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rappresenta nella intrapresa capitalistica – in senso hegeliano come fatica del concetto da un lato e
come espressione della creatività umana dall‟altro. Ebbene, questa consapevolezza da sola non era
tuttavia stata sufficiente affinché io interrompessi il processo di pensiero e mi accingessi a
sintetizzarlo in un testo; più in generale, non nutrivo alcuna ambizione a lasciar memoria di me,
fosse anche per un solo giorno ed in un solo lettore. Purtroppo, la tragica scomparsa di due miei
cari amici che per me ha rappresentato la perdita irrevocabile di un pezzo di me, mi ha fatto venire
alla mente e quindi riflettere con attenzione sulla seguente considerazione che Hannah Arendt fa
sul finire del capitolo V inerente all‟Azione in Vita Activa2:
“Il corso della vita umana diretto verso la morte condurrebbe inevitabilmente ogni essere umano alla rovina e alla
distruzione se non fosse per la facoltà di interromperlo e di iniziare qualcosa di nuovo, una facoltà che è inerente
all‟azione, e ci ricorda in permanenza che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire, ma per
incominciare”.
Questo testo, allora, vuole essere in se stesso un‟azione in senso arendtiano, al contempo culturale
e politica, rendendo omaggio proprio a quanto Arendt afferma al termine della succitata opera:
“Il pensiero […] è ancora possibile, e senza dubbio efficace, ovunque gli uomini vivano in condizione di libertà politica.
Disgraziatamente […] nessun‟altra facoltà umana è così vulnerabile, e di fatto è molto più facile agire in condizioni di
tirannia che non pensare. Come esperienza di vita, il pensiero è sempre stato ritenuto, forse erroneamente, appannaggio
di pochi. Forse non è presunzione credere che questi pochi sono ancora numerosi nel nostro tempo. Può non avere
importanza o averne poca, per il futuro del mondo; non è senza importanza per il futuro dell‟uomo”.
A questa ricerca sono stato mosso dalla insoddisfazione “di vivere pigramente con brandelli di
opinione presi in prestito” (Locke, Saggio sull’intelletto umano, Epistola al lettore)3 e dal dubbio, che –
lungi dall‟essersi trasformato in certezza così come Bacone ipotizzava – al termine del suo processo
continua ad attanagliarmi, senza che ciò mi rincresca, perché, come ben scrisse (e disse) Dante nel
breve canto XI dell‟Inferno:
“O sol che sani ogne vista turbata,
tu mi contenti sì quando tu solvi,
che, non men che saver, dubbiar m'aggrata”.
2
Arendt, H., Vita Activa: la condizione umana, Bompiani, Milano, 2000.
3
Locke, Saggio sull’intelletto umano, Bompiani, Milano, 2004.
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Introduzione
“Noi abbiamo creato una società
che onora il servo e ha dimenticato il dono”
(A. Einstein, citato in un “ultimo memo”)
Il testo della ricerca, inizialmente unitario, è stato nei limiti delle mie capacità e del tempo a
disposizione rivisto, sintetizzato e disaggregato in tre volumi al fine di meglio esplicitare,
separandoli, i tre registri che lo attraversano: quello teorico, quello socio-economico, quello
linguistico.
