stadi dell’industria (produzione, distribuzione, esercenza) e le interazioni esistenti
tra questi e le nuove dinamiche sociali, ho messo in evidenza l’evoluzione della
propensione al consumo dello spettatore.
Successivamente ho definito il ciclo di vita di un prodotto e la sua applicazione
all’industria cinematografica, quindi ho verificato i risultati ottenuti dai “box
office” nel periodo 2000/2004. Da questa analisi comparativa è emersa l’effettiva
estensione della stagione cinematografica verso il periodo estivo, supportata sia da
adeguamenti dalla filiera, sia da iniziative sviluppate “ad hoc” per consentire
l’annualità piena; in tal senso sono stati analizzati anche i potenziali ostacoli ad
essa.
Nel quarto capitolo ho definito le motivazioni che portano a
“concretizzare”, di fatto, la propensione all’annualità. A tal fine è stata utile
l’intervista a Piera Berneschi, responsabile di programmazione e del rapporto
scuola per i cinema Politeama e Supercinema di Frascati (RM).
Seguendo questo percorso d’indagine, anche il confronto con la
cinematografia francese ha acquistato nuovo significato, grazie alle
sovrapposizioni d’esperienze tra le due nazioni.
Per quanto il lavoro nel suo complesso sia focalizzato sull’analisi della situazione
italiana, ho ritenuto interessante elaborare un quinto capitolo in cui ipotizzo una
rivisitazione dei rapporti con le cinematografie europee, definendo un excursus di
quella francese. Lo scopo di tale elaborazione era di esporre ad una lettura
analitica lo stesso profilo di problematiche sviscerate nel caso italiano.
Lascio al lettore la possibilità di cogliere le affinità tra le due nazioni con
curiosità, augurandomi che possa trarne riflessioni interessanti
6
Vorrei ringraziare la cattedra di “Storia della Radio e della Televisione” nelle
persone del Professore Michele Sorice e della Dottoressa Emiliana De Blasio. Li
ringrazio per l’ironia, la disponibilità, la sincera attenzione che mi è stata rivolta
(e per la schiettezza che solo una vera guida persegue) nell’aiutarmi a
comprendere i limiti ed i pregi del mio percorso di lavoro.
Ringrazio la disponibilità di Piera Berneschi che mi ha permesso di dare un
generoso sguardo al mondo dell’esercenza ed ai suoi intimi meccanismi.
Un grazie infinito ai miei genitori che hanno sempre supportato il mio percorso di
studi e ai quali voglio dedicare questo lavoro, come prova che i lunghi eremitaggi
trascorsi nella mia stanza hanno infine condotto a qualcosa.
Vorrei infine ringraziare i miei amici, vicini e lontani, che hanno sopportato le
crisi e le depressioni euforiche dell’ultimo anno, mi hanno saputo spronare e
ricondurre nel mondo reale. Grazie Alessandra, Cecilia, Marcella, Marta, Michele
e grazie al mio esperto informatico di fiducia Daniele, che ha salvato dai continui
attacchi virulenti il “prezioso” elaborato.
7
IDefinizione dell’oggetto di ricerca
I.1 La filiera cinematografica
Il termine filiera di produzione definisce un susseguirsi di operazioni concatenate
tra loro, a cominciare dal trattamento delle materie prime fino all’elaborazione del
prodotto finale e alla sua commercializzazione. Essa può essere suddivisa in
diverse fasi, classificabili per il genere prodotto
1
.
In un ambito prettamente europeo riferirsi ad un elaborazione culturale ed
artistica, come può essere il lavoro cinematografico, in termini così strettamente
industriali sembra fin troppo spesso un eresia. Queste perplessità sono dovute a
sedimentazioni storico-intellettuali proprie della cultura europea che lungamente
ha rifiutato l’accezione di “industria culturale”, ritenendo improprio
l’accostamento tra le alte sfere della cultura e della produzione intellettuale con la
visione pragmatica e riproducibile dei processi industriali. La difficoltà di
concepire in tal senso l’industria culturale ha portato ha considerare il deficit
continuo del settore come una peculiarità dello stesso, tanto da coniare il termine
“exception culturelle”
2
. Niente a che vedere con la concezione taylorista propria
dell’industria cinematografica americana.
Un primo passo in tal senso è stato dato dall’evoluzione del termine “industria
culturale”. Il termine viene coniato da T.Adorno e M.Horkeimer nel 1947, per
sottolineare la pericolosità delle applicazioni tecnologiche accostate alla
produzione e diffusione di massa dei prodotti culturali.
