6
formazione tra Regensburg e Roma, fino al successo in Inghilterra. A tale
successo fece da cornice la corte del re d’Inghilterra Giorgio III e della sua
consorte, Carlotta di Meclemburgo, committenti del dipinto in esame.
A conclusione del capitolo, con la funzione di ponte di collegamento tra
questo e il terzo, vi è la descrizione dei rapporti che erano intercorsi, e che
intercorrevano ai tempi dello Zoffany, tra Inghilterra e Firenze; rapporti che
erano non solo di natura politico-economica (la Toscana costituiva per la
corona inglese un avamposto privilegiato per i commerci nel Mediterraneo),
ma anche culturali: Firenze, culla del Rinascimento e museo a cielo aperto,
era una delle tappe obbligate per i gentiluomini inglesi, e non solo, che
partivano alla volta del Grand Tour.
Arriviamo, infine, al terzo capitolo, cuore di questo lavoro, in cui si esamina
da vicino la Tribuna “dipinta”, approfondendone progressivamente le
tematiche peculiari. Si inizia delineando le vicende biografiche dell’opera: la
sua commissione per volere dei reali inglesi, il soggiorno fiorentino del suo
autore, le fasi e vicende esecutive.
La seconda parte mette a fuoco e opera un confronto tra le opere definite
“native”, ossia facenti parte della decorazione della sala ai tempi in cui
dipinge lo Zoffany, e tra le opere cosiddette “forestiere”, perché non facenti
realmente parte dell’allestimento.
L’ultimo passo è la messa a fuoco di un’importante aspetto del collezionismo
mediceo, a partire da un’opera ritratta. L’opera in questione è la Chimera
bronzea, ritrovata ai tempi di Cosimo I (1553) nel corso di scavi nei dintorni
di Arezzo, e subito portata a Firenze a Palazzo Vecchio. La Chimera, animale
mitico del mondo etrusco, allude all’interesse per la cultura etrusca; un vero e
proprio mito, in cui andare a ricercare le origini di Firenze. Di questo intento,
la Chimera di Arezzo divenne l’emblema, a testimoniare la vittoria del
Granduca “su tutte le fiere” (Vasari, Ragionamenti, 1588).
7
Capitolo I
La Tribuna degli Uffizi: lo “Scrigno delle Meraviglie”
8
I.1 Nascita, vita e protagonisti: Francesco I e Bernardo Buontalenti
“Vi è anche (a Firenze) una galleria molto bella che hanno fatto fare questi
ultimi duchi … dal mezzo di quella si entra in un gabinetto rotondo che è
chiamato la Tribuna, dove vi è un infinito numero di ricchezze, gioie e altre
cose estremamente rare, ma particolarmente pitture e sculture…”
1
. Così
veniva descritta, in uno dei tanti diari di viaggio che la letteratura ci ha
tramandato, la Tribuna degli Uffizi agli inizi del Seicento: un prezioso scrigno
che, una volta aperto, svelava (e svela tuttora) meravigliosi tesori.
Cuore della Galleria degli Uffizi, la Tribuna viene fatta costruire, tra il 1584 e
il 1587, per volere del Granduca Francesco I de’ Medici (1541-1587) da
Bernardo Buontalenti, architetto della fabbrica. Tale commessa rappresentava
il culmine dei lavori della fabbrica degli Uffizi, iniziati da Giorgio Vasari
sotto Cosimo I; essa era stata creata “ad hoc” per ospitare i pezzi più preziosi
e rari della collezione medicea. I criteri seguiti per la sua costruzione, sono
quelli cui si rifarà successivamente l’architettura museale europea (i mobili
progettati in funzione dell’esposizione degli oggetti, l’illuminazione zenitale,
la tappezzeria rossa come sfondo per i dipinti), elevando la “creatura”
Buontalentiana al rango di modello da imitare.
Nel progettarla, l’architetto fiorentino s’ispira alla Torre dei Venti di Atene
2
(fig. 3), descritta nel primo libro del De Architectura di Vitruvio
3
. Come la
1
Henri, duca di Rohan, Voyage du duc Rohan faict en l’an 1600, en Italie, Allemaigne, Pays-Bas Uni,
Angleterre et Escosse, Amsterdam, 1646, cit.
