L’obiettivo di questo lavoro è duplice. In primo luogo, si cercherà di definire con
maggior chiarezza il significato del termine “geopolitica”, ripercorrendone la storia
dalla comparsa nel dibattito politico della Germania del dopo-sconfitta
1
, passando per
la censura ideologica imposta dal comunismo e dalle dottrine internazionaliste
dominanti nel periodo della Guerra Fredda, fino ad arrivare alla riscoperta negli anni
Ottanta e all’ondata di popolarità che, con la fine dell’era bipolare, ha portato taluni
esperti a definire il termine “deprezzato” per inflazione semantica”.
Nel primo capitolo si è data particolare rilevanza alla definizione proposta da un
geografo francese che ha dedicato gran parte della sua vita allo studio della materia in
questione: Yves Lacoste. La definizione dell’autore permette di individuare nella
geopolitica un metodo di analisi che può rivelarsi fondamentale per comprendere le
profonde cause e implicazioni dei conflitti territoriali, etnici e religiosi nell’era post-
bipolare. Esso permette di analizzare le rivalità territoriali fra diversi tipi di poteri e
fazioni, e le rappresentazioni che ciascuna di esse ha di se stessa e della situazione in
questione. Dal momento che le rappresentazioni, così come le strategie delle diverse
fazioni in lotta sono parziali, faziose e antagoniste, occorre cercare di renderne conto
in modo oggettivo se non imparziale. Secondo Lacoste
2
, la geopolitica può in questo
senso essere considerata come metodo scientifico dal momento in cui le tesi delle
fazioni in lotta sono presentate in buona fede e si cerca di comprenderle in profondità.
In secondo luogo, si cercherà di ripercorrere l’evoluzione delle teorie geopolitiche
partendo dalla nascita della geopolitica tedesca, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del
XX secolo, analizzando le strategie e le dottrine che si sono affermate nel periodo
della Guerra Fredda, fino a ricomprendere nel presente lavoro le visioni del mondo
che si sono affermate subito dopo la fine del sistema bipolare. Il metodo utilizzato è
nel contempo storico e politologico: sono state analizzate le teorie nella loro struttura
concettuale, il contesto che ha portato all’elaborazione delle suddette teorie e le
implicazioni e influenze che esse hanno esercitato sulle politiche estere degli stati, sugli
eventi bellici e, più in generale, sulla struttura del sistema internazionale e sulla sua
evoluzione nel tempo. Un’ultima parte della trattazione sarà riservata allo studio di
1
Qui intendendo il periodo che si apre con la firma dell’armistizio da parte della Germania in data 11
Novembre 1918.
2
Cfr. Yves Lacoste, Che cos’è la Geopolitica, in «Limes», 4, 1993 e 1-3 1994.
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alcune costanti geopolitiche che hanno caratterizzato la politica estera dell’Italia
dall’Unità ai giorni nostri.
Più nel dettaglio, il secondo capitolo riguarda l’analisi delle Teorie Classiche che si
svilupparono in Europa e Stati Uniti tra la fine del XIX secolo e gli anni della Guerra
Fredda, raggruppate per comodità esplicativa in due correnti di pensiero: quella
organicista e d’inspirazione darwiniana dello “Stato come organismo vitale”, la quale
vedeva nello stato un organismo vivente che come tale poteva nascere, svilupparsi e
ampliare le proprie frontiere fino a raggiungere quelle cosiddette “naturali”e lo “spazio
vitale”, e quella della cosiddetta “Geostrategia”, che concentrava la sua attenzione sui
fattori geografici e sulle politiche che da questi fattori sono influenzati.
Per quanto riguarda la prima corrente di pensiero sarà analizzato il pensiero di due
importanti accademici appartenenti al filone della geografia politica, le cui riflessioni e
teorie posseggono già alla fine del XIX secolo gli attributi per essere definite
“geopolitiche”: il tedesco Fredrich Ratzel e lo svedese Rudolph Kjéllen. All’interno del
secondo filone saranno analizzate le Teorie Binarie, che descrivono un mondo diviso
in due centri di potere, uno continentale e l’altro marittimo, e individuano nella
contrapposizione tra potenze terrestri e potenze navali il leitmotiv storico della
competizione tra stati.
Tra i sostenitori del primato del potere continentale saranno trattate le tesi del
britannico Sir Halford John Mackinder e del tedesco Karl Haushofer, i quali,
partendo da basi opposte, cercarono di indicare ai loro governi come contrastare,
ovvero sfruttare al meglio, il potere continentale per garantire ai rispettivi stati
l’egemonia europea e mondiale. Tra i sostenitori del potere marittimo, le tesi
dell’americano Alfred Thayer Mahan e dell’inglese Julian Corbett chiariranno come il
controllo dei mari e la strategia navale abbiano permesso alla Gran Bretagna di
mantenere l’egemonia mondiale nel XIX secolo e agli Stati Uniti di sostituirsi ad essa
nel XX. Infine, l’analisi della teoria del potere peninsulare dell’americano Nicolas J.
Spykman proporrà un’interpretazione alternativa e originale dell’opposizione tra terra
e mare, sottolineando l’importanza per gli Stati Uniti di mantenere un’influenza e un
controllo stringente sulla fascia insulare e peninsulare che circonda la massa
eurasiatica.
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Nel terzo capitolo saranno trattate le teorie sviluppate fra il secondo dopoguerra e la
fine degli anni ’80. In questo lungo periodo di oblio per la geopolitica, presero il
sopravvento dottrine e visioni del mondo che, sebbene contenessero implicazioni e
riflessioni chiaramente geopolitiche, furono tuttavia ricondotte nell’alveo del pensiero
geostrategico e militare.
