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orizzontale), intensificando l’advertising alla continua
ricerca di mezzi nuovi per emozionare e coinvolgere un
consumatore sempre più selettivo e infedele o
indossando la veste low cost nei nuovi palcoscenici del
consumo di moda: i Factory Outlet Centre.
Il leit motiv è che “il lusso si sta democratizzando”.
Anche in Italia il fenomeno dei factory outlet si sta
rapidamente affermando con grande successo: sono spazi
eleganti e sicuri dove l’architettura è evocativa di mondi
altri e dove il ritmo frenetico della vita quotidiana si
ferma, dove la marca costa meno ed è quindi più
accessibile al consumatore medio.
Il Factory Outlet Centre diviene il canale distributivo più
adatto per contenere le difficoltà economiche del
neoconsumatore odierno.
L’obiettivo è “avere la marca senza pagarla” ed è questo
il motivo principale per cui gli outlet sono passati da
“magazzini per la merce invenduta” a forte polo di
attrazione per il consumatore trasversale di oggi.
E’ un contenitore di alta categoria di brand e prodotti
diversi,comunque appartenenti al comparto del Total
Living, che si dividono il tempo e i soldi del consumatore.
Uno spazio dove si fa shopping non tanto per
risparmiare, ma per esserci, dove ormai sempre più
moda e design convivono: grandi matrimoni di idee tra
stilisti e designers.
E’ un microcosmo, quasi un non- luogo, una terra di
mezzo in cui si incontrano direttamente domanda e
offerta e in cui diventa possibile gettare le basi di una
relazione amichevole, di certo meno conflittuale grazie al
9
brand che, abbassando il prezzo, propone una sorta di
tregua con il consumatore medio.
Ma gli outlet centre sono un fenomeno nuovo con grandi
potenzialità di sviluppo ed è qui che la scelta dei mezzi
pubblicitari in particolare e del media planning in
generale assume una rilevanza fondamentale.
E’ necessario scegliere accuratamente gli strumenti di
advertising per generare awarness nell’utente anonimo,
preference per trasformarlo in amico, action per farlo
cliente, e infine loyalty e reference per ottenere la sua
fiducia, la sua stima e il suo affetto fidelizzandolo.
E’ questa la motivazione per cui il presente lavoro
analizzerà nel dettaglio il media planning del
Valmontone Fashion District Outlet e del Castel Romano
Designer Outlet secondo un approccio di benchmarking.
Il meccanismo è quello delle bambole russe.
Nella prima parte, in cui si vuole delineare il
macrocontesto sul quale si innesta il fenomeno outlet, il
focus è su tre argomenti:
• un excursus storico sui luoghi del consumo;
• un approfondimento sul concetto di lusso;
• una fotografia dell’odierno mercato della moda.
Sono queste le tre coordinate cartesiane necessarie per
comprendere il perché dei FOC.
Cercheremo poi, nel secondo capitolo, di capire chi è il
neoconsumatore postmoderno, perché si definisce tale,
quali sono le differenze con il passato e quali sono le
dinamiche socio-economiche che determinano i suoi stili
di vita e di consumo, le sue aspettative, i suoi desideri e i
suoi bisogni.
10
La seconda parte è dedicata all’analisi del microcontesto:
viene descritta la realtà del factory outlet, la sua storia e
le sue caratteristiche per poi arrivare alla presentazione
dei due case studies e delle due società che li gestiscono.
Una approfondita descrizione del media planning e una
panoramica sugli old e sui new media in Italia conclude il
terzo capitolo e precede il benchmarking (quarto
capitolo), nocciolo del lavoro:
una ricerca empirica sui due outlet centre più importanti
nei pressi della capitale, gestiti da due società diverse (la
Fashion District per il FOC di Valmotone e la
McArthurGlen per il FOC di Castel Romano). L’obiettivo
è quello di confrontare due realtà che appartengono allo
stesso contesto, nascono per gli stessi motivi, ma
differiscono per il target di riferimento, per gli obiettivi
strategici e per il brand mix.
Lo studio ha lo scopo di evidenziare quanto queste
differenze di base si riflettano nella strutturazione dei
media planning delle campagne isituzionali e delle varie
iniziative, promozioni ed eventi che periodicamente i due
centri mettono in atto.
Confronteremo i media planning dei due centri su una
campagna comune (nello specifico quella per i saldi estivi
del 2008): ne analizzeremo la congruenza interna con la
strategia aziendale e con il target di riferimento e ne
evidenzieremo le analogie e differenze con le scelte
effettuate dal competitor (termine non propriamente
esatto poiché gli intervistati affermano di non essere in
diretta competizione ma di dividersi “equamente” il
mercato. Vedremo poi che le cose non stanno
esattamente così).
11
I miei due punti di riferimento interni sono stati
Alessandro Pugliesi (marketing centre manager del
Castel Romano Designer Outlet) e Marco Torresan
(direttore del Valmontone Fashion District Outlet) che si
sono dimostrati da subito molto disponibili a collaborare.
