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opposizione nasce da una maggiore consapevolezza dei
costi sociali e ambientali delle nuove tecnologie. Questa
consapevolezza si è diffusa in seguito a gravi disastri
tecnologici che hanno messo in dubbio l’affidabilità della
tecnica e del sapere esperto. Inoltre, i cittadini avvertono la
mancanza di un opportuno controllo da parte delle
istituzioni sui processi di introduzione delle nuove
tecnologie nella vita ordinaria. Le nuove tecnologie sono
avvertite come rischiose ed in quanto tali ostacolate o
almeno messe sotto inchiesta. I cittadini oggi pretendono di
sapere che tipo di impatto può avere una tecnologia
sull’ambiente in cui vivono e sulla loro salute.
Il problema è che raramente queste informazioni
vengono fornite direttamente dalle istituzioni o dalle
organizzazioni, per cui i cittadini si vedono costretti a far
ricorso ai media per ottenere queste informazioni. Tuttavia,
in fatto di comunicazione ambientale i media si rivelano
spesso una fonte poco attendibile. Quasi sempre offrono una
comunicazione sensazionalista e allarmista il che è in parte
dovuto all’esigenza di semplificare l’informazione per
poterla trasmettere ad un pubblico di non esperti in materia.
I media quindi si offrono come tramite tra gli esperti ed i
cittadini, ma questo loro filtrare le informazioni spesso fa sì
che queste arrivino distorte al pubblico. Si tratta inoltre, per
la maggior parte dei casi, di una comunicazione episodica
legata a grandi catastrofi. In effetti la comunicazione
ambientale nasce proprio in seguito al verificarsi di alcuni
gravi incidenti ambientali come ad esempio l’incidente di
Chernobyl nel 1986.
Nel caso del rischio ambientale la comunicazione dei
media può essere molto pericolosa perché può amplificare
la percezione del rischio generando allarmismi. Per questo
motivo è molto importante che le organizzazioni e le
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amministrazioni pubbliche investano in comunicazione
ambientale dotandosi di figure professionali altamente
specializzate che possano farsi veicolo di una buona
comunicazione attraverso i media.
Il concetto di rischio è stato ampiamente dibattuto in
sociologia. Fino agli anni ’70 secondo il metodo della
Probabilistic Risk Analisis (PRA) il rischio è stato
considerato soltanto in termini statistici come la probabilità
che un evento pericoloso si manifesti. La PRA studia il
rischio solo da un punto di vista quantitativo escludendo la
componente sociale. L’antropologa Mary Douglas invece
dice che la percezione del rischio non è un fatto individuale
ma un qualcosa che nasce nella collettività e ogni società ha
una diversa percezione del rischio perché diverse sono le
scale di valori di ogni società. Ulrich Beck definisce la
società odierna come la società del rischio. A questa società
siamo arrivati tramite lo sviluppo tecnico-economico
procurato dalla modernizzazione. Inizialmente la
modernizzazione ha trasformato la società feudale in società
industriale, in seguito ha trasformato la società industriale in
società del rischio. Ma mentre nel primo caso la
modernizzazione è necessaria per affrancare la società
feudale dalla penuria, nella seconda fase il prerequisito della
penuria viene a mancare per cui resta più difficile accettare
le conseguenze negative dello sviluppo dato che questo
sviluppo non è più di vitale importanza.
Sembra quasi che non si possa far altro che scegliere se
sacrificare la natura o il progresso.
Questo lavoro prende in considerazione la proposta di
una nuova tecnologia, in particolare si tratta
dell’introduzione di un impianto di cogenerazione a
turbogas nella Cartiera del Sole di Sora. Attraverso questo
studio si è cercato di comprendere il ruolo svolto dalla
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stampa locale nella percezione della nuova centrale
turbogas da parte della popolazione dell’area interessata e si
sono mostrate le strategie comunicative messe in atto
dall’organizzazione, dalle amministrazioni locali e dalle
associazioni ambientaliste in merito. A partire da un’analisi
della stampa locale si è successivamente approfondito il
discorso con delle interviste ai testimoni privilegiati della
vicenda.
Nel primo capitolo si affronta la tematica dei rapporti
tra sistema ambientale e sistema sociale. In particolare si
vede come la modernizzazione ha irrigidito questi rapporti
attraverso l’introduzione di nuove tecnologie. Si mostra
inoltre che tipo di impatto una tecnologia può avere
sull’ambiente e sulla società. A partire dall’introduzione
nella società delle nuove tecnologie si è cercato di capire
come e quanto i media possano incidere sulla percezione del
rischio nella società interessata dall’intervento e quali
strategie comunicative possono essere usate dai media, dalle
istituzioni, dalle organizzazioni e dalle associazioni nel
comunicare il rischio.
