INTRODUZIONE
“In una settimana scoprimmo che certe assunzioni della linguistica e della filosofia
contemporanea che erano state prese per buone nella tradizione occidentale fin dal
tempo dei Greci ci impedivano perfino di sollevare il tipo di problemi di cui
volevamo occuparci”. Così scrivevano George Lakoff e Mark Johnson nel 1979 nella
prefazione del libro che divenne la pietra miliare negli studi sulla linguistica
cognitiva: “Metaphors we live by”
1
. Con questa frase i due studiosi introducevano nel
panorama linguistico e filosofico l’ipotesi che un certo modo di parlare fosse la
manifestazione di una concettualizzazione che si basava sulla metafora. E che una
volta che una metaforizzazione fosse dominante all’interno di una cultura, come nel
caso degli assunti filosofici di cui i due studiosi avevano iniziato ad occuparsi per la
stesura del loro libro, non fosse possibile non soltanto parlare di qualcosa di diverso,
ma neanche pensare in maniera diversa. Introducevano, cioè, l’ipotesi che certi tipi di
discorsi avessero alla base la concettualizzazione di una materia in una determinata
forma: che strutturassero il modo stesso di pensare. Ma, andando oltre, ipotizzarono
che uno dei modi principali con cui il sistema concettuale organizza il pensiero fosse
la metafora. Essa, secondo i due studiosi, consente di creare nuova conoscenza perché
dà modo di ragionare dell’astratto in termini del concreto. “Metaforizzare” significa
dare una forma specifica ad una materia concettuale che forma non aveva
precedentemente. E lo stesso modo di procedere vale sia per una emozione, sia per
un modo di intendere la politica: qualsiasi tema astratto può diventare oggetto di un
discorso proprio in virtù della concettualizzazione e della metaforizzazione che viene
adottata. Un corollario della loro ricerca sul linguaggio è che pensare un problema
soltanto in un modo, servendosi di una metafora concettuale, impone che molte altre
definizioni, e così anche molte altre soluzioni a quel problema, non possano essere
prese in considerazione, proprio perché si è imposto nell’uso un modo di intenderlo.
In altre parole: nel momento in cui una metafora diventa fondamentale in una cultura
limita le possibilità di pensiero alternativo. Ciò che Lakoff e Johnson hanno tentato di
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GEORGE LAKOFF, MARK JOHNSON, Metaphors we live by, The University of Chicago Press, Chicago, 1980
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mettere in evidenza è che la metafora è uno dei modi fondamentali con cui si ragiona,
è per questo pervasiva e se ne fa uso in tutti i campi. Ma nel momento in cui essa si
impone nasconde una serie di implicazioni che possono essere riportate alla luce
soltanto attraverso lo svelamento della metafora stessa fatto dallo studioso, per una
maggiore consapevolezza. Se le metafore concettuali fanno parte del linguaggio
quotidiano di ciascuno di noi, esse sono anche adoperate da chi fa politica, sono lo
strumento fondamentale di creazione di significati. Essendo la politica il principale
strumento di produzione di significati su argomenti che riguardano la vita di
moltissime persone, è tanto più necessario che si sveli quanto resta implicito o
nascosto dietro queste metafore. Era augurio dello stesso Lakoff che la propria teoria
conducesse ad una “fine dell’innocenza”: “se la rivoluzione cognitiva si affermerà
davvero è prevedibile che le scuole e le università cominceranno a istituire
insegnamenti sui sistemi concettuali e su come effettuare le analisi concettuali(…). A
quel punto giungerà al tramonto una grave forma di innocenza. Infatti saremo
costretti a esaminare nei minimi dettagli i sistemi concettuali di cui ci serviamo
correntemente: (…) sarà cioè possibile portare alla coscienza e rivelare tutte le
implicazioni delle metafore che definiscono i nostri paradigmi concettuali, sia in
ambito accademico che nella vita civile e nelle relazioni interpersonali. (…) Oggi la
scienza cognitiva non fa parte delle materie insegnate nelle scuole di giornalismo, ma
domani forse sì. Forse un giorno potrebbe diventare normale, per i giornalisti o per
gli esperti di scienza cognitiva, analizzare regolarmente la cornice concettuale delle
questione pubbliche più rilevanti, e rivelare ciò che tali cornici possono nascondere
2
".