Lo studio si conclude con le considerazioni e le
valutazioni personali.
12
Parte prima. Un’analisi del
macrocontesto: il luxury fashion market e
il neoconsumatore
Capitolo 1. Il mercato di massa e il mercato del
lusso: due realtà che si incontrano nel luxury
fashion market low cost
“Il lusso inghiotte ogni cosa,
come il mare”
Jan Kochanowski
La moda è costume che vive con e nella società ed è per
questo che per comprenderne le evoluzioni è necessario
analizzare la società e il mercato.
L’evoluzione del mercato della moda è legata alle
evoluzioni del concetto di lusso a sua volta strettamente
correlato alle evoluzioni dei bisogni, dei desideri e del
potere d’acquisto del consumatore.
E’ il consumatore che decide cosa è moda e cosa è lusso.
1. Le origini del consumo di massa del necessario e del
superfluo
La Seconda Rivoluzione Industriale della seconda metà
dell’Ottocento ha segnato l’inizio di una nuova era: la
produzione in serie di oggetti uguali a costo ridotto, la
massificazione del consumo, l’omologazione del gusto, la
nascita dei grandi agglomerati urbani, l’affermazione di
una nuova classe sociale (la classe borghese industriale)
13
che è stata insieme madre e figlia di questo maremoto
socio- culturale.
La borghesia ricerca il proprio status radicando nella
società la logica industriale della standardizzazione e
dell’accumulo che gli è propria ottenendo al contempo
un doppio risultato:
la comunicazione dell’identità di classe e la conquista del
potere economico.
La moda, per anni prerogativa delle classi agiate ed
elemento di differenziazione sociale, diventa accessibile
al consumatore medio che attraverso l’acquisto di beni
secondari c.d. “di lusso” (abbigliamento, accessori,
calzature, oggetti d’arredamento) cerca di affermare la
sua personalità.
La razionalità economica borghese ha un natura
paradossale: si esplica in un movimento dialettico tra la
tendenza all’accumulo progressivo e la ricerca di
innovazione.
Infatti, se da un lato la produzione su vasta scala
consente di abbattere i “costi sul lungo periodo”
permettendo al cliente medio acquisti quantitativamente
e qualitativamente migliori, dall’altra la ripetizione
monotona del sempre uguale lo stanca velocemente.
La tendenza alla massificazione economica e culturale
prende forma tangibile nei nuovi format culturali (il
romanzo d’appendice, il quotidiano popolare…) e di
intrattenimento (musical, varietà, cinema...) che si
predispongono nei costi e nei contenuti ad una fruizione
più popolare.
All’operaio infatti viene spiegata la distinzione tra tempo
di vita e tempo di lavoro.
14
Ha un salario e tempo libero a disposizione per
spenderlo nei nuovi luoghi del consumo di massa che
non a caso entrano in scena nelle grandi metropoli
proprio in quegli anni: dalla bottega artigiana, si passa al
negozio al dettaglio e alle gallerie commerciali (i passages
parigini), per poi arrivare ai grandi magazzini e infine ai
centri commerciali o agli shopping mall odierni
(denominate da Ritzer “cattedrali del consumo”) le cui
recenti metamorfosi si sono concretizzate nei parchi a
tema e nelle realtà dei FOC (Factory Outlet Centre):
agglomerati di negozi che incarnano la logica borghese
dell’accumulo e contemporaneamente se ne allontanano,
cercando attraverso l’innovazione e la
spettacolarizzazione dei propri contenitori (architetture e
arredamenti) e contenuti (le merci) di differenziarsi e di
comunicare la loro unicità.
2. Merci, supermerci e nonluoghi
“La merce è un oggetto paradossale:la sua natura è a un tempo
individuale e collettiva, privata e pubblica"
1
perché soddisfa
bisogni personali ma è contemporaneamente un potente
mezzo di affermazione e di identificazione collettiva che
si esplica attraverso il possesso e l’ostentazione di beni
socialmente significanti.
L’atto di acquisto risolve il paradosso poiché la merce
diventa di esclusiva proprietà dell’acquirente ma al
contempo permette all’individuo di realizzare il suo
desiderio di relazione nei c.d. luoghi del consumo o
supermerci.
1
Codeluppi, Lo spettacolo della merce: i luoghi del consumo dai passages
a Disney World, pag. 5
15
Le supermerci sono “architetture collettive principalmente
adibite ad attività legate all’acquisto, che contengono al loro interno
migliaia di merci e hanno assorbito da queste la loro stessa natura
autopromozionale”
2
.
Entrano in scena in seguito al fenomeno di
industrializzazione della seconda metà dell’Ottocento e
sono assimilabili al concetto di nonluogo.
L’antropologo francese Marc Augè
3
definisce il luogo e il
nonluogo come polarità sfuggenti poiché la mai completa
affermazione del secondo è diretta conseguenza della
mai totale cancellazione del primo.
