5
prevalenza da marxisti di origine ebrea)volsero al peggio: allo scoppio della seconda
guerra mondiale la Scuola di Francoforte traslocò a New York e fu proprio in
America ,ove i francofortesi ebbero modo di misurarsi con la cosiddetta società
industriale avanzata incarnata dal mondo americano il quale risultava in anticipo
rispetto alle “linee di tendenza della evoluzione sociale che si riscontreranno, grosso
modo qualche decennio dopo, nel nostro continente”
2
, che nacquero le opere più
rilevanti dell’Istituto.
Colpiti dai tratti totalitari più che da quelli pluralistici e democratici di tale società, i
francofortesi si proposero subito di svelarne i meccanismi disumani ed alienanti, con
un tipo di approccio critico che consiste sostanzialmente nell’assimilare la società
industriale avanzata ad un enorme macchina che determina,anzi pre-determina tutto
ciò che l’individuo fa mediante l’imposizione a priori di bisogni,direttive e modi di
pensare collettivi.
Macchina che, attraverso la propaganda sempre più sofisticata dell’industria culturale
riesce ad imprimere su tutto “il marchio dell’unità”.
3
Infatti la produzione di massa reclama l’individuo intero ed il risultato non è più
l’adattamento ma la mimesi,un identificazione immediata dell’individuo con la sua
società e tramite questa con la società come un tutto.
Niente da stupirsi,dunque,che in questa situazione il soggetto mimetico della società
odierna tenda a farsi coscienza felice,ossia a credere “che il reale è
razionale”,smarrendo in tal modo il senso del divario fra ciò che è di fatto è ciò che di
diritto dovrebbe essere.
Ma questa coscienza felice non è, per i francofortesi, una condizione che debba essere
conservata e protetta perché, al di fuori del sistema in cui vive, l’individuo non riesce
a scorgere altri possibili o difformi modi di esistere e di pensare.
In tal modo la realtà riesce ad inglobare ogni ideale che tenti di confutarla compreso
lo sviluppo della facoltà critica, che pur conservando in se stessa la possibilità “di
riconoscere la malattia dell’insieme e afferrare le possibilità che si offrono per
curarla”
4
, appare progressivamente svuotata della sua carica contestatrice e resa
docile alle esigenze del sistema e del mercato.
La filosofia che corrisponde a questo tipo di società e ne costituisce le strutture
portanti è il pensiero positivo, alla cui demolizione critica Adorno e Horkheimer,
sulla base del loro “pensiero negativo”, dedicano molte pagine delle loro opere più
importanti.
Infatti,nello scientismo positivistico essi scorgono la sconfitta di ogni pensiero di
protesta e il trionfo di una filosofia che funge da doppione apologetico della società
unidimensionale portata a credere,con Wittgenstein,che la filosofia debba “lasciare
ogni cosa così com’è”.
Per tali ragioni alla fine del conflitto i due francofortesi,persuasi della necessità di
dare vita ad un progetto di trasformazione e di superamento di tali esperienze sociali
e politiche che tenesse conto dell’uomo, della sua libertà e del suo armonico sviluppo
2
U.Galeazzi , La scuola di Francoforte, Città Nuova Ed., pag. 21
3
T. W. Adorno, Prismi, pag. 21
4
H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, trad. it. di L. Gallino, Einaudi, Torino, pag. 25
6
in una collaborazione aperta e feconda con gli altri,hanno fatto ritorno in patria dove
hanno ridato vita all’ “Istituto per la ricerca sociale”.
In questa atmosfera di pensiero si è formata una nuova generazione di studiosi,fra i
quali spiccano Alfred Schmidt e Jurgen Habermas e, negli anni a venire la scuola di
Francoforte è diventata uno dei luoghi obbligati del dibattito filosofico mondiale.
1.2 La teoria critica tra neomarxismo critico e utopia
Il pensiero dei francofortesi è andato assumendo sempre più nettamente quella
fisionomia peculiare di “teoria critica della società” intesa come “interpretazione
filosofica del destino degli uomini”
5
che ha come diritto-dovere quello di criticare il
presente in vista del progetto di una “comunità di uomini liberi”
6
atta a garantire “la
felicità di tutti gli individui”.
7
Tale progetto,condotto attraverso l’indagine empirica e l’analisi teorica,si caratterizza
per la sua struttura interdisciplinare in cui confluiscono riflessioni provenienti dalle
discipline più disparate e costituisce per tanto una teoria critica della società nella sua
totalità.
