3
Rousseau nella Lettre à M. de Voltaire del 18 Agosto 1756 accusa Voltaire
di essere troppo duro nella sua interpretazione della natura, e soprattutto
tutte le parti
ispensabile. Non si può
in ogni caso, gli esseri umani anche se parti
uomini pensano e soffrono quando un terremoto uccide migliaia di
di essere un irriconoscente verso quella stessa natura che tanti benefici gli
dona ogni giorno.
Voltaire, d’altra parte, non accetta l’idea di una natura ove
cooperano a favore del tutto, e dove a causa di questa cooperazione,
tanto celebrata da Pope, le parti possono e devono sacrificarsi.
Non ha senso per Voltaire giustificare ogni fatto naturale con il pretesto
che questo sia necessario per il mantenimento dell’universo intero.
Per Rousseau, al contrario, questo assunto è ind
accettare l’idea di una natura che privilegi una parte piuttosto che
un’altra. I figli di madre natura sono tutti uguali.
Essendo tutti uguali, non c’è motivo di lamentarsi se durante un sisma,
oltre a morire gli animali, muoiono anche gli uomini.
Voltaire rivendica il fatto che,
del tutto, sono parti pensanti e quindi hanno un fardello da portare che
le altre parti non conoscono.
Gli
bambini innocenti che non hanno potuto assaporare le bellezze della
vita.
Voltaire rivendica la dignità dell’uomo che sta nel pensiero e lo innalza
ad una condizione superiore.
Rousseau non fa questa differenza, anzi per lui una morte prematura non
è detto che debba essere qualcosa da giudicare in termini solo negativi.
La morte prematura può salvare da mali peggiori, infinitamente più
difficili da sopportare, mali voluti e accentuati dagli uomini, non dalla
natura.
4
Voltaire non muove nessun tipo d’accusa agli uomini per le morti verifi-
catesi a causa del terremoto. La sola responsabile è la natura, ed il solo da
ni delle morti del
anche più grave, i cittadini di Lisbona non lasciarono quelle case
liere i propri beni, giudicando erroneamente di non poter vivere
consegnato più morti alla natura non responsabile di
u l’occasione, attraverso la quale Rousseau ricordò le
biò con gli stessi modi
grave illusione.
nto, le molteplici letture date al terremoto andavano a riprendere
arte della filosofia leibniziana, aprivano maggiori discussioni sulla natu-
interrogare è Dio, perché la natura è muta.
Rousseau, invece, accusa esplicitamente gli uomi
terremoto di Lisbona.
Gli uomini si intestardiscono nel costruire case a più piani, che
facilmente cadono loro addosso, quando si verifica un sisma.
E, cosa
subito per mettersi in salvo, ma persero del tempo prezioso per
raccog
senza questi.
L’avidità umana ha
nulla.
Voltaire inviò il suo Poème a Rousseau pensando di essere appoggiato dal
filosofo ginevrino.
Invece, questa f
offese subite dalla risposta avuta da Voltaire al suo Discours sur l’origine et
les fondements de l’inégalité parmi les hommes, e ricam
falsamente ironici.
Voltaire non nutre più speranze per l’oggi, poiché il terremoto lo ha
gettato in uno stato di sconforto e di pessimismo.
Dire Tout est bien è semplicemente una
Rousseau non rinuncia all’idea di immortalità dell’anima e spera che le
sofferenze avute nella sua vita terrena, possano essere ricompensate in
una dimensione di pace ultraterrena.
Perta
p
5
ra, sul male presente sulla terra che alcuni riconoscevano e altri negava-
o.
1.
1 NOVEMBRE 1755: TERREMOTO DI LISBONA
oli, era una delle capi-
tali più importanti d’Europa e venne completamente distrutta insieme ai
suoi tesori. Lisbona era la città dei commerci, piena di navi che solcavano
n
1.1. Descrizione del terremoto
Il 1 Novembre 1755 fu una data che segnò tristemente la cultura europea
del tempo.
Nell’epoca dell’illuminismo, del progresso continuo dell’intelletto umano,
della fiducia nelle capacità dell’uomo, di un uomo che magari riusciva a
vivere solo della sua ragione, e lo faceva bene anche senza Dio, che
significato ebbe il terremoto di Lisbona?