Nel primo volume si parte dall‟analisi logica e terminologica delle categorie che consentono il
passaggio dalla singolarità alla pluralità (doppio, duplice, duale) per esaminare le susseguenti
tipologie di relazione fra gli individui nell‟organizzazione del lavoro, le quali dipendono a loro
volta dall‟ideologia sottostante: se si considerano gli altri come „cosa‟, si dà origine alla
cooperazione (forma del doppio) tramite la quale il signore produce i suoi servi; se si considerano
gli altri come individui irriducibili, si dà origine tanto alla collaborazione quanto alla competizione
(forme del duale), categorie dunque assolutamente assimilabili contrariamente a quanto molta
letteratura indica e comunque per motivi diversi da quelli pure sporadicamente proposti, ma
tramite esse si pone al di fuori del gruppo una entità (il re, l‟organizzazione) che fungerà da
signore, cosicché in questo caso sono i servi a produrre il proprio signore; se infine si considerano
gli altri come altro-da-sé di cui si ha necessità per essere riconosciuti, allora si avranno forme di
relazione fra le autocoscienze le quali fanno si che signore e servo si producano vicendevolmente,
una di queste forme è quella che prende il nome di impetizione (forma del duplice), nella quale il
signore è visto come seduttore ed il servo come impetitore.4
4
Il nesso fra impetizione e seduzione è stato messo in evidenza per primo da Johannes Pecham nella
Quaestio de pueris oblatis - utrum liceat inducere pueros doli capaces ad obligandum se religioni voto vel giuramento
aut etiam adolescentes, dibattuta a Parigi nel 1270 come risposta a Gerard D‟Abbeville (corsivi miei):
“76. Ad septimum dicendum quod absit Papa seductionem vocet per illam inductionem, sed quae fit vel
falsa suggestione vel fraudolenta intentione. Aliter non est seductio unde, ff. de regulis iuris: “nemo videtur
eus qui sciunt et consentiunt”. Seductio ergo fuit facta ab illis quibus legitur, XX 9, 3 „Constituit‟ : “Episcopi
sive abbates quoslibet homines circumvenientes totunderunt et res eorum caeli persuasione subripuerunt” et
tamen dicitur ibi : “qui illecti comam deposuerunt, in eo quod coeperunt, perseverare cogantur res vero
eorum heredibus reddantur. Tales ergo seductores dicendi sunt, ut certe seductores dicendi sunt qui in impetu,
non praehabita deliberatione, intrare pueros faciunt. Haec enim est causa quare seductus per eremitas illos
denuntiantur absolutus ab impetitione illorum, quia “sine deliberatione et ex mentis impetu itravit illectus”, ut dicit
Glossa“.
Il testo prosegue poi spiegando che due sono i tipi di seduzione : quella dal male al bene e quella dal bene al
male (di Cristo e dei Cristiani). Anche nel moderno senso del nesso fra seduzione ed impetizione cui io
faccio riferimento nella mia ricerca persiste il succitato presupposto; esso presenta i seguenti due punti
nodali, che ne mostrano tutta l‟ambiguità e la parzialità, cosa si intende per bene e per male e chi si arroga il
diritto di giudicare chi stia esercitando la buona e chi la cattiva seduzione (corsivi miei):
“Est autem seductio bona sicut dolus bonus unde, Ier. 20, 7: seduxisti me Domine, et seductus sum II Cor 6,8: ut
seductores et veraces et Augustinus, Super Ioannem, Homelia 27, super illud, seducit turbas dicit: “dictum
est hoc ad eorum solarium, qui postea predicantes verbum Dei, futuri erant ut seductores et veraces. Si enim
seducete decidere, nec Christus seductor, nec Apostoli eius, nec quisquam seductor debet esse Christianus. Si autem
seducere aliunde aliquem ad aliud persuadendo ducere est, quarendum est unde et quo. Si a malo ad bonum, bonus
seductor est. Si a bono ad malum, malus seductor est. In hanc autem partem qua seductuntur homines de malo ad
bonum, utinam omnes seductores et vocemur et simus!” Haec Augustinus”. Nella mia analisi quando mi riferisco
alla seduzione mantengo il significato del termine sopra fornito da S. Agostino: sedurre è, cioè, un condurre
a sé tramite la forza della persuasione.
La frase del Vangelo commentata da Sant‟Agostino, il cui commento è citato da Pecham è la seguente:
“Et alii dicebant: Bonus est; alii autem: Non, sed seducit turbas”.
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Questo primo volume intende costituire la mia tesi di laurea triennale in filosofia.
