4
l’antropologia urbana - intrecciando registri di lettura di diverso tipo che hanno riguardato in modo
più ampio il vivere e il percepire l’identità dei luoghi urbani.
Più di ogni altro elemento, infine, è valso lo sguardo sul campo, la partecipazione agli eventi
descritti, la conoscenza e l’uso diretto di questi luoghi, la possibilità di conoscerne la storia e di
viverli quotidianamente nel cambiamento. Questo non significa che non abbia consultato
monografie realmente necessarie allo svolgimento di questa ricerca, fonti d’archivio, recensioni e
giudizi sui quotidiani, raccogliendo con costanza nel tempo materiale disperso (programmi di sala,
locandine, volantini, brochure, siti internet). La cornice teorica, tuttavia, è stata elaborata
osservando fisicamente il paesaggio presente e provando a descriverlo: l’atteggiamento che in
definitiva ha ispirato la mia ricerca è stato quello del geografo, più che dello studioso.
La teoria, se può essercene una, parte proprio dall’idea di considerare il rapporto fra teatro e
luogo teatrale, fra spazio scenico e architettura dei luoghi, come elementare condizione di fattibilità
del teatro stesso. Ogni spazio può trasformarsi in palcoscenico, riflettere se stesso e accogliere la
finzione. Del resto non ho potuto non tener conto nella compilazione del mio lavoro del pensiero di
Peter Brook, messo in chiaro sin da principio: “[…] ogni spettacolo incontra un suo spazio ed ha
bisogno di un suo luogo speciale perché spazio e concentrazione sono inseparabili e specifici per
l’evento di rappresentazione”1. La rappresentazione diviene azione che nasce in uno spazio e per
uno spazio, il quale viene vuotato e riempito, colmato di qualcosa che lì vi accade - in un tempo
limitato, stabilito - e che è destinato a rimanervi legato nella memoria.
In riferimento al tema della memoria occorre poi precisare un altro assunto teorico: di ogni
altra traccia (copione, scenografie, costumi, attrezzeria,…) l’evento teatrale smarrisce rapidamente i
segni, ma nell’unità dello spazio dove lo spettacolo è stato rappresentato, conserva sapientemente il
ricordo. L’aura benjaminiana pervade lo spazio che ha accolto la rappresentazione, la quale
necessariamente in primis vi conserva l’immagine di qualcosa di primigenio e originario che s’è
vissuto, seppur nella finzione del teatro.
Da qui la scelta di privilegiare questa prospettiva nella lettura ‘localista’ di alcune tendenze
contemporanee del teatro, quali la tensione a uscire sempre più dall’edificio teatrale, ad aprirsi in
forme diverse alla città. Questo aspetto, in modo particolare, ha attratto la mia attenzione: il
paesaggio urbano entro cui viviamo è prima di tutto un “palinsesto di memorie”2, un insieme di
riferimenti individuali e simboli collettivi cui continuamente ci richiamiamo per trovare conferma
della nostra identità. Ognuno elabora una propria geografia della memoria, mescolando i diversi
scenari che si sono succeduti, dalla sua infanzia in poi, e nei quali colloca i riti collettivi cui ha
1
Peter Brook, Lo spazio vuoto, Roma, Bulzoni, 1998, p. 38.
2
Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Venezia, Marsilio, 1998, p.
138.
5
partecipato, le vicende cicliche che fanno parte della routine dell’esistenza e gli avvenimenti
inattesi, gli imprevisti, che questa routine hanno spezzato. Ognuna di queste vicende si colloca in
uno spazio preciso, necessita di un allestimento teatrale corrispondente, ha un proprio palcoscenico,
una scenografia, una luce, degli oggetti di scena.
La città si configura già di per sé come una molteplicità di differenti palcoscenici dove
accadono gran parte delle vicende umane: del resto le scienze sociali hanno più volte ricostruito il
comportamento sociale dell’uomo a partire dal concetto di rappresentazione3, individuando nella
performance quotidiana degli esseri umani un ambito territoriale delimitato in cui questa avviene.