Respingendo ogni prospettiva analitico - settoriale di stampo borghese,il lavoro dei
francofortesi si propone infatti di riprodurre la complessità dialettica della società
odierna mediante una serie di lavori collettivi e multi - disciplinari.
8
Questo piano di indagine risulta chiaro sin dalla Prolusione di Horkheimer,
promotrice di un impostazione socio-filosofica aperta alle integrazioni empiriche: “la
filosofia sociale deve occuparsi soprattutto di quei fenomeni che possono essere
capiti solo in connessione con la vita sociale degli uomini: dello Stato, del diritto,
dell’economia, della religione, insomma di tutta la cultura materiale e spirituale
dell’umanità” .
9
La categoria della totalità, nella sua accezione metodologica e non metafisica,
permette infatti di studiare i vari elementi di un ambito sociale e la connessione fra gli
ambiti stessi come strutture, come correlazioni delle quali è possibile scoprire le leggi
che le determinano.
In Horkheimer vi è un forte impulso alla dialettica come capacità di intenzionare la
totalità e quindi al sapere scientifico come interdisciplinarietà: dialettica significa
5
M. Horkheimer, La situazione attuale della filosofia nella società, pag. 28
6
TC vol.II , pag. 162
7
TC. vol.II , pag. 191
8
La nascente Scuola di Francoforte è andata svolgendo un incessante confronto polemico non solo con Hegel e Marx
ma anche con il gruppo delle filosofie tardo-borghesi dell’ultimo Ottocento ,da alcuna delle quali i suoi
rappresentanti,almeno inizialmente,sono stati influenzati: lo storicismo,il neokantismo,la
fenomenologia,l’esistenzialismo,il neopositismo e il pragmatismo, Come dice il Jay : “ la teoria critica fu formulata
indirettamente in una serie di critiche ad altri pensatori o correnti filosofiche. Essa perciò si sviluppo in modo dialogico
e la sua genesi fu la dialettica come metodo che si propose di applicare ai fenomeni sociali. Solo come critica penetrante
degli altri sistemi,possiamo comprenderla pienamente.” M. Jay, L’immaginazione dialettica, trad. ital., Torino,1979,
pag. 63
9
M. Horkheimer, La situazione attuale della filosofia nella società, pag. 28
7
quindi, concretamente, superamento delle unilateralità che caratterizzano il metodo
scientifico dominante (positivistico e pragmatistico)
10
tramite visione delle relazioni
nel loro complesso.
La dialettica diventa filosofia concreta, in quanto fluidifica i concetti, li mostra nella
loro interdipendenza e nella loro derivazione da rapporti sociali fattuali: "Il momento
del fatto deve rientrare anche nella dialettica"
11
.
Nella comprensione dialettica l’adesione alla storicità fa sì che un determinato
processo storico-sociale non possa mai venir inteso, scrive Horkheimer "come effetto
di singoli fatti immutabili; i suoi momenti si modificano piuttosto reciprocamente di
continuo al suo interno, sicché non è neppure possibile distinguerli radicalmente
l’uno dall’altro".
12
Horkheimer insiste, però, su quanto sia importante tener presente, accanto ad una
rigorosità empirica nel dettaglio un problema teorico centrale perché la teoria critica
presuppone che “sotto la caotica superficie degli avvenimenti si possa riconoscere
una struttura di forze agenti accessibili al concetto.”
13
Per tale motivo essa si mette a confronto con la filosofia, perchè è interessata al
contenuto di verità dei concetti e dei problemi filosofici e parte dal presupposto che
in essi sia realmente contenuta una verità.
Una seconda caratteristica della teoria critica, che ne definisce la criticità
programmatica,consiste nel rifiuto di accogliere la realtà così com’è, e nella
“accanita volontà di trasformarla”.
14
Persuasi dalla disequazione fra realtà e ragione i francofortesi, in contrapposizione ad
ogni filosofia giustificazionista dell’esistente, sostengono che il mondo non è già
conforme alle aspettative razionali degli individui ma deve essere reso tale da essi.
Come puntualizza Horkheimer, il giudizio categorico è tipico delle società pre-
borghesi (che così è il mondo, e che a nulla valgono le azioni degli uomini per
trasformarlo) mentre per la teoria critica vale il principio: “non è necessariamente
così, gli uomini possono modificare l’essere”
15
in quanto produttori delle loro globali
forme storiche di vita ”perché solo gli uomini reali agiscono, superano ostacoli e
possono riuscire a ridurre sofferenze singole o generali che essi stessi o le potenze
della natura hanno creato.”
