letteratura e avvalorata da numerosi casi aziendali, è stata il fulcro
d’indagine del primo capitolo. Partendo dai più recenti contributi della
letteratura per quanto attiene alla brand heritage, si è andati a sottolineare
il ruolo decisivo che può esercitare una oculata strategia di heritage
marketing nel processo di sviluppo della brand equity. Tramite un
excursus storico sulla significatività del passato nella contemporaneità
italiana, si è giunti all’evidenza dei motivi che spingono sempre più
aziende ad investire e capitalizzare sulla propria tradizione, in virtù di
una domanda crescente in questo senso. Conseguentemente, si è scelto di
presentare gli strumenti essenziali dell’heritage marketing, soffermando
l’attenzione sul museo d’impresa e sull’archivio, che spesso ne
rappresenta il fondamento costitutivo.
Nel secondo capitolo si è voluta prospettare la possibilità di un
connubio tra un heritage brand di lusso e il web. In questa fase la
letteratura cede il passo alla ricerca empirica, vista l’estrema attualità
dell’argomento. Chi scrive ha personalmente condotto una ricerca sul
panorama dell’orologeria denominata appunto “di tradizione”. Scopo
della ricerca è dimostrare la fattibilità e la concreta esistenza di tale
connubio presentando una variegata casistica di approcci al web
marketing da parte di brand del lusso che hanno creduto e investito nella
propria storia. Funzionale in questo senso, la panoramica su una serie di
iniziative che brand legati alla storia dell’orologeria mondiale hanno
attuato on-line. La scelta del web come piattaforma per la comunicazione
dell’heritage sorpassa, con delle evidenze inequivocabili, l’interrogativo
posto circa la problematica coesistenza della storia, del passato, con uno
strumento estremamente moderno, di oggi, quale il web. Avvalendosi di
un contributo di autorevoli studiosi di heritage marketing, si fornisce
concreta dimostrazione del fatto che per una impresa non vi è alcuna
contraddizione tra usare ed esprimere la propria heritage ed avere un
brand considerato assolutamente up-to-date, elegante, high-tech e
5
moderno. L’heritage conferisce prestigio alla marca, restituisce una
connotazione di ricercatezza, ispira fiducia e avvicina potenziali clienti, i
quali rassicurati e affascinati da una storia di successo si sentono
privilegiati partecipanti di una élite. Il passaggio conclusivo presenta un
ampliamento di prospettiva, dimostrando la valenza positiva che un’abile
strategia collaborativa di heritage marketing può comportare ad un intero
territorio. Il caso preso in esame è relativo all’esperienza svizzera della
Watch Valley, un percorso museale che svela il ruolo positivo
dell’impresa nella conservazione e diffusione della cultura.
Il terzo capitolo aggiunge un ulteriore elemento a quanto già
indagato, il marketing del Made in Italy. Termine ricorrente e forse
ormai abusato, quello del Made in Italy nella gioielleria è, tuttavia, un
fattore competitivo cui guardare con la dovuta considerazione. Presentata
dunque l’affascinante teoria dell’Immagine del Paese d’Origine, che
mette in luce il plus del legame tra prodotto/marca e provenienza
geografica, dando origine ad un valore aggiunto percepito dai
consumatori stranieri, si intende ipotizzare una commistione di più
elementi che concorrono all’affermazione dell’impresa: heritage
marketing, Made in Italy e web marketing nel settore Lusso. Esperienza,
neanche a dirlo, timidamente intrapresa da celebri marchi italiani, di cui
si vogliono citare tre casi di imprese dedite a produzioni eterogenee tra
loro: Ferrari, UnoAerre e Ferragamo. Un banco di prova, per rifettere
sulle criticità e potenzialità dell’idea. Un approccio olistico, che preveda
la contaminazione di questi elementi a supporto di un unico brand è la
strada ipotizzata e tracciata per il prosieguo della trattazione.
Il capitolo quarto è il territorio della sperimentazione pura. Qui
tutti gli elementi presentati nei precedenti capitoli trovano la loro sintesi.
