7
internazionali, di livello mondiale e europeo, volte a promuovere la
pace e la giustizia.
Nel corso della discussione in seno alla Commissione per la
Costituzione un interessante dibattito è intercorso tra Lussu e Moro.
Il primo aveva presentato un emendamento volto ad inserire un
esplicito riferimento alle organizzazioni europee, oltre che a quelle
internazionali, nell‟ambito della seconda parte dell‟allora art. 4 del
progetto di Costituzione. Moro, invece, riteneva che un richiamo
testuale all‟Europa fosse sconveniente e che, in ogni caso, il
riferimento generale alle organizzazioni internazionali non meglio
specificate valesse a comprendere anche le istituzioni europee.
L‟emendamento Lussu venne bocciato per il timore che un
riferimento all‟integrazione europea potesse suonare come confine
di esclusione di altri paesi e in specie degli Stati Uniti, nei cui
confronti l‟Italia era legata da un debito di grande rilievo1. Prevalse
in assemblea Costituente la tesi di chi ritenne più opportuno
introdurre nell‟art. 11 Cost. un riferimento esplicito alle “sole
organizzazioni internazionali”.
Tuttavia, l‟omessa menzione di possibili e future
“organizzazioni europee” fu una scelta inclusiva (e non esclusiva),
1
Emblematico il commento del presidente della Commissione per la Costituzione Ruini:
«in questo momento storico un ordinamento internazionale può e deve andare oltre i confini
dell‟Europa. Limitarci a tali confini non è opportuno di fronte ad altri continenti, come
l‟America, che desiderano partecipare all‟organizzazione internazionale».
8
tale da non pregiudicare la partecipazione italiana all‟integrazione
europea2.
Rivolgendo ora l‟attenzione all‟art.11 Cost., come norma volta
ad autorizzare limitazioni della sovranità, è da rilevare che il primo
problema interpretativo si è posto alla nascita delle tre Comunità
europee in ordine al tipo di fonte e di procedura necessaria per
ratificare i Trattati istitutivi europei e per recepirli nell‟ordinamento
italiano. In quasi tutti gli altri Stati europei, l‟adesione all‟Europa è
stata accompagnata da riforme costituzionali, offrendo per tal via ai
Trattati e alla loro modifica una “copertura” costituzionale3. In
Italia tutto ciò non è accaduto. L‟unica fonte che “disciplina”
l‟adesione del nostro Paese è la legge di ratifica del Trattato di
Roma (e di tutti quelli successivi), nonché l‟ordine di esecuzione in
essa contenuta. Ora, sappiamo che la legge di ratifica è una legge
“meramente formale”. Può bastare una fonte primaria, sub-
costituzionale a disporre una cessione di sovranità?
2
Così, tra gli altri, A. CASSESE, Art. 11, in Commentario della Costituzione, a cura di G.
Branca, Bologna–Roma, 1975, 565 ss. Anche in questo caso paradigmatico è quanto detto dal
presidente Ruini nel presentare il testo del futuro art. 11 Cost. approvato dall‟Assemblea:
«possiamo fermarci al testo proposto dalla Commissione, che, mentre non esclude la
formazione di più stretti rapporti nell‟ambito europeo, non ne fa un limite ed apre tutte le vie
ad organizzare la pace e la giustizia fra tutti i popoli».
3
Cfr., a tal proposito, M. CLAES, Le “clausole europee” nelle costituzioni nazionali, in
Quad. cost., 2005, 283 ss.
9
I primi commentatori, effettivamente, si interrogarono sulla
necessità di ricorrere ad una legge costituzionale per autorizzare la
ratifica e per recepire i Trattati istitutivi delle Comunità europee. La
dottrina era divisa: vi era chi propendeva per la ratifica e
l‟esecuzione con legge costituzionale ponendo l‟accento
sull‟importanza del fenomeno di integrazione sull‟assetto
costituzionale interno4, e chi5, per contro, riteneva sufficiente una
legge ordinaria, a condizione di recepire nella Costituzione una
norma che potesse dare “copertura” costituzionale alla legge di
ratifica e esecuzione dei Trattati.