Gli illuministi, pregni della loro ragione, potevano spiegare il terremoto
come fenomeno prettamente naturale; ma chi non pretendeva di dare
ogni spiegazione con l’ausilio della sola facoltà razionale, a chi doveva
rivolgersi per spiegare le migliaia di morti che ci furono?
La città di Lisbona, insieme a Parigi, Londra e Nap
6
l’Oceano Atlantico verso l’America, verso il Brasile; era una città con
275000 abitanti e un mercato in forte espansione.
Ma, mentre Lisbona è un cumulo di macerie, a Parigi – dirà qualcuno - si
balla
1
. Più avanti, vedremo come questo qualcuno sia Voltaire.
È Voltaire che anima e dà l’incipit alla discussione sul terremoto di
ccadde quella mattina di Ognissanti, per avviarci
de
ida
pregavano ?
ava nelle numerose chiese della città.
Lisbona; e grazie a lui il terremoto di Lisbona sarà oggetto di attenta
riflessione nella storia della cultura.
Ripercorriamo ciò che a
alla comprensione del dibattito intellettuale che si accese tra alcuni grandi
intellettuali dell’epoca.
Lisbona era innanzitutto, come scrive T. Besterman, una città molto
religiosa, piena di chiese, di conventi e luoghi di culto:
«Lisbonne est une ville pieuse, un des principaux centres du saint office,
et se distingue surtout par le très grand nombre d’églises, de couvents,
reliques et d’images miraculeuses qu’elle abrite, et par le faste prodigieux
du culte et la violence de la dévotion à tous les niveaux de la société»
2
.
Ovviamente tali caratteristiche della città non furono di conforto ai
religiosi cristiani, per spiegare quanto fosse accaduto nella loro splend
Lisbona, proprio il giorno di Ognissanti. Perché Dio doveva accanirsi
proprio in un luogo colmo di chiese, gremite di fedeli che lo
La mattina del 1 Novembre 1755, la maggior parte degli abitanti di
Lisbona, alle 9.45, si trov
Lisbona fu colpita da tre scosse, che si distanziarono nel tempo di un
minuto l’una dall’altra.
1
Cfr. Voltaire (F.-M. Arouet), Poème sur le désastre de Lisbonne, in “Daphnis”, (21),
1992, v. 23, p. 386.
2
T. Besterman, Voltaire et le désastre de Lisbonne :ou, La mort de l’optimisme, in Studies on
Voltaire and the Eighteenth century, Institut et musée Voltaire, Genève, 1956, p. 8.
7
La seconda abbatté le chiese, i muri, i negozi, i tetti delle case e il patri-
monio culturale della città, ossia biblioteche, archivi, musei. Evidente-
mente, come scrive P. Buck nel suo testo su Lisbona, la tragedia non era
ntisse di intravedere il propagarsi del fuoco, appiccato
riparo concentrandosi sulla riva
to, sopraggiunsero tre onde anomale in rapida successione,
l vento, prima di crollare.
n’intera città da aiu-
ancora finita lì, ma «trascorsero quindici minuti, prima che la polvere si
diradasse e conse
dalle candele delle chiese»
3
.
I sopravvissuti tentarono di mettersi al
del fiume Tago.
Ed, invece, quella riva costituì purtroppo una trappola mortale per gran
parte della popolazione sopravvissuta.
Difatti, dopo circa un’ora, così come si erano succedute tre scosse di
terremo
chiaramente provenienti dall’Oceano. Le onde erano alte dai cinque agli
otto metri, ed abbattendosi sulla città spazzarono via tutto quello che
trovarono.
Il solo quartiere sopravvissuto al terremoto del 1755 fu quello di Alfama,
che si estendeva sotto le mura del castello di S. Giorgio, e mostra ancor
oggi l’antico volto di Lisbona.
Scrive P. Buck: «Chi osservava la scena dalla cima dei colli riferì che la
città ondeggiò sotto quella furia come grano a
L’incendio completò la distruzione degli edifici ancora in piedi.
Occorsero più di una settimana perché gli ultimi fuochi si estinguessero.
Si stima che in quel disastro perirono 40000 persone»
4
.
Dunque 40000 morti, gli 8/10 degli edifici distrutti, u
tare a ricostruire, e il re rimasto vivo che voleva trovare protezione al di
là del Portogallo. Il sovrano del Portogallo era Dom José I, succeduto al
trono a Dom João V che gli aveva ceduto il potere.