Il fil rouge è chiaramente il brand Bulgari. Oggi brand, ma prima e
sempre, famiglia Bulgari. Una marca di grande tradizione, simbolo di
eccellenza della produzione Made in Italy, che compete nei mercati
6
internazionali proponendo lo stile italiano. Un brand che può esprimere
ancor più le sue potenzialità se inquadrato in un’ottica di gestione della
propria heritage, specialmente nei Paesi in cui la notorietà della marca
deve ancora consolidarsi. Nel mercato globalizzato, oggi al centro di
riflessioni profonde, una sfida importante diviene dunque la
comunicazione della propria tradizione, strategia per differenziare la
marca. Da questa esigenza/opportunità, nasce la presentazione di un
progetto sperimentale di web marketing per la famiglia di gioiellieri
romani, in occasione di un compleanno importante: i 125 anni dalla
fondazione da parte del capostipite Sotirio Bulgari. L’idea prevede
dunque l’apertura di uno spazio virtuale, denominato Museo Bulgari,
dove poter attrarre, sedurre, coinvolgere potenziali clienti e appassionati
nell’affascinante mondo della marca. Un progetto tutto pensato e
sviluppato on-line che, integrato nell’attuale sito corporate e con una
serie di attente sinergie con il nuovo e-shop, garantirebbe una corretta
percezione della storia e del posizionamento del brand all’estero, una
accessibilità globale e un conseguente ritorno commerciale on e off-line.
7
CAPITOLO 1. LA GESTIONE DELLA BRAND HERITAGE
1.1 Brand Heritage
Chiarire e delineare il tema da cui muove la trattazione appare
cosa più che sensata. Potremmo dare l’incipit dunque con una
definizione accademica, recentissima, di Brand Heritage fornita dagli
esperti di brand management Urde, Greyser e Balmer in uno studio del
2007: «Per Brand Heritage vogliamo intendere una peculiare dimensione
dell’identità di un brand, rintracciabile nella memoria, nella longevità,
nei core values, nell’uso ricorrente di una simbologia e particolarmente
in un convincimento organizzativo – un credo – secondo cui la storia (del
brand) ha una valenza significativa
1
».
Per delimitare ancor meglio il terreno di discussione, sarebbe
opportuno introdurre una sensibile differenza tra heritage brand (brand
di tradizione) e brand with a heritage (brand con tradizione).
Un heritage brand è una marca con un posizionamento e un’offerta
basata sulla propria tradizione. Ad esempio, guardando all’industria
orologiera, -e qui si preannuncia un discorso di futuro interesse nella
trattazione- sia Patek Philippe che Tag Heuer sono brand con una storia
di successo. Gli estimatori, ad ogni modo, considerano Patek Philippe un
heritage brand perché ha compiuto la scelta strategica di enfatizzare la
propria storia come fattore chiave dell’identità e del posizionamento
1
Balmer, J.M.T., Greyser, S. A., Urde, M. (2007) Corporate Brands with a Heritage, Palgrave
Journal of Brand Management, Vol. 15, N° 1, pp. 4-19.
8
della marca. Tag Heuer non ha seguito la stessa strada
2
. Difatti, Tag è
considerato un brand with a heritage e non un heritage brand.
Heritage e Branding
Da una prospettiva strategica è possibile affermare che un brand
caratterizzato da una tradizione può valorizzare tale specificità come
vantaggio competitivo, specie nei mercati globali.
Passiamo quindi in rassegna tre approcci al branding che la letteratura
associa all’heritage.
1. Retro branding: la “scuola” che supporta questa visione pone
enfasi nel legame tra la marca e una specifica epoca focalizzando
sullo spirito nostalgico
3
.
2. Iconic branding: sebbene molti brand iconici, come Nike, possano
essere riconosciuti come brand tradizionali, non tutti lo sono
necessariamente. Secondo la prospettiva di Holt
4
, il processo che
trasforma un brand in un brand iconico è il “mythmaking” (la
creazione di un mito).