16
Che l’essere sociale determini la coscienza non è per la teoria critica una visione del
10
Ma la critica al positivismo non ha mai impedito alla ricerca sociale di Francoforte di “riconoscere e promuovere le
sue produzioni specialistiche”, Horkheimer aveva sempre chiaro che “ogni tipo di pensiero filosofico ha bisogno di una
continua osservazione del lavoro scientifico specialistico.” M. Horkheimer, Crisi della ragione e trasformazione dello
Stato, op. cit., pag. 2.
Le tecniche e i risultati di questo non sono tuttavia da assolutizzare. Essi formano la base insostituibile di una teoria che
nella sua istanza alla scientificità non abbassa le singole discipline ma le oltrepassa. Indagine dei fatti e riflessione
teorica dovevano arricchirsi reciprocamente,legate in un unità dialettica mai già data,ma da ricreare ogni volta di nuovo.
11
Protocollo del 3 febbraio 1939, pag. 109
12
M. Horkheimer, trad. ital., Crisi della ragione e trasformazione dello Stato, Roma, 1978, pag. II
13
TC, vol. II , pag. 124. La ricerca sociale così intesa è ugualmente distante dalla mera descrizione dei fatti e dalla
costruzione teorica ostile all’empiria.
14
TC, vol. I , pag. 190
15
TC, vol. III , pag. 171-172
16
Ibid.
8
mondo, bensì la diagnosi di una situazione da superare.
17
La natura utopistica della teoria critica , intendendo per utopia “la critica di ciò che è
e la rappresentazione di ciò che dovrebbe essere”
18
è stata assunta e difesa da tutti i
francofortesi, unanimemente persuasi che solo pensando “ciò che è” alla luce di “ciò
che non è”, si possa fare autentica e non ideologica teoria.
Emblematiche, a questo proposito, le affermazioni di Marcuse, che in “Philosophie
und kritische Teorie” difende il binomio filosofia-utopia che, nella “Nota sulla
dialettica”, rifacendosi a Mallarmé, sentenzia: “ L’assente deve essere presente in
quanto la maggior parte della verità risiede nell’assente”, “il pensiero è, insomma, il
travaglio che fa vivere in noi ciò che non esiste”, “che cosa siamo dunque noi senza
l’aiuto di ciò che non esiste?”
19
.
Tesi analoghe ricorrono in Adorno,per il quale la filosofia è il tentativo di considerare
le cose dal punto di vista della futura redenzione.
Se l’humanitas è una promessa ancora da mantenere e un valore ancora da
realizzare
20
,la teoria critica guarda soprattutto al futuro,convinta che “le possibilità
dell’uomo sono altre che quelle di realizzarsi in ciò che è dato oggigiorno,altre che
l’accumulazione di potere e di profitto.”
21
Ciò non significa che la filosofia, per i maestri della Teoria Critica, debba offrire un
prototipo dettagliato del non ancora. Il compito del pensiero non è quello di
anticipare la configurazione concreta dell’avvenire ma di denunziare il presente e i
suoi mali.
22
Questa fedeltà all’utopia negativa è stata ribadita dai francofortesi sino alla fine:
“Professo la teoria critica,sono cioè in grado di dire che cosa è falso,ma non so
specificare che cosa è giusto.”
23
Anzi,l’impossibilità di definire il bene fa parte, secondo Horkheimer della costitutiva
finitezza umana e rappresenta un utile antidoto a qualsiasi tipo di dogmatismo
assolutistico di natura religiosa o politica: “Il duce,che si chiami Stalin o
Hitler,presenta la sua nazione come il bene supremo,afferma di sapere che cos’è il
bene assoluto e gli altri sono il male assoluto. A ciò la critica deve opporsi.”
24
17
In riferimento alla critica condotta da Horhkeimer e Adorno sulla funzione ideologica del pensiero di stampo marxista
è bene rimandare, per una discussione critica più ampia, al capitolo III.
