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che costituiscono il campo testuale attraverso cui una marca e/o un prodotto si relazionano al
proprio pubblico (target). Il punto vendita, in particolare, sembra svolgere un ruolo essenziale
nello strutturare la relazione tra soggetto e prodotto/marca, favorendo l’ingresso del cliente
nell’universo, immateriale e comunicativo, dell’identità del brand, dei valori ad esso connessi.
Così gli spazi di consumo diventano dei veri e propri luoghi esperenziali dove il consumatore
viene coinvolto dal punto di vista pragmatico, cognitivo e passionale. In essi “tutti i sensi
sono coinvolti, e il percorso del destinatario-tipo o destinatario ideale coincide con i
movimenti e le esperienze fisiche del visitatore/cliente ideale.[…] Tramite la spazializzazione,
l’identità visiva della marca acquisisce una dimensione pragmatica che va di pari passo con
una dimensione cognitiva” (Ceriani, 2001, p. 34-35).
Il contributo dell’antropologia deve essere rintracciato, invece, nella necessità di utilizzare
il metodo etnografico per la raccolta dei dati su cui fondare l’analisi degli spazi di consumo.
La nostra analisi dello spazio commerciale IKEA di Camerano (AN) si inserisce nel solco
delle considerazioni precedenti. Proprio per questo, l’iniziale idea di esaminare la sola
struttura dell’esposizione di quest’azienda ha lasciato posto alla convinzione che solo uno
sguardo che integrasse l’analisi semiotica del testo spaziale con quella del catalogo, nonché
con quella delle operazioni poste in essere dal consumatore una volta acquistato il mobile,
potesse risultare esauriente.
Ci si potrà chiedere da cosa derivi la scelta del caso IKEA. Da una parte, essa è dovuta al
fatto che l’organizzazione dello spazio espositivo di questa azienda sembra rendere
assolutamente visibile il carattere testuale dello stesso. In altre parole, ci sembrava evidente,
già ad una prima analisi, che la logica con cui veniva strutturato il percorso del consumatore
all’interno dell’esposizione fosse una logica eminentemente narrativa. Nel caso IKEA questo
sembra particolarmente evidente: ciascun ambiente dello spazio espositivo sembra costituire
una tappa, un segmento narrativo all’interno del percorso del Soggetto-consumatore
impegnato nel tentativo di congiungersi con il suo Oggetto di valore (il mobile). La serie di
operazioni messe in atto dal cliente nello spazio espositivo ci ricorda il concetto greimasiano
di testo come algoritmo di trasformazione, cioè come una suite ordinata di trasformazioni
poste in essere da un Soggetto operatore per passare da uno stato iniziale ad uno finale.
Dunque solo un’analisi di carattere semiotico sarebbe riuscita a esplicitare tale logica.
D’altra parte, la nostra attenzione è stata attratta anche da un’apparente contraddizione:
come è possibile che un’azienda che produce in maniera standardizzata e commercializza gli
stessi identici prodotti in quarantaquattro Paesi del mondo possa soddisfare il bisogno
dell’arredare? Operazione che, secondo numerosi autori, come vedremo, consiste nella
costruzione di uno spazio, la casa, che si pone come luogo identitario per eccellenza. Come è
possibile che questo avvenga quando, secondo autori come George Ritzer, il moderno
sistema produttivo e distributivo opera generando e facendo circolare prodotti talmente privi
di sostanza distintiva da poter essere considerati delle non-cose (Ritzer, 2004)? Come,
attraversando un nonluogo (lo spazio commerciale), il consumatore costruisce il suo luogo
dell’identità e dell’intimità (la casa)? Come una logica dell’attraversamento (quella
dell’esposizione) presiede ad uno stabilirsi (quello nella dimora)? La nostra analisi cercherà di
rispondere anche a questa domanda mettendo in luce come la particolare organizzazione del
percorso d’acquisto di un prodotto IKEA tenda a enfatizzare il carattere creativo del consumo
come attività di appropriazione, singolarizzazione e risemantizzazione dei prodotti.
