i termini locali consentono indubbiamente una più completa percezione della
complessità sacrale di questo. “Ma difficilmente l’astuzia può essere
considerata un’invenzione degli etnografi”, fornendo esempi terminologici dal
pantheon greco a quello africano
2
, conclude asserendo che: “l’astuzia è nata
molto prima dell’antropologia” (Hyde 1998; trad. it. 2001: ibidem).
A dar ragione all’ipotesi da cui eravamo partiti è la presenza di differenti
epitomi nella letteratura precedente che pur segnalavano frequentemente quei
tratti tricksterici riconosciuti a posteriori come tali: ciò vale per Manabozho
degli Algonkini trattato da Brinton (1868) come i personaggi di Corvo e
Coniglio studiati dallo stesso Boas. L’assunzione del termine anglofono ha
corrisposto ad una oggettivazione, una costruzione tipologica che ha fatto del
trickster un personaggio-tipo, spunto di riflessione e non esente da categorie
pregiudiziali dimentiche degli attributi effettivi ed intente a ricondurre il tutto
ad un insieme artificiale.
A tal proposito è la Miceli a sottolineare, a scopo introduttivo, la questione
relativa agli “usi e gli abusi delle categorie definitorie ricostruite dagli studiosi
occidentali per i testi indigeni”
3
: se è pur inevitabilmente vero che la
conoscenza delle culture “altre” non è mai conoscenza neutrale di quelle
come-esse-realmente-sono, nei confronti dei miti degli Indiani d’America
(dove il mito del trickster ha avuto ben più profonde radici) “c’è anche una
sorta di virgolettatura in più da sottintendere ad ogni ricostruzione”
4
. Accanto
alla distorsione in opera nelle prime descrizioni etnografiche filtrate dalla
cultura occidentale degli studiosi, sopravviveva un’analoga rivisitazione segnata
da una particolare angolatura. La tesi di Detienne (1981) a riguardo, nello
specifico della mitologia greca, è che si possa parlare di una “invenzione della
mitologia”(Detienne 1981; trad. it. 1985) poiché: nel momento in cui essa
viene configurata e pensata prende corpo una metodolgia lungamente segnata
da una pre-disposizione un pre-condizionamento che riconosceva i “miti”
10 TRA MITO E CULTURA. PARADOSSI E CONTRADDIZIONI.
2 Mechaniota (Inno a Ermes) con cui è chiamato Ermes si può ben tradurre come trickster, così
nell’Africa occidentale il trickster Legba è chiamato Aflakete (Pelton 1980: 80-87) che significa
“ti ho ingannato”.
3 Ricordando come i primi equivoci e le prime ambiguità sono dei raccoglitori stessi o accadono
per via referenziale, riconfigurando parte del mito tenendo conto di alcune categorie
difficilmente narrabili. R. Benedict (1931), ad esempio, mette in guardia contro l’impressione
che certi tipi di miti sacri fossero assenti fra i Keres del Pueblo di Cochiti, dalla raccolta di testi
da lei proposta per il semplice fatto che, poiché circondati da tabù, tali miti erano inenarrabile
dai bianchi.
4 Non possiamo non ricordare l’assunto che di per sé una lettura è sempre inevitabilmente
un’interpretazione.
come una categoria di racconti che ci si aspettava dicessero cose particolari,
alla ricerca di conferme o notizie di quel “pensiero primitivo
mitopoietizzante” che doveva funzionare in modi già attesi. La virgolettatura a
cui la Miceli presta attenzione corrisponde altrimenti a ciò che è accaduto nel
tempo alle varie società indiane le cui credenze, gli abiti, i miti sopravvivono
solo “testamentati” nelle raccolte e nelle descrizioni etnografiche (Miceli 2000:
25).
Gli ‘Indiani d’America’ (...) sono ormai essi stessi, soprattutto ‘da
ripensare’ come tali: distrutti fisicamente, dispersi nelle riserve, il loro
mondo non ha più le basi per configurarsi realmente ‘altro’ e alternativo
rispetto a quello ‘occidentale’ (Ibidem).