3
P. Buck, Lisbona, Milano, Mondadori, 2003, p. 24.
4
Ivi.
8
Fu il marchese di Plombal, uno dei maggiori artefici della ricostruzione di
Lisbona, a persuadere Dom José I a restare a Lisbona dopo il terremoto.
lle onde anomale.
iare un tale fenomeno.
Chi poteva vantare di non aver
guali di fronte a Dio.
Il re difatti avrebbe voluto riparare immediatamente in Brasile, ma un
tale gesto sarebbe stato di pessimo esempio per il resto della popolazione
che si era salvata dalle macerie, dall’incendio e da
Nel secolo del razionalismo illuministico era inevitabile che gli
intellettuali europei si interrogassero sulle cause del terremoto e sugli
strumenti per prevenire e frontegg
Si ricercava una spiegazione, studiando gli abissi della terra, dei quali
nulla o poco si sapeva. Si pensò che lo spostamento delle rocce, dell’aria
e dell’acqua fosse dovuto al fuoco.
Mentre gli intellettuali pensavano ad una corretta spiegazione razionale
dell’accaduto, gli abitanti di Lisbona, ricchi e poveri, credenti e non
credenti, inquisitori e prigionieri, deboli e forti, si ritrovarono in una
situazione di livellamento: tutti uguali di fronte alla morte che li aveva
risparmiati, tutti uguali donne e uomini, anziani e bambini, tutti
spodestati degli affetti e degli averi.
perduto le persone care, poteva considerarsi privilegiato. Così come i
vivi, anche i morti nell’esperienza della fine della vita, non avevano
trovato differenze sociali fra loro, tutti u
La distruzione della città di Lisbona fu riportata nella voce Lisbonne
dell’Encyclopedie, dove si descriveva una catastrofe che la stessa ragione
illuministica faticava a “razionalizzare”.
Al terremoto di Lisbona fu dedicata quasi tutta la voce su Lisbona
dell’Encyclopedie: «“Lisbonne étoit; elle n’est plus” dit une lettre que nous
apprit qu’un tremblement de terre arrivé le premier Novembre 1755, en
avoit fait une feconde Héraclée; mais puisq’on espere aujourd’hui de la
tirer de ses ruines, & même de lui rendre sa première splendeur[...] Le
9
matin du premier Novembre 1755, à neuf heures quarante cinq minutes
a été l’époque de ce tragique phénomene, qui inspire des raissonemens
aux esprit curieux, & des larmes aux ames sensibles. Je laisse aux Physi-
ciens leurs conjectures, & aux historiens du pays le droit qui leur appar-
tient de pendre tant de désastre [...] Le petit nombre de maisons de cette
grande ville, qui échapperent aux diverses secousses des tremblements de
terre de l’année 1755 & 1756, ont été dévorées par le flammes, ou pillées
par les brigands. Le centre de Lisbonne en particulier, a été ravagé d’une
maniere inexprimable. Tous les principaux magasins ont été culbutés ou
réduits en cendres ; le feu y a confumé en marchandises, dont une grande
partie appartenoit aux Anglis, pour plus de quarante millions de creuza-
des. Le dommage des églises palais & maisons, a monté au delà de cent
ours distribués avec autant d’économie que
d’équité fauverent la vie des habitans de Lisbonne, reparerent leurs forces
cinquante millions de la même mannoie, & l’on estimoit le nombre des
personnes qui ont péri sous les ruines de cette capitale, ou dans son in-
cendie, entre 15 à 20.000 ames.
Toutes les puissances ont témoigné par des lettres à S.M.T.F. la douleur
qu’elles ressentoient de ce triste événement ; le roi d’Angleterre plus in-
timement lié d’amitié & par les intérêts de son commerce, y, envoya pour
le foulagement des malheureux, des vaisseaux chargé d’or & de provi-
sions, qui arriverent dans le Tage au commencement de Janv. 1756 & ses
bienfaits furent remis au roi de Portugal. Ils consistoient en trente mille
livres sterling en or, vingt mille livres sterling en piece de huit, six mille
barils de viande salée, quatre mille barils de beurre, mille sacs de biscuit,
douze cens barils de riz, dix mille quintaux de farine, dix mille quintaux
de blé, outre une quantité considérable de chapeaux, de bas & de fou-
liers. De si puissans sec
10
épuisées & leur inspirerent le courage de relever leurs murailles, leurs
maisons & leurs églises»
5
.