Nell’osservare quindi l’uso degli spazi urbani non convenzionali dedicati al teatro ho scelto
di partire proprio dalla loro memoria geografica, da quel che questi luoghi rappresentano, dalla
percezione che se ne ha oggi, indagandone poi la relazione con gli spettacoli che vi vengono
allestiti. Il teatro si lega alla memoria dei luoghi dove s’inserisce. Si dice comunemente che il teatro
sia specchio della realtà, ma nel suo riflettere il reale in questi casi se ne appropria, vi si cala dentro
ed esce allo scoperto nei luoghi concreti, divenendo strumento anche fisico di riflessione: nel
contesto genovese, in relazione alle potenzialità future del meccanismo dei festival, ho potuto
cogliere quanto il teatro possa essere concepito come agente di rinnovamento che si apre alla città
utilizzando in modo teatrale i suoi spazi e rendendo consapevoli i consueti possessori - gli abitanti, i
turisti e i cittadini - di quanto la città stessa stia cambiando.
Tuttavia l’elemento teorico che forse pone maggiori problemi è la nozione stessa di spazio
teatrale non convenzionale che si è deciso di adottare.
In più occasioni - come una sorta di leit motiv - la ricerca teatrale della seconda metà del
secolo scorso si è orientata verso forme teatrali che cercavano un nuovo rapporto fra spazio scenico,
(spazio guardato della finzione) e spazio della realtà (spazio del pubblico che guarda). La non
convenzionalità di uno spazio scenico, e del progetto teatrale che vi trova luce, è racchiusa nel
carattere di eccezionalità che lo individua e che io ho provato a elencare brevemente: eccezionale
perché impiegato per un periodo limitato nel tempo e irripetibile (il grande evento), perché
collegato a un progetto culturale unico (il percorso artistico), perché volutamente cresciuto
all’ombra degli eventi ufficiali (la dimensione borderline).
La riscoperta degli spazi urbani come spazi teatrali, luoghi al di fuori dell’edificio in cui la
progressiva istituzionalizzazione dello spettacolo ha costretto il teatro, non è certo un dato recente:
negli spettacoli all’aperto o di piazza non vi è nulla di anticonvenzionale, semmai emerge il legame
più autentico con una teatralità spontanea e popolare che si è sempre espressa al di fuori delle mura
istituzionali di un teatro.
3
Indubbiamente l’intervento più importante in questo senso è quello di Erving Goffmann con il suo testo fondamentale
La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, 1997.
6
Del resto il teatro ha sempre vissuto in simbiosi con l’evoluzione urbanistica delle città: la
piazza, le arterie stradali, i belvedere, i palazzi, i monumenti, l’arredo urbano, sin dalla loro stessa
progettazione, in epoche e stili diversi, hanno comunque riflesso la capacità dell’uomo di farsi
sempre spettatore del proprio paesaggio, di guardarsi dal di fuori come attore su uno dei tanti
palcoscenici e cogliere l’armonia fra la propria recitazione quotidiana e lo scenario che si è
predisposto.
L’ultima parte del mio lavoro, nella quale vengono citati esempi di festival che a vario titolo
hanno reso abituale l’allestimento all’aperto di spettacoli teatrali in alcuni luoghi di Genova,
concerne proprio lo sguardo verso la città in modo nuovo4: qui l’evento teatrale viene considerato,
più che per la sua portata anticonvenzionale, per le potenzialità che racchiude, divenendo, nel
contesto più ampio della pianificazione urbana, mezzo di ripensamento delle strutture urbanistiche
dello spazio urbano e strumento di ridefinizione dell’identità di una città.
4
Il legame intrinseco e ‘visivo’ fra l’uomo di teatro che fa vivere gli spazi e i luoghi della città perché vengano guardati
in modo nuovo, e l’architetto che al contempo interviene e si fa spettatore nella città, secondo un proprio sguardo
estetico, è l’argomento principale della raccolta di interventi Teatro corpo architettura, a cura di Giancarlo Consonni,
Roma-Bari, Laterza, 1998.
7
I.
IL SISTEMA TEATRALE GENOVESE
Per definire i luoghi dove si fa teatro - e in particolare i luoghi non usuali - in una città
ampia e articolata come Genova, occorre prima di tutto aver chiaro quale sia la realtà urbana di cui
si sta parlando: si cercherà quindi in questa prima parte di focalizzare sommariamente il contesto in
cui agiscono i soggetti che a Genova operano nel campo teatrale, soffermandosi già da ora sulle
diverse tipologie di spazi che prediligono per la loro attività.
