5
generali, facendo anche un confronto tra quello applicato prima
del 1971 e quello reintrodotto negli anni ’90.
Un apposito spazio è stato dedicato alla struttura operativa
dell’accertamento con adesione, analizzandone i presupposti
soggettivi e oggettivi per la relativa applicazione, la procedura
che conduce alla definizione dell’accertamento, sia per il
comparto delle imposte sui redditi e dell’IVA, che delle imposte
indirette, sino alla descrizione degli importanti benefici che la
nuova legge fa conseguire alla definizione concordata.
In quest’ambito non era possibile esimersi dal concentrare
l’attenzione anche su istituti contigui all’accertamento con
adesione, come l’acquiescenza e la conciliazione giudiziale.
In seguito l’elaborato si è soffermato sulla ormai superata
disputa dottrinale sulla natura giuridica dell’accertamento con
adesione, esponendo le tesi che maggiormente sono state
accreditate nel corso degli anni.
Sostenendo la prevalenza della tesi della natura
amministrativa, è risultato automatico l’introduzione di un
discorso più ampio sulla discrezionalità di cui, in parte, godono
gli uffici finanziari e dei limiti, cui la loro azione deve essere
obbligatoriamente ispirata.
Inoltre, proprio in riferimento all’esercizio della discrezionalità
nell’accertamento con adesione, è sembrato doveroso richiamare
gli accertamenti basati su presunzioni. Gli accertamenti in
6
questione costituiscono, infatti, l’habitat naturale per la
definizione concordata.
Nell’ultimo capitolo, dopo una breve premessa sono state
esaminate le divergenze che la differente natura attribuita
all’istituto avrebbe determinato, soprattutto per quanto riguarda
gli eventuali vizi dell’atto e gli organi giurisdizionali competenti
per l’impugnazione degli stessi.
Infine, è stato affrontato un discorso particolarmente spinoso
riguardante le responsabilità in cui possono incorrere i
funzionari dell’Amministrazione finanziaria, qualora ci si trovi in
presenza di l’emanazione di un atto illegittimo.
Nel corso della trattazione si è cercato di ipotizzare delle
soluzioni e degli spunti che potessero costituire adeguate
risposte al manifestarsi di eventuali patologie, basandosi più che
altro sull’esperienza del vecchio concordato tributario e sulla
costruzione delle responsabilità dei dipendenti pubblici elaborate
in campo amministrativo, soprattutto ad opera della
giurisprudenza dalla Corte dei conti.
7
CAPITOLO I
GENESI STORICA DELL’ISTITUTO
SOMMARIO: 1.1. I precedenti storici; 1.2. Il fallimento del vecchio concordato; 1.3. La necessita’ di
reintrodurre l’istituto; 1.4. Il modello neoconcordatario del D.l. 564/94 e la relativa inapplicabilita’; 1.5. Il
concordato di massa per gli anni pregressi per i periodi d’imposta ante 1994 e il concordato relativo al
periodo d’imposta per il 1994; 1.6. Il nuovo modello della legge delega 662/96 e l’attuazione con il
D.lgs. 218/97.
1. 1. I precedenti storici.
L’istituto del concordato non costituisce una novità degli anni ’90, poiché
esso è stato da sempre conosciuto nel nostro ordinamento giuridico, sia pure
con alterne vicende, variamente denominato e regolamentato.
Già l’articolo 40 della legge di ricchezza mobile, la n. 4021 del 28 agosto
1877, e gli articoli 81 e 93 del relativo regolamento, n. 560 dell’11 luglio
1907, accennano a “somme di reddito netto che siansi concordate coi
contribuenti” statuendo che “quando l’agente concordi col contribuente le
somme dei redditi, fa constatare dell’accordo mediante dichiarazione
tassativa, datata e sottoscritta da entrambe a pena di nullità”.
8
Dalla parola concordi è probabilmente derivata la denominazione di
concordato che, ancora oggi, si continua a dare agli istituti della specie1.
Inoltre lo strumento concordatario era già stato contemplato dalla
disciplina di varie imposte indirette, quali:
• L’articolo 41 della legge di registro, approvata con testo unico del 30
dicembre 1923, n. 3269, parlava di definizione dell’accertamento “di
concerto” tra le parti del rapporto giuridico d’imposta, rifacendosi al vincolo
di definitività degli importi “concordati” tra possessore ed agente, di cui
all’articolo 107 del regolamento del 1907 e ancora prima all’articolo 18 del
regolamento n. 549, del 23 dicembre 1897;
• L’articolo 44 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3270, per
l’imposta sulle successioni, prevedeva che, fino a quando non fosse
intervenuta la decisione della commissione provinciale, il “valore da
sottoporsi a tassa” poteva essere stabilito “di concerto tra l’Amministrazione
e il contribuente”;
• L’articolo 15 del decreto legge 27 dicembre 1946, n. 649, e l’articolo
16 del decreto legge 3 maggio 1948, n. 799, concernenti l’imposta generale
sull’entrata (IGE), adottavano, invece, proprio l’espressione concordato, ai
fini della determinazione definitiva dell’entrata soggetta a tassazione.
