Democrazia, scienza, fede. Riflessioni su Jürgen Habermas 8
Capitolo 1
Le fasi storiche del pensiero di Habermas
L’evoluzione del pensiero di Habermas è tradizionalmente considerata strutturata nei
seguenti momenti storici e critici: il primo momento, negli anni Sessanta, coincide con
l’assunzione delle tesi marxiste in chiave revisionistica e della teoria degli interessi
cognitivi ed emancipativi; il secondo momento, negli anni Settanta, è quello della critica
a Gadamer e della connessa svolta linguistica; il terzo momento è quello della
definizione della teoria dell’agire comunicativo completata nel 1981; l’ultimo momento,
che caratterizzerà il pensiero di Habermas per tutti gli anni Ottanta, è quello dalla critica
all’antirazionalismo dei postmoderni. Successivamente, la riflessione habermasiana si è
concentrata intorno a tematiche bioetiche, politico-sociali e religiose.
1.1 Il periodo marxista
Gli interessi giovanili di Habermas si rivolgevano alla riscoperta dei “marxisti
occidentali” degli anni Venti, ed in particolare Lukács e Korsch, nonché degli hegeliani,
soprattutto nella figura di Löwith. Non era invece interessato al marxismo cosiddetto
orientale, ovvero a quella corrente di pensiero che si rifaceva alla Rivoluzione d’Ottobre
ed al leninismo.
La principale fonte di informazione sul suo pensiero è l’opera del 1954 intitolata
Dialettica della razionalizzazione, in cui Habermas fa precise asserzioni circa la sua
posizione sul marxismo. Egli infatti afferma che:
il marxismo occidentale (e soltanto di questo si parla), da ormai cento anni aveva
buone ragioni per riesaminare autocriticamente concezioni tramandate e per
intraprendere revisioni del caso. Marx e la tradizione che risale a Marx e a Hegel, sono
stati – e restano fino ad oggi – il punto di riferimento più importante, perché più ricco
di insegnamenti, del mio pensiero2.
2
J. Habermas, Dialettica della razionalizzazione, Unicopli, Milano, 1994, pagina 111.
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In generale, egli era interessato “a quanto si era svolto fra Kant e Hegel, Hölderlin
compreso” ovvero:
uno studente il quale si fosse fatto strada con interesse sistematico fra Kant ed Hegel,
incluso Schelling, e avesse poi proseguito, attraverso Lukács, fino a Marx, avrebbe
potuto per così dire riscoprire un tratto della Filosofia Critica degli anni Trenta3.
Non si deve tuttavia pensare che la sua relazione con il marxismo fosse per così dire
assoluta, in quanto Habermas era più che altro interessato al rapporto con Max Weber,
in chiave dialettica; si trattava in altre parole di seguire e reinterpretare le tesi e le
questioni di Weber, attraverso Marx, o meglio i neomarxisti.
In questo periodo egli è stato discepolo di Adorno, in particolare dal 1956 al 1961, anno
in cui si trasferì ad Heidelberg, e per questo associato da molti alla Scuola di
Francoforte. In realtà egli in almeno due occasioni ha preso le distanze da tali
concezioni: in un intervista del 1981 ha tenuto ad affermare che la vicinanza alle
posizioni ed alle argomentazioni della Scuola non era voluta, in quanto egli si era ad
esse accostato in maniera del tutto autonoma: invece, nella Dialettica della
razionalizzazione scrive che solamente in un momento successivo alla permanenza a
Francoforte avrebbe conosciuto le posizioni della Scuola, in quanto “una Teoria Critica,
una Scuola di Francoforte, allora [negli anni Cinquanta] non c’erano” 4.
Due sono state le cose che lo colpirono del maestro: la svalutazione di Heidegger e della
filosofia moderna [tedesca], dalla quale prenderà poi le distanze e l’attualità storica che
egli conferiva ad Hegel e Marx, trattandoli come contemporanei con i quali discutere.
