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massificazione e sulla distribuzione dei turisti su tutto il globo e,
presto, attorno ad esso.
2. VIAGGIARE SENZA FINI DI LUCRO NON E’ UN BISOGNO
FONDAMENTALE DELL’UOMO: non è un bisogno primario,
costituisce invece un desiderio o anche un mezzo per distinguersi.
Non è un NEED, ma un MUST o un WANT. Il turismo è sussidiario
rispetto al lavoro e al riposo ma il suo sviluppo non è stato
direttamente proporzionale alle conquiste sociali connesse col
diritto al lavoro. Le classi popolari, infatti, non erano culturalmente
preparate all’idea delle ferie retribuite e ancora oggi una certa
percentuale della popolazione delle nazioni benestanti non viaggia,
sia per motivi economici sia per mancanza di abitudine.
3. NON E’ POSSIBILE DEMOCRATIZZARE IL FENOMENO
TURISITICO: non si possono infatti legittimare, con fondi pubblici,
iniziative e strutture che non rispondono alle esigenze
fondamentali dei cittadini. La gestione del tempo libero da parte
degli enti è stata giustificata con motivi ideologici all’interno di
regimi totalitari come strumento di propaganda. Dalla fine del XX
secolo la partecipazione dell’istituzione pubblica alla gestione del
tempo libero viene sempre più spesso rifiutata. La sola forma di
partecipazione degli enti, che pure gestiscono ingenti quantità di
denaro per questo settore, riguarda la promozione di un territorio e
la garanzia di maggiore accessibilità alla clientela turistica.
4. NESSUN LUOGO O POSTO E’ TURISTICO IN SE’: nessun criterio
scientifico può stabilire il grado di “turisticità”di un luogo se non il
flusso rinnovato dei turisti in quel luogo e la ridondanza del brand
e dei commenti a posteriori su riviste di viaggio e guide. Il
manifesto Dada aveva ridicolizzato l’ideologia contraria parlando
di “monumenti che non dovrebbero esistere”, dal momento che
nessuno si preoccupava di segnalarli. E’ quindi anche il tono
elitario della comunicazione che trasforma un luogo in una
attrazione predisponendo un certo sightseeing per i turisti e una
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sacralizzazione di alcune località piuttosto che altre. Significante e
significato tendono così a sovrapporsi in una U.S.P.: “la Francia è
Parigi” e “Parigi è la Tour Eiffel”. Si può creare quindi un tam tam
attorno ad una località praticamente sconosciuta purchè esistano
alcune condizioni che descriveremo in seguito.
5. L’ATTRAZIONE TURISTICA NON E’ DATA E PUO’ VARIARE: le
grandi attrazioni sono stereotipate e molte località sono soggette ai
rischi di una moda che evolve e di una sensibilità che si modifica. In
sintesi non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che è fatto piacere.
Lo spostamento del turista è, in apparenza, individuale, ma il suo
comportamento dipende dalle correnti socio-culturali. Si può al
limite creare ex-nihilo tanto il concetto che la formula per nuove
vacanze (parchi a tema). Qualche esempio:
ξ la montagna, in principio luogo temuto dalle popolazioni e
considerato terribile, diventa sublime località turistica solo
nel XIX secolo;
ξ l’arte medievale, percepita in principio come arte gotica, è
esaltata dai Romantici;
ξ dopo i movimenti del 1968 si arriva all’infatuazione per la
natura;
ξ i servizi televisivi hanno diffuso l’interesse per la ricerca di
prodezze individuali attraverso pratiche venute dalla
California, quali surf, mountain bike, rafting.
Quanto su esposto rappresenta la chiave di lettura del presente lavoro. Ciò
che preme sottolineare è che il turismo è un fenomeno costruito e soggetto
alle mode e alle tendenze macro-sociali, schematizzabile nella seguente
formula:
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TURISTICITA’ = MADRE NATURA + PADRE TEMPO + GIMMICK +
INVESTIMENTI + SUPPORTO PUBBLICO-PRIVATO +
COMUNICAZIONE
Laddove per madre natura si intende la vocazione turistica (mare, monti,
ecc.), per padre tempo si intende la storia (cultura, monumenti, ecc..), per
gimmick si intende la caratteristica che rende distintivo quel luogo da tutti
gli altri (o l’espediente di dare una interpretazione particolare della
destinazione secondo i gusti in voga nella società), per investimenti tutto
ciò che riguarda la fruibilità del territorio e le strutture per il tempo libero.
Chiaramente per raggiungere risultati di un certo rilievo c’è bisogno di
una forte collaborazione tra promoters, politica e operatori turistici. Questa è
una condizione determinante e si ritrova praticamente in tutte le
destinazioni di successo.
