2
la tendenza al realismo propria delle arti figurative da sempre
sublima a uso di un pensiero logico il "bisogno incoercibile di
esorcizzare il tempo".
Nell'epoca della riproducibilità tecnica dell'opera d'arte, "non si
crede più all'identità ontologica del modello e del ritratto ma si
ammette che questo ci aiuta a ricordarci di quello, e dunque a
salvarlo da una seconda morte spirituale. La fabbricazione
dell'immagine si è perfino liberata di ogni utilitarismo
antropocentrico. Non si tratta più della sopravvivenza dell'uomo, ma
più in generale della creazione di un universo ideale a immagine del
reale e dotato di un destino temporale autonomo".
In questo senso, come ha scritto André Malraux, “il cinema non
è che l'aspetto più evoluto del realismo plastico il cui principio
apparso verso il Rinascimento, e ha trovato l'espressione limite nella
pittura barocca” (genialmente, Bazin individua il peccato originale
nell'introduzione della prospettiva). E se la fotografia non in grado di
creare eternità, come fa l'arte, ma semplicemente di imbalsamare il
tempo, sottraendolo alla sua corruzione, il cinema appare come “il
compimento nel tempo dell'oggettività fotografica”. Il film non si
contenta più di conservare l'oggetto avvolto nel suo istante, come,
nell'ambra, il corpo intatto degli insetti di un'era trascorsa; esso libera
l'arte barocca dalla sua catalessi convulsiva. Per la prima volta,
l'immagine delle cose anche quella della loro durata e quindi la
3
mummia del cambiamento".
2
Se la fotografia immobilizza (immortala)
lo scorrere del tempo nell'immagine, il cinema ne perpetua in
maniera ripetitiva lo scorrere attraverso il flusso di immagini. E'
questa una dicotomia interna alla Settima arte, per cui il massimo del
realismo si ottiene attraverso il massimo dell'illusione ("Il fantastico
al cinema consentito solo dal realismo irresistibile dell'immagine
fotografica", sempre Bazin) e non un caso che le forme di spettacolo
che si suole considerare alla base di quella cinematografica siano il
circo e l'illusionismo (non a caso, Meliès, uno dei suoi fondatori, era
un prestigiatore).
Fin dalle origini il cinema ha portato quindi allo scoperto
questa sua apparente contraddizione, mostrando il funzionamento
della macchina, scoprendo l'inganno, rivelando il trucco. I film
selezionati e che andremo ad analizzare nel nostro studio, danno uno
spaccato in grado di illustrare in che modo il cinema, nel corso degli
ultimi 50 anni, ha ragionato su stesso, sui meccanismi che lo regolano
e sulla sua duplice natura di prodotto estetico e commerciale. Fin
dagli esordi, Il cinematografo, effettivamente, nasce proprio come
fenomeno di intrattenimento per le masse e al suo interno le
intenzioni artistiche devono convivere con le necessità economiche.
La critica cinematografica tende solitamente a tralasciare o a
mettere in secondo piano questo fattore, concentrando la propria
attenzione sullo studio dell'opera in sé, come si trattasse di un
2
REISZ – Karel, La tecnica del montaggio cinematografico, Lindau, Torino, 2000, p
40.
4
qualcosa di astratto, puro e semplice frutto della creatività di uno o
più autori. E la stessa cosa fa il pubblico, raramente a conoscenza dei
dietro le quinte.
Ma le due componenti sono inestricabilmente legate e questo
lavoro di analisi si propone di far comprendere meglio attraverso
quali passi si arrivi all'opera compiuta (motivazioni, elaborazione in
fase di sceneggiatura, casting, etc.) e, in secondo luogo, in che modo
la sua sorte sia legata a una serie di circostanze pratiche (vicissitudini
produttive, doppiaggio, distribuzione, etc.) che, in alcuni casi, ne
determinano a priori la riuscita o il fallimento.
3
3
VANOYE – Francis e Goliot Lete Anne, Introduzione all'analisi del film, Lindau, Torino, 1998, p. 31
5
CAPITOLO I
1.1 Segni e linguaggio cinematografico. Che cos’è il
metacinema?