Nel secondo capitolo si entrerà nel vivo della questione
iniziando a parlare della nuova centrale turbogas di Sora.
Innanzitutto viene mostrato l’ambiente fisico-naturale e
sociale in cui è inserita la cartiera. In seguito sono
approfonditi gli aspetti tecnici legati la turbogas ed in
particolare quali caratteristiche presenta la centrale installata
nello stabilimento di Sora. Infine, vengono ripercorse le
tappe più significative del progetto: dalla proposta fino al
rilascio delle autorizzazioni necessarie, con tutti gli eventi
che hanno accompagnato questo percorso.
Nel terzo capitolo viene presentata la ricerca.
Specificati quali sono gli obiettivi per i quali si è scelto di
approfondire questo tema ed illustrata la metodologia che si
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è scelto di usare, vengono presentati i risultati dell’analisi
della stampa svolta sugli articoli raccolti su tre quotidiani
locali: Ciociaria Oggi, Il Messaggero di Frosinone e La
Provincia Quotidiano. Dopo aver mostrato i dati risultati da
questa analisi vengono esposte le interviste ai testimoni
privilegiati.
In conclusione, a partire dai risultati emersi dalla
ricerca, vengono tratte delle conclusioni con l’intento di
mettere in luce qual è il ruolo che la comunicazione nei
media può svolgere al momento dell’introduzione di nuove
tecnologie energetiche in un territorio.
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Capitolo 1 Ambiente e società
1.1 Il rapporto tra società e ambiente
L’attenzione pubblica e la sensibilità verso le tematiche
collegate all’ambiente e l’inquinamento del pianeta hanno
caratterizzato - insieme al movimento per i diritti civili, il
movimento per la pace ed il femminismo - la seconda metà
del secolo appena trascorso.
Indicativamente possiamo far risalire la nascita di
un’attenzione di massa verso la salvaguardia e la tutela
dell’ambiente al secondo dopoguerra. Nel corso di quel
periodo vi furono una serie di grandi cambiamenti
economici, politici e tecnologici. Venne presto raggiunto un
benessere economico mai visto prima che di conseguenza
portò dei profondi cambiamenti culturali con la
ridefinizione dei valori sui quali si fondava l’organizzazione
sociale delle società stesse. Con la generazione nata nel
dopoguerra i valori materialisti persero pian piano terreno a
favore di valori post-materialisti.
1
Infatti, nelle società
industriali della seconda metà del novecento, dalle nuove
generazioni la sopravvivenza materiale e la sicurezza non
rappresentarono più un problema e potevano essere date per
scontate. È così che valori post-materialisti come
l’appartenenza, l’autorealizzazione e la qualità della vita
assunsero sempre più importanza. Per dirla con Maslow,
una volta che i primi gradini della scala dei bisogni (bisogni
1
Cfr. R.Inglehart, Culture Shift in Advanced Industrial Society ,Trad. ita. a cura
di R. Cartocci, Valori e cultura politica nella società industriale avanzata,
UTET libreria, Torino, 1997.
12
fisiologici) sono stati superati è possibile puntare in alto
verso i gradini più alti (bisogni sociali). In questo interesse
emergente per la qualità della vita fu possibile scorgere una
nuova attenzione per i temi collegati all’ambiente.
Negli anni ’60 l’ambientalismo uscì dal ristretto ambito
scientifico e diventò ambientalismo di massa. Fu in questo
momento infatti che tra l’opinione pubblica si diffuse la
presa di coscienza che le azioni dell’uomo stavano
gravemente danneggiando l’ecosistema e che questi
cambiamenti in futuro potevano avere pericolose
ripercussioni sulla vita stessa dell’uomo. Questa
consapevolezza non nacque nello stesso momento in tutto il
mondo ma arrivò molto prima nei paesi maggiormente
industrializzati. Negli USA era abbastanza forte già negli
anni ’60, invece in Italia lo diventò solo negli anni ’70 e
soprattutto in seguito all’incidente di Seveso. In questi anni
infatti le preoccupazioni per l’ambiente furono strettamente
legate agli incidenti industriali.
Negli anni ’70 l’attenzione si spostò dagli incidenti
industriali ai limiti ecologici dello sviluppo. Nel testo “I
limiti dello sviluppo”
2
Meadows e i suoi collaboratori
sostenerono la necessità di un rallentamento del tasso di
crescita di popolazione, industrializzazione, inquinamento e
sfruttamento delle risorse per evitare il declino dell’umanità.
Questa tesi riscosse non poche critiche per la visione
catastrofica che presentava. Sempre in questi anni si
svolsero due importanti manifestazioni di livello
internazionale: la prima edizione negli USA dell’Earth Day
2
Cfr D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers, W.W. Behrens III, The
Limits to Growth, Universe Books, New York, 1972. Trad. ita. a cura di F.