18
M. Horkheimer, Gli inizi della filosofia borghese nella storia, pag. 63
19
H. Marcuse, Ragione e Rivoluzione, trad. it. di A. Izzo, Il Mulino, Bologna, pag. 16
20
Cfr. G. Pasqualotto, Teoria come Utopia, Bertani, Verona, 1974 , pag. 153
21
TC, vol. II , pag. 191
22
Come dice N. Abbagnano “Si tratta di un Utopia che ha carattere più negativo che positivo perché si concreta
soprattutto nella critica dissolvitrice della società reale.” N. Abbagnano, Storia della Filosofia, Torino, 1982, Vol.III,
pag. 150
23
M. Horkheimer, La società di transizione, pag. 150
24
M. Horkheimer, Conferenza Veneziana del 1969, edita in La società di Transizione, pag. 171
9
1. 3 La Critica alla mentalità positivistica
La polemica di Adorno contro il positivismo,considerato dall’autore la filosofia tipica
della società amministrata e la Weltanschauung dominante dell’uomo contemporaneo
costituisce uno degli aspetti più vitali del suo pensiero, in cui la critica dell’ideologia
si è mostrata più efficace.
Secondo Adorno il positivismo si configura come un atteggiamento acritico del
soggetto di fronte all’esistente perchè si accontenta di descrivere i fatti nell’errata
convinzione che,in quanto tali, essi non sono problemi da interpretare che esigono
espliciti criteri valutativi, ma dati da registrare e classificare.
Il limite principale del positivismo risiede proprio nel non rendersi conto che i fatti
non sono entità naturali immediate ed immutabili,ma il risultato di un processo
storico il quale fa sì che essi siano “mediati attraverso la società”
25
Esso scambia “l’epifenomeno,ciò che il mondo ha fatto per noi,per la cosa stessa.”
26
In virtù di questo feticismo dei fatti il positivismo dimentica pure che questi ultimi
non sono dei semplici dati da descrivere e classificare ma soprattutto dei problemi da
interpretare che esigono, quindi, espliciti criteri valutativi.
E proprio in quanto il positivismo si attesta ad apologia dell’esistente esso appare
poco incline alla questione delle genesi storiche e del movimento dialettico dei
fenomeni reali.
Se guarda con sospetto la filosofia è proprio perché essa intende scoprire i significati
delle cose tenendo conto, a dispetto del riduzionismo, delle complesse articolazioni
della realtà,ragion per cui,dice Adorno: “il pensiero che si solleva autonomamente al
di sopra dei fatti interpretandoli e non si esaurisce in essi, viene diffamato come
sterile e vana filatura di concetti”
27
.
Adorno rimprovera ai positivisti di screditare questa funzione del pensiero: “il
pensiero è necessariamente un male, e tendenzialmente viene screditato, esso perde il
momento dell’autonomia. Sparisce l’autonomia della ragione, sparisce in essa ciò che
non si esaurisce in una riflessione sul dato a cui essa si adegua. Ma in tal modo
sparisce anche la concezione della libertà, e, virtualmente, quella
dell’autodeterminazione della società umana”
28
.
È chiaro che un euristica di questo tipo non può non portare ad appiattire e ad
uniformare realtà che uniformi non sono, ad emarginare i fenomeni non suscettibili di
rientrare in certi schemi prefissati, a privilegiare gli strumenti conoscitivi rispetto ai
fatti da conoscere.
Il primato del metodo con il quale la cosa da conoscere viene indagata secondo quegli
aspetti ritenuti quantificabili e manipolabili, fa sì che si prescinda dalla concreta
realtà sociale che vive nella tensione e nel rapporto fra la totalità sociale e le
25
T. W. Adorno, Dialettica e positivismo in sociologia, pag. 90
26
Ibid.
27
T. W. Adorno, Eingriffe, pag. 16
28
Ibid., pag. 17
10
differenze qualitative che caratterizzano il singolo individuo.
29
Ma i metodi non sono
degli strumenti asettici come pretenderebbe quella sorta di “puritanesimo della
conoscenza”
30
che è il positivismo, ma dei sentieri di ricerca già carichi di teoria e
che pregiudicano gli esiti stessi della ricerca.
Si cade in tal modo nel circolo vizioso di “pretendere di indagare una cosa mediante
uno strumento di ricerca che decide con la propria formulazione che cos’è la cosa.”
31
Soggetto e pensiero,lungi dall’essere concepiti nella specificità del loro
operare,vengono ridotti a meri meccanismi formalizzanti.
Nell’introduzione al dibattito su “Dialettica e positivismo in sociologia”,Adorno ha
riassunto in modo vigoroso le sue critiche al positivismo come il culto dei fatti e la
sistematica inibizione della fantasia e della curiosità, riflettente un implicito disprezzo
per i concetti e il lavoro teorico. Infatti egli scrive: “Per i positivisti il pensiero non è
più che ripetizione,ciò che va la di là di essa è male (…). La curiosità,la novità del
pensiero viene punita,l’utopia deve essere espulsa in ogni sua forma. Nel concetto dei
fatti a cui ci si deve attenere la conoscenza è costretta alla semplice riproduzione di
ciò che è presente.”
