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nel sistema tomista ha un suo fondamento ben saldo nell’ordine metafisico, come in
seguito si osserverà.
1.2 Filosofia e teologia
Sul rapporto del sistema filosofico tomista con la teologia si è discusso, e si
continua a discutere abbondantemente. Indubbiamente il pensiero di Tommaso
d’Aquino è inserito in pieno nell’ortodossia della fede cattolica. Volendo citare un
solo esempio del legame profondo del Magistero della Chiesa con il pensiero
dell’Aquinate, ecco quanto scrive il papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica sui
rapporti tra fede e ragione Fides et ratio: «san Tommaso è sempre stato proposto
dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia (…)
La sua teologia permette di comprendere la peculiarità della sapienza nel suo stretto
legame con la fede e la conoscenza divina»3. E ancora, a proposito della riscoperta
del pensiero di Tommaso d’Aquino nel XIX secolo ad opera di Leone XIII: «Con
l’applicazione della metodologia storica, la conoscenza dell’opera di san Tommaso
fece grandi progressi e numerosi furono gli studiosi che con coraggio introdussero la
tradizione tomista nelle discussioni sui problemi filosofici e teologici di quel
momento»4. La filosofia tomista può essere considerata dunque una sorta di filosofia
ufficiale del cattolicesimo, perfettamente compatibile con esso. Ciò non significa
però che l’opera di Tommaso d’Aquino sia una semplice riscrittura in termini
filosofici della dottrina della Chiesa. Egli è sia teologo che filosofo, ma sa bene
tenere distinti i due ambiti, poiché le due discipline seguono strade diverse, pur
avendo in comune la meta. Riguardo all’interpretazione di questa separazione che
Tommaso opera tra filosofia e teologia, ci si può limitare a riportare, in sintesi, le
opinioni di Gilson e di Sofia Vanni Rovighi.
Gilson mette in risalto l’autonomia propria di ciascuno dei due ambiti e dei
rispettivi metodi. La filosofia opera nel campo di ciò che è razionale, ed è la ragione
stessa a fornire il metodo dell’indagine; la teologia invece riguarda le verità rivelate,
3
GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio. Lettera enciclica sui rapporti tra fede e ragione, Città del
Vaticano 2006 7, p. 66.
4
GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, p.88.
4
e dal momento che tenta di accedere ad un ordine di conoscenza soprannaturale sua
guida sarà la fede5. Per Vanni Rovighi la distinzione è per lo più metodologica: la
stessa dottrina cattolica non può essere presentata a tutti gli uomini col metodo della
teologia. Essa infatti, come si è detto, argomenta a partire dalla Rivelazione, che si
realizza attraverso la Scrittura e la Tradizione. Entrambe però non hanno alcun
valore quando ci si trova a dialogare con persone di fede diversa o non credenti, per
cui bisogna adottare unicamente un metodo razionale, in quanto la ragione è proprio
la facoltà che accomuna tutti gli uomini. Le due interpretazioni, quella di Gilson e
quella di Vanni Rovighi non sono affatto in disaccordo fra di loro, sono bensì
complementari in quanto mostrano il duplice indirizzo cui è diretta l’opera
intellettuale di Tommaso: da una parte la pura speculazione, alla ricerca continua
della Verità assoluta; dall’altra l’urgenza della trasmissione della stessa verità,
attraverso un dialogo aperto a tutti, sia ai credenti che ai non credenti. La
separazione tra filosofia e teologia dunque è funzionale sia ad una speculazione più
autentica, che riconosca i limiti della ragione umana per ottenere il migliore risultato
entro i propri limiti; sia all’individuazione di una forma comunicativa ed espositiva
che sia il più possibile chiara ed efficace. Oltretutto la separazione di cui finora si è
parlato non è che una distinzione propedeutica ad un accordo. L’accordo tra la
filosofia e la teologia è possibile e necessario, perché si fonda sul fatto che esse
condividono una parte dei loro concetti fondamentali. Innanzitutto unico è il fine
tanto della speculazione filosofica quanto della riflessione teologica: la verità
raggiunta con l’aiuto della ragione non può contraddire la verità che si raggiunge
facendosi guidare dalla fede, poiché Dio è la fonte sia della ragione che della fede,
ed Egli stesso è la pienezza della Verità, che la fede adora e la ragione contempla.
