Accade spesso che gli strumenti didattici rispondano più a criteri di
omologazione che non allo sviluppo pedagogico del pubblico al quale
si rivolgono, finendo per rivelarsi controproducenti. Il museo è infatti
l’unico spazio, al di fuori della scuola e dell’università, dove è
possibile fare didattica a livello istituzionale ma che a differenza dei
precedenti si rivolge ad un pubblico notevolmente diversificato, in
termini di età, d’istruzione e d’aspettative. Primo compito della
didattica è perciò tenere conto dei diversi “pubblici” del museo: dagli
studiosi già in possesso di una determinata esperienza, stimolandoli a
comprendere fino in fondo i criteri di esposizione delle opere, al
grande pubblico, educandolo ad apprezzare e comprendere le scelte
del museo evitando che l’interesse possa venire sopraffatto dalla
soggezione per uno spazio misterioso. In secondo luogo, occupandosi
di educazione, la didattica non dovrebbe essere considerata un
semplice servizio aggiuntivo, non dovrebbe subire limitazioni ai suoi
metodi divulgativi ma sperimentare stando al passo coi tempi,
servendosi di strumenti come le nuove tecnologie per corrispondere
alle esigenze dei diversi individui-visitatori del museo. Per fare sì che
tutto questo avvenga nella maniera più corretta possibile è
fondamentale prestare la dovuta attenzione alla formazione del
personale che opera all’interno del museo. Non solo di coloro che
operano a stretto contatto con il pubblico, ma anche di coloro che si
occupano della conservazione, della documentazione e dello studio
della collezione. Adottando questi criteri il museo diviene qualcosa di
più che «Un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio
2
della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che compie
ricerche sulle testimonianze dell’uomo e del suo ambiente, le
acquisisce, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di
studio, di educazione e di diletto»
3
. Diviene centro culturale, specchio
della società, punto di riferimento della memoria collettiva.
1.1 Cenni storici
Le discussioni intorno alla didattica museale sono nate all’inizio degli
anni ’50 a seguito della fondazione di organismi internazionali quali
l’UNESCO e l’ICOM. In quel periodo si era diffusa una nuova
sensibilità volta ad estendere la conoscenza dei musei al grande
pubblico, oltre la cerchia di esperti e addetti ai lavori. In Italia la
nascita della didattica museale è legata principalmente ad una serie di
iniziative istituzionali organizzate lungo l’arco di un ventennio tra le
quali spicca per la ricchezza dei contributi offerti alla funzione
educativa dei musei, il convegno “Il museo come esperienza sociale”
svoltosi a Roma il 4-5-6 Dicembre del 1971. Per la prima volta
direttori di musei, pedagogisti, sociologi, esperti di comunicazione si
riunivano per discutere la crisi dei musei, divenuti luoghi obsoleti e
poco frequentati. Il Convegno da questo punto di vista rappresentò
un’enorme passo avanti nel concepire la “tutela” del patrimonio
3
Tratto dalla definizione di museo stabilita dallo statuto dell’ICOM (www.icom-italia.org)
3
artistico non più solo dal punto di vista museografico e quindi di mera
protezione, ma valutando per la prima volta anche l’aspetto socio-
educativo dei beni culturali. Negli anni successivi il ruolo educativo
del museo acquistò sempre maggior spessore mentre la didattica
venne progressivamente delineandosi come vera e propria disciplina,
come testimoniano le prime esperienze di educazione guidata nel
museo condotte negli anni ‘60 dalla Pinacoteca di Brera e dalla
Galleria d’Arte Moderna di Roma. In particolare quest’ultima
sperimentò per la prima volta attività rivolte al pubblico infantile per
sviluppare le capacità percettive nei confronti delle opere d’arte
mentre presso la Galleria Borghese di Roma venivano condotti degli
studi per individuare come l’età potesse influire sui livelli di fruizione
dei beni artistici. A livello politico, il primo segnale del
riconoscimento del ruolo educativo dei musei fu rappresentato dalla
circolare n. 128 del 27 marzo 1970 emanata dal Ministero della
