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nell’ambito di una ricerca durata due anni sui rapporti tra il Maestro e il cinema
1
, ha
classificato (in verità in modo non troppo sistematico) tutti i film in questione, sicché le
varie combinazioni di questi due aspetti danno vita ad una suddivisione delle pellicole
che variamente si ispirano alle opere del compositore lucchese in vari filoni, trasversali
a livello di genere, ma coesi al loro interno; così troviamo:
a) film ispirati dalle storie narrate nei libretti d’opera, spesso (ma non sempre)
accompagnati dalle musiche del Maestro;
b) i “film‐opera”
2
, ovvero versioni cinematografiche delle opere liriche,
appositamente allestite per il grande schermo e generalmente interpretate da
cantanti lirici;
c) le cosiddette “opere parallele”
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, ovvero film che, pur rifacendosi all’ossatura
delle trame dei romanzi da cui i melodrammi pucciniani hanno preso vita, li
decontestualizzano e li riportano (nella maggior parte dei casi) alla
contemporaneità, spostando il peso della narrazione attraverso aggiunta e
sottrazione di nuovi personaggi, ambientazioni del tutto nuove rispetto alle
originali e musiche che possono avere due ruoli: quello di colonna sonora (con
un adeguato arrangiamento e coordinamento) o quello di “brano originale”,
con la ripresa delle arie più famose cantate dagli attori (spesso doppiati in
playback da cantanti celebri);
d) il filone del “Puccini‐smo”
4
, ovvero il variegato e complesso insieme di pellicole
che attinge alla sorta di deposito creativo composto dalle musiche di Puccini
per i commenti sonori all’interno dei più svariati contesti filmici;
e) i film biografici, che propongono riletture più o meno romanzate della vita e
della carriera del musicista toscano
Fino agli anni Cinquanta l’interesse del cinema verso Puccini si è concretizzato
essenzialmente nella produzione di pellicole ispirate ai romanzi e ai drammi che hanno
1
I risultati della ricerca sono sfociati nella pubblicazione del catalogo della mostra “Puccini e il cinema”
del 2008: Puccini al cinema, Firenze, Aska Edizioni, 2008.
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In Puccini al cinema ricorre in varie parti questa locuzione, ma non ne viene mai data una definizione
organica, che ho quindi cercato io di abbozzare in base alle caratteristiche comuni delle pellicole
individuate nella categoria.
3
P.M. De Santi in Puccini al cinema, p. 27
4
Ivi, p. 32
4
dato luogo ai libretti e alle opere liriche pucciniane, spesso accompagnate dalle
musiche del Maestro, e di “film‐opera”, ovvero versioni cinematografiche delle opere
del Maestro; da notare anche un significativo filone di cosiddette “opere parallele”,
ovvero film che, pur traendo spunto dalle trame dei libretti dell’opera lirica, la
decontestualizzano e la tengono come filo conduttore interno al film stesso.
L’inizio degli anni Sessanta vede il declino dei film‐opera, delle opere parallele e dei
film in musica (generi di grande successo a livello popolare nella prima metà del
secolo) che, pur con eccezioni significative, lasciano spazio ai kolossal storico‐
mitologici, ai western e ai film d’autore. In questo periodo il peso di Puccini al cinema
cambia: ora sono le musiche del Maestro ad attrarre, entrando a far parte delle
colonne sonore di moltissimi film dei generi più disparati come musica extradiegetica,
dopo essere vissute sullo schermo quasi solo come musiche diegetiche: solo nel caso di
vicende che riguardano cantanti lirici, i quali intonano le arie più famose, possiamo
ascoltare le musiche pucciniane. Un espediente per utilizzare la popolarità delle
musiche come “cavallo di Troia” per conquistare il pubblico. Popolarità che viene
sfruttata anche oggi, ma in modi più sottili e variegati nelle diverse pellicole.
In tutto, i film da tenere in considerazione sarebbero quasi 200, dei quali parecchi di
difficile reperimento perché piuttosto datati (bisogna risalire ai primi anni del
Novecento per trovare le prime pellicole “pucciniane”) o mai usciti in Italia.
Inoltre è doveroso ricordare tutta una serie di espressioni ibride tra medium diversi,
che non riguardano direttamente la nostra trattazione: i film‐opera televisivi, gli
sceneggiati, gli spettacoli teatrali ripresi da telecamere e resi disponibili in home video,
documentari, cinegiornali.
Nella nostra indagine abbiamo quindi deciso di concentrarci sulle pellicole uscite sugli
italiani negli ultimi trent’anni, più o meno dal 1980 ad oggi, creando un percorso
diacronico nel quale Puccini e la sua opera sono i mezzi attraverso i quali il cinema
riflette sulla realtà e su sé stesso.