Nel primo capitolo illustreremo lo sfondo teorico e metodologico della nostra analisi. In
particolare si tratterà di mettere in evidenza il bagaglio di strumenti offerti della semiotica per
l’analisi dello spazio commerciale, del catalogo e delle sequenze gestuali poste in essere dal
consumatore (montaggio e collocazione del prodotto IKEA) nel proprio spazio abitativo. Sarà
fondamentale, dunque, il contributo di autori che si collocano nella corrente della semiotica
7
generativa come A. J. Greimas, J.-M. Floch, G. Marrone, ma anche di autori, come L. Marin,
che hanno espresso punti di vista più indipendenti rispetto alla prospettiva sviluppata dalla
scuola di Parigi.
Nel secondo e terzo capitolo ci concentreremo rispettivamente sull’analisi del catalogo e
dello spazio espositivo.
Nel quarto capitolo ci soffermeremo, invece, sull’analisi delle operazioni svolte dal
consumatore per arredare la propria abitazione avendo a disposizione gli oggetti acquistati da
IKEA. Vedremo come questa operazione può essere vista come l’enunciazione di un discorso
personale da parte del cliente a partire dai prodotti-segni ottenuti nel percorso d’acquisto. Per
questa riflessione, che chiama in causa il rapporto tra il concetto di casa, di abitare e di
arredare, ci avvarremo del contributo di autori come M. Augé, G. Bachelard, J. Baudrillard,
M. E. Normanni e R. Bartoletti.
Queste considerazioni fonderanno anche le nostre conclusioni.
8
1. Premesse teoriche e metodologiche
1.1 Strumenti generali
Come già accennato, la teoria semiotica cui faremo riferimento nel corso della
nostra analisi è quella sviluppata dal linguista e semiologo di origine lituana Algirdas
Julien Greimas e da quel gruppo di studiosi, riuniti attorno alla sua figura, definito
Scuola di Parigi.
La semiotica generativa sviluppata da Greimas si nutre di numerosi riferimenti: la
linguistica strutturalista di Saussure, la glossematica di Hjelmslev, il formalismo russo
di Propp, l’antropologia strutturalista di Lévi-Strauss e Dumézil1. I fondamenti di questa
disciplina si possono riassumere in tre principi fondamentali:
• l’abbandono della centralità della nozione di segno. Il segno è solo un’unità
di manifestazione del linguaggio, ma uno studio di come il senso si articoli in
significazione richiedere di andare “al di là o al di qua dei segni” (Floch,
2000, p.46). Al di qua perché si tratta di separare le due facce del segno
(espressione e contenuto) ed esaminare il sistema di scarti differenziali che
organizza le unità dei due piani (figure). Al di là perché occorre superare il
limite della frase per gettare luce su quei processi di significazione che sono i
testi. Si tratta, in altre parole, di studiare il funzionamento dei sistemi (i
linguaggi) e dei processi di significazione (i testi);
• la sostituzione del piano della significazione al piano della comunicazione e,
conseguentemente, la rivendicazione dell’autonomia del testo significante (il
supporto della comunicazione);
• la definizione del senso come effetto risultante da un’articolazione
progressiva che avviene per piani di profondità (Ceriani, 2001, p. 25).
Proprio quest’ultimo principio ci spiega perché questa teoria semiotica si
definisca “generativa”. Infatti, si tratta di intendere la significazione come la
risultante di una relazione di presupposizione reciproca tra il piano dell’espressione
e il piano del contenuto di un linguaggio, e di porre una relazione generativa (su
entrambi i piani) tra i diversi livelli in cui si collocano gli elementi di rango minore,
quali ad esempio le figure, rispetto agli elementi di rango maggiore che
contribuiscono a produrre i discorsi; “pensare cioè che i costituenti minori e
immanenti generano i costituenti maggiori del discorso manifesto secondo regole di
trasformazione che,[…] prendono il nome di conversione ” (Marsciani e Zinna,
1991, p. 32). L’approccio generativo ai fenomeni di senso si concentra sul loro
modo di produzione, che è ricostruito a posteriori dall’analista, ma non ha nulla a
che fare con la “storia” della sua creazione (approccio genetico).