Pubblica Istruzione, con la quale si formalizzava la costituzione di
specifiche sezioni didattiche all’interno dei principali musei e di centri
per il coordinamento di tali attività nei provveditorati scolastici. Nel
corso degli anni ’70 anche la Galleria degli Uffizi di Firenze istituì
una sezione didattica, che si sviluppò rapidamente diventando centro
di riferimento per tutti i musei statali fiorentini, grazie anche al Centro
di documentazione che ancora oggi riveste un ruolo preminente a
livello nazionale. La didattica condotta alla Galleria degli Uffizi
privilegiava la lettura dei valori formali delle opere, mentre al Poldi
Pezzoli di Milano, sempre in quegli anni, si tentava un approccio
4
differente, alla ricerca di una lettura che, traendo spunto dalle
immagini, potesse far riflettere sui significati storico-artistici che
collegano tra loro le opere. Nel corso degli anni ’80 e ’90 si
svilupparono numerose altre esperienze significative, che
manifestarono la tendenza a rendere omogenei, tra i vari musei, i
metodi didattici applicati, fra i quali emersero l’approccio ludico
sostenuto da precise finalità, l’attenzione per il territorio, la ricerca dei
significati storici e l’interesse per l’iconografia. Anche i tipi di attività
praticate erano simili e si possono ricondurre ad alcune principali
categorie: visite guidate, seminari e cicli di conferenze, corsi di
aggiornamento per insegnanti, preparazione di materiale per le scuole,
laboratori, animazioni teatrali. Nel 1997 si tenne la V Conferenza
sull’Educazione degli Adulti organizzata dall’UNESCO
4
nella quale
venne ribadito il ruolo di istituzioni culturali quali biblioteche e musei
come l’alternativa ideale alla scuola, dove è possibile apprendere in
modo informale, sollecitare maggiormente l’attenzione e la curiosità
degli studenti esponendoli ad una pluralità di stimoli – visivi,
sensoriali ed emotivi – facilitando il contatto con la propria memoria
collettiva o con altre culture. Alla luce di queste affermazioni il
Programma Comunitario Socrates ha finanziato quattro progetti tesi a
incoraggiare, anche economicamente, il ruolo dei musei come
“agenzie” a sostegno dell’educazione permanente.
4
MARGHERITA SIANI, Musei e lifelong learning – esperienze educative rivolte agli adulti nei musei europei,
Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della regione Emilia-Romagna
5
Nel 1995-1997 AEM (Adult Education and the Museum)
Finalizzato a raccogliere in una banca dati esempi di iniziative
educative rivolte agli adulti nei musei dei 15 Stati membri dell’Unione
Europea, il progetto ha evidenziato una carenza nelle politiche
culturali rivolte a sostenere la didattica per adulti in contesti museali,
ad eccezione della Finlandia e del Regno Unito. Nonostante il
successo delle sue svariate iniziative, dai corsi di lingua straniera alla
progettazione di mostre a cura del pubblico, AEM ha riscontrato
l’esigenza di approfondire ed elaborare una metodologia specifica per
sviluppare una didattica museale per adulti, poiché normalmente si
tende a riproporre il metodo adottato con i bambini.
Nel 1997-1999 MUSAEAM (Museum and Adult Education are More)
Con l’intento di riprendere le carenze individuate dal precedente
progetto, nel Giugno del 1999 MUSAEAM ha organizzato una
“Giornata aperta” per l’educazione degli adulti nei musei, supportato
da diversi partner ( Louvre a Parigi, Tate Gallery a Londra, Museo di
Arti Applicate e Design a Goteborg, Neue Pinakotek di Monaco,
Musei della Città di Genova, Mucsarnok di Budapest). Anche in
questo caso i musei coinvolti hanno visto lo svolgersi di numerose
attività al loro interno e cogliendo l’occasione dell’incontro
ravvicinato con il pubblico hanno sottoposto ai visitatori un
6
questionario con l’intento di capirne gli orientamenti e i gusti. Dagli
esiti dell’indagine è risultato che il campione di utenti apprezza in
modo particolare l’attività educativa all’interno del museo rafforzando
la tesi della diversificazione di essa in base all’età e agli interessi,
rivendicando un ruolo più attivo nelle fasce d’età dai 50 anni in su.
