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INTRODUZIONE
de la Parada, una palazzina di caccia di Filippo IV di Spagna, commissionata a
Rubens nell’ultima decade della sua vita. Si tratta di una serie di pitture dedicate a
soggetti mitologici, prevalentemente ovidiani, di cui ci sono pervenuti gli schizzi
preparatori della maggior parte delle pitture.
Nel 1972 ha scritto un articolo a quattro mani con Paul Alpers, dal titolo Ut
picture noesis? Criticism in literary studies and Art History,
4
che in qualche modo
confronta la critica letteraria e la critica d’arte. Tracciare analogie tra pittura e poesia
è stata una lunga e augusta tradizione nell’Occidente (ut pictura poësis, pittura come
poesia muta e viceversa, questione del paragone) ma la dicotomia tra linguaggio e
immagini pittoriche è irriducibile. Le arti visuali non sono l’equivalente di
affermazioni verbali, ma oggetti fisici che possono essere letti in uno sguardo.
Nell’orizzonte dell’attuale marcata specializzazione nel campo degli studi umanistici,
raramente gli studenti di letteratura sono consapevoli dei problemi dello scrivere
critica d’arte.
Nel 1976 ha pubblicato un articolo dal titolo Describe or narrate? A problem in
5
realistic representation che esamina le occorrenze della descrizione, piuttosto che
del prevalente convenzionale interesse per azione e narrazione, nelle pitture di alcuni
artisti del diciassettesimo secolo – Caravaggio, Velázquez, Rembrandt, Vermeer e
dei realisti francesi del diciannovesimo – Courbet e Manet (con alcuni paralleli
anche con la letteratura novecentesca).
Nel 1977 è apparso su Dedalus un importante articolo metodologico della Alpers,
Is art history?, che ripercorrendo i principali nomi e le opere cardine della storia
della critica della disciplina riflette sulla validità degli approcci alle opere d’arte.
6
Nel 1979 è stato edito un volume, The concept of style, in cui analizzando lo stile
nelle arti individuali e nelle sue caratteristiche generali, dieci pensatori di varie
discipline accademiche discutono il concetto di stile dai loro distinti punti di vista. La
Alpers vi partecipa con un interessantissimo saggio intitolato Style is what you make
7
it: the visual arts once again.
Nel 1983 la Alpers ha cofondato, con altri professori della Barkeley, il giornale
interdisciplinare Representation, pubblicando il suo articolo “Interpretazione senza
rappresentazione, ovvero guardando Las Meninas,” sul primo numero.
8
La Alpers
prende le mosse da Foucault per criticare alcune premesse del lavoro di Panofsky e
Gombrich. Nella sua opinione, Velázquez riesce ad armonizzare nel suo strepitoso,
ambiguo dipinto, i due modi di rappresentare la storia e la realtà che avevano
dominato la pittura moderna europea, vale a dire la costruzione albertiana, usata non
solo dagli artisti italiani, ma anche, fra gli altri, da Dürer e da Rubens, e l’arte del
descrivere (più aperta e non limitata dai confini della cornice) tipica della pittura
olandese.
Lo stesso anno ha pubblicato il primo dei suoi grandi libri di rottura nella storia
dell’arte, Arte del descrivere: l’arte olandese del diciassettesimo secolo.
9
Tesi
4
SVETLANA ALPERS E PAUL ALPERS,Ut picture noesis? Criticism in literary studies and art history, New Literary History, III,
n. 3, 1972, pp. 437458
5
SVETLANA ALPERS, Describe or narrate? A problem in realistic representation, in “New literary history”, VIII, 197677, pp.
1541 (d’ora in avanti Describe or narrate?)