Fu questa impostazione a prevalere con l‟avallo della Consulta.
4
Così i primi commentatori dell‟art. 11 Cost.: G. VEDOVATO, I rapporti internazionali
dello Stato, in Commentario sistematico della Costituzione italiana, a cura di P. Calamandrei-
A. Levi, I, 1, Firenze, 1950, 87 ss. L‟autore asserisce:«Se la partecipazione ad organizzazioni
(quale potrebbe essere, ad esempio, la Federazione europea, alla quale fu fatto spesso
auspicante riferimento durante le discussioni all‟Assemblea Costituente) dovesse implicare una
menomazione della sovranità nazionale, occorrerà sempre una decisione concreta e pienamente
discrezionale da parte degli organi competenti, i quali potranno adottarla o meno, senza che
abbia alcuna importanza ciò che dispone al riguardo la Costituzione.
Non solo, ma se realmente la sovranità del nostro Stato ne riuscisse limitata, e se andasse
in conseguenza modificata la nostra Costituzione, occorrerebbe a tal uopo il consueto
procedimento di revisione costituzionale, né lo si potrebbe certo evitare invocandosi la
generica autorizzazione preventiva contenuta nell‟art. 11»; vedi anche A. CASSESE, op. cit.,
584.
5
V. N. CATALANO, Portata dell’art. 11 Cost. in relazione ai Trattati istitutivi delle
Comunità europee, in Foro it., 1964, I, 465 ss.
10
La Corte si è infatti appellata all‟art. 11 Cost. e, in particolare, a
quell‟inciso in cui si dice che l‟Italia “consente, in condizioni di
parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad
un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”. La
Consulta ha quindi letto nell‟art. 11 un‟autorizzazione
costituzionale a cedere parte della sovranità nazionale per aderire,
“in condizioni di parità”, alla Comunità europea6.
Conclusione, questa, certamente discutibile e foriera di
problematiche generate, soprattutto, dalla violazione del principio
del numerus clausus delle fonti primarie del diritto. Principio, la cui
elaborazione teorica si deve a Vezio Crisafulli7, secondo il quale le
fonti primarie del diritto sono un numero chiuso e sono quelle, e
solo quelle, indicate dalla Costituzione. Cosa questa che implica
l‟impossibilità che la legge ordinaria istituisca fonti concorrenziali
ad essa, ovvero proprio quanto fatto dalla legge di esecuzione del
Trattato Cee (ma lo stesso vale per le leggi di esecuzione degli altri
trattati) che ha autorizzato fonti comunitarie, come direttive e
6
Cfr. sent. n. 14/1964 (punto 6, cons. dir.) e sent. n. 183/1973 (punti 4 e 6, cons. dir.)
7
Per un inquadramento generale in tema di fonti del diritto, oltre a V. CRISAFULLI,
Lezioni di diritto costituzionale, II, Le fonti normative, Padova, 1984, v. G. ZAGREBELSKY, Il
sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino, 1984; A. RUGGERI, Gerarchia,
competenza, e qualità nel sistema costituzionale delle fonti normative, Milano, 1977; F.
SORRENTINO, Le fonti del diritto, Genova, 1994.
11
regolamenti, ad immettersi nell‟ordinamento interno con forza
quantomeno primaria, se non addirittura superprimaria.
Una soluzione indubbiamente illegittima, ma dettata da ragioni
di carattere politico che hanno spinto a trovare una giustificazione a
tale assetto; una logica nazionalista avrebbe infatti determinato una
crisi istituzionale e l‟estromissione dell‟Italia dal processo di
integrazione europea.
Una scelta che, però, ha anche impegnato la stessa Corte in
«un‟affannosa ricerca allo scopo di mettere al riparo le norme
comunitarie da eventuali deroghe o violazioni»8.