Ne consegue il dubbio: “se il personaggio-tipo del trickster non abbia alla fine
altra consistenza che quella di una vera e propria illusione ottica”. Se, dunque,
questo sia o meno frutto di un modo “occidentale” di mettere insieme
caratteri e situazioni giudicati simili “laddove oltre tutto la somiglianza si
lasciava avvertire soprattutto come ricorrente reazione di ‘scandalo’ di fronte a
ciò che a quegli studiosi non riusciva ad apparire niente più che strano,
incoerente e contraddittorio”(Ivi: 22). A fronte del rischio di rivelare un
semplice “tipo residuale” a cui ricondurre tutti i casi che potevano suscitare un
imbarazzo “europeo”, in un’ottica storico-comparativa Brelich propone di
considerare “tipi di vicende nel campo mitologico e tipi di funzioni in
generale”(Brelich 1979: 105) invece che tipi di personaggi.
Sabbatucci perviene alle medesime conclusioni. Nel testo Sui protagonisti di miti
(1981) critica le operazioni metodologiche degli autori condizionati dalla
propria cultura occidentale nel ricercare “principi” ed “esseri” dappertutto;
pone come ipotesi di lavoro uno studio della mitologia in cui i protagonisti
siano considerati “elementi” di un mito e non “esseri” espressi
concettualmente tramite esso. La comparazione deve essere fatta per
“strutture significative (e perciò individuando) e non per ‘esseri’ astratti
dall’azione mitica e arbitrariamente universalizzati”(Brelich, Op. cit.: 147).
Una posizione di cui la stessa Miceli riconosce la ragionevolezza denunciando
il rischio di ipostatizzazione che si tradurrebbe nell’utilizzo fuorviante e
scorretto di una semplice etichetta “da appiccicare più o meno storta a
personaggi e situazioni diverse” (cit. in Miceli 2000: 23).
Tuttavia ritiene sia possibile riconoscere che, nei cicli narrativi di popoli
diversi, si costituiscono come sfera unitaria “certe tipiche funzioni e certe
tipiche qualificazioni”(Ibidem) che, presentate appunto come unitarie,
autorizzano la riconduzione dei diversi personaggi ad uno stesso “tipo” alla
CAPITOLO PRIMO 11
luce della sfera d’azioni e qualificazioni usata per definirli e non al di fuori di
essa. Una consapevole generalizzazione che si giustifica con il richiamo ai
moderni studi di narratologia - da Propp, a Greimas e Saussure – dove è
addirittura scontato che i “personaggi” non abbiano consistenza se non nella
sfera delle funzioni attraverso le quali è soltanto possibile riconoscerli, a diversi
livelli di generalità, come “personaggi”, “attori” o “attanti” unitari. Alla luce di
quanto detto possiamo dunque comprendere la sintesi efficace che l’autrice
pone come guida del proprio procedimento metodologico e tenerla in
considerazione per poterla fare eventualmente nostra:
... è possibile riconoscere un tipo “trickster” fin tanto e fin dove esistono
assieme le caratteristiche azioni e qualificazioni che lo costituiscono nella
sua particolarità [azioni e qualificazioni fondate (...) sull’ostentazione della
contraddittorietà a tutti i livelli e su tutti i piani, e ciò per ragioni che
rimandano tuttavia a una esperienza base-unitaria (...)]. Dove e quando
questa “coerente contraddittorietà” non fosse più riconoscibile,
semplicemente non abbiamo più un trickster. Il “personaggio” non esiste
più, è senz’altro un altro, o è cambiato fino a non essere più lui perché
sono venute meno le ragioni che lo costituivano nella sua logica
particolare. (Miceli 2000: 24)
Appare evidente la parallela necessità di non sottovalutare le differenze che si
spiegano solo attraverso i diversi contesti sociali e culturali che cullano questo
mito la cui anomalia, trasgressione delle norme e dei tabù, si sostanziano
sempre a partire dal terreno di coltura e di cultura di questo.
Nella consapevolezza dei problemi metodologici fin qui accennati e
dell’introduzione di concetti come “coerente contraddittorietà” (Miceli) e
“corporeità indeterminata” (Talamonti) è fintanto possibile operare una
parziale panoramica delle diverse teorie che hanno trattato questa figura.