Il progetto, non volendo entrare nell’analisi del linguaggio politico attuale, dominato
dalla presenza di Silvio Berlusconi come indiscusso leader nella comunicazione
metaforica, dopo la descrizione della teoria, proporrà le analisi di alcune metafore
utilizzate dal comico Beppe Grillo, da qualche anno entrato a pieno titolo nella
comunicazione politica tramite il blog e le iniziative attivate attraverso di esso. Il suo
discorso è spesso improntato all’interpretazione della attività politica e proprio sul
2
GEORGE LAKOFF, MARK JOHNSON, Elementi di linguistica cognitiva, trad. di Manuela Cervi, Edizioni
Quattroventi srl, Urbino, 1998, pp 137,139
6
mestiere dei politici e su quello dei giornalisti si focalizza il suo sforzo giornaliero di
ridefinizione della realtà, attraverso il linguaggio colorito e fortemente metaforico
usato sia sul blog www.beppegrillo.it sia in ogni altra forma di comunicazione video,
audio o dal vivo nei teatri. Gli eccessi verbali e linguistici di Beppe Grillo saranno lo
spunto per un’analisi del sistema metaforico costruito dal comico in risposta e in
opposizione ai sistemi prevalenti. I politici sono lavoratori dipendenti assunti a tempo
determinato dai cittadini attraverso il voto. Partiti e media sono i virus che stanno
uccidendo la democrazia italiana. I vari Psiconano, Topo Gigio, Morfeo, Kriptonite
Di Pietro, Boss(ol)i e via di seguito sono i personaggi che popolano il mondo fittizio
in cui l’Italia sembra essersi trasformata nelle parole e nelle idee del comico. Nel
panorama comunicativo italiano Beppe Grillo reagisce ai frames dominanti
scalzandoli via con la forza del proprio linguaggio, costruendo pazientemente, giorno
dopo giorno, frames alternativi a quelli comunemente accettati. Al posto delle
vecchie parole, cariche di frames, cioè di realtà, che “non esistono”, il comico conia
nuovi termini o adatta termini già esistenti a situazioni nuove, in una parola:
metaforizza. La metafora è la cifra fondamentale del linguaggio di Beppe Grillo,
innovatore e contestatore, urlatore ed eccessivo, ma soprattutto paradossale e reale.
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CAPITOLO I
INTRODUZIONE ALLA TEORIA
DELLA METAFORA CONCETTUALE
1.1 Dalla metafora alla metafora concettuale
La metafora è da secoli al centro del dibattito linguistico e filosofico. Tropo per
eccellenza della retorica non ha mancato di suscitare diatribe in merito alla propria
definizione fin dall’antichità e poi nei secoli successivi. Cristina Cacciari nel 1991 era
costretta ad ammettere che non c’era una definizione univoca della metafora nelle
diverse discipline, e anzi scriveva il suo “Teorie della metafora” proprio per dar conto
delle ultime ipotesi nei diversi campi disciplinari in merito a questo tropo. Da
Cacciari si coglie quanto la metafora sia di difficile definizione non solo nella
linguistica, ma anche nella psicologia e nell’antropologia e che in tutti questi campi si
stia delineando uno spostamento del focus, nella sua concezione, dal linguaggio al
pensiero: si sta delineando “il passaggio da una concezione della metafora come fatto
eminentemente linguistico a una centrata invece sulla sua natura concettuale”
3
.