8
L‟espressione è di A. RUGGERI, Rapporti tra fonti europee e fonti nazionali, in
Lineamenti di diritto costituzionale dell’Unione Europea, a cura di P. Costanzo–L. Mezzetti–
A. Ruggeri, Torino, 2008, 286 ss.
12
CAPITOLO I
Il primato del diritto comunitario nella giurisprudenza della
Corte Costituzionale
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. I primi passi della giurisprudenza costituzionale: la sent. n.
14/1964 ed il ricorso al criterio della lex posterior. – 3. La sent. n. 183/1973: la copertura
data dall‟art. 11 Cost. al diritto comunitario. – 4. Teoria dei controlimiti. – 5. Nuovi
orizzonti per i controlimiti. – 6. Revirement completato: la storica sent. n. 170/1984. – 7.
Tra disapplicazione e “non applicazione”: una sottigliezza linguistica che ancora non
convince – 8. Parziale recupero da parte della Corte della competenza a conoscere delle
antinomie tra le norme interne e le norme comunitarie.
1. Premessa
Il delicato tema del contrasto tra normativa comunitaria e
normativa nazionale incompatibile, è stato esaminato dalla Corte
Costituzionale fin dai primi anni sessanta9.
9
Ormai più che copiosa la dottrina in ordine ai rapporti tra diritto interno e diritto comunitario,
v., tra gli altri, P. BARILE, Il cammino comunitario della Corte, in Giur. cost., 1973, 2406 ss.;
A. TIZZANO, La Corte Costituzionale italiana e il diritto comunitario: vent’anni dopo…, in
Foro it., 1984, I, 2063 ss.; G. COCCO, Una convivenza voluta ma sofferta: il rapporto tra
diritto comunitario e diritto interno, in Riv. it. dir. pubb. com., 1991, 643 ss.; M. LUCIANI, La
Costituzione italiana e gli ostacoli all’integrazione europea, in Pol. dir., 1992, 557 ss.; A.
RUGGERI, Continuo e discontinuo nella giurisprudenza costituzionale a partire dalla sent. n.
13
L‟attività della Corte è da reputarsi uno degli aspetti più
rilevanti nel processo di integrazione dell‟Unione europea,
malgrado in molte occasioni abbia preferito sposare una politica per
così dire di difesa rispetto all‟impetuosa avanzata del diritto
comunitario, conscia di rischiare di perdere il ruolo assegnatole dal
costituente, ovvero di supremo organo garante della Costituzione.
Il c.d. “cammino comunitario”10 della stessa rappresenta l‟iter
attraverso il quale, sotto la spinta della Corte di Giustizia della
Comunità europea, la Consulta è intervenuta per sciogliere i nodi di
una relazione – quella tra ordinamento nazionale e ordinamento
comunitario – di non facile risoluzione, anche perché non rientrante
precisamente negli schemi del diritto internazionale. Come noto, il
rapporto tra le due Corti è stato conflittuale: le due massime
giurisdizioni, infatti, sono giunte all‟affermazione del primato in
momenti diversi, partendo da un contrasto in origine netto.
All‟affermazione del primato del diritto comunitario11 su
quello nazionale o del principio dell‟effetto diretto12, attribuito dalla
170 del 1984, in tema di rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno: dalla
teoria della separazione alla prassi della integrazione sistemica?, in Giur. cost., 1991, 1583 ss.
10
L‟espressione si deve a P. BARILE, op. cit., 2406 ss.
11
Questo principio vale per tutte le norme comunitarie (da qualunque fonte siano esse
prodotte) e assicura loro una prevalenza sulle norme nazionali. Cfr. CGCE sent. 15 luglio
1964, in causa C-6/64, Costa c. ENEL, in Racc., 1964, 1131 ss.; sent. 9 marzo 1978, in causa
C-106/77, Amministrazione delle Finanze dello Stato c. Simmenthal s.p.a., in Racc., 1978, 629
ss.
14
Corte di Lussemburgo alle norme dei Trattati istitutivi e alle norme
di diritto derivato13, ha fatto eco la Corte Costituzionale con una
serie di pronunce attraverso le quali è passata da asserzioni
decisamente refrattarie alle posizioni comunitarie, all‟attuale
accettazione, con i distinguo che faremo14, della tesi della
prevalenza del diritto comunitario su quello interno.