Ciò che si intende per comunicazione nell’ambito della turisticità è appunto
l’oggetto di questa tesi. L’approccio alla comunicazione parte dalla
constatazione che il successo di una località è anche nei modi in cui viene
comunicata:
- bisogna essere sensibili ai gusti ed alle abitudini dei viaggiatori;
- bisogna alimentare il fine tuning del luogo con la mentalità dei
viaggiatori o comunque con i valori più in auge in una società;
- bisogna interrogarsi a fondo sulla sociologia dei consumi e sui trend di
mercato emergenti per definire la collocazione esatta della
destinazione turistica nel mercato del turismo, trattando la
destinazione proprio come fosse un brand.
Data questa impostazione nella prima parte del lavoro si analizzerà il
fenomeno “turismo” secondo approcci sociologici, psicologici e di
marketing; nella seconda si analizzerà il fenomeno della comunicazione
turistica attraverso una serie di rimandi tra teoria e analisi di casi concreti
internazionali tra i più significativi. Infine sarà analizzato brevemente
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l’argomento media nel planning pubblicitario turistico, per giungere alle
conclusioni, che cercano una mediazione tra teoria internazionale e
concrete esigenze regionali italiane, cercando di arrivare a definire dei
modelli di comunicazione nel turismo che possano essere
contemporaneamente di rilievo e pragmatici.
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Capitolo I
MARKETING E COMUNICAZIONE PER IL TURISMO
1.1 Introduzione al concetto di Turismo
Viaggiare, dicono le statistiche, è davvero diventata una “mania”: secondo
i calcoli dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (W.T.O.), si muovono
oggi dai propri paesi per turismo quasi 700 milioni di persone. E, dato che
i movimenti interni sono di otto volte superiori a quelli internazionali, si
può stimare che il flusso turistico mondiale in un anno sia di circa 5
miliardi di spostamenti. Non solo: nel settore lavorano 127 milioni di
persone (un lavoratore su quindici) e, con i suoi 476 miliardi di dollari di
entrate annue, il turismo è la voce principale degli scambi economici
mondiali, in altre parole il motore più potente della cosiddetta
globalizzazione.
Si pensi che nel 1950 i viaggi internazionali interessavano appena 25
milioni di persone, saliti a 70 solo dieci anni dopo e via crescendo fino ai
quasi 700 milioni attuali. E per il futuro la W.T.O. prevede (al 2020) un
flusso di 1561 milioni di turisti internazionali, più del doppio quindi di
quelli attuali, mentre il primo paese turistico sarà la Cina (tranne incidenti
di percorso) e non più, come oggi, la Francia.
Fig. 1.1.1 – I trend del turismo mondiale (Fonte: WTO)
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E’ scontato ricordare che l’80% degli spostamenti internazionali riguarda i
fortunati cittadini di soli venti paesi: così che il viaggio turistico diventa
come il camminare su un solco già tracciato da altre persone nobili o
ricche. Questo è un concetto importante poiché anche il turismo segue
alcune logiche tipiche della moda.
Al di là delle quantità, tuttavia, questo fenomeno pone anche problemi di
sostenibilità ambientale, culturale e sociale: adottare una politica di
sviluppo turistico è una opzione che comporta alcuni sacrifici. Come ogni
manifestazione consumistica e produttrice di ricchezza ci sono degli
inconvenienti.
La democratizzazione del viaggio risente, da qualche tempo a questa
parte, di una pluralizzazione profonda che porta alla moltiplicazione-
differenziazione delle fruizioni turistiche. Dal turismo (balneare di massa,
si potrebbe dire) ai turismi (di nicchia per luoghi e tipologie di turisti e
tempi e modalità di consumo), dalla domanda “Sei stato in vacanza
quest’anno?” che presupponeva la visita nella stessa località di sempre al
più postmoderno “Cosa hai fatto in vacanza quest’anno?” per indicare il
ruolo e le esperienze acquistate con il pacchetto viaggi. Il consumatore
esprime se stesso e la sua personalità nel viaggio. Viaggiare è oggi visitare
un luogo col quale si pensa di avere un certo feeling. E creare questo
legame emozionale è uno dei compiti principali della comunicazione
pubblicitaria applicata al turismo. Viaggiare è comunicare. Viaggiare è
poter raccontare la propria esperienza per tenere a fuoco la propria
personalità: la postmodernità, e la complessità derivante, – considerata
come la somma di varietà, variabilità ed indeterminatezza – investono
anche i consumi turistici esasperandone la tendenza alla
personalizzazione ed individualizzazione.
