1. SUPERAMENTO DELLA SOCIETA’ FEUDALE E
NASCITA DEL MODELLO LIBERALE DEL
CONTRATTO AGRARIO
Non vi è possibilità di comprendere i problemi delle campagne senza riferirsi ai rapporti di
produzione, cioè ai rapporti entro cui gli uomini sono venuti a trovarsi fra loro in relazione
alla coltivazione della terra.
Ogni convenzione in materia agraria, in qualunque tempo e luogo stipulata, ha implicato
necessariamente la concessione a fini produttivi di un fondo rustico o di bestiame, ovvero
l’utilizzazione del lavoro contadino. L’origine del contratto agrario si confonde con
l’origine stessa del pensiero giuridico, anche se esso non ha rivestito un’importanza sempre
uguale nell’ambito dei rapporti agrari.
Se l’epoca romana è caratterizzata da un’organizzazione dell’attività agricola
essenzialmente incentrata sulla conduzione diretta della grande proprietà con l’impiego
massiccio di schiavi e coloni, neppure l’economia feudale è articolata in modo tale da
concedere un ruolo rilevante al contratto agrario. Il sistema economico feudale,
prevalentemente agrario e con un basso livello delle forze produttive e della
commercializzazione, risulta tipicamente basato su di un’attività produttiva costituita da
una grande proprietà fondiaria circondata da piccoli poderi contadini che da essa
dipendono sul piano economico e giuridico.
Di conseguenza il rapporto tra proprietari e contadini viene ad essere instaurato e
regolamentato sulla base dell’ordinamento giuridico dello Stato feudale1 e non attraverso
strumenti convenzionali che presuppongono la libertà delle parti di vincolarsi o meno.
Così i contratti agrari assumono una configurazione e una disciplina consuetudinarie,
riconducibili alla forma della concessione tendenzialmente perpetua e conforme al diritto.
Con il passaggio da un’economia di autoconsumo ad un’economia di mercato, che avviene
gradualmente, con modalità e tempi che differiscono notevolmente a seconda delle aree
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Wickham, C. (1997) L'Italia del primo medioevo, Milano. Il feudo nel significato originario (in latino
beneficium) era costituito dal diritto reale su di un bene in grado di fornire una rendita, quasi sempre di
natura fondiaria, concesso a fronte dell'espletamento di un servizio. L'origine di questo tipo di
remunerazione, sostitutiva di un normale stipendio, risiede probabilmente nella rarefazione della moneta nei
secoli dell'Alto medioevo. Da un certo punto in avanti la concessione del feudo fu caratteristica del sistema
signorile-vassallatico.
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geografiche, nel lungo arco temporale compreso tra l’XI e il XIV secolo, la coltivazione
della terra cessa di essere concepita essenzialmente in funzione dell’esigenza di sussistenza
di coloro che la coltivano e l’attività agricola diventa fonte di guadagno per coloro che
possiedono il fondo.
Ciò nel tempo, unitamente al progressivo dissolvimento del sistema feudale e delle attività
artigianali, determina una prima rivoluzione dei rapporti agrari.
Da un lato l’interesse economico per l’attività agricola favorisce un forte investimento di
capitali da parte della nuova classe sociale costituita dalla borghesia e dall’altro il conflitto
tra proprietari e contadini si libera di ogni connotazione di ordine politico-istituzionale per
porsi quasi esclusivamente sul terreno economico. Ciò comporta la costituzione da parte
del capitale mobiliare di grosse proprietà fondiarie a scapito della proprietà paesana ed
ecclesiastica e la sostituzione dei vincoli di soggezione feudale con accordi che
costituiscono la base dell’evoluzione dei moderni contratti agrari.
Nel corso del Cinquecento e della prima metà del Seicento, infatti, i rapporti tra proprietari
e coltivatori assumono una configurazione sufficientemente stabile. Nello schema giuridico
e nei contenuti economici, i contratti presentano ormai tutti gli attributi fondamentali che
spesso si sono perpetuati fino ad oggi.
Tali accordi segnano un passaggio dai rapporti consuetudinari basati sulla concessione a
rapporti contrattuali legati allo schema dello scambio e quindi si inseriscono nel processo
di trasformazione della rendita fondiaria feudale in quella capitalistica. La caratteristica
essenziale e costante di questi primi modelli di contratti agrari è che a fronte della brevità
della durata della concessione della terra, non più perpetua ma ad certum tempus,
l’interesse del produttore alla coltivazione del terreno viene assicurato facendo largo uso
della formula parziaria, che spinge il concessionario a massimizzare la resa del fondo e nel
contempo garantisce al concedente la partecipazione ad ogni incremento della produzione.
Si delineano così fin da questo momento le linee di un conflitto che fondamentalmente si
conserverà immutato fino ad oggi: la subordinazione del bracciante al proprietario terriero.
La crisi economica che si abbatte in Europa attorno alla metà del XVII secolo e il
conseguente aumento dei prezzi che ne deriva provoca una drammatica esasperazione dei
conflitti tra proprietari e non proprietari che sfoceranno in Francia nella rivoluzione del
1789. La rivoluzione aveva profondamente trasformato la proprietà fondiaria, attraverso
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l’abolizione delle decime ecclesiastiche, dei diritti feudali e con la vendita dei beni
nazionali, non per questo tutti i proprietari erano divenuti imprenditori agricoli.