I. 1. 2. Teorie che equivocano.
Trickster politropico. L’aggettivo greco polytropos significa “vario”. Tropos è
“la direzione”, “il verso” – e quindi, traslato, “la maniera”, la condizione,
l’indole (Carmagnola e Senaldi 2005: 131). Un’ulteriore definizione ci è offerta
da Lewis Hyde secondo il quale “politropico” nel suo significato più
elementare significa “multiforma” sebbene il termine greco sia reso anche con
12 TRA MITO E CULTURA. PARADOSSI E CONTRADDIZIONI.
“astuto”, “versatile”, “navigato”. Lo era Ermes
5
, Ulisse e “quel fraudolento
generale ateniese e grazioso socratico corrispondente al nome di
Alcibiade”(Ivi: 64). Di quest’ultimo ne scrive Plutarco; una piccola
dissertazione che ci aiuterà a comprendere la natura ambigua e l'eclettismo
teorico fiorito intorno ad essa.
L’intelligenza versatile e l’eccezionale abilità dell’elleno strabiliarono il
barbaro, che pure non era un uomo semplice, anzi un malizioso, che amava
la gente malvagia. Invero, chiunque passava una sola giornata in compagnia
di Alcibiade [...] non gli poteva resistere; la sua natura non poteva non
sentirsi conquistata dalle grazie di lui. Quelli stessi che lo temevano o
l’odiavano, non importa, a stargli accanto e a vederlo provavano un
piacere e subivano un’attrazione straordinaria. (Plutarco ed. 1914: 67–69 ;
trad.it. vol. I: 537)
Uomo multiforme dunque, capace di assumere le apparenze dettate dalle
circostanze, disarmante, “di cui non conviene fidarsi”. E mutare non era
soltanto una questione di travestimento poiché gli antichi ritenevano che
l’aspetto fosse rivelatore della natura più intima. È nostra abitudine, scrive
Lewis, presumere l’esistenza di un vero Sé dietro le sembianze mutevoli, ma è
a volte difficile capire se quello esiste davvero o è altrimenti prodotto nel
nostro immaginario. Introduciamo qui la spinosa questione della verità e della
falsità che per vie non troppe impervie renderà possibile trattare più
chiaramente la problematica inerente al sacro e al profano.
Al trickster appartiene la facoltà di saper mentire, di sapersi destreggiare
opportunisticamente nelle differenti situazioni, creando vie di fuga, varchi e
pori attraverso cui entrare. Parimenti, tra le sue abilità, vi rientra quella inversa
alla prima: la capacità di bloccare un’opportunità, di ostruire i pori, creare
l’impenetrabile.
Il trickster gioca con il poroso e il non poroso (Hyde 1998; trad. it. 2001: 59).
CAPITOLO PRIMO 13
5 Jung (1966: 217; trad.it.: 248) scrive: “Secondo la tradizione ermetica, Mercurio è poliedrico,
mutevole, ingannevole, varius ille Mercurius, dice Dorneus, e un altro lo chiama versipellis (che muta
faccia, astuto)”.
Callaway (1868: 24-27) racconta del trickster Thlòkunyana, un piccolo essere
assimilato ad una donnola
6
, il quale, per ingannare un leopardo, pratica un
tunnel come via di fuga, intrappola al suo interno il felino e prima che questi
possa uscirne ne blocca entrambi gli ingressi. Il trucco del tunnel torna in
Radin (1954; ed 1972: p. 30-31) quando Coyote vi attira il nemico per poi
accendere il fuoco ai due lati, arrostendolo e procurandosi così il pasto. Come
poros, dal greco, è un passaggio, allo stesso modo aporos indica un luogo
intransitabile, attraverso cui non si può vedere. Sia Thlòkunyana che Coyote
trasformano una via di fuga in una trappola, “un'apertura in un tranello, un
poros in un aporos, un mezzo chiaro in un'aporia” (Hyde 1998; trad. it. 2001:
60).