Sul finire degli anni settanta il concetto di industria culturale torna con un
accezione differente: le previsioni negative, dovute all’ipotetica minaccia per la
creazione artistica, sono sostituite da un’analisi di stampo economico incentrato
sul processo produttivo.
1
Definizione di Farcy Joëlle tratto da “La fin de l’exception culturelle?”, Paris 1999 CNRS
Communication.
2
Letteralmente “eccezione culturale”. Termine coniato da J.Lang nel 1980.
8
La riproducibilità diviene parte essenziale dell’industria culturale. L’unicità della
produzione artistica va di pari passo con la riproducibilità dei suoi supporti. Un
evoluzione in tal senso è resa possibile grazie all’ingresso nel settore culturale
degli studi economici
3
.
Alla luce di ciò riferirsi all’industria culturale e nello specifico l’industria
cinematografica, come ad una filiera di produzione non è un tentativo di sminuire
le proprietà artistico intellettuali della stessa, ma di rendere un processo produttivo
scindibile nella gestione delle sue fasi di commerciabilità e realizzazione.
Consideriamo quindi il prodotto culturale come risultato di un processo produttivo
dato dall’insieme integrato di attività economiche come mercato, capitali e
tecnologie. Una filiera appunto.
I.2 Le fasi della Filiera Cinematografica
In riferimento all’industria cinematografica possiamo considerare la struttura della
filiera suddivisa in cinque fasi
4
: creazione, produzione, realizzazione,
distribuzione ed esercenza.
Abitualmente si tende ad adottare un modello ancora più semplificato che fa
coincidere le prime tre fasi come parte di una sola: la produzione.
Limitatamente al primo capitolo preferiamo trattare una visione estesa della filiera
distinguendola in cinque fasi.
I.2.1 Creazione
La creazione prevede l’elaborazione di un soggetto ed il seguente trattamento in
sceneggiatura sulla cui base si stabiliscono le seguenti fasi del lavoro.
Il soggetto può essere originale, cioè i diritti appartengono alla stessa persona che
intende sviluppare il progetto, oppure non originale, in tal caso è necessario prima
di passare alla fase successiva e di acquisire il diritto all’utilizzo dell’opera
(secondo le norme vigenti sul diritto d’autore).
3
In tal senso vedi gli studi di micro economia di G.Becker, K.Lancaster e G.Stigler.
4
Suddivisione di Farchy Joelle Le cinéma déchainé Ed.CNRS.
9
Questo stadio è tendenzialmente poco dispendioso e riguarda nello specifico le
potenzialità artistiche del soggetto e la capacità di reperimento di un buon
materiale che, oltre alla soddisfazione personale, ottenga anche un valido riscontro
economico.
I.2.2 Produzione
Alla produzione compete la realizzabilità del soggetto sotto il profilo economico
ed organizzativo. La difficoltà maggiore consiste nel reperire risorse economiche.
In riferimento alla parte organizzativa o di produzione propriamente detta, questa
comprende la fattibilità e la gestione delle figure professionali, dei materiali e dei
luoghi da utilizzare tutti ben orchestrati secondo un organigramma definito, il
piano di lavorazione.
I.2.2.1 Reperimento delle risorse finanziarie
Per il reperimento delle risorse finanziarie necessarie ci si può rivolgere ad
investitori privati, interessando diversi sponsor o chiedendo crediti a banche
implicandole sia sotto forma di soci investitori che per forme di credito fine a se
stesso.
Altra strada è coinvolgere grandi case di produzione o distribuzione cioè le major
(prospettiva attuabile soprattutto in ambito statunitense) o produzioni medio
piccole dette anche indipendenti.
In taluni casi, soprattutto in ambito europeo, si può accedere a dei fondi statali che
assistono finanziariamente le produzioni giudicate nazionali. La nazionalità di un
film è un concetto assai delicato, considerando le implicazioni di carattere
finanziario che comporta, in Europa e nel concreto ci si riferisce soprattutto alla
realtà italiana e francese, poiché grazie alla definizione di nazionalità si ottengono
i fondi statali che sostengono gran parte della produzione indipendente.
Entrando nello specifico italiano il sussidio statale è una pratica presente sin dagli
anni ’30 ed interessa i diversi stadi della filiera. Nel corso degli anni è divenuta
una delle maggiori risorse della cinematografia italiana contrassegnando
l’andamento dell’industria. Ultimo il caso delle legge Urbani del 22/01/04 che
10
ridefinisce i rapporti dello Stato per il sostegno cinematografico e che stabilisce
un accezione piuttosto dilatata di nazionalità
5
dell’opera cinematografica.