3. Heritage marketing: è una prospettiva strategica, di più ampio
respiro, che vede nell’heritage la possibilità sopra descritta di
ottenere un vantaggio competitivo tramite una gestione integrata
del patrimonio di valori associati nel tempo alla marca.
2
Come è noto, il brand Tag Heuer seppur forte di una tradizione centenaria, ha preferito
posizionarsi come brand sportivo, moderatamente tecnico e accessibile. Solo di recente pare
che il management abbia rivalutato la possibilità di insistere maggiormente sulla tradizione,
come testimonia l’inaugurazione del 360 Museum: una gallery a 360 gradi dedicata all’heritage
della marca.
3
È il caso, ad esempio, della Volkswagen con il New Beetle.
4
Holt, D. B. (2004) How Brands Become Icons: The Principles of Cultural Branding, Harvard
Business School Publishing, Boston, MA.
9
Heritage e storia
Come sottolineato a vario titolo in queste battute iniziali e come si evince
dallo stesso termine, la storia è una componente fondante della brand
heritage.
A primo acchito la differenza di significato tra storia ed heritage
potrebbe sembrare poca cosa. In realtà la differenza chiave sta
nell’interpretazione prospettica. Per quanto riguarda il corporate
branding, la differenza di prospettiva tra i due termini risiede nella
dimensione temporale. Una visione storica si fonda necessariamente nel
e sul passato. Gli heritage brands, invece, abbracciano quella che si
potrebbe definire una visione tridimensionale: passato, presente e futuro.
Di conseguenza, nell’esplicitare oggi l’essenza di un heritage brand si
deve tenere in considerazione che i tratti distintivi e valoriali dello stesso
sono i medesimi che hanno prodotto beneficio alle precedenti comunità
di consumatori, e che ancora su questi bisogna fondare le nuove strategie
per risultare appealing ai consumatori di domani.
A questo punto (per chi non l’avesse già fatto) è lecito porsi la
domanda: “Ma come si riconosce un heritage brand?”
Per rispondere, si può attingere ad un contributo degli ormai noti Urde,
Greyser e Balmer
5
, che individuano cinque caratteristiche fondamentali
6
per riconoscere un heritage brand:
1. prova storica;
2. longevità;
3. core values;
4. uso di simboli;
5. storia importante per l’identità;
5
Balmer, J.M.T., Greyser, S. A., Urde, M. (2007) op. cit.
6
Queste cinque caratteristiche vanno a definire quello che gli stessi autori definiscono “HQ”
(Heritage Quotient).
10
Provando a tradurre tutto ciò in un personalissimo statement:
“un heritage brand è quello che nella percezione sociale ha
storicamente mantenuto le promesse legate ai propri valori, dando
prova di coerenza, utilizzando una simbologia ricorrente che negli anni
ne ha rafforzato l’identità”.
Interpretare l’heritage
«Tutti i brand hanno una storia. Solo alcuni hanno una tradizione
7
». E
pochissimi ne hanno fatto un corporate asset. Per alcuni il valore della
tradizione rimane ancora occulto. Cercare (nel senso di interpretare) la
tradizione in un brand potrebbe essere un percorso per svelarne il valore
per l’impresa, risvegliando il passato e il presente per rafforzarne il
futuro.
Sarebbe opportuno notare che con questo non si vuole sostenere che un
brand per avere successo debba necessariamente essere un heritage
brand; ma nel momento in cui la tradizione è un tratto saliente della
brand identity, di sicuro può essere un fattore da valorizzare. Dunque, il
solo fatto di avere una tradizione non genera di per sé valore, ma
costituisce un’opportunità.
Secondo Balmer, Greyser e Urde, per una impresa non vi è alcuna
contraddizione tra usare ed esprimere la propria heritage ed avere un
brand considerato assolutamente up-to-date, elegante, high-tech e
moderno
8
.