Habermas dapprima condividerà con il maestro la battaglia contro lo scientismo, che fa
derivare un concetto di scienza che legittima i meccanismi di controllo tecnocratici a cui
opporrà la filosofia critica; la polemica è rivolta soprattutto contro l’epistemologia
analitica di Popper. Successivamente andrà oltre la disputa sullo scientismo e la
condivisione delle tesi con Adorno, sviluppando posizioni nuove e più originali. L’altra
3
J. Habermas, Dialettica della razionalizzazione, Unicopli, Milano, 1994, pagina 223.
4
J. Habermas, Dialettica della razionalizzazione, Unicopli, Milano, 1994, pagina 224.
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ben nota polemica è quella rivolta contro le posizioni postesistenzialistiche di
Heidegger, verso il quale del resto nutre profondo rispetto considerando quest’ultimo
come il più grande filosofo tedesco del Novecento ed Essere e tempo come
l’avvenimento filosofico più importante dopo la Fenomenologia di Hegel. Habermas si
soffermerà non poco sulle ben note posizioni filonaziste di Heidegger, inquadrandole
non dal punto di vista del mero opportunismo politico, bensì più in profondità, come
una precisa scelta teorica (trasformazione della teoria in ideologia). Ciò del resto
rendeva la posizione politico-accademica di Heidegger ancor più scomoda e le sue tesi
ancor più pericolose, salvo comunque l’evidenziazione della sua redenzione finale, con
la sconfitta del nazismo ad opera delle democrazie occidentali.
In questo periodo dunque il pensiero di Habermas avanza su due fronti: critica e
superamento del positivismo, utilizzando lo stesso metodo (dialettico) di Adorno;
dall’altra parte critica al marxismo, superamento e trasformazione dello stesso.
In generale la critica di Habermas si rivolge a tutte le posizioni per così dire
“oggettivistiche” ovvero quelle aventi carattere “ideologico” che tendono ad eliminare
la connessione fra conoscenza ed interesse. Egli si sofferma anche sui diversi tipi di
“processi di ricerca”; scrive Habermas:
Si può indicare una specifica connessione tra regole logico-metodiche e interessi-guida
della conoscenza per tre categorie di processi di ricerca. Questo è il compito di una
teoria critica della scienza che sfugge alle trappole del positivismo. All’approccio delle
scienze empirico-analitiche inerisce un interesse conoscitivo teorico, a quello delle
scienze storico-ermeneutiche uno pratico e a quello delle scienze orientate criticamente
l’interesse conoscitivo emancipativo5.
Habermas pertanto definisce il processo di ricerca delle scienze orientate criticamente,
in termini conoscitivi emancipativi, caratterizzandolo con l’autoriflessione intesa
metodo di autoliberazione che permette di cogliere funzioni e limiti delle scienze.
Naturalmente tale compito viene riservato alla filosofia critica, vista in termini freudiani
come psicoanalisi dialettica.
5
J. Habermas, Conoscenza e interesse in Teoria e Prassi nella società tecnologica, Laterza, Roma-Bari,
1974, pagina 9.
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1.2 Agire strumentale, agire comunicativo, razionalizzazione weberiana e
riscoperta del marxismo
La filosofia critica, tramite le categorie della prassi sociale, permette alla società di
rimuovere sia le costrizioni naturali che quelle sociali, in maniera del tutto autonoma,
indicando la strada della emancipazione all’agire strumentale (natura esterna) ed
all’agire comunicativo (natura interna) della società stessa.
In particolare, la società deve la liberazione dalle costrizioni esterne all’agire
strumentale, ovvero alla produzione di sapere tecnico attraverso il lavoro; deve invece
l’emancipazione dalle costrizioni interne all’agire comunicativo, ovvero alla
sostituzione delle istituzioni, non con il lavoro, bensì tramite un’attività rivoluzionaria.
La previsione delle categorie sopradescritte permette ad Habermas anche la
rivalutazione del concetto weberiano di “razionalizzazione”, criticato dalla stessa Scuola
di Francoforte, rapportando l’agire strumentale al lavoro e l’agire comunicativo
all’interazione; ciò gli permette di analizzare criticamente le tesi di Marx e di riproporle
modernizzate e coerenti con le trasformazioni economico-sociali del periodo.
Secondo Weber la fine della società tradizionale si ha nel momento in cui cambia la
legittimazione del sistema sociale, ovvero quando l’agire comunicativo incontrandosi
con l’agire strumentale determina la razionalizzazione del sistema stesso e la nascita
dell’ideologia. Questo è ciò che è avvenuto con l’intervento statale nell’economia e con
“la compenetrazione fra scienza e tecnica”.