Il lavoro di ‘mappatura’ del territorio - indagando sul pubblico teatrale o sulla molteplicità di
proposte spettacolari che si hanno in una determinata area - non può non tener conto delle reti
sociali che rivela. Lo spettacolo teatrale è a tutti gli effetti uno dei meccanismi di identificazione e
significazione culturale propri di una società urbana. Osservarne le diverse modalità entro cui si
realizza significa conoscere anche il sistema di relazioni che sono alla base della comunità stessa. In
modo particolare l’analisi degli spazi che vengono coinvolti nell’offerta teatrale si lega alla
memoria storica della comunità: il taglio parziale che ho scelto di dare a questo lavoro predilige per
l’appunto il rapporto che la dimensione del teatro intrattiene con la città, intesa certamente come
realtà spaziale e scenografia naturale, ma anche e soprattutto come realtà sociale composita, fatta di
soggetti, relazioni, memoria, scambi, interazioni5.
Ciò significa che “si danno più teatri, diversi modi di fare società e di fare arte, non tutti
equivalenti”6 e che nel lavoro d’analisi sarà necessario procedere a più livelli, legati fra loro; questa
distinzione iniziale sarà utilizzata successivamente per tentare di stabilire un criterio di analisi degli
usi teatrali di spazi non convenzionali.
A un primo livello, ‘istituzionale’, visibile, si può fare facilmente riferimento osservando
quel che una città esprime e significa in campo teatrale all’interno di un sistema prima regionale,
poi nazionale e internazionale. Occorrerà allora descrivere quelle realtà pubbliche e private che
operano in quest’ambito, con scopi e finalità differenti: sia che si occupino di ‘teatro d’arte’, teatro
in cui primeggia il testo drammatico - il teatro dell’attore prima e il teatro di regia poi - e dove la
missione culturale è storicamente definita, sia che facciano riferimento al circuito del teatro
commerciale o all’opposto, al teatro ‘sperimentale’ che ricerca forme e linguaggi nuovi, alieno da
5
Cfr. AA.VV., Geografia urbana, Torino, UTET, 1993, pp. 98-100.
6
Claudio Bernardi, Il teatro sociale. L'arte tra disagio e cura, Roma, Carocci, 2004, p. 13.
8
facili consensi. Possono essere teatri stabili pubblici o privati, di tradizione o d’innovazione, con
una sede propria oppure imprese di produzione senza una sede stabile, in ogni caso l’intera
comunità giudica - in base a parametri stabiliti per legge - la loro attività culturalmente rilevante e
riconosce la necessità che venga economicamente sostenuta in modo più o meno ampio, secondo lo
statuto del soggetto. Queste realtà sono istituti che la collettività (locale, regionale, nazionale)
riconosce come propri e che, esportandone l’immagine al di fuori di essa, investe di una precisa
funzione culturale7.
A questo si oppone un livello più difficile da afferrare e descrivere. Ci si riferisce a quei
soggetti che operano a un livello ‘non-istituzionale’, più o meno nascosto, e che contribuiscono a
vivacizzare il clima culturale di una città, creando eventi, attività creative e innovative, gestendosi
in maniera autonoma senza che tuttavia la comunità intera senta un’appartenenza immediata con
essi. Rappresentano la dimensione diffusa e spontanea del teatro, spesso legata alla sua più autentica
natura sociale8. Un intervento economico a loro sostegno non è giustificato, se non quando
raggiungano quei parametri che ne sanciscono l’ammissione al livello istituzionale superiore, ma si
lascia che sia autonomamente il mercato della domanda e dell’offerta teatrale a regolamentarne la
sopravvivenza.
L’ambiente teatrale di una città è assai composito e fra i due livelli descritti lo scambio è
pressoché continuo. È quel concetto che la sociologia urbana ha definito attraverso l’idea di milieu
urbano9 e che è possibile qui trasferire al solo ambito teatrale: per milieu si intende l’ambiente fisico
entro cui si evolve una città, le condizioni naturali e culturali che ne permettono lo sviluppo e che
non sono producibili all’occorrenza, ma derivano dalle risorse latenti che si sono accumulate nel
4
Il termine funzione, qui preso a prestito dalle scienze sociali, indica un’attività che risponde a esigenze sia interne che
esterne alla città stessa e che in tal modo giustifica l’esistenza della città come unità sociale organizzata all’interno di
una rete più vasta di entità regionali, statali, internazionali.