In questo senso la teoria semiotica si è dotata di un modello di rappresentazione
della produzione del senso. Esso è sia una “disposizione ordinata delle tappe
successive attraverso le quali passa la significazione per arricchirsi e, da semplice e
astratta, divenire complessa e concreta” (Floch, 2000, p. 48), sia una
rappresentazione della teoria stessa. Questo modello è definito percorso generativo
della significazione (vedi la voce Generativo (percorso-) in Greimas e Courtés,
1979, 2a ed, tr. it. p. 140-143). Eccone una rappresentazione grafica:
1
Per una visione complessiva dello sviluppo della semiotica a partire dalla linguistica strutturale, si veda
Fabbri, Marrone (a cura di), 2000.
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Percorso generativo
Componente
sintattica
Componente
semantica
Livello profondo Sintassi
fondamentale
Semantica
fondamentale
Strutture
semio-narrative Livello di superficie Sintassi narrativa
di superficie
Semantica
narrativa
Strutture
discorsive
Sintassi discorsiva
Discorsivizzazione
spazializzazione attorializzazione temporalizzazione
Semantica discorsiva
Tematizzazione
Figurativizzazione
Nel percorso si distinguono tre grandi tappe, luoghi di articolazione della
significazione e di costruzione metalinguistica: le strutture semio-narrative, le strutture
discorsive e le strutture testuali. Tra i primi due campi si colloca l’enunciazione, intesa
come istanza di mediazione che produce il discorso. Essa è la presa in carico da parte di
un soggetto dell’enunciazione delle virtualità che gli offre il sistema di significazione
che utilizza per produrre il discorso.
Le strutture semio-narrative sono le virtualità, di carattere profondo e universale,
che presiedono la generazione del senso e che il sistema di significazione offre al
soggetto dell’enunciazione per elaborare il suo discorso. In questo senso esse
“ritraducono in terminologia semiotica il concetto di langue di Saussure o di sistema di
Hjelmslev” (Marsciani e Zinna, 1991, p. 134). Al loro interno distinguiamo due livelli.
Un livello profondo in cui si collocano gli scarti differenziali e le operazioni logiche
elementari che articolano il senso. A questo livello troviamo il concetto fondamentale di
valore semiotico, mentre il quadrato semiotico2 è un modello che rappresenta ciò che
avviene a questo livello. Un livello di superficie in cui i valori, intesi come scarti
differenziali, appaiono investiti in oggetti sintattici che si trovano congiunti o disgiunti
rispetto ai soggetti narrativi. A questo livello più antropomorfo, cioè, le posizioni e le
possibili operazioni messe in luce dal quadrato semiotico, vengono convertite in
enunciati, rispettivamente di “stato” e di “fare”. È qui che compare la narratività e
anche quei personaggi astratti che sono gli “attanti”.
Le strutture discorsive sono il risultato della “messa in discorso”delle strutture
semio-narrative operata dal soggetto dell’enunciazione. A questo livello si produrrà un
dispositivo di attori e un quadro temporale e spaziale che danno agli attanti e ai loro
programmi narrativi una veste più concreta. Anche i valori riconosciuti a livello delle
strutture semio-narrative profonde sono suscettibili, a questo livello, di subire
investimenti semantici che arricchiscono la significazione.
Entrambi i campi possiedono sia una componente sintattica, che fa riferimento a
operazioni e trasformazioni, che una componente semantica, costituita da relazioni e
categorie.
Infine le strutture testuali, più superficiali in quanto riguardano il livello della
manifestazione del discorso. Livello in cui la strutturazione del piano del contenuto
incontra le costrizioni imposte dal piano dell’espressione (ad esempio la linearità se si
2
Il quadrato semiotico è una rappresentazione visiva delle relazioni logiche che tengono insieme i tratti di
una determinata categoria semantica. Le relazioni sono di tre tipi: contrarietà, contraddizione e
implicazione. Ad esempio, a partire dai termini contrari maschile/femminile e ricavando i reciproci
contraddittori non-maschile e non-femminile, si può ottenere l’organizzazione della categoria della
sessualità che genera sememi come “donna”o “uomo”, ecc.
10
usa la lingua). Ancora poco studiate, le strutture testuali di solito sono collocate al di
fuori del percorso generativo propriamente detto.