La Francia dal secondo dopoguerra si interessa al finanziamento statale. Di
recente
6
il Governo ha elaborato un’ulteriore mezzo di sostegno: le Società per il
Finanziamento dell’Industria Cinematografica e dell’Audiovisivo (SOFICA).
Queste società nascono come fondi dei contribuenti, non sono né coproduttrici, né
proprietarie di diritti, hanno come unico scopo sociale quello di investire nella
produzione di opere cinematografiche e audiovisive di nazionalità francese. Lo
scopo è aiutare un settore in difficoltà come il cinema, senza gravare
eccessivamente sulle casse statali, interessando investitori privati grazie agli
sgravi fiscali.
Le reti televisive sono altri potenziali coproduttori favoriti dalle realtà europee.
Per quanto la loro partecipazione, sia in forma di coproduzione che tramite
l’acquisto anticipato dei diritti di trasmissione, implica un contrazione delle
cosiddette window, cioè si riduce il tempo necessario perché avvenga il passaggio
della pellicola su supporto televisivo.
I.2.2.2 Modelli produttivi
Possiamo sintetizzare i modelli produttivi secondo due grandi famiglie: le major
versus le mini-major e gli indipendenti. Queste si distinguono per entità di
capitali, per presenza territoriale e per organigramma operativi.
Il mercato delle major è concentrato nelle sette firme storiche americane: Warner
Bros, Columbia Tristar, Disney, 20th Century Fox, Universal, Paramount, Mgm.
Queste si sono tutte evolute in veri e propri poli industriali, grazie ad una
integrazione verticale ed orizzontale che ne ha favorito l’espansione mondiale,
rinforzata dalla presenza delle agenzie sparse ovunque.
La loro forza è nella differenziazione delle specifiche produttive che va dal
prodotto filmico allo sviluppo dei mercati ancillari, ciò permette loro di assicurarsi
il primato in quanto ad organizzazione, disponibilità di budget e pianificazione di
5
Art 5 legge del 22/01/2004 .
6
A partire dal luglio 1985.
11
eventi promozionali. Tutte strategie volte a mantenere una forte identità di brand e
commerciabilità dello stesso.
L’estetica delle major rispecchia la loro struttura di integrazione mondiale.
Propongono prodotti che esprimono la multiformità etnica americana sia con il
fine politico di esportare il modello dell’american way of life che per un fine più
prettamente economico ed immediato di ottenere un prodotto commerciabile in
tutto il mondo.
Le mini_major e gli indipendenti sono la grossa fetta del mercato (da un punto di
vista numerico). È loro il compito di sperimentare nuovi linguaggi e forme di
espressione che svecchino l’industria, altrimenti stantia delle major. In esse è
riconoscibile una pluralità creativa ed una disomogeneità culturale, dovuta alla
forte storia nazionale delle singole realtà europee. Questo modello produttivo
difatti è identificabile, salvo rare eccezioni, nella struttura produttiva europea..
Per quanto si tenda ad accorpare queste due categorie come realtà opposte
all’omogeneità delle grandi case, tra esse c’è comunque una differenza organico-
strutturale. Come mini-major ci si riferisce a strutture commercialmente forti
come la DreamWorld americana, di Spilberg o la Europa Corp francese, di Luc
Besson e Pier-Ange Le Pogam, per fare un esempio europeo di stile ed impronta
piuttosto americanizzata. Queste case sono caratterizzate da una differenziazione
strategica su più settori e da fonti di capitale. Ad esempio l’Europa Corp, oltre alla
produzione cinematografica è molto attiva nelle serie televisive, distribuisce le
musiche dei propri film e si occupa di editoria.
Inoltre le mini-major sono caratterizzate dalla produzione di prodotti esportabili
(anche se in minima parte rispetto alla produzione annuale). In media non
lavorano su grossi budget riservando tale risorsa a pochi prodotti
7
.
Le produzioni indipendenti, per quanto presenti anche su suolo americano, sono
una prerogativa europea. Sono caratterizzate da una forte autorialità che le
7
La media dei preventivi dei film prodotti dall’Europa Corp nel 2002, si aggira intorno ai 14
milioni di euro, la più alta in Francia. Tre dei film prodotti dalla casa figurano tra i 10 francesi più
costosi dell’anno. Nel 2002 la casa ha prodotto 6 film. La sola altra produzione francese che nel
2002 ha prodotto 6 film è la Gémini Film di Paolo Branco. Questa arriva ad un preventivo medio
di 1,9 milioni di euro. Fonte: Bilan statistique des film agréés du 1er janvier au 31 décembre 2002
du CNC. www.cnc.fr.
