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Ikea. Dal catalogo all'esposizione: analisi semiotica

Il lavoro consiste in un’analisi semiotica del catalogo IKEA 2008 e dell’esposizione IKEA di Camerano (AN), e, quindi, dell’intero percorso d’acquisto del consumatore, comprese le operazioni poste in essere dal cliente una volta acquistato il prodotto (montaggio e collocazione dell’oggetto IKEA nel proprio spazio abitativo).
Il primo capitolo illustra lo sfondo teorico e metodologico della nostra analisi. In particolare si mette in evidenza il bagaglio di strumenti offerti della semiotica generativa per l’analisi dello spazio commerciale, del catalogo e delle sequenze gestuali poste in essere dal consumatore. Il secondo e il terzo capitolo sono dedicati rispettivamente all’analisi del catalogo e dello spazio espositivo. Il quarto capitolo, infine, riguarda l’esame delle operazioni svolte dal consumatore per arredare la propria abitazione avendo a disposizione gli oggetti acquistati da IKEA. In questo capitolo abbiamo sviluppato anche una riflessione sul rapporto tra il concetto di casa, di abitare e di arredare. A partire da queste considerazioni, nel capitolo conclusivo abbiamo esaminato il rapporto esistente, nel caso specifico di IKEA, tra il rischio della desemantizzazione dei prodotti generato dalla loro standardizzazione a causa della produzione in serie e della circolazione a livello globale degli stessi, e le pratiche di interpretazione, appropriazione, singolarizzazione e risemantizzazione degli oggetti di consumo poste in essere dai consumatori e previste in anticipo dall’azienda stessa.

L’intera analisi si basa sull’utilizzo degli strumenti teorici offerti dalla semiotica generativa sviluppata dalla scuola di Parigi. In particolare, nell’analisi del catalogo abbiamo utilizzato il modello del “quadrato dei valori di consumo” sviluppato da J.-M. Floch. L’esame dell’esposizione si fonda sull’utilizzo del metodo etnografico per la raccolta dei dati e sulla loro elaborazione per mezzo delle riflessioni sulla spazialità sviluppate da semiotici come A. J. Greimas e G. Marrone. Le operazioni svolte dal consumatore per arredare la propria abitazione avendo a disposizione gli oggetti acquistati da IKEA vengono lette attraverso l’utilizzo del concetto di bricolage sviluppato da J.-M. Floch e delle riflessioni sviluppate da M. E. Normanni sul tema della casa come luogo dell’intimità.

L’analisi del catalogo ha permesso di ricostruire il posizionamento del brand IKEA e le strategie di valorizzazione dei suoi prodotti; l’esame dello spazio espositivo ha messo in luce i processi narrativi che si inscrivono nella struttura spaziale, evidenziando l’esistenza di un livello omogeneo di senso che il catalogo e l’esposizione sfruttano in maniera coerente. Infine, l’esame dell’intero percorso d’acquisto ha evidenziato la coerenza con cui l’azienda svedese mette in scena i temi privilegiati del suo discorso di marca: il risparmio e l’intimità.

