televisioni insistono su questo tema in un modo che, a pensarci
bene, è paradossale: si accusa la politica di essere diventata
spettacolo ma la si rappresenta volutamente solo e soltanto come
spettacolo. Se accanto a questi inevitabili mutamenti si aggiunge
poi la sempre maggiore consapevolezza dei meccanismi
psicologici che possono scattare e che, spesso, si possono
volutamente provocare nella mente degli elettori, allora si
capisce il perché di tanta attenzione sulle modalità adottate dalla
comunicazione politica.
In questo mio lavoro di tesi ho voluto analizzare, anche in
chiave psicologica, la strategia comunicativa adottata
dall’attuale presidente degli Stati uniti d’America Gorge W.
Bush che gli ha permesso di vincere, con un notevole scarto
sull’avversario democratico Kerry, le elezioni del 2004. Mi sono
soffermata, in particolare, su alcuni aspetti della campagna
elettorale presidenziale attuata quell’anno cercando di
rispondere alle seguenti domande: qual è stato il segreto del suo
strepitoso successo, non ottenuto 4 anni prima con l’allora
sfidante Al Gore? Su quali temi si è insistito e con quali effetti?
Quale tono è stato utilizzato? Quale strategia mediatica? Quale
condizione psicologica dei cittadini-elettori è stata “sfruttata”? Il
primo capitolo è dedicato alla persuasione, cioè a quella
particolare categoria comunicativa nella quale rientra
necessariamente anche la comunicazione politica; infatti,
proprio come avviene per la pubblicità – nella quale si cerca di
convincere ad acquistare un determinato prodotto – così in
2
politica i candidati cercano di vendere se stessi informando-
seducendo gli elettori e provando a modificare alcuni loro
atteggiamenti al fine di essere votati. Dopo un inevitabile
riferimento al più generale concetto di influenza sociale, alle sue
caratteristiche e ai suoi effetti, vengono illustrati i vari modelli
interpretativi della persuasione, da Aristotele fino ai più recenti
contributi della psicologia sociale. Nel secondo capitolo sono
tracciati alcuni aspetti che riguardano la credibilità della fonte,
requisito principale per il successo della comunicazione
persuasiva (e non solo); si chiariscono le sue radici, la
componente relazionale e le diverse funzioni dell’emittente. Un
intero paragrafo è incentrato sulla comunicazione non verbale –
il linguaggio del corpo ha un peso decisivo in tutti gli scambi
comunicativi – per l’importanza di saperla gestire
intenzionalmente soprattutto in quei particolari casi (negli spot
televisivi, ad esempio) in cui gli unici elementi che traspaiono
sono l’aspetto esteriore e alcuni lati del carattere che possono
essere più o meno enfatizzati proprio servendosi della
comunicazione corporea. Il terzo capitolo è dedicato, nello
specifico, alla comunicazione politica; quest’ultima viene
osservata nella sua complessità e nel suo coinvolgere attori
diversi quali il sistema politico, i media e gli elettori. Proprio in
riferimento a questi ultimi, ho voluto considerare alcuni aspetti
psicologici che entrano in gioco nei processi decisionali, come
l’effetto “framing” e il coinvolgimento emotivo.
Successivamente vengono presi in esame gli effetti della
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mediatizzazione della politica: dalla costruzione dell’agenda
politica ai fenomeni di spettacolarizzazione e personalizzazione.
Nel terzo paragrafo si chiariscono alcuni tratti che rendono il
“modello americano” di comunicazione politica così particolare
e dinamico; proprio per l'importanza che le strategie
comunicative stanno assumendo in ogni contesto politico, si
propone di mostrarne meglio il ruolo nel contesto americano,
proprio laddove esse sono nate e si sono sviluppate. Il quarto
capitolo analizza, nello specifico, la campagna presidenziale
attuata da George W. Bush nel 2004: vengono rivelati i diversi
toni utilizzati dai due contendenti durante i dibattiti presidenziali
e il ruolo che i media hanno avuto nel filtrare la grande massa di
informazioni, nell’interpretare comportamenti e costruire
stereotipi. Nel secondo paragrafo, dopo aver passato in rassegna
le ragioni per cui si ricorre agli spot televisivi e la funzione
cruciale di questi ultimi nella costruzione dell’immagine del
candidato, sono menzionati alcuni esempi di spot realizzati,
esplicativi della scelta del formato e dei contenuti operata dai
due schieramenti. Infine, partendo dall’ipotesi che l’insistenza
sulla variabile della paura attuata dal leader repubblicano abbia
avuto un ruolo cruciale ai fini dell’elezione, nel terzo e ultimo
paragrafo del quarto capitolo viene offerta una lettura critica di
tale “strategia” comunicativa.