12
contraddistingue e a volte ne penalizza le possibilità di uscita fuori dai confini
nazionali. Economicamente dipendono per la maggior parte dai fondi statali e dai
contributi produttivi delle reti televisive. Sono strutture poco affidabili sotto il
profilo della longevità, vittime della mancanza di capitali, dell’alto rischio di
impresa e delle difficoltà di distribuzione.
I.2.3 Realizzazione
Questa è una fase meramente pratica in cui le diverse professionalità reclutate
partecipano all’elaborazione corale, ognuno secondo il proprio compito, della
realizzazione fisica del prototipo finale
8
.
I.2.4 Distribuzione
Nelle sue memorie Charles Pathé
9
si attribuisce la paternità dell’attività di
distribuzione. Ciò accade quando, nel 1904, comprende le potenzialità
remunerative della “concessione della licenza” direttamente alle nuove figure di
esercenti, rispetto l’uso dell’epoca di vendere le pellicole. In questo modo il
produttore può godere in modo proporzionale del successo economico del proprio
prodotto.
Alle origini dell’industria cinematografica, la diffusione dei film è totalmente
incontrollata. Dal 1985 al 1904 i film passano di sala in café senza che il
produttore ne sia necessariamente informato. I produttori sovente si occupano in
prima persona della organizzazione delle visioni o vendono le pellicole agli
organizzatori di spettacoli ambulanti. L’intuizione di Pathé arriva quando, nel
1900, si cominciano a costituire le prime sale di visione specializzate per l’utilizzo
cinematografico.
8
Normalmente un prototipo è la fase iniziale di una produzione su larga scale. Nel caso del cinema
si parla di “industria dei prototipi” per sottolineare come ogni film sia un elaborato industriale che
nasce volta per volta come lavoro originale.
Cfr Laurent Creton per 1.2. Économie du Cinéma 3 ed. Nathan Cinéma. Paris 2001.
9
Charles Pathé inizia la sua carriera nel 1894 con il commercio in fiere di fonografi e
successivamente di cinetoscopi Edison, per la diffusione delle prime immagini in movimento. Nel
1896 fonda insieme al fratello Émile, Pathé-Frères, che diventerà nel 1918 Pathé-Cinéma (“Pathé
prèmier empire du cinéma”.Centre Georges Pompidou. Paris 1994.)
13
I.2.4.1 Le funzioni della distribuzione
Secondo una direttiva del 15 ottobre 1968 della CEE “sono considerate come
attività di distribuzione e di noleggio dei film tutte quelle attività comportanti
disposizioni su i diritti di sfruttamento economico di un film in vista della sua
diffusione commerciale su un mercato determinato e la cessione, a titolo
temporaneo, dei diritti di rappresentazione pubblica a tutti coloro che organizzano
direttamente tali rappresentazioni”.
La funzione più tradizionale della distribuzione consiste nella diffusione fisica del
prodotto filmico, deve quindi svolgere delle funzioni logistiche quali:
-Assicurare l’approvvigionamento delle pellicole secondo una disposizione
spaziale e temporale ottimale. Definire quindi le città, il calendario delle uscite, le
sale e le eventuali combinazioni commerciali ottimali per ottenere il massimo
sfruttamento del prodotto.
-Determinare il numero di copie necessarie rispetto il numero di sale ed il
calendario di proiezione. Gestire la tiratura a seconda delle strategie di diffusione
scelte.
A queste funzioni tradizionali negli ultimi anni si è aggiunta la gestione
organizzativa e dei costi legati alla uscita del film quindi: promozione, pubblicità,
eventi collegati, materiale pubblicitario. In questo ruolo il distributore condivide
con il produttore i rischi legati alla riuscita del film.
Il distributore è quindi un intermediario tra le il produttore e l’esercente.
L’ambiguità del suo ruolo dipende dall’effettivo coinvolgimento nei due settori.
Egli ricopre un ruolo strategico nella fase di risalita della filiera.
Anche la distribuzione si attiene alla divisione accennata sopra (Cap I, par.1.3.2.)
nei due macro gruppi major e mini-major indipendenti. Difatti le grandi major si
sono sviluppate verticalmente dalla produzione all’esercenza, passando per la
distribuzione. Le grandi case distribuiscono film di propria produzione e ne
acquisiscono di altri, prodotti da case più piccole. Il rapporto di questo mercato è
di 10-15 film prodotti per 20-30 acquistati.