Successivamente si torna alla nozione di “accordo” nell’articolo 292 del
testo unico sulla finanza locale ( T.U.L.F.) del 14 settembre 1941, n. 1177 e
all’articolo 16 del D.lgs. 26 marzo 1948, n. 261.
1
VERSIGLIONI, in Contributo allo studio dell’attuazione consensuale della norma tributaria, Perugia,
ed. Perusia, 1996, 56.
9
Al contribuente era riconosciuta la facoltà di discutere presso l’ufficio
municipale in merito all’accertamento ed eventualmente definirlo per
concordato2.
Di accertamento con adesione si parla per la prima volta nel testo unico
delle leggi sulle imposte dirette, approvato con il D.P.R. 29 gennaio 1958, n.
645, all’articolo 34, in cui è stato trasfuso l’articolo 4 della legge 5 gennaio
1956, n.1, così detta legge Tremelloni.
L’articolo 4 recita “Se l’accertamento si conclude con l’adesione del
contribuente la dichiarazione prevista dall’articolo 81 del R. D. 11 luglio
1907, n. 560, deve contenere, a pena di nullità la indicazione della
dichiarazione del contribuente a cui si riferisca, la fonte produttiva del
reddito, nonché degli elementi in base ai quali è stato determinato
l’ammontare imponibile…”.
La legge Tremelloni non menziona mai la parola concordato. Si tratta di
una significativa modificazione non solo di carattere formale, ma soprattutto
di carattere sostanziale. La relazione di accompagnamento alla citata legge,
sostituisce il termine dell’articolo 81 del regolamento del 1907 con quello di
“adesione”.
L’articolo 34 del testo unico del 1958 esprimeva che “l’imponibile può
essere definito con l’adesione del contribuente, mediante redazione di atto
scritto, del quale il contribuente ha diritto di aver copia. Tale atto, a pena di
nullità, deve essere datato e sottoscritto dal rappresentante dell’ufficio e dal
contribuente....”3.
2
COCIVERA, Concordato tributario, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1961, 32.
3
Relazione di accompagnamento alla legge 5/1/1956 presentata dalla V commissione permanente
del Senato della Repubblica.
10
L’oggetto del contraddittorio era rappresentato dalla “mera valutazione
quantitativa di fatti e circostanze”4, con la sicura esclusione di questioni di
diritto quali “l’imponibilità del soggetto o l’an debeatur, oppure ancora la
determinazione del tasso d’imposta”.
Le sanzioni per omessa, infedele o incompleta dichiarazione venivano
ridotte.
Ai sensi del successivo articolo 35 l’Amministrazione poteva procedere
ad accertamenti integrativi e modificativi a seguito della sopravvenuta
conoscenza di nuovi elementi.
Il vecchio concordato era caratterizzato dalla necessità della motivazione
analitica. Più precisamente, l’indicazione delle fonti produttive e degli
elementi in base ai quali si determinava l’imponibile erano imposti, per
legge, al fine di consentire una più esatta valutazione delle componenti che
incidevano sull’accertamento e per un controllo e un raffronto con gli
eventuali nuovi elementi che si sarebbero potuti reperire in seguito
all’adesione5.
La mancanza di motivazione poteva essere fatta valere davanti ai
competenti organi giurisdizionali ( articolo 37 del testo unico ). La stessa
relazione governativa alla legge Tremelloni del 1956, sosteneva che “anche
il concordato deve essere motivato”. “Il fatto che il concordato debba essere
motivato comporta a sua volta la conseguenza – che viene affermata dal 2°
comma dell’articolo 2 ( poi diventato 1° comma dell’articolo 3) – che il
concordato è vincolante soltanto per gli elementi che sono stati alla base di
esso; onde l’ufficio può procedere entro tale termine di prescrizione ad un
4
G. PUOTI, Spunti critici in tema di concordato tributario, in Riv. Dir. Fin.., 1969, I, 340.
11
nuovo accertamento in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi
elementi”.
Nella relazione alla suddetta legge della IV commissione permanente
della Camera dei Deputati si precisano queste ragioni.
“E’ un concordato analitico che si inquadra perfettamente nel sistema
dell’accertamento analitico e che, consentendo al contribuente la tutela dei
suoi interessi, nello stesso tempo gli attribuisce una parte della responsabilità,
per il giusto accertamento, sotto riserva della possibilità di un esame di
ufficio.