1.2 Strumenti per l’analisi del catalogo
Il catalogo è di solito annoverato nella tipologia dei testi pubblicitari. La semiotica
generativa ci permette di collocare questi testi nel campo dei discorsi3 persuasivi. Si
tratta di discorsi attraverso cui il soggetto dell’enunciazione (o enunciante), cioè il
destinante della comunicazione, esercita un fare persuasivo nei confronti
dell’enunciatario4, cioè il destinatario implicito della comunicazione. Quest’ultimo, a
sua volta, risponde con un fare interpretativo.
Il fare persuasivo consiste nella “convocazione da parte dell’enunciante di ogni sorta
di modalità miranti a far accettare, da parte dell’enunciatario, il contratto enunciativo
proposto e a rendere così la comunicazione efficace” (Greimas e Courtés, 1979, 2a ed,
tr. it p. 241). Attraverso la persuasione un destinante della comunicazione (un’azienda,
nel caso della comunicazione pubblicitaria) cerca di provocare un fare altrui, quello
dell’enunciatario (il consumatore target, ad esempio). In questo modo il fare persuasivo
si inserisce nel quadro di quella che la semiotica generativa definisce manipolazione.
Questa si caratterizza come “un’azione dell’uomo su altri uomini, tendente a far loro
eseguire un dato programma […]. Situata sintagmaticamente tra il volere del destinante
e la realizzazione effettiva, da parte del destinatario-soggetto, del programma narrativo
(proposto dal manipolatore), la manipolazione agisce sulla persuasione, articolando il
fare persuasivo del destinante e il fare interpretativo del destinatario.” (tr. it. p. 191). Il
suo scopo, in altre parole, è quello di far eseguire al soggetto manipolato un determinato
programma5. Così, nel caso della comunicazione pubblicitaria, la manipolazione tende
ad agire sulla competenza6 modale7 del soggetto destinatario, generando in lui un voler-
fare (un voler acquistare) o, ma è molto raro in pubblicità, un dover-fare . La
manipolazione secondo il volere del soggetto si realizza attraverso la proposta da parte
3
Il termine discorso verrà qui utilizzato come sinonimo di testo, cioè come un tutto significante che si
identifica con l’asse del processo di un linguaggio. Il processo, termine con cui L. Hjelmslev ha
rinominato il concetto saussuriano di “parole”, indica una concatenazione sintagmatica di unità
linguistiche o non linguistiche (gestuali, somatiche, ecc.) mediante relazioni del tipo “e…e”.
4
Giulia Ceriani, studiosa che si colloca nella corrente della semiotica generativa, considera l’enunciatario
come il destinatario “ideale” di un testo, cioè come l’ immagine del ricevente presupposto e, quindi, come
una rappresentazione del modo in cui il soggetto di parola interpreta le attese del consumatore reale. Il
target, quindi, secondo l’autrice, è una struttura di dialogo.
5
Un programma narrativo, in semiotica generativa, può essere visto come una sequenza di operazioni
poste in essere da un soggetto operatore per far sì che esso stesso o un altro soggetto si trovi congiunto (o
disgiunto) rispetto a un oggetto di valore (un oggetto di consumo, ad esempio).
6
La competenza in semiotica è considerata come “quel modo di essere che ci permette di eseguire un
atto” (Marsciani e Zinna, 1991, p. 93). Questo essere prevede un voler-fare o un dover-fare.
7
Modale si riferisce qui al concetto semiotico di modalità. Un predicato (i. e.: /fare/) si dice modale
quando modifica un secondo predicato (detto descrittivo) che lo segue nella catena sintagmatica della
frase (i. e.: /fare/→/far-essere/). Oltre al fare e all’essere, che possono trovarsi sia in posizione di predicati
modali che descrittivi (far-essere, essere del fare, far-fare e essere dell’essere), la semiotica riconosce il
ruolo fondamentale dei valori modali di volere, dovere, sapere, potere, che possono moralizzare
indifferentemente l’essere e il fare. Ecco un raggruppamento possibile delle modalità, proposto da
Greimas e Courtés (1979, 2a ed., tr. it. p. 203):
Modalità virtualizzanti attualizzanti realizzanti
esotattiche Dovere Potere Fare
endotattiche Volere Sapere Essere
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del destinante di oggetti di valore positivo (tentazione) oppure gli farà sapere ciò che
pensa della sua competenza modale con giudizi positivi (seduzione). La manipolazione
volta a suscitare un dover-fare nel destinatario, invece, opera attraverso la proposta del
destinante di un oggetto negativo (intimidazione) o di un’immagine negativa della
competenza del destinatario (provocazione, ad esempio: “Tu sei incapace di…”)8.