“In genere la metafora è stata definita come un paragone implicito: secondo la teoria
della comparazione la metafora è una forma di trasferimento a un oggetto di un nome
appartenente ad un altro: un trasferimento reso possibile da una comparazione in cui
si asserisce che il primo termine (topic) ha una certa rassomiglianza col secondo
termine (vehicle), rassomiglianza non sufficiente a rendere la comparazione un
paragone letterale. Sicché comprendere una metafora vuol dire comprendere ciò che i
due termini condividono (ground), la categoria sovraordinata cui entrambe
appartengono e/o le rassomiglianze che li rendono paragonabili. Nell’espressione “il
dente della montagna” abbiamo rispettivamente il termine metaforizzante “il dente” e
quello metaforizzato “la montagna” che partecipano entrambi al genere “forma
aguzza”, che opera come categoria sovraordinata che ne guida la comprensione. Nel
caso della frase “la rugiada è un velo”, l’intersezione mostra le proprietà che rendono
i due oggetti comparabili, e cioè la trasparenza, la brillantezza, l’essere coprente. Una
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CRISTINA CACCIARI (a cura di), Teorie della metafora, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1991, p 2
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volta che siano state individuate le somiglianze possibili fra i due termini, cioè le
proprietà condivise, il processo di comprensione può dirsi compiuto.”
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La metafora è
dunque l’accostamento di due termini che provengono da due campi semantici
diversi, secondo le più note teorie della linguistica.
Molto significativo per gettare nuova luce sulla definizione, e dunque sulla
concezione stessa della metafora, sarà l’apporto della linguistica cognitiva. Questa
branca delle neuroscienze cognitive, infatti, andrà molto a fondo nell’analisi della
metafora, tanto da rintracciare in essa una specifica forma del pensiero, un modo di
ragionare. E risalendo dal livello cognitivo di base a quello concettuale e poi
semantico e sintattico, darà modo di comprendere come la metafora sia una parte
fondamentale del tessuto linguistico di ogni cultura perché insita nel modo stesso di
ragionare. Per avere un quadro più dettagliato di che cosa significhino le teorie
proposte dalla linguistica cognitiva sulla metafora, è utile ripercorrere la nascita di
questi studi a partire dagli albori.
Ricorda Lakoff, maggiore esponente di questo ambito disciplinare, che le sue ricerche
sulla metafora ed il pensiero ebbero inizio nelle lezioni per gli undergraduate
all’Università di Berkeley, quando, parlando di metafore, una studentessa, sconvolta,
disse di avere avuto un grave problema con un una di esse. Il ragazzo di costei le
aveva infatti detto che il loro rapporto “aveva imboccato un vicolo cieco”
5
. “La
metafora, - ricorda Lakoff - secondo la posizione tradizionale, avrebbe dovuto essere
una questione di discorso, non di pensiero; e ci trovavamo invece di fronte non
soltanto ad un modo di parlare dell’amore come viaggio, ma a un modo di pensare
all’amore in quegli stessi termini e di ragionare sulla base di quella stessa
metafora.”
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Vale a dire che nel momento in cui un ragazzo parlava alla propria
fidanzata di “vicolo cieco”, le possibilità per la loro coppia di proseguire erano
realmente le stesse di un ipotetico veicolo che si trovi in un vicolo cieco: quasi nulle.
Partendo da quella metafora con cui una studentessa aveva avuto problemi reali, il
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Ibidem, pp 9,10
5
Ibidem, p 216
6
Ibidem
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linguista giunse a concepire una teoria della metafora come riguardante non più
soltanto il piano del linguaggio, ma a tutti gli effetti quello del pensiero, e, con una
analisi puntuale e dettagliata di moltissimi modi di parlare dell’amore, capì in che
modo un dominio semantico si strutturava nei termini di un altro. Nella sua analisi
George Lakoff prese in considerazione, sì, le metafore più chiaramente riconoscibili,
in base alla comune definizione di questo tropo, che generalmente si adoperano nelle
conversazioni riguardanti l’amore, e dove sono riconoscibili sia un oggetto- topic sia
un oggetto- vehicle. Ma anche tutti quei modi di dire che facevano riferimento in
qualche modo alla dimensione del viaggio, alla presenza di un percorso, di ostacoli,
di vie, che comunemente non sarebbero etichettati come metafore, ma piuttosto come
semplice parlare figurato. Il metodo di analisi linguistica non si rivolse, cioè, ai soli
“enunciati metaforici”, ma si diffuse a tutti gli usi del linguaggio riguardanti lo stesso
concetto, l’amore. Come la metafora del vicolo cieco, esistevano moltissime altre
metafore riguardanti l’amore, che avevano tutte a che fare con il viaggio. Gli esempi
riguardavano le frasi più comunemente usate per parlare dell’amore che il linguista
riscontrò nel linguaggio americano.
