4
Nel processo valutativo, la figura dell’assistente sociale è una delle più importanti e centrali,
sia che essa debba valutare situazioni che coinvolgono persone, sia che debba valutare
servizi, le stesse politiche sociali in ambito locale come pure in ambito più vasto, pertanto
deve avere un approccio professionale ispirato dagli stessi fini e criteri (2.2).
L’assistente sociale deve però essere messo in guardia dai problemi che, alcune volte,
insorgono durante la valutazione, soprattutto se di un caso specifico. Spesso le relazioni che
si instaurano tra il valutato e il valutatore possono essere asimmetriche o addirittura opposte
e a rischio di “vissuti difensivi e di pregiudizi” (2.2.1)
Esistono alcuni strumenti che, dal punto di vista psicologico, possono sostenere l’operatore
nel processo valutativo, affinché esso mantenga le caratteristiche fondamentali di
apprendimento e di miglioramento: il contratto collaborativo, la supervisione, il lavoro di
équipe (2.2.2) De Ambrogio, sulla base della propria esperienza, suggerisce 5 principi da
applicare ai processi di valutazione dell’assistente sociale, i quali consentono di impostare in
modo corretto metodologie e strumenti e di realizzare valutazioni attendibili ed efficaci in
un rapporto di correttezza tra i diversi attori coinvolti (2.3).
Nel 3 capitolo, dopo una breve storia della valutazione (3.1), si riportano fedelmente le
definizioni di valutazione elaborate da vari autori italiani e stranieri, ritenuti esperti in
materia.(3.2). Entrando più nello specifico della valutazione, cioè nel campo della
valutazione, si è fatto riferimento: alle fasi valutative (valutazione “ex ante”, in itinere, ed
“ex post”), ai criteri per esprimere giudizi (rilevanza, coerenza, efficacia, efficienza), agli
attori (stakeholders) (par. 3.3)
Stame, approfondisce tre approcci teorici alla valutazione applicata alle politiche e ai servizi
del welfare: approccio sperimentale, approccio pragmatista, approccio costruttivista. (par.
3.4)
In seguito, si è fatto riferimento alla valutazione partecipata in quanto è un argomento ormai
molto dibattuto dalle leggi di settore e costituisce lo strumento privilegiato nell’indagine
sociale per la valutazione dei minori segnalati dall’autorità giudiziaria.
Per «partecipazione» si intende che tutti gli attori devono essere coinvolti in maniera attiva
in tutte le fasi della programmazione, gestione, e valutazione di un servizio (3.4.1).
5
Successivamente, si è ritenuto necessario indicare alcune linee guida per effettuare una
valutazione efficace (3.5) e riportare i passaggi metodologici (11 fasi), utili per costruire un
disegno di valutazione, che De Ambrogio suggerisce dopo averli sperimentati con
soddisfazione e successo in molte esperienze di valutazione con assistenti sociali, sia sul
singolo caso che su una politica. Ciascun passaggio è corredato da un semplice esempio,
relativo ad un progetto su un anziano in assistenza domiciliare, per agevolare la
comprensione del disegno (3.5.1).
Nella costruzione del disegno di valutazione, la scelta dei diversi strumenti, ritenuti più
efficaci e meno costosi, ha una grande importanza per il reperimento dei dati. Essi sono: i
questionari, le scale, le interviste, l’osservazione diretta, i focus group, gli indicatori sociali.
(3.5.2)
Nel 4 capitolo, si è pensato di analizzare due casi relativi ad esperienze svolte, in ambito
professionale, da assistenti sociali, impegnati nel campo della valutazione, quali: la ricerca
partecipata svolta dal CBM (Centro Bambino Maltrattato) di Milano in collaborazione con
l’IRS (Istituto per la ricerca sociale), finalizzata ad offrire agli assistenti sociali strumenti e
metodi per valutare i casi attraverso l’indagine sociale richiesta dall’autorità giudiziaria
(4.1); l’esperienza relativa alla supervisione, che ha visto coinvolti cento assistenti sociali
del Comune di Firenze, suddivisi in nove gruppi, condotti da cinque supervisori (4.2).
6
CAPITOLO 1 IL SERVIZIO SOCIALE: TAPPE EVOLUTIVE E
FUNZIONE VALUTATIVA.
1.1 DEFINIZIONE DI SERVIZIO SOCIALE
Fino agli anni Cinquanta per servizio sociale si intende, generalmente, il lavoro
professionale svolto dall’assistente sociale.