Ne viene che in analogia con l’accertamento analiticamente motivato,
esso è vincolante solo per gli elementi base d’imposta che in esso si sono
indicati, ma non può spiegare efficacia inibitoria per quell’azione di rettifica
che il fisco deve intraprendere quando venga a conoscere nuovi elementi,
che, anche in questo caso, possono portare alla conseguenza di un nuovo
accertamento… Ad un più approfondito esame il concordato analitico si
appalesa come un istituto a garanzia dei contribuenti: nessuna imposta,
infatti, può essere determinata se non sulla scorta della comprovata esistenza
di concreti elementi di base e la motivazione analitica di esso costituisce una
precisa difesa in rapporto alla possibilità di eseguire nuovi accertamenti, a
seguito della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
La facoltà poi concessa al contribuente stesso, di poter impugnare per
nullità il concordato, lo mette poi al riparo delle conseguenze di una azione
dell’ufficio non sufficientemente suffragata. Tale facoltà, anzi, deve essere
particolarmente sottolineata.
5
V. CELLITTI, in Concxordato tributario, 1952, 36.
12
Che se poi essa deve essere esercitata entro trenta giorni dalla data della
sottoscrizione della dichiarazione, mentre all’Amministrazione è lasciato, per
la stessa azione, un periodo di due anni, ciò trova sufficiente spiegazione nel
fatto che il contribuente si presume possa conoscere con immediatezza le
ragioni che lo portano ad invocare la declaratoria di nullità, mentre la stessa
cosa, evidentemente, non può affermarsi nei riguardi dell’ufficio”6.
Per le imposte indirette, la disciplina normativa era poco omogenea e
approssimativa. Si faceva riferimento, per le imposte di registro al già citato
articolo 41 del R.D. n. 3 giugno 1923, per l’IGE ad un “amichevole
concordato ai fini della determinazione effettiva dell’entrata”, di cui
all’articolo 16 del decreto legge n. 799/1948 citato.
1. 2. Il fallimento del vecchio concordato.
Il legislatore della riforma tributaria del 1971 ( legge 9 ottobre 1971, n.
825), non prevedendo espressamente ipotesi di concordato, eliminò
implicitamente l’istituto7.
Il concordato sopravvisse soltanto per alcune imposte indirette, come:
• la novellata imposta di registro, per la quale , ai sensi dell’articolo 50
del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 364, rubricato “definizione dell’imponibile per
adesione”, era prevista la determinazione dell’imponibile “con l’adesione di
tutte le parti contraenti, prima che il procedimento di determinazione del
valore venale si sia concluso con decisione definitiva”;
6
Relazione di accompagnamento alla legge 5/1/1951, n.1 della IV commissione permanente della
CCamera dei Deputati.
7
P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, ed. 1999, 187.
13
• la rinnovata imposta sulle successioni e donazioni che, all’articolo 27
del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, prevedeva la possibilità di determinare
“con l’adesione di tutti gli eredi e legatari” il valore dei beni e dei diritti
oggetto della rettifica, prima che la stessa sia “divenuta definitiva”;
• l’imposta sull’incremento di valore degli immobili ( INVIM ), per la
quale venivano considerate applicabili, ai sensi dell’articolo 31del D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 643, le sopracitate disposizioni.
Col tempo si è provveduto ad eliminare anche questa residua presenza del
concordato, a seguito della riforma dell’imposta di registro, con il D.P.R. 26
aprile 1986, n.131, e dell’imposta sulle successioni e donazioni, con il D.lgs.
31 ottobre 1990, n. 346 e l’eliminazione anche ai fini dell’INVIM.
In seguito a queste riforme, rimasero solo delle forme, che alcuni in
dottrina8 definiscono “spurie”.
Il caso più eclatante è la previsione dell’articolo 54, 4° comma, del D.P.R.
n. 600/73, che dava al contribuente la possibilità di definire il reddito netto
accertato, attraverso la mancata impugnazione dell’avviso di accertamento o
la rinuncia all’eventuale gravame già proposto in primo grado.
Ciò avveniva anteriormente alla decisione del medesimo, fruendo in tal
caso della riduzione della metà delle pene pecuniarie applicabili per gran
parte delle violazioni in materia di imposte sui redditi.
Previsioni analoghe erano previste anche per le nuove imposte di registro
e donazioni all’articolo 71, comma 2, del D.P.R. 131/1986, per le imposte di
successioni all’articolo 50, 3° comma, del D.lgs.. 346/90.
8
L. MAGISTRO-R. FANELLI, in L’accertamento con adesione del contribuente, ed. 1999, 11.
14
Tali modelli definitori sono stati poi abrogati dall’articolo 17 del D.lgs. n.
218/97.