12
Per ciò che concerne i regolamenti, la Corte di giustizia si è preoccupata di specificare
la portata delle loro caratteristiche essenziali: diretta applicabilità, obbligatorietà e portata
generale, già definite nel Trattato istitutivo. Si vedano, al riguardo, tra le moltissime, CGCE
sent. 14 dicembre 1962, cause riunite 16 e 17/62, Confederation Nationale des Producteurs de
Fruits et Legumes c. Consiglio, in Racc., 1962, 901 ss.; sent. 11 luglio 1968, causa C-6/68,
Zuckerfabrik c. Consiglio, in Racc., 1968, 595 ss.
13
Sugli effetti diretti delle direttive comunitarie cfr. CGCE sentt. 4 dicembre 1974, causa
C-41/74, Van Duyn c. Home Office, in Racc., 1974, 1337 ss.; 8 aprile 1976, causa C-48/75,
Royer, in Racc., 1976, 497 ss.; 24 marzo 1987, causa C-286/85, in Racc., 1987, 1453 ss.; 20
settembre 1988, causa C-31/87, in Racc., 1988, 4365 ss.; 22 giugno 1989, causa C-103/88,
Fratelli Costanzo c. Comune di Milano, in Racc., 1989, 1839 ss.; 18 dicembre 1997, causa C-
129/96 Inter-Environnement Wallonie ASBL c. Région Wallonne, in Racc., 1997, 7411 ss. Si
vedano altresì le sentt. 26 febbraio 1986, causa C-152/84, Marshall, in Racc., 1986, 723 ss. e
14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori, in Racc., 1994, 3325 ss., nelle quali la Corte di
giustizia ha riconosciuto alle direttive la capacità di esplicare i propri effetti solo in senso
verticale.
14
Mi riferisco, in particolare, alla c.d. teoria dei controlimiti, sulla quale si veda infra par.
4.
15
2. I primi passi della giurisprudenza costituzionale: la sent. n.
14/1964 ed il ricorso al criterio della lex posterior
La prima significativa pronuncia della Corte Costituzionale in
tema di conflitto tra la norma interna e la norma comunitaria risale
al 1964, e segnatamente si tratta della sent. n. 14 del 7 Marzo15.
La questione era inerente alla costituzionalità della legge
istitutiva dell‟Enel. In quegli anni, l'Italia aveva portato a termine il
processo di nazionalizzazione delle società erogatrici di energia
elettrica, in attuazione dell'art. 43 della Costituzione, con la legge
1643/1962. L'avvocato Costa impugnava questa normativa di fronte
alla Corte Costituzionale affermando, tra i tanti motivi del ricorso,
la violazione dell'art.11 della Costituzione Italiana. A suo parere
l'Italia, in applicazione di questa disposizione costituzionale, aveva
ceduto delle quote di sovranità alle istituzioni comunitarie proprio
nella materia regolata dalla legge impugnata. La L.1643/1962
quindi, in quanto contrastante con una serie di articoli del Trattato
Cee in materia di concorrenza e di aiuti statali alle imprese, andava
a realizzare una violazione mediata16 dell'art.11 Cost. La Corte di
Roma, con la sent. n. 14/1964, non ha accolto i motivi di ricorso
dell'avv. Costa., escludendo che la legge contenente disposizioni
15
In Giur. cost., 1964, 129 ss. Il contenuto della sentenza è sostanzialmente ribadito in
Corte Cost. 98/1965.
16
In quanto successiva e confliggente rispetto alla legge di esecuzione.
16
difformi dal Trattato fosse «incostituzionale per violazione indiretta
dell‟art. 11 attraverso il contrasto con la legge esecutiva del
Trattato».
Impostando su basi paritarie le relazioni tra ordinamento interno
e ordinamento comunitario asseriva che i regolamenti possono
prevalere su precedenti leggi e norme interne con essi incompatibili
in forza della legge di esecuzione del Trattato Cee. La legge di
esecuzione del Trattato ordina l‟ingresso, con effetti immediati, nel
nostro ordinamento della normativa comunitaria e quest‟ultima può
abrogare17 leggi precedenti come se l‟effetto abrogativo venisse
ogni volta imputato alla legge di esecuzione.