2
Chiamata anche horologion, la Torre dei Venti, situata nel foro di Atene, è una struttura a pianta ottagonale
in marmo pentelico, alta 12 metri e con un diametro 8 metri circa. Essa fu costruita presumibilmente da
Andronico di Cyrrhus nel 50 a.C., ma altre fonti collocano la sua realizzazione nel II secolo a. C. All’esterno,
sotto ai fregi raffiguranti le otto divinità dei venti ( Borea, Kaikias, Euro, Apeliotes, Noto, Lips, Zefiro,
Skiron ), ci sono nove meridiane che s’illuminano in successione segnando il tempo. All’interno, sul lato
nord, vi era un’imponente e precisa clessidra ad acqua, che sfruttava l’acqua proveniente dall’ Acropoli. Sulla
sommità della cupola era posta una grande banderuola, raffigurante Tritone, che indicava la direzione dei
venti.
3
“…Andronicus Cyrrestes, qui etiam exemplum conlocavit Athenis turrem marmoream octagonon et in
singulis lateribus octagoni singulorum ventorum imagines excalptas contra suos cuiusque flatus designavit,
supraque eam turrim metam marmoream perfecit et insuper Tritonem aereum conlocavit dextra manu virgam
9
torre ateniese, ha una struttura a pianta ottagonale che si sviluppa in altezza ed
è sormontata da una cupola dal profilo emisferico; all’esterno, sul tetto a
spioventi, s’innesta la lanterna (fig. 5) sopra la quale “una banderuola … è
collegata a una lancetta che registra i movimenti su una rosa dei venti
interna...”
4
(fig. 6).
D’ispirazione vitruviana, era anche la rappresentazione, oggi scomparsa, dei
quattro segni zodiacali di Ariete e Bilancia, e di Cancro e Capricorno; un
raggio di Sole che filtrava attraverso un’apertura nella lanterna, li andava a
illuminare in corrispondenza dell’equinozio di primavera e d’autunno (Ariete
e Bilancia), o del solstizio d’estate e d’ inverno (Cancro e Capricorno )
5
.
La cupola (fig. 4) ha costoloni dorati, decorati con trofei con le palle medicee,
ed è incrostata di gusci di madreperla. Il tamburo è delimitato da due
cornicioni tra i quali si aprono, una per lato, otto finestre con lastre
d’alabastro e in cristallo orientale, che assicurano, insieme alla lanterna,
l’illuminazione dall‘alto. Esse sono, inoltre, intervallate da eleganti
incrostazioni in madreperla e oro, su fondo ultramarino, che formano una
decorazione a grottesca con motivi vegetali.
Lungo le pareti foderate di tela rossa, viene montato ad altezza d’uomo un
“palchetto in ebano, disegnato nel 1586 dallo stesso Buontalenti, destinato
all’esposizione di busti, bronzi, vasi e altri ninnoli, sostenuto da mensole
intagliate e dotato di 120 cassetti portagioie. Esso è interrotto in sei punti, al
centro di sei lati, da statue bronzee di divinità antiche ( Giunone di Giovanni
dell’ Opera; Vulcano di Vincenzo de’ Rossi; Venere di Vincenzo Danti;
Borea di Elia Candido; Galatea di Stoldo Lorenzi; Apollo del Giambologna),
porrigentem, et ita est machinatus, uti vento circumageretur et semper contra flatum consisteret supraque
imaginem flantis venti in dicem virgam teneret...”.
4
Bernardo Buontalenti e Firenze. Architettura e disegno dal 1576 al 1607, a cura di Amelio Fara, Firenze, L.
S. Olschki, 1998, p. 51.
5
D. Heikamp, Le sovrane bellezze della Tribuna, in Magnificenza alla corte dei Medici. Arte a Firenze alla
fine del Cinquecento, catalogo della mostra tenuta (Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti, 24 settembre
1997-6 gennaio 1998), Milano, Electa, 1997. Alla nota n. 25 l’autore suggerisce, in relazione all’ affresco
ottocentesco a monocromo che decora l’interno della lanterna, che “…Sarebbe interessante fare dei saggi per
scoprire se sotto questo strato si trovasse ancora qualche traccia dell’antica rappresentazione dello Zodiaco”.