L’homo turisticus amplia la propria esperienzialità, passando appunto alla
galassia dei mille turismi possibili, in ciò favorito da un mondo in cui tutto
si presenta ad essere turisticizzato: una industria dei viaggi che può e
riesce ad inventare sempre nuovi luoghi da dover essere visti.
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1.1.1 Breve storia del turismo
Il turismo come fenomeno socioculturale inizia (anche linguisticamente)
con il Grand Tour che, a cavallo tra il 1600 e il 1700, portava a spasso per
l’Europa i giovani aristocratici inglesi, francesi e tedeschi; era un viaggio
d’istruzione che completava il loro percorso educativo e li preparava alla
loro futura, intensa vita di relazione. L’Italia era la meta preferita nonché
conclusiva del Grand Tour, perché ricca di opere d’arte e di vestigia da
conoscere e visitare. Il turismo è un fenomeno quindi molto recente.
La rivoluzione francese cambia le coordinate sociali: si estingue il Grand
Tour mentre la borghesia – soprattutto francese e tedesca – si rivolge
all’Inghilterra per capire il senso della rivoluzione industriale, realizzando
i primi viaggi d’affari. Gli aristocratici rimasti si rifugiano invece nel
magico mondo dei bagni termali, mentre il romanticismo esalta la
conoscenza erudita dei luoghi carichi di segni e testimonianze storiche ed
artistiche. Ma gli ideali romantici spingono anche verso la natura da
scoprire e da conoscere, specie la montagna da parte dei turisti britannici
che lanciano la moda dei club alpini, dei Grand Hotel e delle guide. E, a
proposito di guide, nasce nell’Ottocento la regina delle guide stampate,
quella “Guide du Routard” inizialmente dedicata ai viaggi dei francesi
nelle loro colonie all’estero. In un certo senso la guida forniva un minimo
di sicurezza ai primi viaggi di aristocratici e di ereditieri, più di quelle
garanzie che accompagnavano il giovane nobile nel Grand Tour. Ma se
alla base c’è spesso l’ozio da godere e da esibire, con gli anni Venti del
Novecento entrano nella grande giostra del turismo anche le classi
subalterne, piccolo borghesi e perfino operaie. Qui l’obiettivo non è l’ozio
ma il riposo, realizzato nelle ferie pagate che compensano le durezze del
lavoro quotidiano, soprattutto quello di fabbrica. Gli Stati stessi,
democratici e totalitari, attivano e promuovono forme di “turismo
popolare”, come le colonie marine e i treni speciali per le vacanze; è stata
l’unica occasione in cui lo Stato ha cercato di democratizzare il consumo
turistico rendendolo accessibile a tutti.
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Tali tendenze prendono compiutamente corpo dopo la seconda guerra
mondiale, e realizzano quello che venne definito turismo di massa,
riferendosi a processi di diffusione nella società e di concentrazione nel
tempo dei comportamenti turistici
1
.
Sociologicamente, il turismo di massa è sì “democratico” ma è anche
eterodiretto e standardizzato, segue ormai logiche di confezionamento e
distribuzione tipiche di una industria fordista: la vacanza diventa un
prodotto preconfezionato (un “pacchetto”) da acquistare e a cui delegare
in toto curiosità, progettazione e spirito di scoperta autentica. Di sicuro
non è più una prova, un cimento, un’esperienza, anche un rischio, tutti
significati che appaiono nell’antico termine inglese travail (viaggio), così
come to fare (andare) e to fear (temere) usano la stessa radice.
D’altro canto, il fare turismo diventa una realtà di gruppo da quando
Thomas Cook comincia, nel 1845, ad organizzare pionieristicamente
vacanze e gite in ferrovia, attivando quel turismo di massa che trova nel
gruppo non solo il mezzo per ridurre i costi, ma anche per creare socialità
e “proteggersi” dall’estraneità dell’ambiente che si va a visitare. Esiste
quindi un elemento positivo per il consumatore di viaggi che è appunto la
descrizione fatta da altri sul viaggio che dovrà intraprendere, o anche la
tendenza a viaggiare in gruppi che condividono la stessa sorte.
Fenomeni di aggregazione importanti per il marketing del turismo che
nascono dalla esigenza di ridurre stati di tensione nell’individuo.
Gli anni Sessanta rappresentano il periodo in cui trionfa ciò che viene
definito - non senza disprezzo – “turismo di massa”, colto come fenomeno
connotato pesantemente dalla banalità, dalla manipolazione e dalla
mercificazione. I turisti sono delle frettolose orde dorate che pensano di
visitare e conoscere riducendo il viaggio a una veloce serie di cose da
vedere (il sightseeing), classificate secondo la loro importanza
2
. La realtà si
trasforma così in immagini addomesticate, una sorta di approssimativo
1
Savelli A., 1989
2
Simonicca A., 2000