Tuttavia, la Corte proseguendo nel suo ragionamento
formalistico asseriva pure che, per altro verso, le norme comunitarie
possono essere, a loro volta, modificate da leggi interne posteriori
che per ciò stesso dispongano in deroga della legge di esecuzione
del Trattato.
La Consulta, interpretando restrittivamente l‟art. 11, risolve
l‟antinomia sulla base di un criterio formale, che è quello della
successione delle leggi nel tempo: lex posterior derogat priori18.
17
E trattandosi di abrogazione, la competenza a risolvere l‟antinomia veniva imputata al
giudice comune.
18
Cfr. sent. n. 14/64 (punto 6, cons. dir.): «l'art. 11 viene qui in considerazione per la
parte nella quale si enuncia che l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
17
Con il suo ragionamento, in buona sostanza, viene ad attribuire
al disposto costituzionale un valore di norma meramente
“permissiva”19. Infatti, l'articolo 11, anche se consente alle
limitazioni di sovranità necessarie al nostro ordinamento in vista
dell'integrazione europea, non deroga alla gerarchia interna delle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
Nazioni e promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
La norma significa che, quando ricorrano certi presupposti, é possibile stipulare Trattati
con cui si assumano limitazioni della sovranità ed é consentito darvi esecuzione con legge
ordinaria; ma ciò non importa alcuna deviazione dalle regole vigenti in ordine alla efficacia nel
diritto interno degli obblighi assunti dallo Stato nei rapporti con gli altri Stati, non avendo l'art.
11 conferito alla legge ordinaria, che rende esecutivo il Trattato, un'efficacia superiore a quella
propria di tale fonte di diritto.
Né si può accogliere la tesi secondo cui la legge che contenga disposizioni difformi da
quei patti sarebbe incostituzionale per violazione indiretta dell'art. 11 attraverso il contrasto con
la legge esecutiva del Trattato. Non vale, infine, l'altro argomento secondo cui lo Stato, una
volta che abbia fatto adesione a limitazioni della propria sovranità, ove volesse riprendere la
sua libertà d'azione, non potrebbe evitare che la legge, con cui tale atteggiamento si concreta,
incorra nel vizio di incostituzionalità. Contro tale tesi stanno le considerazioni ora esposte, le
quali conducono a ritenere che la violazione del Trattato, se importa responsabilità dello Stato
sul piano internazionale, non toglie alla legge con esso in contrasto la sua piena efficacia.
Nessun dubbio che lo Stato debba fare onore agli impegni assunti e nessun dubbio che il
Trattato spieghi l'efficacia ad esso conferita dalla legge di esecuzione. Ma poiché deve
rimanere saldo l'impero delle leggi posteriori a quest'ultima, secondo i principi della
successione delle leggi nel tempo, ne consegue che ogni ipotesi di conflitto fra l'una e le altre
non può dar luogo a questioni di costituzionalità».
19
Cfr. G. BALLADORE PALLIERI, Competenza della Corte Costituzionale riguardo al
diritto delle Comunità europee, in Dir. Internaz., 1966, 255 ss.
18
fonti e soprattutto non attribuisce un particolare valore nei confronti
delle altre leggi a quella esecutiva del Trattato.
Lo stesso caso Costa c. Enel che diede vita alla sent. n. 14/1964
della Corte Costituzionale fu portato davanti alla Corte di Giustizia
che formulò un parere completamente opposto, dando così il via
alla “guerra” tra le due Corti.
La soluzione data dalla Consulta, rispecchiante un
atteggiamento di forte chiusura, non era assolutamente gradita alla
Corte di Lussemburgo che enunciò a chiare lettere il principio del
primato del diritto comunitario su quello interno considerando
l‟abrogazione di un regolamento comunitario con norma nazionale
un‟infrazione del diritto comunitario.