Macaluso, I limiti dello sviluppo , Mondadori, Milano, 1972.
13
il 22 aprile 1970 e la prima conferenza mondiale
sull’ambiente, nel giugno del 1972 a Stoccolma. In questa
occasione venne evidenziato il bisogno di mediazione tra
problemi ambientali e necessità di sviluppo.
3
Nel 1978 Catton e Dunlap con un loro importantissimo
contributo teorico, il Nuovo Paradigma Ecologico (NEP),
inaugurarono una nuova disciplina, la sociologia
dell’ambiente. Secondo i due sociologi il profondo
mutamento che si è verificato nelle società avanzate ha
modificato il rapporto di equilibrio nell’ecosistema.
Nonostante ciò, la scienza è rimasta ferma alle sue vecchie
teorie che risultano ormai inadatte a comprendere le nuove
esigenze nate dal mutamento socio-ambientale in corso. Da
qui l’esigenza di nuove teorie o meglio di un nuovo
paradigma sociologico. Catton e Dunlap ritengono che tutte
le prospettive teoriche nelle scienze sociali degli anni ’60-
’70, funzionalismo, interazionismo simbolico,
etnometodologia e teorie del conflitto, hanno un elemento in
comune, l’antropocentrismo. Per questo motivo rientrano
tutte in un quadro meta-teorico definito: «paradigma
dell’eccezionalismo umano» (HEP) i cui principi
fondamentali sono:
1. La specie umana è unica tra tutte le specie in
virtù della sua cultura, qualità nobile che solo l’uomo
possiede.
2. Le caratteristiche culturali possono mutare
più velocemente dei tratti biologici.
3
Cfr. De Marchi, Pellizzoni, Ungaro, Il rischio ambientale, Il Mulino,
Bologna, 2001,p. 20.
14
3. Essendo la maggior parte delle differenze tra
gli uomini dovute alla cultura più che alla natura; ne
consegue che le differenze indesiderabili sono
facilmente eliminabili.
4. L’accumulazione culturale permettendo di
risolvere tutti i problemi sociali fa si che il progresso
continui senza limiti.
Il termine eccezionalismo sta qui a sottolineare la
supremazia dell’uomo sulle altre specie ed il suo potere
sulla natura. Secondo questo paradigma infatti, la cultura
permette di affrancare l’uomo dai vincoli della natura.
Catton e Dunlap invece, nella convinzione che la natura
può porre seri limiti all’agire umano, elaborano una nuova
prospettiva teorica denominata : «nuovo paradigma
ecologico» i cui assunti sono:
1. La specie umana è solo una tra le tante specie
viventi nonostante alcune sue caratteristiche
eccezionali.
2. Dall’azione umana intenzionale possono
scaturire conseguenze impreviste a causa di legami di
causa-effetto e di retroazione del sistema ambientale.
3. L’ambiente pone grosse limitazioni fisiche e
biologiche all’uomo.
4. Anche se grazie alla cultura l’uomo può
superare grandi difficoltà, ci sono alcuni limiti
naturali che egli non può superare.
Da questi nuovi assunti emerge che il cambiamento non
è determinato esclusivamente da fattori sociali, né soltanto
da fattori naturali, ma da una rete di rapporti di causa-
effetto chiamato « processo di causazione circolare». A
15
questa conclusione i due arrivano riesaminando la teoria del
«complesso ecologico» elaborata nel 1959 da Otis Dudley
Duncan, esponente della sociological human ecology.
Duncan ritiene che i problemi dell’ecologia umana, cioè la
distribuzione della popolazione e dei gruppi sul territorio,
possano essere spiegati facendo riferimento a 4 macro-
variabili:
- Popolazione
- Organizzazione
- Ambiente
- Tecnologia
Ogni popolazione trae ciò di cui ha bisogno per la
propria sopravvivenza dall’ambiente in cui vive. Nel
momento in cui ne sfrutta le risorse, l’uomo incide
sull’ambiente modificandolo. A questi cambiamenti egli
dovrà adattarsi per sopravvivere. Con questa
argomentazione Duncan vuole evidenziare come tra i due
elementi non ci sia un equilibrio statico ma un processo
dinamico di continuo adattamento della popolazione
all’ambiente. Inoltre Duncan introduce un nuovo elemento:
la cultura. La cultura è lo strumento attraverso il quale
l’uomo si adatta all’ambiente. L’interesse di Duncan non è
per la cultura in generale ma si concentra su quegli aspetti
della cultura che hanno un ruolo importante nel processo
adattativo: organizzazione sociale e tecnologia.
Della proposta teorica di Duncan, Catton e Dunlap non
condividono l’antropocentrismo e la maggior attenzione
prestata alla organizzazione sociale piuttosto che
all’ambiente.