Nel secondo volume è sviluppata la seguente tesi: anziché signore „per‟ e servo „contro‟ il potere –
secondo lo schema classico della competizione e della collaborazione/cooperazione –, esistono
organizzazioni in cui l‟alternativa è posta fra „dentro‟ e „fuori‟ anziché limitarsi a contemplare i
diversi statuti del „dentro‟ ed in cui sia signore che servo sono „per‟ – secondo lo schema della
succitata impetizione.
Ferma restando l‟impossibilità di una qualsivoglia forma di collaborazione all‟interno della
dinamica relazionale fra servo e padrone intesa in senso hegeliano, poiché questa
rappresenterebbe una contraddizione in termini, è possibile osservare organizzazioni in cui la
categoria della cooperazione, della collaborazione e della competizione, pur restando fondamentali
per interpretare il contesto di riferimento, non spiegano la relazione fondamentale all‟interno di
tale contesto. La caratteristica saliente delle organizzazioni in cui le succitate categorie mostrano la
loro insufficienza per la comprensione del fenomeno è la legge che le governa, la quale si applica
ad ogni suo membro: tale legge, detta „cresci o esci‟, intende suddividere gli individui in servi e
padroni, riconoscendo ai secondi il potere sui primi ed imponendo ai primi di servire i secondi
finché non giunge il momento di doversi fare da parte per essere sostituiti da eserciti di riserva. In
un siffatto contesto i padroni se-ducono, cioè attraggono a sé tutti i servi indistintamente, salvo poi
riconoscersi solo in alcuni di loro, i quali verranno perciò riconosciuti tramite la metamorfosi da
servo a padrone; i servi, invece, impetono, cioè da un lato si relazionano in modo impetuoso ed
irrazionale (impetus) con il padrone, dall‟altro si affidano interamente al padrone come ad autorità
riconosciuta (impetere). L‟impetizione rappresenta allora un meccanismo originato dalla seduzione,
tesa a provocare nell‟impetitore una integrale omogeneizzazione al modo di pensare, di parlare, di
operare, di agire del seduttore. Se i seduttori fra loro collaborano, gli impetitori fra loro
essenzialmente cooperano come richiesto dai seduttori, mentre la competizione a questo livello è
marginale in quanto l‟impetitore per definizione non considera gli altri impetitori suoi pari, bensì
servi che lo serviranno quand‟egli sarà accolto nel novero dei padroni.
Nel terzo volume si analizza una delle conseguenze di quanto esaminato nel secondo volume,
attraverso l‟indagine di quelle organizzazioni impetitive in cui tanto il signore quanto il servo
vivono da eremiti, fino alla separazione, fintanto cioè che il „fuori‟ non diventa irrevocabile: a quel
punto ed in quel momento, l‟anacoreta si trasforma in cenobita, lasciando “una breve traccia di
una breve avventura” (definizione tratta proprio da un “ultimo memo”5), che rompe la
incomunicabilità, permettendo di narrare una breve storia, che è storia di guerre e di eroi, di
sconfitta o di vittoria, ma anche a volte inattesa storia eccentrica, al di fuori di questo modo
bipolare di vedere le cose e di relazionarsi, oltre la dinamica servo-padrone, attraverso un breve
racconto indirizzato a chi resta, con il quale si intende creare un seppur tardivo rapporto di
condivisione, comunitario, anche se fragile, anche se breve. Questa avventura a ben vedere da un
lato rappresenta l‟assorbimento perlomeno parziale di quel che un tempo si chiamava „„l‟deologia
del padrone” capace di ”convincere” i subalterni, dall‟altro può essere intesa come protensione,
attesa, aspettativa, appello e quindi come la freccia che vuole fare avanzare il noto (presente) verso
Lo stesso passo di Sant‟Agostino è citato da San Tommaso, Catena aurea in quatuor Evangelia, Expositio in
Ioannem, Caput 7 – lectio 2 (corsivi miei):
“ Chrysostomus. Igitur illam quidem aestimo opinionem multitudinis esse, qua scilicet dicebatur bonus esse:
hanc vero principum et sacerdotum; quod ostenditur per hoc quod dicunt seducit turbas: non dicunt: seducit
nos. Sequitur nemo tamen palam loquebatur de illo propter metum Iudaeorum. Augustinus. Eorum scilicet
qui dicebant bonus est, non qui dicebant seducit turbas: haec enim clarius sonabant, sed bonus est pressius
susurrabant. “
5
Messaggio di posta elettronica inviato dai dimissionari dell‟organizzazione del lavoro presa in esame nel III
volume della ricerca ai restanti membri dell‟organizzazione al termine del proprio periodo lavorativo. I
messaggi della suddetta organizzazione hanno quasi tutti per titolo „ultimo memo‟ e nell‟organizzazione ci si
riferisce ad essi in questi termini.