Con la stipulazione del Trattato istitutivo, gli Stati contraenti
hanno accettato di trasferire determinate competenze normative in
capo alle istituzioni comunitarie; tale trasferimento implica la
prevalenza delle disposizioni di origine comunitaria su quelle
nazionali, di qualunque grado esse siano20.
20
Un‟analisi assai approfondita dei passaggi che hanno caratterizzato le evoluzioni della
giurisprudenza della Corte di giustizia con riguardo alla efficacia delle fonti comunitarie è
offerta da A. BARTOLINI, Il risarcimento del danno tra giudice comunitario e giudice
amministrativo, Torino, 2005, 60 ss.
19
3. La sent. n. 183/1973: la copertura data dall’art. 11 Cost. al
diritto comunitario
Negli anni settanta con la sent. n. 183 del 27 Dicembre 1973 la
situazione conflittuale tra ordinamento interno e ordinamento
comunitario, come creatasi a seguito della sent. n. 14/1964, venne
parzialmente risolta dalla Consulta.
In tale pronuncia, la prima parte del ragionamento della Corte è
identico a quello fatto con la sentenza del 1964. Anzitutto, si
ribadisce21 che la “chiave”22 del collegamento tra ordinamento
interno e ordinamento comunitario è l‟art. 11 Cost.23 e che
all‟attuazione dei Trattati, anche se agganciati all‟art. 11, può
procedersi a mezzo di leggi ordinarie24.
21
Cfr. sent. n. 14/1964 (punto 6, cons. dir.); v. pure nt. 16.
22
Espressione di P. BARILE, op. cit., 2407.
23
Cfr. sent. n. 183/1983 (punto 4, cons. dir.).
24
Secondo la Corte, una tale interpretazione dell‟articolo 11 è l‟unica ragionevole in
quanto «la disposizione risulterebbe svuotata del suo specifico contenuto normativo, se si
ritenesse che per ogni limitazione di sovranità prevista dall'art. 11 dovesse farsi luogo ad una
legge costituzionale. È invece evidente che essa ha un valore non soltanto sostanziale ma anche
procedimentale, nel senso che permette quelle limitazioni di sovranità, alle condizioni e per le
finalità ivi stabilite, esonerando il Parlamento dalla necessità di ricorrere all'esercizio del potere
di revisione costituzionale». In altre parole la funzione dell‟articolo 11 è quella di garantire la
possibilità di un‟esecuzione dei Trattati con legge ordinaria, in quanto la necessaria procedura
aggravata sarebbe superflua in virtù del preventivo assenso che il Costituente ha operato
riguardo l‟ingresso di norme di un ordinamento terzo.
20
Quanto alla risoluzione delle antinomie tra le fonti dei due
ordinamenti si conferma l‟attitudine delle norme comunitarie a
derogare alle norme interne con esse incompatibili, sempre a
seguito di “autorizzazione” promanante dalla legge di esecuzione
del Trattato.
Tuttavia, vi è pure una svolta: a differenza di quanto sostenuto
in precedenza si afferma che la copertura offerta dall‟art. 11 Cost.
implica l‟impossibilità che una legge interna successiva ad una
norma comunitaria possa prevalere su quest‟ultima.
La Corte passa così da un‟ottica formale, la legge posteriore
deroga quella anteriore, ad un‟ottica assiologico-sostanziale; ogni
norma comunitaria, qualunque sia il suo contenuto, serve “la pace e
la giustizia tra le nazioni” e come tale è coperta costituzionalmente
dall‟art. 11.
Si è realizzata, dunque, nella giurisprudenza costituzionale degli
anni settanta una decisa inversione di tendenza nella direzione della
prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Sarà, poi, la
successiva sent. n. 232 del 30 Ottobre 1975 che chiarirà i “rapporti”
nell‟ipotesi di norme interne successive incompatibili rispetto a
quelle comunitarie. La Consulta, temperando la propria apertura,
specificherà che l‟applicabilità diretta è ammessa solo con riguardo
all‟ipotesi di norme comunitarie sopravvenute, e non anche per i