10
provenienti dallo “Studiolo” di Francesco I in Palazzo Vecchio
6
, poggianti su
mensole decorate con dorature miniate; al di sopra di esse vengono posti archi
di legno, sormontati dalle argentee Fatiche di Ercole del Giambologna e
attrezzati sugli estradossi con gradinate a due versanti, per l’esposizione di
piccoli oggetti. L’esecuzione dell’intera struttura lignea viene affidata a
Dionigi Nichetti, mentre la doratura viene eseguita da Bartolo da Venezia.
Sopra la scaffalatura lignea vengono disposti, su due registri, “quadri di
meravigliosa bellezza”
7
dei maggiori protagonisti del Manierismo, mentre i
quadri di piccolo formato vengono ordinati nella parte al di sotto del
mensolato; stando all’inventario del 1589, il primo degli Uffizi, e alla
ricostruzione fatta in occasione di una mostra
8
, la serie di dipinti che vengono
esposti comprendono opere di Raffaello (Ritratto di Leone X; Madonna della
Seggiola; S. Giovanni nel deserto; Donna che strangola un putto con candela
accesa; Sacra Famiglia Canigiani; Visione di Ezechiele; Ritratto di donna
con braccio nudo e scollata), Andrea del Sarto (Madonna col Bambino, S.
Giovanni e S. Anna; S. Giovanni Battista con la mano alzata; Dama col
Petrarchino; Madonna col Bambino e Santi; Una Vergine; Storia di
Giuseppe; Crocifissione con Santi), Alessandro Allori (Ritratto; Ercole con le
Muse; Ritratto di donna su rame; Il Sacrificio d’Isacco), Fra’ Bartolomeo
(Presepio; Circoncisione con Annunciazione e Natività), Domenico
Beccafumi (Tondo con la Madonna, il Figlio, S. Giovannino e quattro
Cherubini), Bernardo Buontalenti (Ritratto di donna; Ritratto della Regina di
Spagna), Civetta (Miniera di rame), Federigo Fiammingo (Parto di S.
6
Iniziato nel 1569, ad opera di Giorgio Vasari e della sua scuola su progetto di Vincenzo Borghini, e
compiuto nel 1575. Ultimo della “stagione” degli studioli, è un ambiente avvolto nell’oscurità e rischiarato
dal solo lume di candele e torce, in cui il granduca, che nutriva una grande passione per l’ alchimia e le arti
occulte, s’immergeva per indagare i segreti della natura. (Mazzi, M. C., In viaggio con le Muse. Spazi e
Modelli del Museo, Firenze, Edifir, 2005). Un luogo appartato, destinato a ospitare oggetti rari, in cui
l’accesso era concesso al solo Francesco, a differenza della Tribuna, concepita come un “gioiello” da
mostrare, anche se non a chiunque.
7
Bocchi, Bellezze della città di Fiorenza, Firenze, 1591.
8
L. Berti, S. Rudolph e A. Biancalani, Mostra Storica della Tribuna degli Uffizi (Dicembre 1970-Ottobre
1971), Firenze, Tipolitografia S.T.I.A.V, 1971.
11
Elisabetta), Giorgione (S. Giovanni), Francesco Granacci (Giuseppe condotto
in prigione; Giuseppe presenta al faraone il padre e i fratelli), Leonardo da
Vinci (S. Giovanni che predica), Jacopo Ligozzi (S. Girolamo), Luca di Leida
(Deposizione), Pontormo (Carità; Conversione di S. Paolo; Madonna col
Bambino e S. Giovannino), Domenico Puligo (Madonna con Bambino e
Santi), Sustris (Parto di Elisabetta), Tiziano e Vasari (piccoli dipinti).
Lo zoccolo viene decorato da Jacopo Ligozzi, con una tecnica quasi
miniaturistica che riproduce soggetti di storia naturale, quali pesci, uccelli,
acqua, piante; un repertorio caro all’artista che si era cimentato in numerosi
disegni con soggetti analoghi
9
. Nelle pareti laterali vengono ricavati due
armadi nascosti, rivestiti in velluto rosso, che conservano al loro interno vasi
di cristallo.