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l‟ignoto (futuro), mentre quest‟ultimo a sua volta gli va incontro, così che terminare una avventura
per iniziare la successiva significa credere che ogni “esperienza” possa procurare una “avventura”:
una volta che l‟ignoto nel bene o nel male è stato raggiunto, si crede che altrove si possa trovare un
nuovo “ignoto” e su questa illusione si costruisce una vita di fatto alienata anche se ritenuta piena
di emozioni e di avventure.
L‟impetizione si svela dunque nelle organizzazioni che si basano sulla legge „cresci od esci‟ oltre
che nella relazione anche nel linguaggio: linguaggio „cresci‟ del seduttore (ad esempio tramite la
comunicazione degli esiti ultimi della valutazione periodica dei sottoposti, in termini di
riconduzione bipolare alla servitù ovvero alla signoria), linguaggio „esci‟ dell‟impetitore
(comunicazione nella forma dell‟‟ultimo memo‟ delle ragioni soggettive della imminente
fuoriuscita dalla organizzazione secondo una modalità in cui <exit> e <voice> - che in qualsiasi
altro contesto appaiono come alternative – tendono a sovrapporsi fino a coincidere), linguaggio
„cresci od esci‟ dell‟organizzazione (tramite un vocabolario specifico, a sua volta organizzato sulla
base della triade padrone [azienda] – servo [risorsa] – cliente [strumento]). Nel linguaggio così
come nella relazione se la collaborazione (possibile solo fra padroni) è nella forma tutti-con-tutti e
la cooperazione (possibile solo fra servi) è nella forma tutti-insieme-a-tutti e la competizione
(possibile fra gruppi di padroni e servi) è nella forma tutti-contro-tutti, la seduzione e la
impetizione si presentano nella forma ognuno (nel primo caso padrone, nel secondo servo) con
tutti (nel primo caso servi, nel secondo padroni), dove il „con‟ è strumentale nella seduzione (il
padrone si avvale dei servi) mentre è identificativo nella impetizione (il servo si identifica con i
padroni).
Se fossimo nella società perfetta indicata da Lao-Tzu questo testo non avrebbe avuto motivo di
essere scritto, ovvero se ci trovassimo in una società solo in parte imperfetta vi sarebbe già stato
qualche studioso ”indipendente” a scriverlo, poiché purtroppo siamo in una società che in tutto è
imperfetta, ho ritenuto mio dovere improrogabile mettere per iscritto i miei pensieri sul lavoro
nelle organizzazioni moderne o come direbbero alcuni studiosi ipermoderne:
“Lao-Tzu disse: in una società di perfetta virtù, i mercanti vendono a prezzi convenienti le loro merci, i contadini amano
i loro campi, gli amministratori sono sicuri nei loro uffici, gli studiosi indipendenti seguono la loro strada ed a tutti in
generale piace il proprio lavoro. Allora vento e pioggia non sono distruttivi, le piante e gli alberi non muoiono
precocemente ed il disegno celeste si fa evidente”6.
6
Cleary, T., Il libro degli insegnamenti di Lao-Tzu, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993.