Ciò che è importante notare nel discorso precedente non è solo il fatto che la
manipolazione tende a generare un voler (o dover) fare nel destinatario manipolato, ma
che essa è sottesa sempre da una struttura contrattuale. Il contratto è il patto che viene
proposto al consumatore: esso prevede la proposta, da parte del destinante, di valori
pragmatici positivi inscritti negli oggetti di consumo che una marca propone al
destinatario. In questo modo un’azienda semantizza i propri prodotti, irrobustendone
l’identità attraverso un’operazione semiotica che carica questi oggetti di valore. Infatti,
si può osservare che:”una delle grandi prerogative del discorso- si pensi ad esempio al
discorso pubblicitario- è proprio quella di costruire il valore degli oggetti attraverso
degli effetti di senso prodotti nella comunicazione. Persuadere vuol dire far compiere
all’altro un atto cognitivo di adesione alla proposta che gli comunichiamo” (Marsciani e
Zinna, 1991, p. 99). Detto altrimenti, analizzando i discorsi pubblicitari dei produttori
risulta evidente che i prodotti vengono proposti come desiderabili in base al valore
inscritto in essi. Non si tratta del valore economico ma di uno dei concetti portanti della
semiotica generativa. Esso rende conto del fatto che ciò che interessa al soggetto
(consumatore) non è tanto l’oggetto in sé, quanto il valore in esso inscritto: è questo che
rende l’oggetto desiderabile agli occhi del soggetto. La nozione di valore ha, dunque,
anche un’accezione fenomenologica: essa “rende conto dell’intenzionalità di un
soggetto “proteso” verso la propria realizzazione, realizzazione che semioticamente
diventa appunto la congiunzione con l’oggetto-valore positivo” (Marsciani e Zinna,
1991, pp. 78-79 ).
La semiotica, infatti, ci autorizza a pensare gli oggetti non solo come entità materiali
dotate di una funzione specifica, ma come segni dotati di significati che vanno al di là
della loro semplice strumentalità. Così gli oggetti sarebbero carichi di significati oltre
che di usi specifici e possederebbero un valore simbolico. Umberto Eco ha parlato in
questo senso di denotazione/connotazione in riferimento all’oggetto-segno. Un oggetto,
come sosteneva Barthes, significa anzitutto la sua funzione (denotazione), ma è anche
vero che esso rinvia ad altro, assume cioè “valori simbolici” di carattere sociale e
culturale (connotazione): “Una sedia mi dice anzitutto che posso sedermici sopra. Ma se
la sedia è un trono, non serve solo a sedermici sopra: serve a sedere con una certa
dignità” (Eco, 1968, p. 206). Un oggetto non significa mai solo la sua funzione
primaria; significa sempre qualcosa d’altro: può comunicare ad esempio lo status
sociale di chi se ne serve. Anzi, molto spesso questa “funzione secondaria” rappresenta
la vera funzione dell’oggetto: “E’ chiaro che rispetto al vestito quotidiano (che serve a
coprire), l’abito da sera […] è ‘funzionale’ perché, grazie al complesso di convenzioni
che connota, permette certi rapporti sociali, ne mostra l’accettazione da parte di chi con
esso comunica il proprio rango.” (Eco, 1968, p. 206). La semiotica generativa elaborata
da Greimas ha chiarito meglio questo aspetto della “funzione secondaria”degli oggetti:
non più come semplice connotazione, ma come investimento di valori semantici.
Nell’esempio fatto dall’autore in Del Senso II, un’automobile può essere acquistata
come un mezzo di spostamento rapido, o perché il suo possesso testimonia lo status
sociale dell’acquirente, o trasmette un intimo senso di potenza (cfr. Greimas 1983). I
valori che un soggetto può ricercare in un oggetto, quindi, sono diversi.
8
Nei testi pubblicitari, ovviamente, la tentazione e la seduzione sono le figure di manipolazione più
utilizzate.