Il pavimento è ricoperto da un’ elaboratissima tarsia marmorea a motivi
geometrici divisi in otto spicchi; al centro di esso, su uno spazio predisposto
dal Buontalenti nel suo disegno del pavimento, viene ubicato un tempietto
ottagonale da lui stesso ideato. Perno e punto focale della Tribuna, e riflesso
in miniatura dell’architettura della sala, il tempietto o studiolo nuovo è un
mobile monetiere in ebano, iniziato nel 1584 da una squadra di legnaioli
fiamminghi affiancati da gioiellieri e artigiani e ultimato nell’arco di quattro
anni, dopo la morte di Francesco I. Tra gli artisti che concorrono alla sua
decorazione vi sono Benvenuto Cellini, Bartolomeo Ammannati, il
Giambologna, Vincenzo Danti, Lorenzo della Nera e Vincenzo de’ Rossi
10
.
La struttura poggia su un piano di marmo ottagonale, con piedistallo, a
commesso di pietre dure; essa è costituita da otto colonnette d’alabastro con
capitelli e base d’argento dorato, sormontate da una cupoletta impostata su
una trabeazione lineare, ricoperta di scaglie di pietre preziose, che rimandano
alle conchiglie applicate sull’estradosso della cupola della Tribuna. Inoltre
9
Sono studi a tempera conservati oggi agli Uffizi.
10
F. M.,Tuena, Il Tesoro dei Medici. Collezionismo a Firenze dal Quattrocento al Seicento, in “Art Dossier”,
n° 18, Firenze, Giunti, 1998.
12
sulla sommità vi è una lanternetta e una palla di crisolito. Sotto gli architravi
si trovano otto “porticelle di diaspri, … di corniole, di ametiste,… le quali
aprire non si possono senza due chiavi”
11
, che una volta aperte rivelano
“bellissime medaglie d’oro”
12
e altri metalli preziosi. Lo stipo è inoltre dotato
di cinquantaquattro cassetti da tirare con piccole palle d’argento, e 120
cassetti più piccoli per conservare medaglie d’oro, gemme e pietre preziose.
Completano l’ornamentazione delle superfici otto bassorilievi in lamina
d’oro
13
, quattro a lunetta e tre rettangolari,
14
opera del Giambologna, con la
collaborazione dell’orefice Cesare Tarconi e del ceroplasta Antonio Susini.
Tema di questi rilievi sono le imprese di Francesco I, anche se non tutti si
trovano in accordo con questa interpretazione
15
.
Dietro ad ogni aspetto di questo luogo meraviglioso, si celano significati
cosmologici; e non sarebbe potuto essere altrimenti visti i profondi interessi
del Granduca per l’alchimia; gli otto lati rappresentano il numero cosmico dei
venti e delle direzioni del cielo; la Lanterna, con la rosa dei venti, simboleggia
l’Aria; le incrostazioni di madreperla del soffitto e del tamburo alludono
all’Acqua; il rosso della tappezzeria al Fuoco; i marmi policromi del
11
Bocchi, 1677.
12
Ivi.
13
Oggi conservati al Museo degli Argenti, Firenze.
14
Bernardo Buontalenti e Firenze …, p.55.
15
Amelio Fara, nel catalogo della mostra Bernardo Buontalenti e Firenze (ibidem), confuta però la tesi che
tali bassorilievi rappresentino imprese di Francesco I. “Occorrerebbe prendere atto dei dati seguenti. Il
bassorilievo a lunetta della fondazione di Cosmopolis - Porto Ferraio rappresenta un atto di Cosimo I, da
Giorgio Vasari già celebrato intorno al 1557 in un affresco (palazzo Vecchio, sala di Cosimo) nel quale sono
raffigurati il progettista Giovanni Camerini, il duca Cosimo e la pianta in veduta aerea della città.