L’apertura delle major a pellicole a loro esterne è un fatto necessario per coprire i
considerevoli costi di gestione che devono affrontare, soprattutto perché le grandi
case agiscono sempre sulla massima estensione territoriale possibile. Il circuito
14
distributivo delle major, quindi garantisce ai prodotti una forte penetrazione di
mercato, ma d’altro canto limita l’azione della distribuzione indipendente. A
quest’ultimi non resta che specializzarsi in settori di nicchia e lavorare sulla
capillarità territoriale.
A danneggiare ulteriormente i circuiti delle piccole major arriva il nuovo trend
delle grandi di acquistare o costituire ex-novo dei circuiti di distribuzione
alternativi sullo stile delle “vere” indipendenti. Ecco che nascono nuovi nomi
come: la Fox Searchlight e la Fox 2000 dalla Fox; la Sony Classic dalla Sony;
l’October Films dall’Universal; La Goldwyn dalla MGM; la Dimension dalla
Miramax
I.2.4.2 Strategie di distribuzione
Quando si parla di strategie della distribuzione va specificato se si tratta della
distribuzione tradizionale ovvero quella verso le sale, oppure di distribuzione
relativa alle nuove tecnologie sostitutive per lo “sfruttamento” del prodotto, il
cosiddetto mercato “ancillare”. La fuoriuscita in sala diviene così solo l’inizio di
un percorso di uso ben più articolato e vario che può interessare diversi settori: dal
mercato televisivo, al consumo domestico con VHS e DVD, ai videogiochi,
l’abbigliamento, i ristoranti, per estendersi ai merchandising più diversi. Lo scopo
è sviluppare un ramificato mercato ancillare.
Queste nuove forme di fruizione ricoprono ormai la maggioranza degli introiti del
prodotto cinematografico, ma necessitano del “passaggio in sala”, perché ne sia
decretato il lancio.
Per la distribuzione si utilizzano diverse strategie. Secondo quale viene adottata ed
in base al potere contrattuale degli esercenti e del distributore si può parlare di un
modello distributivo basato sul presidio focalizzato sulla sala, cioè poche copie in
programmazione prolungata in alcune sale, oppure sul presidio diffuso della sala,
caratterizzato da una consistente copertura del mercato, grazie al numero elevato
di sale coinvolte contemporaneamente, quest’ultima strategia prevede un costo più
elevato a cominciare dalla necessità maggiore di copie. Il modello distributivo è
definito dal tipo di strategia adottata.
15
-Ad esempio la distribuzione per saturazione consiste nel coinvolgimento
simultaneo di quante più sale possibili. Lo scopo è sviluppare la massima
attrattiva di pubblico nei primi giorni di programmazione, grazie a massicce dosi
di pubblicità e promozione su dimensione nazionale e locale. Questa metodologia
prevede una risposta di pubblico immediata quindi prescinde dal passaparola. È
una strategia costosa applicabile soprattutto a determinate tipologie di prodotti, i
cosiddetti blockbuster.
-Abbiamo poi la distribuzione per piattaforme che consiste nella costituzione di
una piattaforma di lancio ristretta ai mercati più importanti. In seguito agli ottenuti
consensi e secondo i tempi di attivazione del meccanismo del passaparola si
diffonde la distribuzione in altre aree. I supporti pubblicitari sono così ristretti in
ambito locale con un conseguente abbattimento dei costi. Nel caso di un
passaparola negativo, però diviene una pratica dispendiosa.
-L’impegno limitato invece è la tipologia più utilizzata in caso di pellicole
sofisticate o dalla complessa previsione di mercato. Il modello è simile alla
distribuzione per piattaforme, ma in questo caso si coinvolgono solo poche sale
nei mercati più importanti ed ci si espande solo in caso di passaparola positivo.
La campagna pubblicitaria è altresì ristretta al territorio di interesse, ad
identificare il target specifico, permettendo così di contenere i costi.
-Il test marketing è una pratica utile per prodotti di alta potenzialità, ma con scarsi
mezzi economici. Si usa per ottenere accesso ad una distribuzione più grande.
Consiste nel far uscire il film, in poche copie, in mercati selezionati e poco
dispendiosi e spingerlo con una pubblicità locale e molto specifica. I risultati di
queste prime uscite faranno poi da garante al prodotto per interessare una agenzia
di distribuzione più forte.