6
SVETLANA ALPERS, Is art history?, in “Daedalus”, CVI, n. 3, 1977, pp. 113
7
SVETLANA ALPERS, Style is what you make it: the visual arts once again, in The Concept of Style, edited by Berel Lang,
University of Pennsylvania Press, 1979, pp. 95117 (d’ora in avanti Style is what you make it)
8
SVETLANA ALPERS, Interpretation without representation, or the viewing of Las Meninas, in “Representations”, I, n. 1, 1983,
pp. 3142 (trad. it. in Las Meninas. Velázquez, Focoult e l’enigma della rappresentazione, a cura di Alessandro Nova, Il
Saggiatore, Milano, 1997, pp. 89106 [d’ora in avanti Interpretazione senza rappresentazione, ovvero guardando Las Meninas])
9
SVETLANA ALPERS, The Art of Describing: Dutch Art in the Seventeenth Century, Chicago, University of Chicago Press, 1983
(trad. it. Arte del descrivere. Scienza e pittura nel Seicento olandese, Torino, Borghieri Editore, 1984 [d’ora in avanti Arte del
descrivere]).
4
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INTRODUZIONE
principale del libro è che le pitture olandesi di quel periodo, nella loro apparente
preoccupazione per la descrizione di interni e scene domestiche, furono
fondamentalmente differenti nel carattere dalla pittura italiana contemporanea, con i
suoi ritratti narrativi di eventi, tipicamente tratti dalla mitologia classica o dalla
Bibbia. La Alpers sostiene che le pitture descrittive olandesi non dovrebbero essere
soggette a metodi analitici e critici, come l’iconografia di Panofsky, che è stata
sviluppata per essere usata nell’interpretazione delle immagini narrative della pittura
italiana. In particolare si oppone ad un metodo usato dai recenti studiosi di pittura
olandese, gli emblematisti. La Alpers sostiene le sue principali asserzioni –che le
pitture olandesi, e la sensibilità visiva nazionale che contengono, furono descrittive
piuttosto che narrative con una affascinante esposizione di idee e dati selezionati da
molti campi differenti, inclusi l’ottica, la teoria prospettica e la cartografia. Il libro è
stato in generale acclamato per il respiro della sua erudizione e per i brillanti
approfondimenti della Alpers su individuali opere d’arte, ma è stato criticato per il
suo presunto uso selettivo dell’evidenza impiegando solo informazioni che
supportano le sue teorie.
Nel suo libro successivo, Rembrandt’s enterpise (1988)
10
, la Alpers restringe la
sua attenzione sulla carriera di un artista, che è stato a lungo al centro dell’attenzione
a causa del riassestamento, e in alcuni casi, riattribuzione, di molte delle sue più
famose pitture da parte del Rembrandt Research Project. Ma lontano da essere una
tradizionale monografia sullo sviluppo dello stile o l’uso di soggetti di un artista, il
libro della Alpers su Rembrandt investiga le strategie che lui impiegò per vendere la
sua arte. Questo esame di una figura culturalmente venerata in termini economici ha
sollevato molte spiacevoli recensioni.
Nel 1994, la Alpers insieme con Michael Baxandall, un collega storico dell’arte,
anche lui membro dell’università di Barkeley, ha prodotto un libro che fu un tipo di
avventura molto differente per entrambi. In Tiepolo e l’intelligenza figurativa,
11
i due
autori sono impegnati in un ravvicinato esame delle principali caratteristiche della
pittura di Tiepolo, incluso il suo non convenzionale uso dello spazio pittorico e
ritratto del soggetto, e analizzano i suoi disegni e pratica pittorica allo scopo di
mostrare come ciò si relaziona al suo processo inventivo. Un terzo del libro è
dedicato al grande affresco Apollo e i quattro continenti nello Scalone d’onore della
residenza di Würzburg, e alla sua stimolante ambientazione. Il libro è stato molto
favorevolmente recensito da critici che sembrano piuttosto sollevati dal fatto che la
Alpers e Baxandall hanno evitato problemi controversi e scritto ciò che equivale ad
una celebrazione degli opulenti affreschi di Tiepolo.
L’anno successivo la Alpers ha pubblicato The Making of Rubens
12
, a cui stava
lavorando ad intermittenza dagli anni ‘80. In tre capitoli strettamente legati l’autrice
esamina la visione politica di Rubens come riflessa nei sui dipinti ad olio di un
festival contadino, The Kermis; discute la ricezione delle opere di Rubens nel
diciassettesimo e diciottesimo secolo in Francia; e propone che la grassa, ubriaca
figura del Sileno baccante che appare in parecchie delle pitture e dei disegni
dell’artista è il simbolo di Rubens per l’abbandono creativo estatico.