Sono due realtà che si innestano su un continuum spazio
- temporale dove troviamo l’eterno gioco dialettico della
ricerca dell’identità e del bisogno di relazione.
Sono nonluoghi le vie aeree, ferroviarie e autostradali, gli
aerei, i treni e le auto, gli aeroporti, le stazioni ferroviarie
e gli autogrill, ma anche le strutture per la fruizione del
tempo libero come gli alberghi e i grandi centri
commerciali “e, infine, la complessa matassa di reti cablate o senza
fili che mobilitano lo spazio extraterrestre ai fini di una
comunicazione così peculiare che spesso mette l’individuo in
contatto solo con un’altra immagine di sé stesso”
4
.
Preliminare obbligato per meglio comprendere questa
continuità concettuale tra luogo e nonluogo è la
definizione che Michel de Certau
5
dà della nozione di
“spazio” considerato un “luogo praticato”, “un incrocio
di mobilità”: sono i soggetti in movimento che
trasformano un luogo (inteso come un insieme
2
Ibidem
3
C.f.r. Augè M., Nonluoghi, Introduzione a una antropologia della
surmodernità
4
Ivi, pag. 74
5
C.f.r. De Certau M., L’invention du quotidien, 1. Arts de faire
16
preordinato di elementi) in uno spazio cioè in
un’animazione del luogo causata dalla mobilità.
Altro necessario riferimento va alla Fenomenologia della
percezione di Merlau – Ponty
6
cui troviamo la distinzione
tra “spazio geometrico” e “spazio antropologico” ovvero
uno “spazio esistenziale” in cui il soggetto si relaziona
con il mondo.
Interessante infine il parallelismo tra il rapporto parola -
atto locutorio e la relazione luogo - nonluogo:
“Lo spazio sarebbe per il luogo ciò che diventa la parola quando è
parlata, cioè quando è afferrata nell’ambiguità di una effettuazione,
tramutata in un termine derivante da molteplici convenzioni, posta
come l’atto di un presente (o di un tempo) e modificata dalle
trasformazioni dovute a contiguità successive…”
7
Quando M. de Certau parla di nonluogo intende riferirsi
ad una qualità negativa del luogo, ad una assenza di
luogo.
Assimilando il concetto di spazio di de Certau al concetto
di nonluogo di Augè notiamo una similitudine di base: in
entrambi il soggetto è in movimento, è un soggetto di
passaggio, un viaggiatore di luoghi antropologici che nel
primo caso sono culturalmente definiti perché
appartenenti ad una precisa cultura. Sono cioè radicati in
un contesto storico - sociale determinato che permette
all’individuo che viaggia con un proprio bagaglio
identitario - esperienziale di creare relazioni stabili con
gruppi che, seppur distanti per usi e costumi, sono
anch’essi dotati di un’identità certa e quindi facilmente
identificabile.
6
C.f.r. Merlau – Ponty, Fenomenologia della percezione
7
Augè M., op. cit. , pag 173
17
Nel nonluogo invece il viaggiatore - spettatore vive una
condizione di solitudine e precarietà poiché questi sono
luoghi “provvisori” la cui identità non è definita dal
tempo o da una qualche associazione con la collocazione
geografica, ma dall’interazione tra le molteplici identità
di passaggio e le realtà mediatiche che lo compongono.
Come sintetizza esaustivamente Augè infatti:
“La frequentazione dei nonluoghi rende oggi possibile
un’esperienza, che non ha precedenti storici, di individualità solitaria
che si combina con mediazioni non - umane (tutto avviene attraverso
un manifesto o uno schermo) tra l’individuo e l’autorità pubblica ”
8
.
“I reali nonluoghi della surmodernità – quelli che abitiamo mentre
stiamo guidando su un’autostrada, vagabondando in un
supermercato o sedendo nella hall di un aereoporto in attesa del
prossimo volo per Londra o Marsiglia – hanno la peculiarità di
essere definiti, almeno in parte, dalle parole e dai testi che ci rendono
disponibili ”
9
.
Le parole dell’autore sono strettamente applicabili anche
alle realtà del centro commerciale: un nonluogo perché
luogo di transito, privo di una propria identità con radici
storico - spaziali in cui la pervasità delle immagini, del
video e dell’audio lo caratterizza come spazio di puro
godimento mediatico.
Nello shopping mall, infatti, le stimolazioni visive e
auditive sono preponderanti: insegne, manifesti di
advertising, jingles, brochure promozionali, maxi
schermi che trasmettono video musicali e spot
pubblicitari e musiche rilassanti o eccitanti trasmesse
dagli altoparlanti predispongono al consumo il visitatore,
ubriaco di suoni e di luci e ebbro dei colori delle merci
spettacolarizzate sulla vetrina - palcoscenico.
8
Ibidem, pag 117
9
Ibidem, pag. 96