Le ragioni per cui un’impresa di tradizione dovrebbe sfruttare l’heritage
sono rintracciabili nel vantaggio che questa garantisce in termini di
differenziazione agli occhi dei consumatori/clienti e più in generale degli
stakeholders, di distinzione per il brand e nella difficoltà di imitazione da
parte dei competitor. Nello specifico, l’heritage può:
7
Watin-Augouard , J. (2001) Histoires de Marques, Éditions d’Organisation, Paris
8
Questo sarà un cardine teorico nel prosieguo della trattazione, quando verrà descritto il
progetto di Heritage web marketing per il brand Bulgari.
11
9 fornire un elemento di differenziazione in termini di
posizionamento, che può dunque generare un vantaggio
competitivo, traducibile ad esempio in prezzi e margini più alti
rispetto alla concorrenza (premium price) in virtù di un valore
percepito superiore;
9 aggiungere profondità, autenticità e credibilità all’offerta;
9 costruire una relazione preferenziale con una gamma più ampia di
interlocutori, ad esempio gli stessi dipendenti dell’impresa, che
svilupperanno un senso di comunione e orgoglio derivante
dall’appartenenza ad una gloriosa impresa.
Gestire l’heritage
Ancora una volta, un brand with a heritage può diventare un heritage
brand. È essenzialmente una decisione strategica.
Tale decisione si può concretizzare in una vera e propria politica di
gestione della brand heritage. Secondo i già citati autori dello studio, tale
processo si compone di tre momenti fondamentali:
1. scoprire l’heritage;
2. attivare l’heritage;
3. proteggere l’heritage.
Alla luce di questo iter operativo, la tradizione va prima scoperta, fatta
vivere e poi protetta. Sì, perché l’heritage è un ulteriore patrimonio che
si assomma agli altri valori associati alla marca e che vanno a costituire
la brand equity. L’heritage è una storia da raccontare. Per sedurre,
attrarre, coinvolgere.
12
1.2 Heritage Marketing: il passato alla ribalta
Esplicitato il concetto di brand heritage, proveremo in questo
paragrafo ad esplicitare le ragioni che vedono accostati due termini
apparentemente lontani: heritage e marketing. Il primo, da sempre
associato ad un universo culturale umanistico; il secondo di chiara
matrice mercatista.
Soltanto in anni recenti la parola heritage è stata abbinata alla parola
marketing ma il binomio è nuovo, non esiste una grande letteratura
sull’argomento e le scoperte in questo campo provengono più
dall’esperienza diretta che dall’accademia.
Partiamo quindi dal termine anglosassone heritage per tracciare una
strada i cui contorni disciplinari sono ancora indefiniti.
Una delle definizioni più attuali e calzanti è forse quella formulata da
Marani e Pavoni a proposito dell’heritage boom:
«per heritage si intende il patrimonio complesso costituito da tutto ciò
che il passato ha trasmesso all’oggi e che definisce l’identità di un
territorio, di una popolazione, di un gruppo sociale. Cibo, ambiente,
prodotti dell’uomo, emergenze architettoniche e naturali, riti, feste,
bagagli di conoscenze, storie, leggende, questo e altro ancora costituisce
l’eredità che è arrivata a noi e che noi consideriamo rappresentativa del
passato in cui ci riconosciamo
9
».
Si tratta di una definizione di heritage molto ampia, intesa come
patrimonio condiviso/eredità, che prevede molti campi di applicazione:
culturali, antropologici, sociali, ma anche commerciali.
Soprattutto in questi anni con l’avvento e la costituzione di musei
d’impresa e il recupero del passato come motore e forza del presente, si è
assistito all’adozione di una certa forma di storicizzazione comunicativa
che ha delle ricadute pratiche anche nella valorizzazione dei prodotti e
9
Marani, P.C., Pavoni, R. (2006) Musei, Marsilio Editore, Venezia
13
delle aziende. Sempre più spesso si assiste ad un utilizzo commerciale
dei patrimoni storici di una comunità, di una figura carismatica o di
un’azienda. Come se la storia fosse il garante della qualità/originalità del
prodotto. Basta recarsi a cena nei cosiddetti ristoranti storici per essere
immersi in un clima che dal menù, alla conservazione dell’arredo e degli
utensili rimanda a trenta, quaranta, se non a cento anni fa. Gli stessi
ingredienti richiamano fortemente la tradizione, il patrimonio di
conoscenze culinarie del passato. In qualche modo, appunto, si rifanno
ad un patrimonio heritage. Così come per i ristoranti anche nella
ristrutturazione di negozi i riferimenti architettonici a un nobile passato,
ad un “feeling arcaico” sono assai frequenti. Segni, simboli e allusioni
che hanno l’obiettivo di fare vivere al fruitore “un’esperienza storica”
nella fruizione di un bene e di un servizio, semplicemente richiamandone
alla mente le atmosfere. Il tema d’analisi dell’heritage marketing
potrebbe dunque essere infinito ed estremamente dispersivo.