10
SVETLANA ALPERS, Rembrandt’s Enterprise. The Studio and the Market, Oxford & Chicago, University of Chicago Press,
1988 (trad. it. L’officina di Rembrandt. L’atelier e il mercato, Torino, Giulio Einaudi editore, 1990 [d’ora in avanti L’officina di
Rembrandt]).
11
SVETLANA ALPERS E MICHAEL BAXANDALL, Tiepolo and the Pictorial Intelligence, London & New Haven, Yale University
Press, 1994 (trad. it. Tiepolo e l’intelligenza figurativa, Torino, Einaudi, 1995 [d’ora in avanti Tiepolo]).
12
SVETLANA ALPERS, The Making of Rubens, New Haven, Yale University Press, 1995 (d’ora in avanti The Making of Rubens).
5
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INTRODUZIONE
Nel 2005 la Alpers ha pubblicato il suo ultimo libro chiamato The Vexations of
13
Art. Esso copre figure diverse come Rembrandt, Rubens, Velázquez e Manet. Nella
prima parte del libro, l’autrice focalizza l’attenzione sul tema dello studio; nella
seconda parte guarda a quella che chiama la “pittura pacifica” o i modi in cui la
pittura dei maestri olandesi e di Velázquez conoscono la guerra e la rivalità; il
capitolo finale offre un racconto completamente nuovo delle Filatrici di Velázquez,
una pittura che è stata eclissata dall’attenzione posta all’enigmatica Las Meninas. La
Alpers si concentra sull’arte del XVII secolo ma guarda anche indietro ed oltre
questo secolo. Considera Velázquez come curatore delle collezioni reali spagnole,
che inclusero molte opere dei suoi ammirati predecessori Tiziano e Rubens.
Velázquez ricorda anche Manet e la Alpers analizza l’analogia tra i due pittori. Si
tratta di un libro altamente originale, che riprende le riflessioni della Alpers su certe
tradizioni della pittura europea.
Nel 2007 ha collaborato con James Hyde e Barney Kulak, all’edizione del
catalogo di una mostra che si è tenuta nel 2008, Painting then for now: fragments of
Tiepolo from the Ca’ Dolfin.
14
Attraverso nove stampe fotografiche, i tre autori
riscoprono un ciclo di tele di Gianbattista Tiepolo, con scene di battaglie e trionfi
romani, ora al Metropolitan Museum of Art di New York. Ingrandite le fotografie ci
portano in profondità nella pratica pittorica di Tiepolo, rivelandone i pigmenti,
l’impasto, le onde della tela e minuzie non visibili ad occhio nudo. Il libro mischia
insieme le discipline contigue della storia dell’arte, la pittura e la fotografia per
considerare l’atto di guardare alla pittura come una pratica creativa.
By creating autonomous works of art of real interest, Alpers, Hyde and Kulok reveal much about
how look at visual art.
15
Come guardare alle arti visuali è un po’ il motivo generatore di tutto il lavoro
della Alpers. Nella sua visione la storiografia artistica, incluso l’insegnamento e la
scrittura della storia dell’arte oggi, rimane legata a schemi di lettura e strumenti
ermeneutici creati per accostare l’arte del Rinascimento italiano. Per questo come
scrittrice tenta di demolire un particolare discorso storicoartistico istituzionalizzato,
le cui categorie e procedure introdussero una inconscia preferenza in favore dell’arte
italiana e come docente di storia dell’arte tenta di educare i suoi studenti ad
affrontare le peculiarità specifiche degli oggetti artistici.
“What’s important is the look of the thing. This is not a verbal artefact, it’s a pictorial artefact, and
words are secondary to the look of it”, Alpers says.