Il capitolo si apre con l’analisi delle Teorie del Potere Aereo: partendo dalle prime
elaborazioni rudimentali del generale Giulio Douhet e dei generali angloamericani
Trenchard e Mitchell, saranno esaminate le teorie del geografo americano George
Renner e le successive elaborazioni di Alexander de Severky, le quali intravedevano
nella potenza aerea e più in particolare nello sviluppo e impiego di bombardieri
nucleari il punto di svolta per poter prevalere nella contrapposizione strategica con
l’Unione Sovietica. Come si vedrà, questa concezione unilateralmente tecnologica
della sicurezza e della difesa influenzerà il pensiero strategico occidentale per tutto il
periodo della Guerra Fredda, soprattutto per quanto riguarderà lo scontro balistico e
la geostrategia nucleare.
Dopo una ricognizione parziale delle principali dottrine che si affermarono nel
periodo della Guerra Fredda, ovvero quella del containment e quella del “domino”, si
vedrà come le concezioni multipolari e regionalistiche elaborate da Saul Cohen nel
periodo della prima distensione abbiano cercato di dare un contributo al dibattito
riguardante l’elaborazione del modello di sicurezza e di difesa occidentale,
proponendo un approccio maggiormente flessibile come possibile alternativa per
uscire dalla rigidità della contrapposizione bipolare.
L’ultima parte del capitolo si spinge ad analizzare le teorie e le visioni del mondo che
hanno tentato di dare un’interpretazione al disordine internazionale seguito al crollo
dell’Unione Sovietica e alla fine del sistema bipolare. Partendo dalla Teorie della Fine
della Storia di Francis Fukuyama e dalle altre teorie che hanno intravisto in questo
evento epocale un traguardo per lo sviluppo della civiltà, saranno infine esaminati la
Teoria dello Scontro delle Civiltà di Samuel Huntington e l’approccio geoeconomico
di Edward Luttwak. Entrambe le teorie metteranno in evidenza come la conflittualità
sia ancora presente all’interno del sistema internazionale, originata da inconciliabili
differenze culturali nel primo caso, ovvero caratterizzata dalla competizione
economica e commerciale nel secondo.
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Il quarto capitolo è dedicato all’analisi delle costanti geopolitiche che hanno
caratterizzato la vita politica e soprattutto la politica estera dell’Italia unitaria. Dopo un
breve accenno alle origini del pensiero geografico e geopolitico in Italia e al ruolo della
Reale Società Geografica, si analizzeranno quelle “strutture geografiche e storiche
permanenti che vincolano e condizionano l’azione del paese
3
”, ovvero quei fattori
geografici e storici che nel corso della storia unitaria - anche se potremmo affermare
sin dal Risorgimento - hanno avuto un’influenza determinante sulle scelte della politica
estera e più in generale sulla vita e sullo sviluppo dello stato italiano. L’attenzione sarà
posta in particolare su quattro di queste costanti.
Nella prima parte del capitolo si vedrà come l’Italia, fin dal compimento del suo
percorso unitario, non sia stata in grado di ritagliarsi un “ruolo” nella comunità
internazionale che fosse conforme alle proprie capacità in termini di risorse umane,
economiche e militari, disperdendo le proprie energie e mettendo a repentaglio la
propria credibilità internazionale con l’obiettivo di essere ammessa a tutti i costi nel
“club” delle Grandi Potenze. Si vedrà come l’enfasi sulla questione del “rango” abbia
impedito per lungo tempo all’Italia di uscire dalla condizione di ultima delle Grandi
Potenze e Prima delle più piccole e saranno evidenziate le conseguenze che questa
dicotomia ha comportato per la vita internazionale dello stato.
La seconda costante presa in considerazione è rappresentata dal continuo
bilanciamento fra le attrazioni continentali e quelle mediterranee per quanto riguarda
la politica estera, la scelta delle alleanze e la strategia militare. Si vedrà come nel
giovane stato italiano prevarrà spesso la linea continentalistica, legata ai retaggi del
passato sabaudo e a una concezione nordista della politica estera e della strategia
militare. Un’analisi della morfologia del territorio italiano rivelerà tuttavia una duplicità
strutturale della geografia nazionale, che giustificherà in parte l’ineliminabile presenza
di una forte vocazione marittima e mediterranea.
3
Carlo M. Santoro, La Politica Estera di una Media Potenza – L’Italia dall’Unità a Oggi, 1991, p.
21.
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Nella terza parte del capitolo, l’esame del problema della sicurezza e l’analisi dei
modelli di alleanza di cui l’Italia ha fatto parte nel corso della storia unitaria
riveleranno una terza costante della politica estera: la tendenza ad affidare la sicurezza
e la protezione dei propri interessi vitali ad alleanze con grandi potenze o
superpotenze. Esaminando i modelli di alleanza alla luce del “sottogioco degli alleati”
di Snyder si vedrà come il rischio di “intrappolamento” abbia sempre influenzato in
maniera determinante i rapporti tra Italia e alleato maggiore.
Infine, come conseguenza delle precedenti riflessioni e della posizione dell’Italia nel
Mediterraneo, il capitolo si concluderà prendendo in considerazione la cronica
incapacità dello stato italiano di identificare una propria area geopolitica regionale di
interesse primario. Si vedrà come questo deficit di coerenza strategica e progettuale
abbia impedito al paese di convogliare le proprie energie in progetti unitari, finendo
per oscillare in modo incoerente fra diversi teatri geografici e per disperdere risorse in
molteplici, quanto velleitarie, aspirazioni geopolitiche.
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