8
“I teatranti […] non sembrano capire perché, pur emarginata dalla scena pubblica, prima dal cinema, poi dalla
televisione, l’arte teatrale continui a sedurre molti. Lo dimostra la domanda sociale di teatro. Viene fatto da tanti e si fa
in moltissimi modi. Filodrammatiche a parte, il teatro negli ultimi anni è esploso un po’ dappertutto: nelle scuole, nei
centri sociali, nei quartieri, nei paesi, nei villaggi turistici, nelle piazze e nelle cantine. A fronte di un assorbimento
professionale estremamente limitato (si parla in Italia di 60.000 attori disoccupati o sotto-occupati), proliferano i corsi
per diventare attori, registi, animatori od operatori dello spettacolo. Non si contano più le scuole di teatro, dizione,
recitazione, mimo, danza, scenotecnica ecc. (secondo una recente indagine solo a Milano ci sarebbero più di 80 scuole
di teatro). E che dire di tutte le attività teatrali, non solo quelle funzionali e terapeutiche (per far ritornare chi è diverso
normale e quindi integrato), che si diffondono nei luoghi e nelle istituzioni del disagio? Per non parlare delle università
e delle lauree in comunicazione e discipline dello spettacolo. La marea montante di teatro non istituzionale viene
ovviamente mal vista dai professionisti e dagli artisti” (Claudio Bernardi, Il teatro sociale. L'arte tra disagio e cura, cit.,
p. 12).
9
“La città non è solo un ambiente di vita per i suoi abitanti, è anche un ‘ambiente’ più o meno favorevole per l’impianto
e lo sviluppo di quelle attività di base che assicurano lo sviluppo urbano. Con riferimento a questa sua specifica
funzione, l’ambiente urbano viene indicato nella letteratura internazionale col termine francese milieu, che significa il
mezzo in cui sono per così dire immersi certi oggetti e attraverso cui interagiscono. Nel nostro caso, più che di oggetti si
tratta di soggetti (imprese, enti, organizzazioni) per il quale il milieu urbano funziona da ‘brodo di coltura’” (AA.VV.,
Geografia urbana, cit. , p. 117).
9
corso della sua storia e che offrono un ‘substrato fertile’ alle funzioni urbane nel loro sviluppo,
divenendo un possibile agente di crescita.
In altre parole, la tradizione teatrale di una città, il prestigio delle sue istituzioni, l’attenzione
degli enti pubblici, la recettività del pubblico, la conformazione e l’ubicazione dei suoi teatri, ma
anche la freschezza delle proposte, la varietà dei soggetti, la rete pervasiva dei legami fra i diversi
soggetti (qui, ancora, gli operatori di teatro) sono solo alcune delle variabili che contribuiscono a
definirne il milieu teatrale. Il milieu di partenza può essere più o meno favorevole; è indubbio che
diventi un valore aggiunto per quelle realtà urbane che intelligentemente riescano a valorizzarlo.
Ecco perché quando vi sono sul territorio istituzioni di consolidata tradizione teatrale,
quando gli enti pubblici operano con efficienza (attraverso la destinazione di spazi gratuiti, la
collaborazione per eventi, la formazione degli operatori), quando c’è un sentimento di fermento e di
coinvolgimento, è ovvio che si crei una situazione favorevole al processo di crescita, emersione e
istituzionalizzazione anche di realtà operanti per molto tempo ad un livello non istituzionale,
intervenendo in modo virtuoso sull’atmosfera culturale della città. Fatto che molto spesso non
avviene proprio per mancanza di apertura istituzionale, per povertà culturale del milieu, per
immobilismo e chiusura di ogni possibilità di dialogo fra i livelli, lasciando a ciascuno il proprio
mercato.
L’uso del termine ‘mercato’ non è casuale: esiste infatti un mercato che il teatro come
azienda - seppur azienda di servizi culturali10 - non può ignorare. Esistono quindi fette di mercato,
cioè di pubblici, che ciascun soggetto teatrale, istituzionale o proveniente da un vivace sottobosco
culturale, può conquistarsi, secondo obbiettivi che si è proposto e che dovrebbero corrispondere alla
propria missione culturale.
È inoltre importante sottolineare come la generica distinzione fra livello istituzionale e
livello non-istituzionale solo raramente possa corrispondere alla distinzione fra attività
professionale, attività semi-professionale, attività dilettantistica o amatoriale, che più avanti verrà
proposta come strumento statistico d’indagine.