16
Nelle Conclusioni, dopo un’imprescindibile anche se scarna premessa sulla storia
dell’arte e i suoi metodi, si tenta di inquadrare la personalità critica della Alpers
attraverso la ricezione –non sempre positiva del suoi lavori, il riferimento ad alcune
etichette che le sono frequentemente associate, quali “new art history” e “visual
culture” e le sue stesse affermazioni a riguardo di alcuni temi particolarmente
significativi per la disciplina, quali finestra e superficie, descrizione e narrazione,
stile, museo, studio, concetto di influenza.
13
SVETLANA ALPERS, The Vexations of Art. Velázquez and Others, New Haven & London, Yale University Press, 2005 (d’ora
in avanti The Vexations of Art).
14
SVETLANA ALPERS E JAMES HYDE E BARNEY KULAK, Painting then for �ow: fragments of Tiepolo from the Ca’ Dolfin,
David Krut Publishing, New York, 2007
15
DAVID CARRIER, Review to Painting then for �ow: fragments of Tiepolo from the Ca’ Dolfin, 2007,
http://www.artcritical.com/carrier/DCTtiepolo.htm
16
BLAKE GOPNIK, The keen art insight of Svetlana Alpers: it’s all on surface, 2005
6
1. Arte del descrivere. Scienza e pittura nel Seicento
olandese
Introduzione
Lo studio dell’arte e della sua storia è stato condizionato in misura rilevante dallo studio dell’arte
italiana. […] L’arte italiana e la sua evocazione retorica hanno non solo plasmato la grande
tradizione dell’arte occidentale, ma hanno anche condizionato lo studio delle sue opere. Nel
riferirmi all’idea di arte del Rinascimento italiano, ho in mente la definizione albertiana di quadro:
una superficie o una tavola incorniciata, posta ad una certa distanza da un osservatore che guarda,
attraverso di essa, un mondo altro o sostitutivo. Nel Rinascimento questo mondo era un
palcoscenico su cui figure umane recitavano azioni significanti basate su testi di poeti. È un’arte
narrativa. E l’onnipresente principio dell’ut pictura poësis era chiamato in causa per spiegare e
legittimare le immagini attraverso il loro rapporto con testi preesistenti e consacrati. […] la
definizione di quadro a cui ho accennato è quella che gli artisti diffusero e che venne infine
adottata nei programmi delle accademie. […] Fu inoltre la tradizione che produsse il Vasari, il
primo storico dell’arte, e il primo autore a intendere la storia dell’arte come un genere letterario
autonomo. Un gran numero di artisti e il nucleo più cospicuo della letteratura artistica vanno
compresi alla luce di questo primato italiano. Da quando la storia dell’arte è diventata una
disciplina accademica istituzionale, le principali metodologie critiche con le quali abbiamo
imparato a guardare e a interpretare le immagini pittoriche – il puro visibilismo di Wölfflin e
l’iconologia di Panofsky – si sono sviluppate in rapporto alla tradizione italiana.
Il posto decisivo che l’arte italiana occupa sia nella tradizione artistica sia nella letteratura intorno
ad essa, dimostra la difficoltà di trovare un linguaggio adatto per trattare immagini non conformi a
questo modello.
17
Alois Riegl, Otto Pächt, Michael Baxandall e Michael Fried, malgrado le loro
differenze, hanno avvertito la necessità di trovare un nuovo modo per affrontare
determinati gruppi di immagini, riconoscendo almeno in parte la loro diversità dai
canoni dell’arte italiana. Il libro si inserisce in questo filone che tenta di restituire gli
strumenti interpretativi e valutativi usati dai contemporanei.
L’arte olandese del Seicento va intesa come un’arte descrittiva e non narrativa.
L’interesse centrale dell’arte italiana per la rappresentazione del corpo umano si
contrappone all’interesse nordico per la rappresentazione esatta e non selettiva della
natura.