“Metacinema è termine che si accoglie a significare quel cinema
che, consapevole di sé e del proprio linguaggio, delle proprie
strutture e dei propri stili, dei propri meccanismi produttivi ed
economici e della propria storia, decida di esibire se stesso, di dare
rappresentazione del cinema stesso mettendosi in scena in quanto
oggetto del mostrare. Diversamente dalla fruizione tipica del cinema
classico hollywoodiano, diversamente da quella dedita al consumo
del cinema moderno, il contemporaneo spettacolo cinematografico,
soprattutto, esige una diversa partecipazione, una croyance
qualitativamente inedita, di fatto metacinematografica.
Una partecipazione, quella richiesta dal metacinema, che pare
diversa, da quella virginale e attonita richiesta dal famoso treno dei
Lumière, che per la prima volta era lì, e sembrava far irruzione in
sala
4
”.
4
SPANU - Massimiliano, Questo film non è una pipa, in Segnocinema, n°108, 2001, Cineforum di
Vicenza, p.19.
6
Edgar Morin, nel suo il cinema o l’uomo immaginario, scrive che il
cinematografo è diventato cinema affrontando la via narrativa
5
.
Christian Metz, autore del testo di base sulla semiologia del cinema,
riprende questo concetto sviluppando la sua teoria e analisi sul
cinema in base alla distinzione tra una narrativa lineare, una
complessa, e un ripiegamento della narrativa su se stessa in cui, per
parlarne in termini strettamente strutturalisti, la supposta parole, il
film, diventa oggetto della langue, il cinema
6
.
Con l’avvento del film sul film, come era successo già nel teatro
e nella letteratura che rivolgono lo sguardo su se stesse e sulle
dinamiche del proprio milieu, si assiste ad una moltiplicazione di
funzioni del prodotto cinematografico, e ad una rivoluzione
copernicana obbligata della funzione del destinatario del messaggio
da parte degli autori: il film autocosciente mette in gioco il diritto
all’autoinclusione non solo rispetto al medium, ma rispetto alla
totalità della struttura narrativa
7
, e dunque lo spettatore si ritrova
catapultato nella vecchia sensazione di aver scoperto il burattinaio
sotto la tenda del teatrino, nel ruolo di chi spia da un enorme buco
della serratura, coinvolto nella seduzione della settima arte che lo
chiama a opinare, quando non giudicare, conoscendo direttamente i
vizi, le virtù e la trama segreta del prodotto.
“Di fronte alla de-realizzazione del mondo, la sua riduzione a
immagine vuota nel contesto della società dello spettacolo, il cinema
5
MORIN - Edgar, Il cinema o l’uomo immaginario, Feltrinelli, Milano, 1982.
6
METZ - Christian, Semiologia del cinema, Garzanti, Milano, 1972.
7
CHATMAN - Seymour, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film, Il Saggiatore,
Milano, 2003, pp. 272-293.
7
sul cinema, il metacinema, diventa l’unica forma onesta di
(de)mistificazione di questa realtà”. Anche Bruno, grazie al
dispositivo metacinematografico, sottolinea il passaggio dall’opera
all’operazione. “Ogni film si autorizza da sé. L’operazione è la verità
dell’opera: alla critica impressionista che perde tempo a giudicare
l’opera, il metacritico oppone la descrizione del meccanismo messo in
atto dall’autore
8
”.
Il metacinema è quindi un sistema di segni complesso, in cui
assistiamo, secondo la proposta teorica di Barthes
9
, ad un abito scritto
che rivela il linguaggio ad esso sotteso: l’esplicitazione degli atti
comunicativi e il disvelamento continuo del significante sono nella
scelta dei temi e delle tecniche della narrazione filmica. A partire dal
soggetto, che di preferenza è interno al mondo del cinema, l’avatar
testuale
10
, fino alla sceneggiatura e ai dialoghi, che segue molto
spesso un’idea di stream of consciousness dei
personaggi/attori/persone reali; per il montaggio vale poi un
discorso a parte perché, in quanto occhio selettivo naturale autoriale,
segue, come vedremo, regole diverse di volta in volta, a seconda del
messaggio da comunicare
11
.