L’aporia, in retorica e logica, indica una contraddizione, un paradosso
inconciliabile. Torniamo così alla "coerente contraddizione" prima evocata. Su
questa aporia vengono ad infrangersi le argomentazioni dicotomiche di molti.
La controversia sui miti/non miti coinvolge proprio i suddetti aspetti: il vero e
il falso, il sacro e il profano, l'ambivalenza e il paradosso.
Raffaele Pettazzoni nella sua Prefazione a Miti e Leggende, vol. I (1948) si
propone di distinguere i miti come storie vere e sacre da quelle false e profane
nell'impegno, contraddetto più volte, di mantenere nel secondo ambito i
racconti spesso osceni e indecenti relativi alle avventure del trickster.
Relegando nel “fantastico” quelle pure invenzioni prive di ogni consistenza
reale, Pettazzoni opererebbe, secondo la Miceli, un vero e proprio slittamento
verso una contrapposizione tra storie “vere” perché fatti storici realmente
accaduti, e racconti falsi, utilizzando come unico discrimine l'assunzione come
soggetto del racconto del trickster e delle sue avventure. Kerényi, al contrario,
riconosce l’appartenenza delle storie del Briccone all'universo di “verità” del
mito laddove anche l'arte menzognera tricksterica ne “la negazione più
spudorata della verità si dimostra così una possibilità del mondo, e scopre la
sua radice atemporale”(Ibidem). L’accettazione della menzogna come una tra le
realtà possibili ci porta ad una riflessione che richiederebbe maggiore spazio
circa l'impostazione schutziana nei riguardi del cosiddetto “problema di
realtà”. Schutz trae la suggestiva teoria da William James: i differenti sub-
universi della realtà sono stratificazioni dei mondi della vita che costituiscono
l'esperienza individuale. La transizione da una realtà ad un’altra - Schutz le
definisce “province finite di significato” - non è mai indolore: è un
14 TRA MITO E CULTURA. PARADOSSI E CONTRADDIZIONI.
6 “... più intelligente di tutti gli altri, poiché grande è la sua astuzia. Se viene sistemata una
trappola per un gatto selvatico, [la donnola] vi si precipita immediatamente, prendendo il topo
messo come esca per il gatto; lo tira fuori e, quando il gatto vi arriva, lo ha nel frattempo già
divorato”. (Callaway 1868: 3 cit. in Hyde 1998)
attraversamento di confini che siamo sempre in grado di riconoscere. Uscendo
dal cinema a conclusione della visione di un film, chiudendo un libro nella cui
lettura si era immersi: “quando cala il sipario siamo già altrove”(Buonanno
2004: 17).
Eppure, è proprio a partire da questa logica stringente che non ammette
sovrapposizioni, da “una filosofia non abbastanza disincantata”(Miceli 2000:
15) che si giunge ad una facile sottovalutazione del trickster e delle sue
avventure.
Il caso di Pettazzoni è emblematico: nel volume da lui curato e dedicato alla
mitologia nord-americana sceglie i racconti dei trickster organizzando il
discorso alla luce di una differenziazione tra tipi narrativi: demiurghi,
collaboratori dell’opera di creazione, risibili affabulatori, imbroglioni e
lestofanti. Nonostante l'inoppurtuna omonimia, Pettazzoni riesce a scindere la
compresenza degli opposti distribuendo diacronicamente i caratteri, ora di
demiurgo ora di briccone, sostenendo che alle origini il trickster era un
“rudimentale Essere Supremo”, per vari motivi degradato (Pettazzoni 1953, v.
III: XIV). Dal lato della divinità egli appare un dispensatore di opere
benefiche, demiurgo benefattore, eroe civilizzatore, ma il comportamento
dissacrante, l’inganno che adopera, l’oscenità e la poca dignità lo collocano
nella sfera del profano. Tuttavia, il confinare questo suo ultimo carattere
nell'universo dei folktales, degli aneddoti e dei lazzi locali, fuori dall'area sacrale
non ha potuto fare a meno di riconoscerne la presenza laddove il trickster,
demiurgo e briccone, partecipa o compartecipa ai miti sacri di creazione
dell'uomo e del mondo, della vita e della morte.