Il termine servizio sociale, che deriva dall’inglese social work cioè “lavoro sociale”, infatti
quando appare in Italia, nella letteratura nell’immediato dopoguerra, designa l’attività
soprattutto volontaria, ma anche professionale, intesa a sostenere le persone in stato di
bisogno con aiuti materiali e morali secondo tecniche e modalità proprie.
Negli Stati Uniti il social work, già presente fino alla metà dell’Ottocento, pone l’accento
principalmente sull’attività diretta ad aiutare gli individui e gruppi ai fini di un loro
soddisfacente adattamento all’ambiente.
Nel I Congresso internazionale di servizio sociale, svoltosi a Parigi nel 1928, il termine
“servizio sociale” viene assunto con lo stesso significato di assistenza.
Il termine “assistente sociale” per designare il professionista che svolge funzioni di servizio
sociale inizierà ad essere utilizzato, in Italia, dopo il Convegno di Tremezzo (1946).
Mazza, sostiene che tale Convegno segnò una data importante sia per la discussione che
veniva portata, per la prima volta, sul servizio sociale sia per le iniziative di carattere teorico,
pratico ed organizzativo che da esso trassero origine.
1
Intorno agli anni ’60, questo termine comincia ad assumere un significato estensivo
definendo, oltre all’attività professionale dell’assistente sociale, anche l’insieme delle
prestazioni, delle istituzioni e delle attrezzature che la società organizzata mette a
disposizione delle esigenze dei bisogni dei cittadini per la loro crescita individuale e sociale.
In questo periodo, infatti, si ha una produzione legislativa che, sia pure frammentaria,
contiene elementi innovativi sul piano della generalizzazione dei servizi (es. la scuola media
obbligatoria); si avverte l’esigenza del metodo di programmazione come strumento
indispensabile per garantire prestazioni adeguate e generalizzate per tutti i cittadini; si
afferma il diritto ad usufruire di servizi pubblici (es. gli asilo nido).
Alla fine degli anni ’60 l’attenzione dei gruppi e movimenti si rivolge non solo alla
1
R. Mazza, “In modi della storia, gli spazi della prassi”, in M. A Toscano, “Introduzione al servizio sociale”,
Laterza, Roma 1996, pag. 68
7
“quantità” dei servizi, ma anche alla loro “qualità”. Si comincia a parlare di servizi aperti
che offrano prestazioni qualificate a domicilio dello stesso utente, o in ambulatorio, o in
ricoveri diurni (day hospital).
La prassi normale per la risposta ai principali bisogni sociali, mancanza di nucleo familiare,
situazione di vecchiaia, condizione di handicap fisico e psichico, comportamento asociale,
era rappresentata, quasi esclusivamente, da forme di segregazione: istituto, case di riposo,
ospedale psichiatrico, case di rieducazione.
Fra le condizioni che hanno contribuito a determinare una inversione di tendenza possiamo
ricordare:
2
1. I risultati di alcuni studi e ricerche relativi all’istituzionalizzazione;
2. La consapevolezza della necessità di prestazioni a carattere diagnostico-preventivo;
3. L’esigenza del contenimento dei costi.
A partire dai primi anni 80, si assiste ad un risveglio e ad una proliferazione di idee, di testi
e di ricerche specifiche, che vede l’affermazione di un’ottica unitaria, globale e integrata, sia
nel sistema di lettura dei “fatti”, sia nelle fasi della presa in carico di situazioni
problematiche, sia nelle procedure e pratiche d’intervento.
3
Le prime pubblicazioni sulla metodologia del servizio sociale appaiono, nel nostro Paese, a
metà degli anni 80; in particolare le riflessioni si orientano sull’analisi del processo di aiuto
4
alla persona. Alla nascita del servizio sociale negli Stati Uniti, le fasi del processo di aiuto
erano 3: studio, diagnosi, trattamento.
Secondo Dal Pra Ponticelli, il servizio sociale, nei primi anni del novecento, cercando di
elaborare una modalità operativa che avesse validità scientifica, utilizzò soprattutto il
“modello metodologico medico”. Il disagio era letto come patologia o disfunzione da
eliminare.
Successivamente a questo modello, se ne è sostituito nel tempo un altro, più complesso,
definito “processuale”.