32
Non per nulla il positivismo si è saputo coniugare mirabilmente con le filosofie
“cibernetiche” inclini ad equiparare l’uomo ad un robot.
L’incontro è stato voluto secondo Adorno da una società che dal sapere esige
efficienza nell’accumulazione empirica e nell’organizzazione formale dei
dati,funzionalità agli scopi e alle esigenze della produzione ,capacità di riprodurre e
celebrare l’assetto socio-culturale esistente.
1. 4 La polemica contro la sociologia empirica
I limiti del positivismo sono anche i limiti della sociologia empirica che ad esso si
ispira e da cui metodologicamente discende.
Quest’ ultima brama infatti di costituirsi come pura scienza descrittiva e obiettiva
eliminando dal suo ambito ogni pretesa filosofia sociale, assimilata ad anacronistico
residuo di una inaccettabile mentalità speculativa: “ Ora,l’uso linguistico modifica il
concetto di speculativo fino a trasportarlo nel suo opposto. Esso non è più inteso
come in Hegel nel senso dell’autoriflessione critica dell’intelletto,della sua
limitazione e autocorrezione ma viene inteso come privo di rigore ,vano,dove sono
assenti l’autocritica logica e il confronto con le cose.”
33
Ma così facendo esso dimentica che in ogni approccio ai fatti sociali è sempre
presente una determinata concezione filosofica di essi,perchè i fatti rimandano ad un
29
Come dice il Moravia : “Adorno nega l’esistenza di un metodo in sé. La conoscenza non possiede principi formali
stabiliti una volta per sempre,categorie pre-determinate, chiavi euristiche buone a tutti gli usi. O meglio le
possiederebbe ma deve guardarsene se vuole evitare di essere conoscenza di generalità e di astrazioni,per essere
conoscenza invece di particolarità comprese nel modo più adeguato possibile.” S. Moravia, Adorno e la teoria critica
della società, Sansoni, Firenze, pag. 22
30
T. W. Adorno, Dialettica e positivismo in sociologia, pag. 69
31
T. W. Adorno, Sociologia e ricerca empirica , pag. 88
32
T. W. Adorno, Dialettica e positivismo in sociologia, pag. 68-71
33
T. W. Adorno, Dialettica e positivismo in sociologia, pag. 13
11
orizzonte interpretativo che va oltre essi, costituito da un apparato più o meno
scoperto di categorie, giudizi,valori e progetti.
Di conseguenza, contro il dogmatico tentativo di sbarazzarsi dei concetti generali
dichiarati “mitologici”, contro la pretesa di voler pensare senza con ciò stesso
filosofare,i fautori della sociologia critica ricorrono esplicitamente alla filosofia
difendendone la radicalità dello sguardo nella convinzione che la sociologia
presupponga sempre,alla sua base,una filosofia, ovvero un idea generale di ciò che
l’uomo è o deve essere,della sua natura e dei suoi fini.
Solo la teoria permette di scoprire la logica intrinseca che sottende ai fenomeni e li
spiega.
Del resto già Horkheimer, agli esordi della teoria critica, aveva giudicato
insufficiente la sociologia e proclamato la necessita, per comprendere la dinamica
sociale, di una visione storico-filosofica d’insieme.
34
In secondo luogo,Adorno accusa la sociologia positivistica di mantenersi in una
prospettiva analitico - settoriale e di concentrarsi in una serie di fotografie parziali
dei singoli fatti, considerati in modo atomistico, ovvero a prescindere dal contesto
socio- economico complessivo in cui si collocano.
Egli,invece,rivendica la fondamentale importanza della categoria della totalità:
“Quando il positivismo fa passare questo concetto per un residuo mitologico, pre -
scientifico,esso mitologizza nella sua instancabile lotta contro la mitologia, la
scienza.”
35
Ma la totalità di cui il nostro si fa paladino in sociologia non va identificata con il
“mito della ragione totale”, cioè una scienza di tipo hegeliano che “è saltata in aria
insieme alla sua coattività e univocità”
36
e che egli ha incessantemente combattuto
per le sue mire sistematiche,bensì l’immanente sistema globale e orizzonte di
comprensione dei fenomeni stessi,quella dove il tutto vive concretamente
nell’individuale “poiché il singolo nasconde in sé tutta la società.”