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5 Introduzione Nella realtà concreta del mondo di oggi, i luoghi e gli spazi, i luoghi e i nonluoghi si incastrano, si compenetrano reciprocamente. La possibilità del nonluogo non è mai assente da un qualsiasi luogo; il ritorno al luogo è il rimedio cui ricorre il frequentatore di nonluoghi […]. Luoghi e nonluoghi si oppongono (o si evocano) come i termini e le nozioni che permettono di descriverli. Marc Augé (1992, tr. it. p. 97-98) Nonluoghi1 (Augé, 1992) o iperluoghi2 (Desideri, Ilardi, 1997), spazi generatori della solitudine dell’individuo-consumatore contemporaneo e della rarefazione delle relazioni sociali o nuovi contesti aggregativi ed esperenziali, centri produttori di omogeneizzazione o luoghi in cui si snodano percorsi personalizzati, gli odierni spazi di consumo sono al centro di riflessioni teoriche talora molto contrastanti in campo sociologico, antropologico e semiotico. Da un punto di vista sociologico, i nuovi luoghi del consumo (centri commerciali, ipermagazzini, concept store, parchi ed alberghi a tema, eatertainment3, ecc.) tendono ad essere considerati come il risultato di un progressivo processo di spettacolarizzazione delle merci e del consumo (Codeluppi, 2000; Ferraresi e Parmiggiani (a c. di), 2007). Questo processo si è sviluppato per risolvere la standardizzazione, la progressiva desemantizzazione dei prodotti (Semprini, 1993) dovuta essenzialmente all’avvento della produzione industriale in serie e alla crescente competizione commerciale. In questo quadro, spettacolarizzare le merci significa allora attuare “un processo di trasfigurazione dei caratteri puramente funzionali che consente loro di assumere precisi significati simbolici e culturali” (Codeluppi, 2000, p. 1), significa irrobustire l’identità dei prodotti semantizzandoli4. Ma per potersi spettacolarizzare, le merci hanno utilizzato le possibilità offerte dai nuovi spazi commerciali, che tendono oggi a funzionare come veri e propri palcoscenici teatrali (Russo, 2007). In essi si dispiega il dialogo tra consumatori e merci e questo nesso assume caratteristiche performative reciproche: “mentre i primi assistono alle manifestazioni delle merci, […] interagendo con esse; le seconde si aprono a una comunicazione sempre più polisensuale” (Russo, 2007, p.40). Lo sviluppo di questi spazi si basa, dunque, sul tentativo di produrre un coinvolgimento cognitivo ed emozionale del consumatore attraverso la sua stessa performance, cioè attraverso il suo rapporto interattivo con i prodotti e con i significati che veicolano. Proprio in questo tipo di riflessione mi sembra che possa inserirsi proficuamente il punto di vista della semiotica sugli spazi commerciali. Secondo Giulia Ceriani il punto vendita di un’azienda, infatti, costituisce uno degli elementi più importanti del cosiddetto communication mix, cioè di quell’insieme di elementi, autonomi ma interdipendenti (concetto, nome della marca, logo, design del prodotto, pubblicità, confezione, luogo di vendita, ecc.) 1 Secondo Augé assistiamo oggi alla proliferazione di spazi (aerei, treni, auto, aeroporti, stazioni ferroviarie, autostrade, grandi catene alberghiere, grandi spazi commerciali, strutture per il tempo libero) che sono accomunati dal fatto di non possedere quelle caratteristiche tipiche di un luogo antropologico, inteso come spazio fisico legato ad una precisa cultura, carico di storia, sede di relazioni sociali organiche per mezzo delle quali si originano forme di identità, individuale e di gruppo, stabili nel tempo. Così “uno spazio che non può definirsi né identitario né relazionale né storico, definirà un nonluogo.” (Augé, 1992, tr. it. p. 73). 2 Desideri e Ilardi, partendo dalla nozione di nonluogo di Augé, propongono per i nuovi spazi commerciali la definizione di iperluoghi: spazi catalizzatori della collettività, nei quali convivono una pluralità di registri comunicativi e di codici di significazione e al cui interno si possono vivere, simultaneamente, diverse esperienze che contribuiscono a creare interrelazioni sociali importanti. 3 Con questo termine si indica la tendenza contemporanea a trasformare i ristoranti in locali dove è possibile mangiare, “ma dove si può anche godere della rappresentazione spettacolare di un tema.” (Codeluppi, 2000, p. 111). 4 È noto come, secondo Semprini, la marca, in quanto motore semiotico in grado di generare e attribuire significato, assolva proprio questa funzione.

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Informazioni tesi

  Autore: Fabrizio Di Berardino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Urbino
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Maurizio Del Ninno
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 64

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Parole chiave

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