Nel caso che il target specifico del film o le aree geografiche di competenza siano
già evidenti si procede con la market by market saturation. Pratica che permette
anche un consistente risparmio nel numero di copie. Si procede contattando sub-
16
distributori regionali, rivolgendosi direttamente agli esercenti di piccoli e medi
centri oppure avvicinando il circuito di sale indipendenti.
Nel caso di film particolarmente eccentrici si può procedere alla distribuzione
classica utilizzando le sale dette “artistiche”, del circuito indipendente,
caratterizzate da un pubblico consapevole della tipologia dei film trasmessi.
Inoltre agendo su tale circuito si limitano i costi sia per le poche copie necessarie
che per la pubblicità.
I.2.4.3 Dinamiche del rapporto mediatore con gli altri settori della filiera
Il rapporto tra produttore e distributore consiste quindi nella cessione temporanea
dei diritti di utilizzo dell’opera e può essere regolato secondo due diverse linee
guida: Il “mandato” che corrisponde al diritto di distribuire un determinato film,
su un area specifica, per un tempo stabilito. La “cessione” cioè la vendita globale
dei diritti di usufrutto di un prodotto per un tempo e un area geografica
determinato.
Questa seconda possibilità è il metodo più usato per la distribuzione dei film di
importazione. Per questo tipo di lavoro il distributore riceve comunque una
commissione negoziata con il produttore e dipende dall’ingerenza del distributore
nei finanziamenti della produzione.
Il rapporto tra esercente e distributore
10
è regolato secondo un compenso legato
agli incassi.
Partecipazione della distribuzione al finanziamento del film. A causa del continuo
aumento budgetario delle pellicole, la distribuzione è divenuta partecipe anche nel
finanziamento dei film, sia sotto l’aspetto di coproduzione delle pellicole che con
crediti relativi al rischio di impresa sulla distribuzione vera e propria, remunerabili
in un secondo tempo in base agli incassi.
La partecipazione al rischi produttivo garantisce inoltre alla distribuzione una
maggiore potere contrattuale sulla percentuale degli incassi.
10
La distorsione delle dinamiche tra questi due componenti della filiera verranno analizzate nel 3°
capitolo.
17
I.2.5 Esercenza
L’esercenza è l’ultima fase della filiera tradizionale in cui la pellicola si incontra
con il pubblico e ne decreta l’entità del successo commerciale. Anche in questo
settore sono presenti delle strutture di proprietà delle major sia su territorio
americano che europeo. La presenza delle major nell’esercenza, al momento, non
è concentrata come negli altri stadi, ma rispetto alla media le sale sono attrezzate
con prodotti di alta tecnologia per la visione di pellicole ben al di sopra delle
possibilità della media degli indipendenti.
Un esempio per tutti è la Warner Bros che probabilmente meglio rappresenta la
visione taylorista americana dell’industria culturale. L’organigramma societario si
sviluppa in verticale nell’ordine della convergenza multimediale.
Grazie all’acquisizione di AOL e del Times la Warner Bros
11
è divenuta a tutti gli
effetti un colosso multimediale che spazia dalla filiera cinematografica, ad
internet, alla carta stampata, per quanto di recente
12
questo connubio definito da
molti “il matrimonio del secolo” ha rivelato qualche debolezza.
Arrivati a questo gradino della filiera è fondamentale che la pellicola sia
supportata da adeguate pratiche di promozione. Parte di queste coinvolgono la
sala stessa, come ad esempio la trasmissione dei trailer.
Ad essa si affiancano opere di advertising mirate su i diversi mezzi di
comunicazione, più o meno locali, dipende dal target della campagna, azioni di
publicity
13
e di promozione propriamente detta.
Nonostante l’entità degli sforzi pubblicitari il vero motore capace di smuovere gli
spettatori resta il passaparola. L’80-90% del budget destinato alla pubblicità viene
speso entro le prime due settimane. Se nella seconda settimana la percentuale
degli ingressi è rimasta costante o addirittura è cresciuta ci sono considerevoli
possibilità che si sia attivato un valido processo di passaparola.
11
La cosiddetta convergenza multimediale è avvenuta nel gennaio 2000.
12
Gennaio 2003.
13
Metodo per ottenere pubblicità indiretta attraverso notizie di colore non sempre legate alla realtà
del film. Ad esempio per “The Day After Tomorrow” correva voce che a causa delle variazioni
climatiche in corso, la paura del regista fosse di dover trattare un documentario invece che una
finzione filmica.
18