37
La totalità sociale è presente nel singolo fatto, lo influenza e lo condiziona ma solo in
quella quest’ultimo trova il suo significato: “l’interpretazione dei fatti guida alla
totalità in quanto non vi è nessun fatto sociale che non abbia il suo posto e il suo
significato” in essa, essendo la totalità “preordinata a tutti i singoli soggetti, poiché
questi anche in se stessi ubbidiscono alla sua pressione.”
38
Ma la totalità non è a sua volta un fatto empiricamente verificabile o una “realtà
prima esistente in sé”
39
,ma è piuttosto l’immanente sistema globale e orizzonte di
comprensione dei fatti stessi.
La totalità,pur non essendo un fatto “non per questo è aldilà dei fatti, è invece
immanente ad essi, in quanto né è la mediazione”.
40
Hegel, apologeta dell'esistente,
mantenendo lo sguardo fisso su quell' intero che, come un ens realissimum, struttura
34
TC, vol. II, pag. 296
35
T. W. Adorno, Dialettica e positivismo in sociologia, pag. 23-24
36
Ibid., pag. 18
37
Ibid., pag. 52
38
Ibid. pag. 21
39
Ibid. pag. 50
40
Ibid. pag. 21-22
12
fin nell'intimo ogni realtà, fu più vicino al vero di quanti che, per amore verso il
particolare, rifiutano di pensare l'intero e, così facendo, lo lasciano intatto.
Proprio per questo la totalità di cui parlano i dialettici non si identifica con
l’incondizionato o l’assoluto della metafisica prekantiana ma con il sistema finito
della compagine sociale : “Gli scientisti(..) invece di percorrere virilmente il finito in
tutte le sue parti,di soddisfare ad un compito fattibile,si darebbero bel tempo col poco
impegnativo infinito. Ma come mediazione,tuttavia,di tutti i fatti sociali la totalità
non è affatto infinita è invece chiusa,finita proprio in forza del suo carattere di
sistema.”
41
Se il sistema è modello della società è però vero anche il contrario. All'interno della
relazione tra l’ “universale” e il “particolare” così come si impone al pensiero
nell'epoca del tardo capitalismo che Adorno definisce "mondo amministrato" non è
possibile pensare,altrimenti,la reciproca determinazione di individuo e società; essi
rimangono due realtà irriducibili, in costante tensione reciproca.
Ragion per cui il concetto di totalità, in Adorno, è critico e non positivo perché nella
società reificata “essa è falsa e irrazionale”
42
in quanto il rapporto tra individuo e
società che si attua nella società retta dal principio di scambio è la progressiva
subordinazione dell’individuo al sistema sociale come carattere prettamente materiale
che si spaccia per armonia realizzata.
“Con la società l’ideologia è talmente progredita che essa non si sviluppa più in
apparenza socialmente necessaria e quindi con un’autonomia, per quanto precaria, ma
ormai solo come colla: falsa identità di soggetto e oggetto”.
43
La struttura sociale che spiega i singoli fatti e da ricondursi, quindi, al principio di
scambio in cui si realizza un sistema coerente che ha come idealità l’unitarietà priva
di contraddizioni.
Questa struttura è qualcosa di assolutamente reale ma al tempo stesso non è un
orizzonte invalicabile: non si tratta di una realtà naturale, ma di una realtà storica.
È reale in quanto fornisce il modello di ogni accadere sociale perché il principio di
scambio condiziona vari aspetti dell’uomo,ma è apparente in quanto il valore di
scambio tende ad essere considerato come naturale,oggettivo quando,invece,è
unicamente convenzionale,frutto di un determinato rapporto sociale sfuggito al
controllo cosciente dei soggetti.
Perciò la sociologia non si deve accontentare di registrare lo stato falso del reale
perché in tal modo essa “scambia le regole astratte così ottenute,con la legge che
domina sui fatti e secondo cui essi si svolgono” assumendo come criterio di verità
l’apparenza al posto della realtà.
Conoscere la società significa invece individuare le linee di tendenza secondo cui si
verificano i fatti sociali e smascherare la falsa naturalità della società capitalistica,per
tali motivi la sociologia implica la teoria del valore,cioè un interpretazione che
include una concezione filosofica dell’essenza dell’uomo in base alla quale si può
parlare di alienazione.
41
Ibid. pag. 50-51
42
MM, pag. 48
43
DN, pag. 313