Ho pensato di aggiungere alla tesi ancora un capitolo, il
quinto, in seguito agli sviluppi che si stanno susseguendo,
attualmente, negli Stati uniti d’America, e che riguardano gli
4
scontri elettorali in vista delle future elezioni presidenziali che si
terranno a novembre 2008. In particolare, la riflessione si è
soffermata sull’inaspettata ascesa del candidato democratico
Barack Obama; il senatore dell'Illinois è il primo dirigente di
colore degli Usa che sta portando avanti, con tutta naturalezza,
la sua sfida per la Casa Bianca. Con toni sempre rispettosi, in
contrasto con le parole dure, spesso infuocate, usate dagli
avversari durante la campagna elettorale, Obama sta
indubbiamente puntando tutto sul desiderio di cambiamento
degli americani.
Infine, in appendice, sono riportati, in modo molto sintetico
ma esaustivo, alcuni punti chiave necessari per la comprensione
del sistema elettorale statunitense.
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CAPITOLO PRIMO
1. La persuasione
Ogni giorno ognuno di noi è fonte e bersaglio di messaggi
persuasivi destinati ad avere più o meno successo: le insistenze
di un venditore, i volantini elettorali di un candidato, le
pubblicità commerciali, ma anche le raccomandazioni di un
genitore o quelle di un medico, etc.
Comunemente accettata è la definizione di persuasione che
la caratterizza come un atto intenzionale di comunicazione che,
se raggiunge il proprio obiettivo, fa mutare gli atteggiamenti del
destinatario nei confronti di un oggetto, di un’azione, o di un
evento nel senso voluto dall’emittente.
Quando una persona si pone lo scopo di persuadere qualcuno,
però, si accontenta raramente di provocare un cambiamento solo
a livello degli atteggiamenti; lo scopo ultimo degli intenti
persuasivi è quello di modificare il comportamento delle
persone; influenzare gli atteggiamenti del ricevente corrisponde
necessariamente ad indurne anche un corrispondente
cambiamento nei comportamenti? Il buon senso ci direbbe che
una volta sviluppato un atteggiamento di un certo tipo un
individuo si comporterà in modo coerente a questo. Questo
assunto è stato accettato fino agli anni ’60: da allora ha preso
avvio un filone di ricerca empirica teso a indagare se
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effettivamente esista un legame di coerenza tra atteggiamenti e
comportamenti.
Le varie definizioni di atteggiamento rientrano in due principali
approcci:
1
per l’approccio delle tre componenti (o tripartito) un
atteggiamento è considerato una combinazione di tre reazioni
concettualmente distinte nei confronti di un determinato oggetto:
a) la reazione affettiva (riguardante emozioni come l’amore,
l’odio, la simpatia e l’antipatia);
b) la reazione cognitiva (riguardante credenze, opinioni e idee
sull’oggetto di atteggiamento);
c) la reazione conativa - comportamentale (concernente le
intenzioni comportamentali o le tendenze d’azione, e non il
comportamento manifesto vero e proprio - che può conseguire o
meno alle intenzioni).
Un esempio di definizione secondo questo approccio è quello di
Eagly e Chaiken : secondo i due studiosi “l’atteggiamento è una
tendenza psicologica che si esprime valutando una particolare
entità con un certo grado di favorevolezza o sfavorevolezza; la
valutazione si riferisce a tutte le classi di risposte, manifeste o
nascoste, cognitive, affettive o comportamentali”.
2
Tale modello
fa quindi prevedere una lieve correlazione tra gli aspetti
cognitivi, affettivi e comportamentali, in quanto l’ipotesi che si
avanza è che si tratti di aspetti distinti, anche se non totalmente
privi di relazioni reciproche. Secondo l’approccio
unidimensionale, invece, il termine atteggiamento dovrebbe
1
Cfr. Cavazza N., Psicologia degli atteggiamenti e delle opinioni, Bologna, Il Mulino, 2005.
2
A.H.Eagly e S. Chaiken, The Psychology of Attitudes. Orlando: Hacourt Brace Jovanovich, 1993.
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essere usato per indicare solo un sentimento positivo o negativo,
generale e durevole, nei confronti di una certa persona, oggetto
o argomento; contrapponendosi all’approccio tripartito e
partendo dalla considerazione che a volte le persone pensano o
agiscono in modo incoerente con i propri sentimenti, questo
approccio sottolinea una mancanza di coerenza fra le reazioni
affettive, cognitive e comportamentali.
1.1 Comunicazione e influenza sociale
Il concetto di persuasione rientra in quello più ampio e
generico di influenza sociale. Alcuni autori ritengono ci sia una
sostanziale sovrapposizione tra i due fenomeni; altri sottolineano
come un’ importante differenza stia nel fatto che l’influenza in
senso stretto sia un effetto prodotto da un’ interazione faccia a
faccia, mentre la persuasione riguardi il tentativo, da parte di
una fonte, più o meno impersonale, di influenzare molti
individui di un’audience.
3
In realtà in ogni scambio comunicativo avviene una
negoziazione tra i partecipanti finalizzata a far assumere all’altro
la propria definizione di realtà;
4
la comunicazione in quanto
tale implica un processo dinamico di transazione che influenza
sia la fonte che il ricevente. Questo non significa che tutte le
comunicazioni abbiano natura persuasiva ma che,
3
Cfr. Cavazza N., La persuasione, Bologna, Il Mulino, 2006.
4
Ghiglione R., L’homme communiquant, Paris, Colin, 1986.
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