Nella voce su Lisbona dell’Encyclopedie appena citata, si fa riferimento a
15-20000 morti, mentre P. Buck parlava di 40000 morti come sopra cita-
to. Per l’epoca certo era difficile stimare le reali perdite degli abitanti della
tolineare
primario, cioè carni, burro, biscotti, farina,
truzione di Lisbona fu
teriali persi, gli
città, non vi erano i mezzi moderni che oggi facilitano tali compiti gravo-
si.
Ventimila o quarantamila morti erano molti, in ogni caso, per una città
del XVIII secolo, per quanto popolosa fosse.
La voce dell’Encyclopedie ci illustra gli aiuti materiali che Lisbona ricevette,
in particolar modo, dal re d’Inghilterra, legato dall’amicizia alla città por-
toghese, da amicizia e da interessi economici. È interessante sot
che i trasporti del XVIII secolo certamente non erano celeri come oggi,
difatti, i primi aiuti arrivarono ben due mesi dopo la catastrofe.
Gli aiuti erano beni di tipo
tutto ciò che poteva servire ad aiutare un popolo in crisi, con risorse sac-
cheggiate anche da banditi.
Ricevere soccorsi di questo tipo fu un modo per risollevare la fiducia dei
cittadini di Lisbona, per dare loro il coraggio di ricominciare a vivere, di
ricostruire la loro amata città, facendola ritornare allo splendore di un
tempo. Ma se da un punto di vista fisico, la ricos
realizzabile anche grazie all’aiuto del re d’Inghilterra, da un punto di vista
morale molte domande restarono invece irrisolte.
Passati i momenti di disperazione per i beni spirituali e ma
abitanti di Lisbona e gli intellettuali di tutta Europa si chiesero non solo
“come” il terremoto fosse avvenuto, ma anche “perché”.
5
J. Diderot, J. D’Alembert, Encyclopedie ou dictionnaire raisonnée, Livourne, Imprimerie
des éditeurs, 1770-75, vol. IX., p. 518.
11
Forse qualche loro atteggiamento aveva offeso la maestà divina, oppure
semplicemente il terremoto doveva essere spiegato iuxta propria principia?
essero.
e
Portogallo.
tesori, magazzini
nto alcuni eretici.
Nel primo caso, il terremoto fu visto come la pena, la punizione terrena
per un atteggiamento insolente verso Dio, dunque si presentava un Dio
vendicativo che punisce le sue creature e le riporta sulla retta via dopo la
sofferenza inflitta.
Nel secondo caso, invece, il terremoto divenne faccenda terrena, senza
alcun riferimento al mondo celeste. Il terremoto era un fenomeno natu-
rale, e come tale, compito dell’uomo era studiare la natura per evitare che
altre tragedie simili si ripet
Difatti anche in epoca moderna, nonostante la sua spiegazione a livello
scientifico, il cataclisma sismico è rimasto circondato dal mistero e alcun
realtà culturali ancor oggi vedono in esso la collera della divinità stanca
dei peccati degli uomini.
Il terremoto che colpì Lisbona il mattino del 1° novembre 1755 scosse la
Cristianità non meno di quanto fece sobbalzare il suolo del
I pii abitanti della capitale si trovavano in quel momento in chiesa a cele-
brare il giorno di Ognissanti e la chiesa crollò loro addosso.
Coloro che si salvarono fuggirono sulla spiaggia giusto in tempo per es-
sere travolti da enormi ondate provenienti dall’Atlantico.
Questo disastroso terremoto, accompagnato dal maremoto e concluso da
un enorme incendio che mandò in cenere meravigliosi
ricolmi di preziosi abiti di seta, mobili di pregio e dipinti di artisti famosi,
trovò infine d’accordo il potere politico e quello religioso nell’istituire un
“autodafé” (atto di fede) che consisteva nel macabro rituale, da parte
dell’Inquisizione, di ardere a fuoco le
Voltaire non dimentica l’autodafé di Lisbona, puro atto di credenza irra-
zionale che ha sommato dolore al dolore. Non erano state sufficienti le
12
morti dovute al terremoto, ma altre ne furono aggiunte per superstizione
nel secolo del trionfo della ragione.