Nel 2001-2003 EUROEDULT
Tale progetto è nato dall’idea di costruire un sistema di
riconoscimento di crediti formativi a livello europeo per permettere a
coloro che si occupavano di didattica una valida preparazione che ne
garantisse la mobilità in ambito comunitario, riconoscendo la
formazione di questi “mediatori culturali” parte integrante del
processo di crescita del museo.
Nel 2003-2005 COLLECT & SHARE
Derivanti dalle due parole che ne compongono il nome, gli intenti di
questo progetto furono quelli di: raccogliere (collect) progetti e
iniziative riguardanti l’educazione e l’apprendimento durante tutto
l’arco della vita coinvolgendo gli artisti in prima persona; condividere
(share) queste informazioni e conoscenze attraverso un sito internet. Il
progetto ebbe luogo da un’iniziativa di una rete europea di istituti
riunitisi con l’intento di promuovere e diffondere le “buone prassi” nel
campo dell’educazione per adulti all’interno di musei e gallerie.
7
Per quello che riguarda l’aspetto legislativo, è da segnalare il D.L. n.
112 del 31 marzo 1998 nel quale, in materia di beni culturali, si
prevede uno spostamento della gestione amministrativa dello Stato
alle Regioni
5
. Da questo accordo sono nate numerose realtà territoriali
come, ad esempio, il Centro per i Servizi educativi del museo e del
territorio (S’ed) fondato proprio nel 1998, con sede presso il
Complesso monumentale del San Michele a Roma, con l’intento di
avviare un sistema nazionale di educazione al patrimonio culturale
attraverso il coordinamento dei Servizi Educativi territoriali. Nei suoi
primi dieci anni di vita il Centro può vantare una moltitudine di
attività educative rivolte a diverse agenzie così come ad altrettanti enti
pubblici. Non solo museo, dunque, ma anche centro di formazione,
scuola, che alterna percorsi formativi a momenti di riflessione volti a
rendere accessibile, da parte di ogni cittadino, la fruizione del
patrimonio culturale materiale e immateriale
6
.
5
“Il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali e il Ministero della Pubblica Istruzione, in considerazione del diritto di ogni
cittadino ad essere educato alla conoscenza e all’uso responsabile del patrimonio culturale, si impegnano a mettere a disposizione
strutture, risorse ed attività […] per la creazione di un Sistema nazionale di educazione al patrimonio culturale attraverso
l’attivazione di Servizi educativi territoriali per i beni culturali presso i Musei e le Soprintendenze statali e presso i Musei ed Enti
locali eventualmente collegati in rete. Il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali potenzierà le Sezioni didattiche istituendo
Servizi educativi del Museo e del Territorio in ogni ufficio periferico. Tali Servizi educativi, nell’ambito delle proprie funzioni,
privilegeranno il rapporto con le istituzioni scolastiche elaborando congiuntamente progetti annuali o pluriennali, per cui si
avvarranno delle rispettive competenze”. MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI (www.beniculturali.it)
6
Segnalo il progetto “Beni di Famiglia” inaugurato nel 2007 e tutt’ora in corso che si prefissa l’obbiettivo di indagare quali sono le
attività museali e le strategie di comunicazione da adottare all’interno del museo per l’orientamento culturale dei gruppi familiari,
ponendo attenzione ad un quesito in particolare: può il Museo porsi come terreno di mediazione tra le esigenze dei più giovani e i
bisogni formativi degli adulti. (www.beniculturali.it/sed/index.htm)
8
1.2 Il pubblico
«La collezione, in un modo o nell’altro è
sempre per il pubblico: quello presente per
il quale viene esposta e quello futuro per il
quale viene conservata.»