In questa sede, l’obiettivo è focalizzato sull’utilizzo dell’heritage
marketing da parte dell’azienda, dunque sull’uso dell’heritage marketing
all’interno dei dipartimenti marketing o comunicazione delle industrie, in
modo particolare italiane.
Dopo aver delimitato il raggio d’azione, ai fini di maggiore
chiarezza, è necessario anche chiarire in quale accezione si assume il
termine marketing, la cui definizione sintetica è presa in prestito da uno
degli esperti storici del settore, Philip Kotler:
«Il marketing si fonda sull’idea che ogni individuo abbia un insieme di
bisogni e desideri da appagare (autostima, cibo e riparo, educazione,
socializzazione, divertimento, un certo livello di vita, creatività ecc.) e
che questi vengano soddisfatti da una varietà di prodotti e servizi
10
» .
Per rispondere a queste esigenze, gli esperti degli uffici marketing
aziendali lavorano nel tentativo di identificare i bisogni dei consumatori
10
Kotler , P. (2004) Principi di Marketing, Isedi, Torino
14
e futuri clienti per poi metterli in rapporto con i prodotti o i servizi che
potrebbero contribuire a soddisfarli. La produzione quindi viene orientata
al consumatore, o almeno questo è quello che avviene nella maggioranza
del mercato di tipo capitalistico.
Per comprendere forse meglio la relazione occorre fare un salto
indietro nel tempo e risalire a una certa visione dell’impresa e delle sue
dinamiche, partire cioè dalle sue origini che risalgono alla prima
rivoluzione industriale. Il periodo che ci interessa analizzare rientra
nell’epoca della grande fiducia verso la modernità che cresce parallela
alla nascita del concetto stesso di industria dalla metà dell’Ottocento
giungendo sino circa alle prime decadi del Novecento. Prendendo a
prestito un termine di stampo letterario, quella che si definisce
comunemente l’epoca del “modernismo”. Rifacendosi infatti
all’etimologia della parola scopriamo che il suo etimo proviene dal latino
del V secolo modo, ovvero “appena, recentemente, adesso”. Da ciò
deriva che alla base di questo periodo c’è una visione progressiva del
presente, fiduciosa nell’oggi e forte di uno sviluppo industriale
impetuoso. Un momento, dunque, d’impulso al progresso basato sulla
crescita dell’economia e di un notevole miglioramento del welfare state
per i cittadini; due aspetti che coniugati insieme hanno contribuito a un
clima di radicato ottimismo. Inoltre questo periodo vede anche lo
straordinario sviluppo scientifico, determinante nel miglioramento delle
qualità della vita, almeno per quel che riguarda il blocco occidentale del
mondo. Un periodo positivo in cui, a parte le luttuose parentesi delle due
guerre mondiali, la fiducia verso la scienza, la tecnologia, la ricerca del
nuovo era per certi versi assoluta. Basti pensare all'immagine di una
Ferrari che sfreccia sulle strade fangose di un’Italia ancora neorealista,
perfetta sintesi dell’euforia del periodo e dell’imminente trasformazione.
Emblema del sogno che si avvera, già preannunciato dalle parole di un
teorico del Futurismo, Marinetti, che già agli inizi del Novecento
15
riconosceva una qualità estetica ed una forza identitaria oltre che pratica
al prodotto auto: “un’automobile da corsa col suo cofano adorno di
grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo [...] un’automobile
ruggente che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della vittoria di
Samotracia”.