Il concordato fu abrogato, sostanzialmente, per due ragioni. Da un lato, si
voleva combattere il degenerare di accordi illeciti tra funzionari e
contribuenti, un fenomeno, considerato espressivo di una discrezionalità
eccessiva nell’Amministrazione dei tributi.
“La vera riforma (tributaria) non può consistere che nell’abolizione
dell’istituto del concordato; si devono ad esso tutte le distorsioni e le
disfunzioni che si lamentano oggi in materia di accertamento delle imposte
…. Il concordato mette sullo stesso piano colui che dichiara correttamente i
suoi redditi e l’evasore; il contribuente onesto e quello disonesto”9.
Dall’altro lato, emergeva “l’illusione di eliminare dalla determinazione
degli imponibili, grazie a una determinazione puntigliosamente analitico –
contabile, qualsiasi margine di valutazione”10.
A seguito della riforma gran parte del gettito era assicurato dalla
autoliquidazione dei tributi da parte dei contribuenti.
“Accertamenti di carattere pseudo - transattivo sembravano riguardare
solo una limitata platea di contribuenti e proprio per questo, sarebbero stati
definiti in maniera approfondita e certa, in modo da evitare qualsiasi profilo
discrezionale”.
La soluzione del 1971 non ha certamente ottenuto i risultati sperati. Infatti,
è stato dimostrato, che i margini di valutazione sono intrinsecamente
9
relazione sul bilancio di previsione del Ministero delle Finanze per l’anno 1970, Atto del Senato n.
815 A, citato poi nella relazione di maggioranza della VI commissione del Senato al disegno di legge
n. 1639, concernente la riforma tributaria.
10
R. LUPI, Manuale professionale di diritto tributario, Milano, ed. 1999, 196.
15
connaturati ad alcuni tipi di accertamento, come quelli aventi ad oggetto i
ricavi dei dettaglianti, artigiani e alcune categorie di professionisti, l’inerenza
dei costi e le valutazioni di bilancio.
Inoltre, il sistema disegnato dalla riforma ha portato ad un aumento del
contenzioso con una pendenza di circa tre milioni di processi tributari
all’anno.
L’autoliquidazione dei tributi ha finito per favorire le forme di evasione ed
elusione, in particolar modo nel lavoro autonomo.
Secondo autorevole dottrina “l’abolizione del concordato da parte della
riforma tributaria fu senza dubbio una scelta frettolosa e
superficiale….l’eliminazione del concordato ha solo imbrigliato
ulteriormente i funzionari onesti e ingolfato il contenzioso, senza certo
provocare una nuova moralità dell’Amministrazione, ……in realtà
imbrigliare la flessibilità degli uffici, non solo non combatte la corruzione,
ma forse addirittura la agevola, moltiplicando i pretesti per mettere i bastoni
tra le ruote ai contribuenti, e poi vendere favori a caro prezzo”.11
11
R. LUPI, in Le crepe del nuovo concordato: anatomia di un’occasione perduta, in Rass. trib.1998, 185.
16
1. 3. La necessità di reintrodurre l’istituto.
L’esperienza dei provvedimenti antecedenti alla riforma del 1971 era
risultata sicuramente negativa, sia dal punto di vista della ripartizione del
carico tributario, sia in termini di imparzialità e trasparenza.
Per evitare il ripetersi degli stessi errori sarebbe stato necessario
intervenire sulla previsione normativa, eliminando i profili di discrezionalità
fino a schematizzare in tutte le sue possibili manifestazioni l’intero
procedimento. Ciò era, però, difficilmente realizzabile.
La stessa attività amministrativa risulta difficilmente esercitabile secondo
schemi rigidi. Essa richiede di frequente valutazioni che, fuoriuscendo
dall’area prettamente tecnica, comportano inevitabilmente il concorso di vari
elementi che, teoricamente dovrebbero essere estranei alla formazione del
giudizio, ma che, di fatto, lo condizionano fortemente.
Abbandonata la strada dell’assoluta imparzialità, bisogna convenire che il
legislatore del 1994 in un’analisi costi - benefici, ha sicuramente considerato
anche tale rischio.
L’effettiva riduzione del contenzioso non si sarebbe potuta ottenere senza
la previsione di misure più vantaggiose per il contribuente. Bisognava,
dunque, agire in via preventiva, eliminando tutte le possibili cause di
litigiosità.
L’indirizzo del legislatore sembrava essere in linea con la reintroduzione
del concordato. In tale ottica si poteva interpretare l’articolo 62-bis del
decreto legge 331 del 30 agosto 1993, convertito in legge 427 del 29 ottobre
1993, con il quale il Dipartimento delle entrate veniva officiato di elaborare
entro il 31 dicembre 1995, appositi studi di settore.