Per Habermas quindi, le critiche a Marx sono sia condivisibili per l’anacronisticità del
contesto analizzato, che erronee in considerazione del fatto che i fondamenti del suo
pensiero possono essere oggetto di condivisione. Si tratta semplicemente di superare la
teoria del valore e del lavoro in virtù della compenetrazione fra scienza e tecnica e
ripensare al rapporto fra società e politica, in considerazione del fatto che le critiche a
quest’ultima non si ripercuotono proporzionalmente sulla società, considerando
l’aumentato ruolo dello Stato; scrive Habermas:
Si è modificato il rapporto tra sistema economico e sistema di dominio: la politica non
è soltanto un fenomeno sovrastrutturale […].
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Società e Stato non stanno più in quel rapporto che la teoria marxiana aveva definito
come rapporto tra struttura e sovrastruttura. Ma allora una teoria critica della società
non può più essere sviluppata nella forma esclusiva di una critica dell’economia
politica.6
In altre parole si tratta di reinterpretare i tradizionali concetti di “lotta di classe” e di
“ideologia” in quanto superati dal cambiamento di contesto intervenuto con la
partecipazione statale all’economia; ciò determina una radicazione delle forze
rivoluzionarie nella società, che respinge ed indebolisce, almeno “in maniera pratica”,
l’impulso rivoluzionario. Scrive Habermas:
Le categorie centrali della teoria marxiana, vale a dire lotta di classe e ideologia, non
possono più venire applicate senza qualificazioni.7
inoltre:
la connessione fra forze produttive e rapporti di produzione dovrebbe essere sostituita
da quella più astratta tra lavoro ed interazione8.
La reinterpretazione dei concetti marxisti determina quindi un analogo procedimento nei
confronti della dialettica marxista, che in chiave weberiana si traduce nel rapporto fra
lavoro ed interazione, ovvero fra agire strumentale ed agire comunicativo.
1.3 La critica a Gadamer, la svolta linguistica e la teoria dell’agire comunicativo
Habermas dopo essersi trasferito ad Heidelberg nel 1961, ritorna dopo quattro anni a
Francoforte, dove estende i suoi interessi circa le scienze sociali e comincia a porre in
essere valutazioni critiche nei confronti dell’ermeneutica di Gadamer (che sarà poi il
6
J. Habermas, Teoria e Prassi nella società tecnologica, Laterza, Roma-Bari, 1974, pagina 174.
7
J. Habermas, Teoria e Prassi nella società tecnologica, Laterza, Roma-Bari, 1974, pagina 180.
8
J. Habermas, Teoria e Prassi nella società tecnologica, Laterza, Roma-Bari, 1974, pagina 186.
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principale “contendente” di Habermas nell’ambito della filosofia tedesca). Habermas si
rivolge contro l’opera del 1960, Verità e metodo, che provocherà molte reazioni,
soprattutto negli anni Settanta.
La polemica si sviluppa in considerazione dell’assenza, o meglio dell’incompletezza,
del carattere autoriflessivo dell’ermeneutica, in quanto, non si può ridurre tutto al
linguaggio, in considerazione dell’importanza di questo dal punto di vista sociale come
strumento di dominio; scrive infatti Habermas nell’Ermeneutica e critica dell’ideologia:
Il linguaggio è anche uno strumento di dominio e di potere sociale. Esso serve a
legittimare l’organizzazione dei rapporti di potere.9
In altri termini Habermas richiede un collegamento relazionale fra il linguaggio, il
lavoro ed il potere per la comprensione degli atti sociali, o in altri termini il passaggio
dalla storicità alla storia universale.
Si tratta in particolare di definire in chiave freudiana una metaermeneutica capace di
celare tutto ciò che sta dietro il livello puramente linguistico e sostituire la
comunicazione da questo deformata con una nuova forma di comunicazione, non
ideologizzata e razionale che permetta di porre in essere un’azione in grado di
migliorare la società.
Nell’opera denominata Teoria dell’agire comunicativo, riprende la tematica già
affrontata negli anni precedenti, relativa al rapporto fra agire strumentale ed agire
comunicativo, ovvero fra sistemi e mondo della vita.
Anzitutto egli mette in evidenza che il vero problema che coinvolge le tesi di Weber è il
loro limitarsi alla considerazione del solo sistema politico-economico (l’agire
strumentale); egli trascura invece il mondo della vita (l’agire comunicativo) ovvero ciò
che i partecipanti alla comunicazione hanno di volta in volta dietro le spalle, a partire
dal quale essi affrontano i problemi di intesa e che può anche essere inteso come
l’insieme dei valori di ogni uomo.
9 K.O. Apel, H.G. Gadamer, J. Habermas, Ermeneutica e critica dell’ideologia, Queriniana, 1992, pagina
67.