Un’altra distinzione è inoltre possibile proporre prima di addentrarsi nell’analisi contingente
del sistema teatrale genovese. Si tratta di una distinzione ancor più funzionale al discorso sugli usi
degli spazi teatrali che si vuole presentare in questo lavoro.
Al di là della provenienza dei soggetti teatrali coinvolti nell’organizzazione teatrale esistono
prima di tutto gli spettacoli. Ognuno di questi spettacoli è un evento a sé che si svolge in uno spazio
teatrale determinato con cui più o meno perfettamente si integra: non si tratta solo di evidenziare le
diversità strutturali degli edifici teatrali, ognuno diverso dall’altro, quanto piuttosto di descrivere
10
Cfr. Alberto Bentoglio, L’attività teatrale e musicale in Italia, Roma, Carocci, 2003, pp. 65-67.
10
genericamente la percezione dei luoghi - fra cui naturalmente gli edifici teatrali con la loro storia
architettonica - in cui lo spettacolo avviene. Così questi spazi teatrali saranno a loro volta legati per
tradizione e memoria a una propria origine più o meno istituzionale. Si potrà quindi parlare di spazi
propriamente teatrali e di spazi ‘teatralizzati’: se per i primi s’intende i luoghi costruiti o adattati
con l’intenzione di ospitare spettacoli, per i secondi occorre far riferimento alla storia recente del
teatro occidentale che dalle prime ondate del teatro di ricerca sul finire degli anni Sessanta, ha
mostrato la tendenza ad esportare il teatro al di fuori dei luoghi istituzionali e quindi a scegliere -
anche per le ragioni economiche proprie di un teatro povero, spontaneo, puro e alieno da ogni
contaminazione con il mondo capitalista - spazi non-teatrali: gallerie d’arte, edifici disabitati,
capannoni industriali, ma anche, in un ritorno all’antico, le strade, le piazze, la città intera. Gli spazi
urbani, artificiali e naturali, possono essere riadattati a teatro e per la loro suggestione e per la
memoria vissuta che portano in sé, utilizzati una tantum come palcoscenico.
In questi primi anni del Duemila il sistema teatrale genovese rimane ancorato ad alcune sue
prerogative fondamentali legate a personaggi ed episodi che hanno segnato la storia culturale
cittadina nella seconda parte del secolo scorso. I recenti appuntamenti che hanno coinvolto Genova
a livello internazionale11, ridefinendone l’immagine di città dal patrimonio storico e culturale da
svelare, solo in parte hanno permesso di ripensare la struttura intrinseca del suo sistema di offerta
spettacolare; gli stessi investimenti che si sono fatti in questo ambito hanno mirato principalmente a
trovare un assetto definitivo per realtà già esistenti sul territorio, con una propria storia artistica ma
da molto tempo destinate a una vita economica precaria.
Tuttavia, se a livello istituzionale ci si compiace della continuità storica di uno dei teatri
stabili pubblici che rappresenta la tradizione più alta del teatro d’arte italiano, intorno a esso si
registra una certa staticità delle proposte non istituzionali che relega “Genova fra le più immobili
nell’area off”12. Questo fatto, accentuato solo in parte dalla marginalità del tessuto universitario
giovanile13 da cui esperienze di questo tipo solitamente traggono nutrimento - e dalla fisica
mancanza di una domanda giovanile di teatro non convenzionale in una città demograficamente fra
le più vecchie d’Italia - ciononostante non spiega sino in fondo la difficoltà di coinvolgere il
pubblico genovese in modo ampio e accattivante. Il dato statistico non è secondario, ma denuncia il
11
Di questo aspetto, delle recenti trasformazioni urbanistiche, degli interventi di riqualificazione e rilancio culturale
della città, in riferimento alle possibilità che questi hanno comportato e comporteranno per il mutamento e l’evoluzione
dei diversi soggetti teatrali che invece vengono qui analizzati, si tratterà diffusamente nel capitolo III, dedicato alle
prospettive future del sistema teatrale genovese.
12
Mimma Gallina, Il teatro possibile. Linee organizzative e tendenze del teatro italiano, Milano, Franco Angeli, 2005,
p. 54.
13
A questo si aggiunge anche il fatto che il Dipartimento di Arte, Musica e Spettacolo (DAMS) dell’Università di
Genova sia stato avviato nella sede decentrata di Imperia.