5
In questo nuovo modello, l’utente non è più identificato come soggetto ammalato o
2
R. Masini, Lia Sanicola, Avviamento al servizio sociale, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994, pp 55-57
3
R. Mazza, “In modi della storia, gli spazi della prassi”, in M. A Toscano, “Introduzione al servizio sociale”,
Laterza, Roma 1996, pag. 79
4
Per un approfondimento su questo tema si veda il testo di R. Mazza, Il processo di aiuto nel servizio sociale,
Pacini Fazzi, Lucca 1991.
5
Dal Pra Ponticelli M., Pieroni G., Introduzione al servizio sociale, Carocci, Roma 2005 pp 162-163
8
disadattato, le cui difficoltà possono essere diagnosticate, trattate e risolte solo dalla
competenza tecnica di un professionista.
La relazione operatore/utente viene presentata come il mezzo attraverso il quale l’operatore
aiuta la persona a identificare i propri problemi, a dar loro un senso e un significato
condiviso, per individuare obiettivi, strategie e modalità operative per migliorare la
situazione.
6
In questo modello le fasi del processo di aiuto diventano 4 e non si parla più di diagnosi,
7
ma di valutazione
8
e recentemente di assessment
9
o di bilancio sociale.
10
Un tema centrale nel processo di aiuto, metodo di lavoro del servizio sociale, è rappresentato
dalla valutazione. La valutazione è un processo continuo che accompagna tutto lo sviluppo
dei percorsi di aiuto, anche se assume nelle diverse fasi finalità differenti, di cui è possibile
indicarne almeno 3:
1. in fase di accoglienza della richiesta, la valutazione è necessaria per decidere l’eventuale
presa in carico;
2. quando sono stati raccolti gli elementi necessari, un’attenta valutazione è alla base della
costruzione di un progetto di intervento;
3. durante la realizzazione del progetto e nella sua fase conclusiva, è fondamentale per
comprendere se si stanno raggiungendo gli obiettivi e/o se è utile ripensare al progetto.
11
6
Ugo De Ambrogio, Teresa Bertotti, Francesca Merlini, L’assistente sociale e la valutazione. Esperienze e
strumenti, Carocci, Roma 2007, pag. 116
7
Diagnosi: dal greco diagnosis, composto di dia “attraverso” e gnosis “conoscenza”. Il termine rimanda a un
sapere scientifico di tipo medico, ad esempio, si legge che la diagnosi “è una distinzione che il medico deve
fare tra le diverse malattie delle quali il malato presenta alcuni sintomi: analisi, di conseguenza, delle analogie
e dei caratteri differenziali” Essa è pertanto, un processo attraverso il quale si cerca di vedere se una cosa c’è o
non c’è (la patologia).
8
Valutazione: Solo recentemente ci siamo abituati nel settore sociale a valutare e ad utilizzare il termine
valutazione, che fino a poco tempo fa era sostituito con termini come verifica o controllo. Valutazione
etimologicamente viene da valuto, antico participio passato del verbo latino valere: “dare valere”. Verifica
viene dal latino verificare: “far vero”, prevede il fatto di accertare se un risultato atteso è stato raggiunto. La
verifica e il controllo sono azioni statiche finalizzate ad accertare qualcosa di stabilito a priori, la valutazione è
un processo dinamico, finalizzato a “costruire correggendo”.
9
Assessment: Termine dall’uso piuttosto ambiguo e differenziato fra diversi autori (anche anglofoni). In alcuni
casi è considerato un sinonimo di ‘valutazione’ (per es. Glossario Means 1999, pag. 17), in altri casi è riferito
solo a sue parti ovvero utilizzato in contesti specifici(generalmente la valutazione del personale).
Il termine «assessment» si riferisce alla raccolta di informazioni e all’analisi effettuata dall’operatore sociale
rispetto alla situazione di una singola persona o di una famiglia e significa “valutazione” e “accertamento” di
fatti e situazioni in vista di un giudizio discrezionale e di una successiva presa di decisione ponderata (Merlini,
Bertotti e Filippini, 2007, 117). La definizione suddetta è tratta dal Glossario elaborato da Claudio Bezzi
(2007). Per una disamina chiara e approfondita sul tema suddetto, si consiglia il testo di Judith Milner, e
Patrick O' Byrne, dal titolo “L’assessment nei servizi sociali. La valutazione iniziale negli interventi di aiuto e
controllo”, Erickson, Trento 2005
10
Il bilancio sociale: riguarda solo organizzazioni (aziende, istituzioni, enti pubblici) e non programmi e
progetti.
11
Ugo De Ambrogio, Teresa Bertotti, Francesca Merlini, L’assistente sociale e la valutazione. Esperienze e