Durante il Settecento e l'Ottocento le discussioni sull'agricoltura in Italia danno largo
spazio al problema della scissione tra proprietà e gestione dell'attività sul fondo, necessaria
ad assicurare una rendita al proprietario, ai vantaggi e agli svantaggi della mezzadria o
dell'affitto, alle proposte di conservazione o di modifica dei patti in vigore. In questo
settore vi è l’esaltazione dell’autonomia contrattuale a cui si assegna una illimitata
possibilità di regolare a piacimento i rapporti tra proprietari e non proprietari, con la scelta
politica di favorire il contraente più forte (che di solito è il proprietario).
Nel panorama agrario italiano dal Settecento in poi, si possono evidenziare almeno tre tipi
principali di sviluppo, a ciascuno dei quali corrisponde una diversa storia contrattuale. In
alcune zone dell'Italia settentrionale si sono progressivamente diffuse nelle grandi e medie
proprietà, aziende caratterizzate da investimenti intensi in cui prevale il lavoro salariato.
La nuova struttura aziendale prende il posto dei poderi affidati a coloni parziari, a mezzadri
o ad affittuari coltivatori diretti. Spesso la sua nascita è favorita dalla sistemazione
idraulica di vasti territori, prima incolti o poco sfruttati. In queste aziende, quando il
proprietario rinuncia alla conduzione in proprio del fondo, si sono moltiplicati, durante
l'età moderna, contratti di medio e grande affitto con veri e propri imprenditori rurali.
Vi è invece un'area molto più ampia, nelle zone collinari o asciutte dell'Italia settentrionale,
ma soprattutto nell'Italia centrale, in cui persiste la struttura poderale su base familiare, i
cui rapporti con la proprietà sono fondamentalmente regolati da consuetudini risalenti al
Medioevo. Tale struttura è giunta sino ai nostri giorni. Talvolta è proprietaria del podere la
stessa famiglia coltivatrice, ma più spesso si è visto il predominio della proprietà non
coltivatrice che ricorre a contratti d'affitto quasi sempre con canone in natura, a contratti
parziari prevalentemente di carattere mezzadrile o a contratti misti di colonia parziaria e di
affitto.
Vi è infine un'estesa superficie agraria, concentrata nell'Italia centro-meridionale e nelle
isole dove prevale la proprietà latifondista di origine feudale che, a partire dalla fine del
Settecento, inizia un processo di trasformazione in latifondo borghese. Accanto a proprietà
borghesi grandi, medie, piccole si costituiscono proprietà contadine molto piccole e
instabili, tutte accomunate dalla stessa arretratezza produttiva tipica del latifondo
tradizionale.
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Nel primo dei tre tipi di sviluppo agricolo si può intravedere la nascita dell'evoluzione
capitalistica, quale si è realizzata nelle regioni più avanzate dell'Europa occidentale. Il
punto di partenza è la disgregazione delle forme più arcaiche dell'economia feudale,
intendendo con tale termine la dipendenza economico-sociale dei contadini dalla grande
proprietà fondiaria socialmente dominante. Dopo di che, si è avuto un lungo periodo con
nuove forme di predominio dei proprietari fondiari sulla produzione e sulla vita sociale
della campagna. Fino ad arrivare alle grandi masse rurali che vendono sul mercato la
propria forza-lavoro e alla formazione dei ceti imprenditoriali.
A questo punto si delineano tre tipi di rapporti:
• le locazioni dei fondi con canoni in denaro stipulati da proprietari che godono così
di una rendita fondiaria;
• affittuari che cercano nell'impresa il profitto derivante dall'investimento di capitali
propri;
• l'impiego di lavoratori agricoli salariati.
Appaiono quindi le tre categorie centrali a cui si riconduce la distribuzione del reddito in
agricoltura: la rendita fondiaria, il profitto e il salario.
Dove si sono invece manifestati il secondo e il terzo tipo di sviluppo pare che i rapporti di
produzione e i contratti agrari siano ancora bloccati ad una fase di trapasso dalle forme più
arcaiche dell'economia feudale a rapporti effettivamente capitalistici.
In ambito legislativo, nella seconda metà dell'Ottocento tutto il sistema di regole appare
ancora orientato ad assicurare un’adeguata tutela alla proprietà fondiaria, mentre ignora e
trascura gli interessi del lavoro e della proprietà mobiliare, né opera alcun tentativo per
valorizzare il cosiddetto aspetto dinamico della proprietà. L’unica nota di rilievo in materia
di rapporti agrari è che la codificazione italiana regola l’enfiteusi2 come diritto reale di
godimento.
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Simoncelli, V. (1888) L’ Enfiteusi, Tip. P. Agnetti, Milano. L’enfiteusi è un diritto reale su cosa altrui con
un più esteso contenuto, al punto di essere stato considerato nei secoli precedenti come una forma di piccola
proprietà. L’enfiteusi è un diritto perpetuo o, se è previsto un termine, ha durata non inferiore a venti anni.
Non è però suscettibile di subenfiteusi. Ha per oggetto tradizionalmente fondi rustici, ma dalla legislazione
speciale è stata estesa anche ai fondi urbani. Sul fondo l’enfiteuta ha la stessa facoltà di godimento che spetta
ad un proprietario (art. 959 c.c.) con gli obblighi di migliorare il fondo e di corrispondere al nudo
proprietario, “concedente”, un canone periodico per la cui determinazione l’autonomia delle parti è vincolata
dai criteri previsti dalle leggi speciali in materia.
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