Fra i principi della teologia, che come si è detto riguardano le realtà soprannaturali,
vi sono alcuni concetti che risultano essere accessibili all’intelletto umano: sono tali
l’esistenza di Dio e la sua unicità6. Sono da escludere invece la Trinità delle Persone
divine, l’Incarnazione del Figlio di Dio, e tutti quegli articoli di fede che vanno
accettati come tali pur senza poter essere compresi. Su ciò che invece è intelligibile e
dimostrabile la ragione ha il diritto, e addirittura il dovere, di spingersi fin quando le
5
GILSON, La filosofia nel Medioevo, p. 603.
6
TOMMASO D’AQUINO, Somma contro i Gentili 1. I, cap. 3, a cura di P. Tito Sante Centi, Bologna
2000, p. 71.
5
è possibile nel cercare di capire ciò che già si crede per fede. È da sottolineare un
punto molto importante: quando Tommaso fornisce argomentazioni razionale a
sostegno, per esempio, dell’esistenza di Dio, il suo intento non è mai quello di
fornire una dimostrazione matematicamente stringente. Anche le celebri “cinque
vie”, sono appunto delle strade, dei percorsi indicati da percorrere per arrivare ad
ammettere la ragionevolezza della propria fede. D’altra parte egli è già uomo di fede,
dunque la sua volontà è di mostrare che ciò in cui crede non è nulla di illogico ma è
corroborato dalla ragione. Altro sarebbe invece voler provare in modo irrevocabile
gli articoli di fede, perché questa operazione sarebbe una violenza alla libertà
dell’uomo, il quale solo volontariamente può accostarsi a scoprire il mistero di Dio.
Lungi dall’avere carattere coercitivo, la metafisica di Tommaso d’Aquino sembra
essere al contrario proprio una smentita a coloro che vogliono imporre la fede in Dio
come qualcosa di evidente o di scontato. A questo punto, sembra necessario
ripercorrere brevemente la biografia di Tommaso d’Aquino, soprattutto al fine di
rintracciare gli eventi, i luoghi ed i personaggi che in modo più o meno decisivo
hanno segnato il suo percorso personale e quindi intellettuale.
1.3 Biografia di Tommaso d’Aquino
Storicamente la figura di Tommaso d’Aquino è situata pienamente nel corso del
XIII secolo7. Se si accetta la data indicata dal suo biografo Guglielmo di Tocco egli
nasce nel 1225, nel feudo di Roccasecca, attualmente provincia di Frosinone. A
cinque anni viene mandato dalla famiglia presso l’abbazia di Montecassino come
oblato, ma nel 1239 viene ritirato di lì e portato a Napoli, dove il giovane Tommaso
vive la prima grande esperienza non solo spirituale ma anche e soprattutto di
formazione culturale. Qui infatti egli studia presso la corte dell’imperatore Federico
II, compiendo il tipico curriculum delle Universitas dell’epoca, lo studio cioè delle
cosiddette artes liberales: il Trivium comprendente grammatica, retorica e dialettica,
ed il Quadrivium, formato da aritmetica, geometria, astronomia e musica. Fra i
7
Per questo paragrafo, come per il successivo, si seguirà VANNI ROVIGHI, Introduzione a Tommaso
d’Aquino, pp. 7 – 40 e GILSON, La filosofia nel Medioevo, pp. 600 – 603.
6
maestri che Tommaso incontra molti sono i traduttori e i commentatori di Aristotele.