L’uomo, pur di giustificare, ciò che a lui resta ignoto, è capace di compie-
re atti brutali più di quelli che la natura gli infligge. Magra consolazione
fu bruciare degli innocenti – creduti colpevoli per pura ignoranza - dopo
o donne definite
rouvé un moyen plus efficace
es brûlées à petit feu, en grande cérémonie, est un secret infailli-
ble pour empêcher la terre de trembler»
7
.
che l’intera Lisbona era distrutta. Qui il secolo dei lumi fa un bel balzo
nel Medioevo e agli inizi dell’età moderna, ossia quand
streghe ardevano sul rogo perché accusate di provocare le epidemie, le
carestie e i mali che la natura usa contro l’uomo
6
.
Tutti cercavano delle giustificazioni, chi accusava Dio, chi gli uomini de-
finiti eretici, chi pensava invece di interrogare la natura.
I saggi di Lisbona pensarono che un autodafé avrebbe potuto prevenire
altri terremoti, e Voltaire nel Candide descrive questa grande cerimonia:
«Après le tremblement de terre qui avait dètruit les trois quarts de Lis-
bonne, les sages du pays n’avaient pas t
pour prévenir une ruine totale que de donner au peuple un bel auto-da-
fé; il était décidé par l’université de Coïmbre que le spectacle de quelques
personn
6
Scrive J-M. Sallmann a proposito della stregoneria in età moderna: «Generalmente si
ammette che la stregoneria fu la manifestazione della miseria del tempo e che la sua
repressione fu proporzionale alle calamità naturali che oppressero le popolazioni.
L’uomo, ancora incapace di padroneggiare la natura, trovava la spiegazione dei fe-
nomeni che oltrepassavano la sua comprensione solo nel campo del soprannaturale.
L’epidemia, il cattivo raccolto, la morte inspiegata, il male erano dovuti all’azione del
Diavolo. Gli storici hanno così riesumato la vecchia teoria del capro espiatorio im-
maginata dagli antropologi della fine del secolo scorso. La società voleva dei colpevo-
li. Furono trovati tra gli elementi non conformisti e marginali che pagheranno un
grosso tributo alla repressione. In primo luogo, le donne, le più vecchie, le più brutte,
le più povere, le più aggressive, quelle che suscitavano paura» (J-M. Sallmann, Strega,
in G. Duby e M. Pierrot, Storia delle donne. Dal Rinascimento all’età moderna, Bari, Later-
za, 2002, pp. 459-60).
7
Voltaire, Candido ovvero l’ottimismo, testo francese a fronte, Milano, Rizzoli, 2000, p.
56.
13
In realtà, il terremoto di Lisbona è stato fondamentale per iniziare un
cammino che portasse l’uomo a separare le proprie colpe dagli eventi na-
turali.
I peccati dell’uomo non sono imputabili per spiegare l’agire di madre-
natura, bisogna separare la morale dalla natura. La tragedia di Lisbona ha
astri natura-
re più di catastrofe e di rischio, si
ella
vite
umane. Ma la domanda non può e non deve fermarsi ad un livello che sia
assolto sia gli uomini sia Dio, i terremoti da quel momento saranno os-
servati più con l’occhio dello scienziato, e quindi definiti “dis
li”, al di là dell’intenzione divina o della responsabilità umana.
La modernità nasce anche con questa tensione fra l’imminenza della ca-
tastrofe e le strategie della sua prevenzione e contenimento.
Scrive A. Tagliapietra: «Il terremoto di Lisbona fu percepito, a comincia-
re dai contemporanei, come un evento che, mentre suscitava antichissimi
interrogativi sul male, su Dio, sulla natura, sulla giustizia, sulle aspirazioni
e sul destino dell’uomo, poneva, al contempo, la cultura europea sulla
soglia di qualcosa di nuovo. Sorgeva un mondo in cui si discuterà sempre
meno di peccato e di colpa e semp
smetterà di risalire ogni volta alle logiche apocalittiche del diluvio univer-
sale e si lasceranno parlare i sistemi descrittivi e gli apparati empirici d
geologia e delle scienze della terra»
8
.
Pensare comunque che ci si possa accontentare di una spiegazione solo
scientifica, per certi versi arida e fredda, dei terremoti non è corretto.