L’immagine dunque di un’Italia “positiva e positivista” che mai
avrebbe cercato un rifugio produttivo, emotivo, liberatorio, nella storia o
piuttosto nel passato, fosse anche recente. La storia non parlava quasi
mai al presente così come è avvenuto in epoche precedenti e successive.
In un contesto siffatto anche l’imprenditoria postbellica seguiva le
aspirazioni ed i bisogni della gente sempre più proiettata verso il
consumo, o piuttosto verso il più acceso consumismo: comprare per
usare il più velocemente possibile, per poter riacquistare altrettanto
rapidamente la novità. Anni dunque che sembrano lontani anche se
rappresentano il passato prossimo, in cui il termine heritage marketing,
se mai fosse stato citato, sarebbe stato considerato probabilmente una
specie di simpatico ossimoro, un calembour di parole senza senso, non
certo una opportunità per l’impresa se non in rarissimi esempi. I
patrimoni storici rappresentavano in qualche modo un passato da
dimenticare, da superare, così come erano da superare tutte le disgrazie
legate al primo e secondo periodo bellico. Progetti, prototipi, prodotti,
macchinari, strutture architettoniche del passato venivano dai più
cancellati, distrutti, se non malamente archiviati.
La fabbrica tendeva alla modernità e per raggiungerla era disposta a
tutto, come testimonia il bel video industriale di Luciano Emmer,
“Pianeta Acciaio”, uno spaccato della cultura industriale della fine degli
anni Cinquanta. Esso mostra con bellissime immagini le tante possibilità
lavorative, di utilizzo, di flessibilità che dava l’industria pesante, quella
metallurgica dell’acciaio, ad un’Italia appena uscita dalla guerra, ancora
in certe regioni preindustriali. Un video che può considerarsi un
16
manifesto dell’industrializzazione e delle enormi aspettative che creò
all’epoca, non a caso si apre con un’immagine scioccante per la nostra
sensibilità attuale: la distruzione di un uliveto centenario per fare posto
alla fabbrica dell’acciaio. La Natura che lascia il posto al sogno della
modernità, al benessere sotto forma di lavoro, di nuove tecnologie e di
avanzamento del cammino dell’uomo. Sceneggiato da Dino Buzzati, il
video, come di consueto, veniva proiettato nelle sale cinematografiche
prima dei film e dava il suo contributo, oggi diremmo un po’ naif, alla
formazione di una certa idea di progresso
11
.
Questo fenomeno di “cancellazione” fortunatamente non si è verificato
ovunque. Delle felici eccezioni si devono proprio agli imprenditori,
soprattutto a quelli di prima generazione, che in maniera lungimirante
hanno salvato da questa corsa alla modernità gli archivi di prodotti e di
progetti. Talvolta questo lavoro di salvataggio era addirittura svolto
clandestinamente dagli stessi operai, o dai tecnici legati emotivamente
all’azienda. Tutto ciò avveniva non tanto con la prospettiva di usare
questo materiale per un fine produttivo ma per lo più per conservarlo,
salvando così anche un pezzo della propria storia. Spesso per motivi
quindi legati alla nostalgia, all’affezione, all’identificazione, tra la storia
dell’azienda e la propria personale vicenda umana.
Dunque, a parte sparuti romantici fino a quasi tutta la prima metà
del secolo Novecento, con alcuni scampoli successivi, la storia
imprenditoriale è sempre stata orientata al presente, se non al futuro. Dai
più era percepita come una linea retta che, sostenuta da una scienza
galoppante, conduceva senza deviazioni verso la modernità.
Questo momento storico, come sempre, è in qualche modo scemato
lasciando spazio alle prime delusioni nei confronti di una realtà che
cresceva sempre più complessa e meno governabile di quanto si credeva.
La caduta di molti valori consolidati dimostrava l’insostenibilità dell’idea
11
Montemaggi, M. Severino, F. (2007) Heritage Marketing, Franco Angeli, Milano
17