“Non andremo da nessuna parte”
“E’ una strada lunga e accidentata”
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Aggiungendo alcuni esempi tratti dalla lingua italiana si nota come l’intuizione avuta
dal linguista statunitense sia valida anche fuori dai confini nazionali e possa
riguardare anche altre lingue. Si sentono spesso infatti frasi dello stesso tipo di quelle
evidenziate da Lakoff per riferirsi alla vita di coppia e all’amore.
“Può darsi che ciascuno di noi debba prendere la propria strada”
“Il rapporto non sta andando da nessuna parte”..
La riflessione che queste evidenze linguistiche ispirarono in Lakoff fu che esisteva un
modo comune di concettualizzare l’amore a cui tutte le metafore linguistiche citate e i
modi di dire facevano riferimento. E cioè che l’amore fosse un viaggio. La metafora,
dunque, non si limitava a sostituire un oggetto ad un altro all’interno di una frase
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Ibidem, p216
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isolata costringendo ad interpretare il ground comune ai due. Essa, piuttosto, spesso
diventava un vero e proprio modo di organizzare un concetto tramite la struttura di un
altro concetto: nell’esempio citato l’amore era organizzato nei termini del viaggio. E
la metaforizzazione non si limitava a semplici frasi isolate, ma era presente e visibile
in moltissimi modi di parlare di un concetto. Il metodo della linguistica cognitiva non
si fermò, quindi, alla sola constatazione di un accostamento tra due oggetti. Ma andò
ad indagare il modo in cui i due concetti erano correlati. Lavorando in questo modo
Lakoff si accorse che il dominio dell’amore aveva un precisa strutturazione nei
termini del viaggio, vale a dire che la struttura del concetto di viaggio era proiettata
sul concetto di amore, in modo che le varie parti del dominio fonte coincidessero con
parti del dominio target. Il dominio fonte, il viaggio, aveva una determinata struttura
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,
formata dai partecipanti, dalle parti, dagli stadi, dalla sequenza lineare, dalla causalità
e dal proposito. Questa struttura veniva proiettata sul dominio dell’amore, in modo
che i due innamorati fossero i viaggiatori, il cui rapporto rappresentava il mezzo di
trasporto che li conduceva verso un obiettivo comune, la meta del viaggio. Gli
ostacoli del rapporto erano gli ostacoli che il veicolo doveva sorpassare per arrivare a
destinazione. Una dettagliata mappatura permetteva di riconoscere nel dominio
dell’amore alcune dimensioni fondamentali del dominio del viaggio e permetteva a
Lakoff di affermare che il dominio dell’amore era concettualizzato nei termini del
viaggio. E veniva vissuto proprio in quei termini dalle persone che condividevano
quella strutturazione metaforica. Da un’analisi linguistica si era giunti, così, ad una
approfondita indagine della struttura dei concetti e, insieme ad essa, ad una ipotesi su
come il comportamento fosse ampiamente influenzato dalla configurazione dei propri
concetti. La metafora, lungi dall’essere un fenomeno soltanto linguistico, aveva a che
fare con il modo in cui il sistema cognitivo umano organizzava i propri concetti, con
il modo di ragionare e, di conseguenza, di agire: faceva parte a tutti gli effetti della
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Per la divisione del dominio fonte in sei parti fondamentali si citi il paragrafo 15.1, “Gestalt fondate sull’esperienza e
dimensioni dell’esperienza” tratto da GEORGE LAKOFF, MARK JOHNSON, Metafora e vita quotidiana, Edizione
Strumenti Bompiani, Milano, 1998.
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