Il problema è complicato dal fatto che, a differenza dell’arte italiana, quella nordica non offre
molte vie di accesso discorsive. Essa non fornì lo spunto a una propria letteratura critica. […] è
vero che nel Seicento il linguaggio e i testi italiani avevano permeato l’Europa del Nord ed erano
anche stati adottati da alcuni artisti e scrittori. Ma in questo modo si creò una frattura fra l’arte
come era prodotta al Nord (per lo più da artigiani che appartenevano ancora alle vecchie
corporazioni) e le formulazioni teoriche dei trattati su che cos’era l’arte e su come andava fatta.
Una frattura, insomma, tra l’idealità italiana e la praticità nordica.
18
Per secoli è prevalsa una presunta superiorità della prima. La storia dell’arte ha
assistito a grandi sforzi per rivalutare l’arte nordica alla luce di quella meridionale. A
partire da Panofsky e più recentemente con gli studi di de Jongh si è fatta strada una
17
Arte del descrivere, pp. 56
18
Ivi, p. 9
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ARTE DEL DESCRIVERE
lettura colta ed emblematica della pittura olandese, un approccio iconologico che
assume come principio l’idea che dietro la superficie descrittiva e realistica si celino
significati nascosti.
È contro questa recente tendenza che la Alpers prende posizione. Per l’autrice
invece bisogna guardare all’arte olandese tenendo conto del suo contesto.
Facendo appello al contesto, intendo non solo vedere l’arte come manifestazione sociale, ma anche
accostarmi alle immagini attraverso la considerazione del ruolo e della presenza che esse hanno
nell’ambito più vasto della vita culturale.
19
Quella olandese è una cultura visiva e non testuale, in cui il “vedere” deve
coinvolgere la “conoscenza”. Di conseguenza la pittura olandese aveva un impegno
descrittivo, documentario, informativo.
Gli olandesi presentano la loro pittura come descrizione del mondo visto piuttosto che come
imitazione di azioni umane significative. Le tradizioni pittoriche già consolidate, con l’ampio
rinforzo della nuova scienza e tecnologia sperimentali, confermarono il ruolo della pittura come
via di accesso a una nuova e più sicura conoscenza del mondo.
20
Nelle opere degli artisti olandesi manca un’evoluzione stilistica.
Una storia ispirata al modello evolutivo del Vasari non è mai stata scritta, né penso che si potrebbe
scriverla. E questo perché l’arte nordica non si venne formando come una tradizione progressiva.
Essa non ha una storia nel senso dell’arte italiana, perché avere una storia in questo senso è, per
l’arte, un’eccezione e non la regola. La maggior parte delle tradizioni artistiche manifestano ciò
che in una cultura permane e si conserva, non ciò che muta.
Quella che propongo di studiare non è dunque la storia dell’arte olandese, ma la cultura visiva
olandese, per usare una espressione che devo a Michael Baxandall.
21
In Olanda […] l’occhio era il mezzo fondamentale dell’autorappresentazione e l’esperienza visiva
la forma fondamentale dell’autocoscienza.
22
Il primo capitolo esplora le considerazioni di Constantijn Huygens espresse nella
sua Autobiography e nel suo Dagwerk: la sua attrazione per la camera oscura, per
l’evidenza puramente visuale e per il gioco di arte, scienza sperimentale e
conoscenza. Il secondo capitolo sviluppa questi temi in relazione all’analisi
dell’occhio fatta da Keplero, precisando cosa sia un quadro olandese. Il terzo
capitolo considera l’idea di educazione, di sapere e di abilità tecnica che si trova
negli scritti di Comenio e di Bacone e nei programmi della Royal Society. Il quarto
capitolo sostiene che l’impulso delle mappe nell’arte olandese offre importanti
indicazioni per comprendere l’arte nordica. Il quinto capitolo considera quale ruolo
abbiano le parole nelle immagini pittoriche. Un epilogo sottolinea come questa
interpretazione dell’arte nordica può aiutarci a capire meglio le pitture di Vermeer e
Rembrandt. Nell’appendice l’autrice usa gli emblemi di Jacob Cats per sfidare
l’interpretazione emblematica dell’arte olandese di De Jongh.
Il libro non tratta la questione religiosa.
19
Ivi, p. 12
20
Ivi, p. 13
21
Ivi, pp. 1314
22
Ivi, p. 14
8