L’ipotesi di un’involuzione di questa figura azzardata da Pettazzoni trova
precursori in Daniel Brinton (1868) il quale, all'inconcepibile coessenzialità di
entrambi i caratteri, pone come soluzione la suddetta ipotesi di degenarazione
e corruzione posteriore. A Brinton succede Boas (1898) che nel medesimo
testo in cui appare per la prima volta l'utilizzo del termine trickster, sostiene la
tesi inversa: ad un egocentrico e amorale Briccone-Buffone è succeduto un
illuminante eroe culturale. Nel 1914 Radin assumerà un'analoga posizione, poi
parzialmente rivista nel 1956 all'uscita del volume: è possibile accettare la
compresenza dei contrari solo sullo sfondo di una visione del mondo delle
origini particolarmente semplice, primitiva e “laica”(Miceli 2000: 29).
L'atteggiamento “religioso” di cui si è fatta portatrice la successiva élite di
sciamani ha tuttavia annullato quel carattere “popolare” per dotarla di attributi
divini. La posizione del 1956 sarà molto più vicina a quella originale di Boas.
Il riferimento allo sciamanesimo ci consente di ampliare la riflessione ad
un’ulteriore discussione interna alla vicenda storica del trickster. Campbell
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(1959; trad. it. 1962: 252) propone, proprio in virtù dell’ambiguità e
ambivalenza di questo personaggio, di riconoscerlo come tipico dei più
primitivi popoli di cacciatori per l’idea che tra essi fosse prevalente uno
sciamenesimo che acconsentiva ad espressioni “mitico-rituali”, dal carattere
“leggero e capriccioso”, connesso ad una religiosità primitiva “individualistica”
differente e contrapposta a quella successiva, più complessa e specializzata,
propria dei popoli coltivatori. All’élite di sciamani questi ultimi sostituirebbero
la casta dei “preti”. Secondo questa interpretazione il trickster si
configurerebbe allora come un “supersciamano” contestualizzato in una
specifica epoca, propria di una società
7.
Ricketts (1966), dal canto suo, ritiene
che il trickster vada differenziato dallo sciamano. Nel 1964 conclude una tesi
di dottorato che rappresenta un’indagine approfondita sui miti nordamericani
sostenendo che quei miti collocano il trickster in contrapposizione alle
pratiche e alle credenze dello sciamanesimo. Per fronteggiare ciò che genera
timore e spavento, l’umanità ha due risposte: lo sciamano che assume un
mondo spirituale di fronte al quale s’inchina e con cui tenta di stabilire dei
patti, e il trickster che non riconosce nessun potere al di là della propria
intelligenza, e cerca di afferrare l’ignoto con l’ingegno e l’astuzia (Ricketts in
Hynes e Doty 1993: 88; cfr. anche Ricketts 1966: 344, in Hyde 1998; trad. it.
2001: 327).
In tale senso Ricketts, ricordando il primitivo briccone del Radin del 1914,
riconosce in quest’ultimo un certo senso di indipendenza e di autosufficienza
dell’uomo:
Il trickster (...) incarna un’esperienza della realtà (...) in cui gli uomini
avvertono se stessi come esseri autosufficienti, per cui gli spiriti
sovrannaturali sono poteri che non vanno riveriti ma ignorati o superati, o
in ultima analisi beffeggiati (cit. in Hynes e Doty 1993: 87).
E ancora:
Tutto ciò che gli esseri umani hanno ottenuto in più dai poteri invisibili –
fuoco, pesci, selvaggina, acqua dolce etc. – se lo sono dovuti procurare con
l’astuzia o il furto (...) Egli non sembra aver bisogno di amici [spiriti]: sa
cavarsela benissimo da solo (Ivi: 91-92).
16 TRA MITO E CULTURA. PARADOSSI E CONTRADDIZIONI.
7 Un’ipotesi di rapporto tra forme di economia e qualità demiurgica o briccona del trickster è
avanzata anche da Pettazzoni, per approfondimenti cfr. Miceli 2000.