La storia della ricezione dei testi aristotelici nel Medioevo di lingua latina
meriterebbe un discorso a parte. Basti ricordare che il patrimonio filosofico dello
Stagirita giunge in Occidente per la mediazione araba, ad opera di autori che
conservano i testi, li traducono, li leggono e li commentano, nel corso di lunghi
secoli durante i quali la lingua greca è pressoché sconosciuta agli autori latini. Con la
riscoperta del pensiero di Aristotele dunque, si ha una vera e propria rivoluzione
all’interno dei centri di cultura europei, rivoluzione dovuta alla diversa
interpretazione del pensiero del Filosofo, alla sua accettazione, o alla sua censura, al
rifiuto, e alle controversie fra scuole di pensiero diverse, controversie nelle quali sarà
impegnato lo stesso Tommaso. Questi nel 1244, all’età di vent’anni, entra a far parte
dell’ordine dei Frati Predicatori, fondato circa un secolo prima da Domenico di
Guzmàn, e appartenente insieme a quello francescano ai cosiddetti Ordini
mendicanti. I familiari non vedono di buon occhio questa scelta, dal momento che si
tratta di un ordine relativamente recente, che non sembra promettere una carriera
degna, come sarebbe stata quella di abate di un monastero potente. Quando
Tommaso si avvia alla volta di Parigi insieme al suo maestro, i fratelli lo rapiscono e
lo riconducono a casa, ma la prigionia dura solo pochi mesi. Fuggendo, o con la
forza della persuasione, o come vorrebbero alcuni racconti agiografici,
miracolosamente, riesce a liberarsi e a tornare al convento di Napoli, da dove parte
subito per Colonia. In questa città Tommaso fa l’incontro forse più significativo per
il suo cammino di studioso; conosce infatti Alberto, anch’egli domenicano e
soprannominato poi Magno per la sua statura intellettuale; fino al 1252 Tommaso è
suo discepolo. L’importanza della figura di Alberto per la sua formazione filosofica
è enorme: si tratta di un personaggio dalla cultura sterminata, interessato alla
spiritualità come allo studio della natura, ma soprattutto dedito alla lettura di
Aristotele. Egli si prefigge il compito che già Boezio8 secoli addietro si era prefissato
invano, questa volta però portandolo a termine: parafrasare l’intero corpus
conosciuto, commentandolo, spiegandolo nei punti critici, aggiungendovi eventuali
correzioni o integrazioni. Come dichiara egli stesso il suo scopo è quello di rendere
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Nel VI sec. delle opere di Aristotele si possiede ben poco, mentre nel momento in cui opera Alberto
Magno è finalmente disponibile l’intero corpus.
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Aristotele “intelligibile ai Latini”9. Alberto quindi è schierato nettamente dalla parte
di coloro che favoriscono l’introduzione dei testi aristotelici nei programmi
universitari, contro coloro che invece vedono tutto ciò come un pericolo per la
salvaguardia della dottrina cattolica. Sia Alberto che Tommaso, sebbene in modo
ben diverso, si sforzano di accordare la filosofia di Aristotele con il messaggio
biblico, operazione tutt’altro che facile per una serie di motivi, alcuni dei quali
saranno accennati in seguito. Tommaso dunque eredita dal maestro il suo patrimonio
di conoscenze e l’interesse verso le novità; come osserva Gilson però «paragonata
all’opera di san Tommaso che essa ha reso possibile, quella di Alberto Magno è
inferiore dal duplice punto di vista della critica delle dottrine e della loro
sistemazione»10. Il suo allievo infatti rispetto al maestro opererà un restringimento
nel ventaglio degli interessi, per mirare direttamente alla formazione di un sistema
compiuto, che sia sì in grado di abbracciare la totalità della realtà, ma che sia
costituito innanzitutto da una base metafisica ben solida e originale, originalità che
manca in Alberto rispetto alla riflessione che svilupperà il suo discepolo. La
permanenza di Tommaso a Colonia termina nel momento in cui egli viene nominato
baccelliere presso l’Università di Parigi. È la terza tappa dopo Napoli e Colonia,
tappa ancora più importante delle altre due, perché è qui che Tommaso esercita il suo
magistero in due cicli triennali, il primo dal 1256 al 1259, il secondo dal 1269 al
1272. Si è soliti chiamare questi due periodi “primo” e “secondo magistero
parigino”. Contemporaneamente l’altra cattedra di teologia presso la stessa
Università è occupata dal francescano Bonaventura da Bagnoregio, secondo l’usanza
di affidare due magisteri a due rappresentanti dei rispettivi ordini, oltre ai membri
del clero secolare. Gli anni che intercorrono fra il primo ed il secondo magistero
vedono Tommaso di ritorno in Italia, al seguito della corte papale che si sposta da
Anagni a Orvieto, a Viterbo a Roma. Non è un fatto da poco che Tommaso venga
chiamato per la seconda volta ad insegnare nella stessa Università, dal momento che
generalmente la carica vede il susseguirsi di figure sempre nuove.
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ALBERTUS MAGNUS, Physica, I, 1, a cura di P. Hossfeld, Monasterii Westfalorum 1987 – 1993, I,
pp.1 – 3, traduzione di L. Bianchi, in M. BETTETINI, L. BIANCHI, C. MARMO, P. PORRO (cur.),
Filosofia medievale, Milano 2004, p.236.
10
GILSON, La filosofia nel Medioevo, p. 600.