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Fra le mansioni fondamentali di un museo, oltre alla conservazione e
alla ricerca, c’è la comunicazione che, per essere attuata al meglio, ha
bisogno di conoscere i gusti del suo pubblico destinatario, il suo
livello culturale e le sue aspettative. Ma non è stato sempre così.
Inizialmente, dall’avvento delle Wunderkammern, ovvero le stanze
delle meraviglie dove si raccoglievano oggetti legati anche a fenomeni
non riconosciuti dalla scienza del tempo, sino alla nascita delle prime
raccolte di prìncipi e regnanti, nessuno si era preoccupato che questi
luoghi potessero essere visitati da un pubblico. Bisognerà aspettare la
Rivoluzione Francese perché si instauri un rapporto tra oggetti
collezionati e visitatori
8
. Solo negli ultimi vent’anni, però, il ruolo del
pubblico è divenuto fondamentale: le indagini sul numero di accessi
nei musei cominciate nel 1892 al Louvre di Parigi e negli anni ’60 in
Gran Bretagna e nel Nord America sono divenute recentemente
specifiche ricerche di mercato tese ad individuare con nuove
metodologie quali caratteristiche si nascondono dietro il visitatore
7
M.V. MARINI CLARELLI, Che cos’è un museo, Roma, Carocci, 2005, p.16
8
“E’ stata in effetti la Rivoluzione Francese ad affermare che il museo era un’istituzione di interesse pubblico come la scuola,
amministrativamente inserito nel sistema educativo statale. L’ingresso era libero il sabato e la domenica dalle 9 alle 16; c’erano (per
la prima volta nella storia dei musei) i cartellini, le visite guidate e un catalogo formato tascabile a buon prezzo, palesemente
destinato ad essere letto da tutti[…]”. Citazione tratta dal paragrafo “L’illuminismo crea i musei e la Rivoluzione li apre” in A.
MOTTOLA MOLFINO, Il libro dei musei, Allemandi, Torino 1998, p.22
9
medio. Sì, perché non esiste il “visitatore tipo” ma bensì tipi diversi di
visitatori, dei quali è importante conoscere, oltre che i parametri
personali che fanno riferimento all’età anagrafica, all’origine etnica o
al livello educativo, anche il contesto sociale nel quale avviene la loro
visita, cioè se si tratta di individui singoli o di gruppi familiari, di
turisti o di scolaresche. Lunghe ricerche e studi accurati tanto sui
metodi comunicativi quanto sul comportamento e sull’apprendimento
dei visitatori hanno contribuito all’offerta di un servizio educativo
soddisfacente e sempre più attento alle esigenze del visitatore.
Tali progressi sono stati possibili grazie all’apporto fornito dalle
scienze umane e sociali, in continua evoluzione negli ultimi
cinquant’anni e sempre più orientate ad un approccio qualitativo
piuttosto che quantitativo. Le tecniche di indagine con le quali
operano le scienze sociali sono essenzialmente tre: l’intervista, il
questionario e l’osservazione diretta. Se usate contemporaneamente
queste metodologie, apparentemente molto semplici, possono
restituire un quadro molto fedele dei comportamenti dei visitatori
quando entrano in contatto con il museo e le sue collezioni. Il
questionario è quello strumento che permette con rapidità e
completezza di reperire i parametri personali, utili per tracciare un
primo identikit degli individui che si recano al museo. L’intervista,
che la maggior parte delle volte costituisce la parte centrale del
questionario, consente di ottenere informazioni di tipo qualitativo
come le impressioni o le aspettative rispetto alla mostra. Mentre
l’osservazione diretta consiste nel seguire il soggetto durante la sua
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