretto al Creatore. Può capitare, quando
fuori l'enorme città ti opprime, i problemi della vita ti
schiacciano un po' troppo, la vita privata ti ha fregato, o il
lavoro di una giornata ti ha sfinito.
Certo, è vero, medici e infermieri, da super-eroi quali
appaiono in certe occasioni, si trasformano, subito dopo, in
anti-eroi, sbagliano spesso, vivono una vita incasinata non solo
dalle proprie vicende personali ma, sempre di più, dal conflitto
con il proprio lavoro. Insomma, si ha quasi l'impressione che la
crisi dei protagonisti rifletta la realtà di un'America che non
cerca più di nascondere la sua vulnerabilità e le proprie
contraddizioni.