L’interrogativo è più profondo, e sta alla base del discorso fin qui svolto.
La scienza ci fornisce delle delucidazioni validissime su come avviene un
terremoto, sulle possibili cause predominanti, sulla disposizione delle ter-
re, dei vulcani ecc…; può insomma dare risposte a domande che aiutano
gli uomini anche a prevenire un simile cataclisma e salvare molte
8
A. Tagliapietra, La catastrofe e la filosofia, in Voltaire, Rousseau, Kant, Sulla catastrofe.
L’illuminismo e la filosofia del disastro, Milano, Mondadori, 2004, p. XVII.
14
meramente naturalistico o scientifico e il terremoto implica necessaria-
mente questioni che esulano dal mondo della geologia e della fisica.
Capire come la natura generi i terremoti è indispensabile per i progressi
della conoscenza umana, ove progresso significa salvezza dell’uomo, ma
evidentemente il “come” non spiega –e non si pretende che lo faccia- il
“perché” la natura produca terremoti. Con una domanda di tale genere la
Dio fabbricatore, tecnico, orologiaio, al quale molti filosofi del
a fatto bene i suoi calcoli nel congegna-
ma
si interrogasse, di certo non sarebbe un uomo; è il pensie-
aturale,
scienza si fa giustamente da parte, e lascia il campo di riflessione alla reli-
gione e alla morale, cioè a Dio e all’uomo.
Tale ragionamento si regge soltanto su una premessa: ossia, Dio ha crea-
to la natura e l’uomo. Non è necessario il Dio del cristianesimo, basta
anche il
Settecento hanno creduto. Con tale prospettiva si possono avanzare due
ipotesi:
1) il Dio dei cristiani che si vendica delle offese ricevute dalle sue creatu-
re 2) un Dio orologiaio che non h
re il mondo. Entrambe le due ipotesi sono ovviamente un tentativo de-
bole, ma necessario per l’uomo.
Un tentativo debole della ragione, che pensa di dare soluzione a proble-
matiche che la oltrepassano infinitamente, e che la rendono misera ai
suoi stessi occhi, o superba a secondo dei casi. Un tentativo debole
necessario, poiché la ragione è anche interrogarsi, porsi domande, anche
domande alle quali rispondere corrisponde ad un atto d’immodestia.
Se l’uomo non
ro che lo nobilita, come Pascal stesso affermava molto prudentemente
nelle Pensées.
Interrogarsi è un bisogno umano. Il terremoto di Lisbona sollevò tali
questioni, perché non fu un terremoto solo dal punto di vista n
15
ma lo fu anche da un punto di vista intellettuale, dato che riuscì a coin-
volgere due giganti del Settecento francese: Voltaire e Rousseau.
Entrambi fecero “trembler” la cultura del tempo a colpi di penna, ciascuno
modo proprio, ciascuno con idee evidentemente diverse, ma con un
nico punto gravitazionale: l’uomo.
sso ostile -, il tremblement
, ma sempli-
a
u
1.2. Ripercussioni fisiche e morali del terremoto
Il terremoto di Lisbona, come abbiamo preannunciato sopra, non fu un
evento isolato – nel senso che l’umanità ha sempre dovuto combattere
contro le difficoltà prodotte da una natura spe
che si abbatté sulla città portoghese nel 1755 fu uno dei tanti terremoti
che l’uomo ha subìto nel corso della sua storia.
Terremoti, epidemie, carestie, diluvi, pesti, eruzioni vulcaniche che han-
no cancellato intere città, sono catastrofi naturali, compagne non ben vo-
lute nella storia dell’uomo. Alcune di queste catastrofi naturali non sono
cadute nell’oblio; ma non perché più gravi rispetto ad altre
cemente perché qualcuno si è premurato di farcene mantenere il ricordo,
tramite opere che restano lodevoli nella storia della cultura.
Senza ombra di dubbio, la catastrofe che più è stata disegnata nella storia
e ha permesso di paragonare più opere di più scrittori (storici e non) di
varie epoche, è la peste. Non ci sono, invece, grandi opere che ci raccon-
tino di terremoti fino al Poème sur le désastre de Lisbonne di Voltaire, ma ci
sono Tucidide, Boccaccio e Manzoni, che nei loro capolavori e in diffe-
renti momenti storici descrivono gli orrori della peste.