Buontalenti e Francesco I compaiono a Portoferraio nel 1574 ideando la trasformazione del fronte di terra
(che nel 1587 è ancora in fase iniziale di esecuzione, al punto che la lunetta è rappresentato in maniera non
definita) e la costruzione dell’arsenale delle galeazze sulla traccia di un precedente progetto camerinesco …
Il bassorilievo della regolazione delle acque dell’ Arno potrebbe effettivamente riferirsi a un atto di
Francesco, come risulta dall’apparato del funerale il San Lorenzo, in cui un quadro appeso a una parete
rappresentava “il Gran Duca sulla riva del Fiume trattante con L’architetto o Ingegnero del franargli
l’impetuoso corso e di tenerlo dentro a’ suoi termini” (Strozzi, 1587)… La fondazione di Livorno è voluta da
Francesco avvalendosi della progettazione urbanistica di Buontalenti; e che sia stata considerata un suo atto
risulta anche dall’apparato della cerimonia funebre in San Lorenzo; … Il bassorilievo della fortificazione di
Belvedere rappresenta un atto esclusivo di Ferdinando I poiché il progetto relativo è stato elaborato da
Buontalenti nel 1589-1590. Soltanto i bassorilievi rettangolari rappresentano certamente atti di Francesco:
Pratolino e la prima fonte delle stanze dell’ Appennino, la lettura a Francesco del decreto imperiale che lo
conferma granduca, la facciata nuova di Santa Maria del Fiore …”
13
pavimento alla Terra; il fregio ligozziano dello zoccolo, di nuovo i quattro
elementi. Inoltre, i colori della Tribuna (il blu, il rosso e l’oro) corrispondono
a quelli dello stemma mediceo; se si aggiunge il bianco della madreperla, si
ottengono, infine, i colori della città di Firenze.
Con l’avvento nel 1587 del Granduca Ferdinando I de’ Medici (1549 –
1609), fratello di Francesco I, e già cardinale presso la corte pontificia, e
ambasciatore della dinastia medicea a Roma, hanno inizio le vicende
(aggiunte e spoliazioni) destinate a cambiare il volto della Tribuna. A
differenza del fratello, Ferdinando nutre una profonda passione per l’arte
classica, di cui è un profondo conoscitore; nella città papale compie la sua
formazione culturale, improntata sull’esempio dell’antica civiltà romana.
Durante il periodo romano, ha modo di acquistare pezzi antichi che saranno
tra i più ammirati della collezione medicea di opere d’arte classica, come lo
Scita e il gruppo dei Lottatori; conservate per circa un secolo nella Villa
Medici a Roma, queste due statue (insieme alla Venere Medici che sarà
acquistata nel 1657), saranno successivamente trasferite a Firenze, entrando a
far parte delle principali attrazioni della Tribuna
16
.
Per la Tribuna il Granduca commissiona un nuovo stipo, detto studiolo
grande, il cui progetto viene affidato al Buontalenti; per la sua esecuzione
vengono impiegate maestranze italiane e tedesche, tra le migliori in
circolazione, che vi lavorano per sei anni dal 1593
17
.
Lo studiolo viene ubicato nella Tribuna nel 1602, in una nicchia ricavata nella
parete di fronte all’ingresso, profonda oltre un metro, e dotata ai lati di due
piccole finestre tonde da cui entra la luce. E’ un mobile in ebano che si divide
in due parti: la base e lo stipo vero e proprio. All’esterno vi sono incastonate
una moltitudine di pietre dure e preziose, di cui cinque lodate per la loro rara
bellezza e magnificenza: “… la prima nella parte più alta è una perla di tal
grandezza che un capo d’aglio all’ occhio rappresenta e benché sia
16
G. A., Mansueti, Galleria degli Uffizi. Le Sculture, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1956-61.
17
D. Heikamp, Le sovrane bellezze della Tribuna, in Magnificenza…
14
scaramazza e non perfettamente rotonda, tuttavia la meraviglia dell’esser suo
chiaramente dimostra, essendo senza forse la maggiore che so sia vista
giammai: Ha l’industrioso artefice per farla spiccare maggiormente con molta
grazia un ornamento d’oro fattole, che col suo piede un grazioso vasetto di
fiori rassembra. Nel 2° luogo più basso è un topazio di straordinaria
grandezza alla meraviglia della perla nell’esser suo non punto inferiore, e nel
3° uno zaffiro, anch’esso di maravigliosa grandezza e perfezione. Nel 4°
luogo è uno smeraldo collocato forse il maggiore di quanto se ne sieno fin qui
veduti e nel 5° un' acqua marina di non inferiore bellezza le quali son tute
cinque gioie però qui spezialmente si nominano, come che son cose oltre il
valor loro di molta meraviglia …
18
”. In cima allo stipo campeggia lo stemma
del casato de’ Medici con rubini in luogo delle palle , e il nome del Granduca;
al suo interno vengono conservate, come nello stipo di Francesco I, medaglie
d’oro.