A questo punto, per chiarire meglio la struttura e la funzione
del metacinema, torniamo quindi al fruitore del messaggio, al
8
BRUNO – Marcello Walter, I giochi proibiti, in Segnocinema, 1990, n° 44, Cineforum di Vicenza, p. 4.
9
BARTHES - Roland, Sistema della moda, Einaudi, Torino, 1991; R. Barthes, L’impero dei segni,
Einaudi, Torino, 1984.
10
LANDOWSKI - Eric, La società riflessa, Meltemi, Roma, 1999.
11
MURCH - Walter, In un batter d’occhi. Una teoria del montaggio cinematografico, Lindau, Roma,
2000.
8
cosiddetto narratario, lo spettatore, utilizzando una metafora ricca
qual è quella offerta dalla semiotica interpretativa di Umberto Eco
12
:
il testo e il linguaggio metafilmico hanno la funzione di svegliare la
macchina pigra del testo, visto che la suddetta pigrizia del testo
normalmente sta nel fatto che il senso di un testo sia forgiato solo in
parte dalle strutture o dai percorsi di senso potenziali costruiti
dall'emittente, mentre un ruolo fondamentale viene svolto dal
fruitore/spettatore, senza il cui intervento il senso resterebbe lettera
muta. La costruzione del senso di un testo secondo queste linee
interpretative si gioca quindi nel processo dialettico che coinvolge le
strutture retorico-testuali e le strategie di interpretazione del
destinatario del messaggio.
Secondo Metz qualunque film è potenzialmente un metafilm,
perché in qualsiasi momento l’incantesimo narrativo che coinvolge lo
spettatore può spezzarsi, “mostrando il dispositivo”
13
.
“Se la fotografia immobilizza (‘immortala’) lo scorrere del tempo
nell'immagine, il cinema ne perpetua in maniera ripetitiva lo scorrere attraverso
il flusso di immagini. E’ questa una dicotomia interna alla Settima arte, per cui il
massimo del realismo si ottiene attraverso il massimo dell'illusione (‘Il fantastico
al cinema consentito solo dal realismo irresistibile dell'immagine fotografica’,
sostiene Bazin) e non è un caso che le forme di spettacolo che si suole considerare
12
ECO - Umberto, Lector in fabula, Bompiani, Milano, 1979.
13
METZ - Christian, Semiologia del cinema, cit., pp. 70-116.
9
alla base di quella cinematografica siano il circo e l'illusionismo (non a caso,
Meliés, uno dei suoi fondatori, era un prestigiatore)
14
”.
E non a caso, aggiungiamo noi, due grandi autori, Welles e
Fellini, che nel corso della loro vita artistica si sono cimentati con il
metafilmico, hanno ripreso la metafora dell’illusionista e moltiplicato
i giochi sul vero/falso/verosimile fino a farne struttura stessa del
proprio linguaggio cinematografico.
Nel momento in cui un autore decide di mettere in campo la
propria storia, la propria non-storia, o addirittura rende filmico un
fallimento o un’insofferenza verso il prodotto filmico o lo spettatore
stesso, assistiamo ad un punto cruciale di autoriflessione del
linguaggio cinematografico, che rischia dunque di sfatare il mito del
racconto, della magia del cinema. Il metacinema ricontratta e a volte
scardina dunque il patto narrativo tradizionale con il
destinatario/fruitore/spettatore, molto spesso a spese della
spendibilità commerciale dell’opera: “La partecipazione dello
spettatore contemporaneo, oggi, si reggerebbe postmodernamente su
un feroce voler credere, su un voler assistere più che partecipare, su
una fruizione quasi pornografica e su un desiderio che coinvolga
tenendo a distanza
15
”. Perché dunque il metacinema, o segni
metafilmici ridondanti in un film narrativamente e tecnicamente
14
STELLINO - Alessandro, Il cinema racconta il cinema, intervento all’interno della rassegna “Il cinema
nel cinema”, Teatro delle Biglie, Milano, 2005.
15
SPANU – Massimiliano, Questo film non è una pipa, in Segnocinema, 2001, n°108, Cineforum di
Vicenza, p. 20.
10
classico, diventa urgenza di quasi tutti i grandi autori? A quale
domanda interna al mondo della settima arte risponde l’esigenza del
film sul film?