Riflette sulla realtà perché, in quanto medium, esso ha insito nel proprio Dna la
necessità di volgere lo sguardo verso il mondo fenomenico, rielaborarlo e darne una
5
visione critica da mostrare allo spettatore: il cinema, così come gli altri media, è un
trait d’union che collega la realtà all’intelligibilità umana. La pellicola è una sorta di
lente colorata attraverso il quale il regista ci spinge a guardare, in modo da poterci
mostrare la sua visione del mondo. Per farlo, egli si serve di vari strumenti audiovisivi,
e l’opera lirica, nel nostro caso quella di Puccini, è uno di questi.
Tuttavia il cinema contemporaneo, diventato maturo e consapevole delle proprie
caratteristiche intrinseche e delle proprie forze e debolezze, ha iniziato anche a
riflettere su sé stesso, entrando in una fase di crisi a livello formale: l’immagine filmica,
superata la fascinazione ingenua del raccontare storie in forma audiovisiva, ha iniziato
a guardarsi nell’ottica di uno sguardo “simulato” del mondo, ossia ha preso coscienza
del suo essere non copia di un originale (il mondo fenomenico) ma un universo
risultato di un lavoro di creazione artistica, che dà, seguendo le parole di Paolo
Bertetto, “l’impressione o l’illusione di realtà: cioè la produzione di un effetto di realtà
in assenza dell’orizzonte dei fenomeni”
5
. Il cinema crea un universo parallelo che
mantiene rapporti con la realtà, ma è altro da essa. Sostanzialmente, di nuovo con
Bertetto, «l’immagine filmica […] è una copia differenziale di una copia differenziale
senza originale»
6
: una copia di secondo livello perché al primo livello troviamo il
profilmico, il quale si presenta esso stesso come copia differenziale di un fenomeno.
Ma essendo il fenomeno, nella maggior parte dei casi
7
, immaginario, si arriva alla
conclusione di cui sopra.
Gianni Canova, nel suo L’alieno e il pipistrello, individua tre elementi principali nei quali
si esplicita il cambiamento radicale che attraversa il cinema contemporaneo:
a) a livello epistemologico, l’affermarsi del paradigma postmoderno: «la cultura
occidentale scopre con disagio che i vecchi capisaldi del progetto moderno (la
razionalità, la funzionalità, l’efficienza) funzionano male, che rischiano il
blackout, che non riescono più non solo a rappresentare il mondo e dargli una
5
P. Bertetto, Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diventato favola, p. 17.
6
Ivi, p. 31.
7
Più problematico si mostra il caso di documentari o film di fiction che mirano a ricostruire fedelmente
fatti realmente accaduti. In questi casi tuttavia sono il montaggio e altri lavori di regia rielaborano in
maniera fittizia i materiali, creando così un’interpretazione più o meno efficace del mondo immortalato.
6
forma tendenzialmente organica, ma neppure a comprenderlo e capirlo»
8
, così
crollano le grandi narrazioni ideologiche e le forme consolidate della modernità
per lasciare spazio a uno scenario di ibridazione, frammentarietà, superficialità,
euforia, omogeneizzazione degli spazi e cancellazione della storia e del futuro
in un’ottica di presentificazione del tempo
9
, nel quale l’intertestualità e la
coabitazione degli opposti sono le uniche regole ascrivibili;
b) a livello sociologico, l’affermarsi del modello postfordista: la produzione seriale
di beni di consumo durevoli riversati in un mercato pronto ad assorbire
qualsiasi mole di prodotti e l’organizzazione modulare e ripetitiva della catena
di montaggio lasciano spazio, a partire dagli anni Settanta, a un modello che si
basa sulla mobilità, l’informalità e la differenziazione estrema dei prodotti,
favorendo una produzione “just in time” che miri più che altro a creare il
consumatore più che la merce, cosa che in ambito cinematografico si traduce
da un lato nella possibilità di fruire le immagini non solo nelle classiche sale
cinematografiche ma anche in luoghi disparati (grazie allo sviluppo di nuovi
supporti come Dvd, Cd, Home video, Pay tv, ecc…), dall’altro nella necessità di
produrre film che “producano” pubblico anziché pellicole di valore, scuotendo
emotivamente lo spettatore anziché offrendogli pellicole con un senso
profondo;
c) a livello scopico, l’affermarsi del virtuale: la realtà virtuale presenta
un’ambiguità ossimorica di fondo per cui «è del tutto vera ma non lo è”»
10
,
un’ambiguità con la quale il cinema si è sempre misurato; ma con lo sviluppo
della tecnologia del computer l’immagine virtuale tende a diventare spesso
indistinguibile dall’immagine naturale come impressione, traccia di un
fenomeno che sta accadendo; la virtualità crea un mondo ex novo, che, in
ambito cinematografico, porta a una logica immersiva, grazie anche a tecniche
come il Dolby Surround e la visione in 3D, che avvolge lo spettatore fino a
inglobarlo nella narrazione.
8
G. Canova, L’alieno e il pipistrello. La crisi della forma nel cinema contemporaneo, Milano, Bompiani,
2000, p. 7.
9
G. Canova, L’alieno e il pipistrello. La crisi della forma nel cinema contemporaneo, pp. 9-13.
10
Battuta di un personaggio femminile nel film di R. Altman America oggi (1993).