L’ inserimento del nuovo stipo determina un profondo cambiamento nella
concezione originaria della sala; mentre, infatti, lo stipo di Francesco I
accentuava la centralità della pianta della Tribuna, con quello di Ferdinando I
viene a crearsi un nuovo asse visivo che ha come estremità quest’ultimo e la
porta; in questo asse, ora, il vecchio stipo rappresenta un ingombro che
disturba la vista di quello nuovo.
E’ per questo che nel 1633 Ferdinando II (1610-1670), successore di Cosimo
II, figlio di Ferdinando I, commissiona un tavolo ottagonale a commesso di
pietre dure, in luogo dello studiolo di Francesco I; questo già nell’ inventario
della Galleria del 1635 non figura più nella Tribuna, ma nell’ attigua “stanza
di Madama”.
Alla realizzazione del piano ottagonale del tavolo, lavora una grande squadra
di commettitori dell’ Opificio delle Pietre Dure
19
, che segue i disegni di
18
Tinelli in ivi, pp. 332-333, cit.
19
Manifattura artistica specializzata nella lavorazione delle pietre dure, l’ Opificio viene fondato nel 1588 da
Ferdinando I de’ Medici; con questa istituzione il Granduca dà un ordinamento stabile alle botteghe
15
Jacopo Ligozzi, Bernardino Poccetti e Baccio del Bianco. Il risultato è uno dei
migliori lavori delle botteghe granducali, una ricca tarsia di marmi e pietre
dure che creano fitti motivi floreali e naturalistici.
E sempre a Ferdinando II si deve l’inserzione sulla sommità dell’arco della
nicchia, del ritratto a mosaico di Ferdinando I, eseguito dopo il 1590; un
omaggio al suo predecessore, ma anche al proprio nome
20
.
Con il Granduca Cosimo III (1642-1723), suo successore, fanno il loro
ingresso in Tribuna le già citate statue trasferite a Firenze da Villa Medici: l’
Arrotino, la Venere Medici, e i Lottatori. Queste, insieme al Fauno Danzante
e ad altre due Veneri, vengono poste intorno al tavolo ottagonale, ponendo
nuovamente l’accento sullo spazio centrale della sala.
La Venere Medici, in particolare, sarà d’ora in poi l’opera più ammirata nella
Tribuna; scriveva nel 1740 Johann Caspar Goethe: “… Vi sono due gladiatori,
uno chiamato arruotatore, e tre veneri, tra le quali quella di mezzo è la più
famosa e nel mondo tanto rinomata Venere, detta per eccellenza Medicea, ed
in specie dagli Inglesi per la sua struttura bellissima quasi adorata, come
ancor questi, visitandola, le baciano la mano …
21
”.
Il Settecento è un secolo di svolta per la storia del Granducato di Toscana.
Nel 1737, morto Gian Gastone, l’ultimo erede della dinastia de’ Medici, le
sorti del Granducato passano nelle mani di Francesco Stefano di Lorena,
consorte dell’Arciduchessa Maria Teresa d’Austria, secondo accordi già
stipulati nel 1735.
L’avvento della dinastia Lorenese, segna una cesura tra gli Uffizi dei
primordi, e gli Uffizi “illuminati”.
granducali (aperte nel 1572 per volere di Francesco I, e ubicate nel Casino di San Marco, antica sede dell’
Accademia di Lorenzo il Magnifico), che vengono trasferite all’interno degli Uffizi, nella “Galleria dei
Lavori” (braccio corto), dove gli artigiani possono essere sottoposti ad un maggiore controllo. La manifattura
continuò la sua attività fino alla fine del XIX secolo, impegnandosi alla realizzazione di oggetti d’uso
personale o privato, di commissioni di carattere religioso o pubblico, e di prestigiosi doni destinati ai Grandi
di tutta Europa (cfr. Tuena, Filippo M, 1998, p. 30-33).
20
M. C., Mazzi, In viaggio con le Muse. Spazi e Modelli del Museo, Firenze, Edifir, 2005.
21
A. C., Goethe, Viaggio in Italia, in Berti, L., Rudolph, S. e Biancalani, A., Mostra Storica della Tribuna
degli Uffizi …, cit.