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superare l’equilibrio stazionario del sistema economico: è questo il significato della
“esogenità” del progresso tecnologico e della sua importanza nel determinare la crescita.
Una critica che venne mossa al modello di Solow, si rifaceva al fatto che il propulsore
della crescita (il progresso tecnologico) in steady state, era di fatto assunto e non
spiegato. All’interno del capitolo (il primo) vengono inoltre esposte le dinamiche che
possono portare alla convergenza: due economie che sono uguali relativamente ai
principali parametri esogeni ed hanno lo stesso sentiero di crescita bilanciata, ma
differiscono solo per le posizioni iniziali di partenza, in seguito all’applicazione del
modello di Solow, convergeranno allo steady-state relativo al rapporto tra gli input (cfr.
Solow, 1956).
Il capitolo secondo è così strutturato: la prima parte è organizzata al fine di presentare
l'evidenza empirica disponibile, discutendo circa i problemi di comparabilità tra le
misure di produttività ottenute, chiarendo quali dati e quali metodologie sono utilizzate
di volta in volta e sintetizzando le conclusioni derivanti dall'utilizzo di concetti, database
e indici diversi; vengono esposti i primi studi di un certo rilievo a livello aggregato, che
in qualche modo iniziavano anche a dare una sorta di risposta empirica al paradosso
della produttività: sono quelli di Jorgenson e Stiroh (2000) e di Oliner e Sichel (2000), i
quali si ripeteranno in altri contributi negli anni successivi considerando ovviamente gli
Stati Uniti. In sintesi, l’ipotesi della presenza di una new economy, ovvero di una
crescita sostenuta dalle innovazioni nel campo dell’ICT, giace secondo questi autori, nel
collegamento tra queste tre circostanze: l’accumulazione di capitale ICT, la crescita della
produttività del lavoro e il progresso nell’ICT. La sezione successiva del lavoro
organizza e discute i risultati dell'analisi empirica, evidenziando l'esistenza di un
significativo gap di produttività tra gli Stati Uniti e le altre economie avanzate, dai primi
anni ’90. Un’altra sezione approfondisce il ruolo dell’ICT, sottolineando l'importanza da
esse rivestite per l'accelerazione della produttività statunitense nella seconda metà degli
anni novanta. Nonostante la scarsità dei dati disponibili, la seconda parte di questa
sezione propone alcune stime sul ruolo delle ICT in relazione all'andamento dei tassi di
crescita della produttività nei Paesi europei. Nel terzo ed ultimo capitolo, si analizzerà la
diffusione dell’ICT nel nostro paese analizzando i fattori critici del nostro ritardo. Vi è
ormai una convinzione diffusa, sostenuta da ampia evidenza empirica internazionale, che
una delle cause della minor crescita della produttività in Europa – e in Italia in
particolare – sia la scarsa diffusione nell’economie delle tecnologie dell’informazione e
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della comunicazione (ICT). Non a caso, il boom americano è coinciso con lo
straordinario sviluppo di Internet, iniziato nel 1995, e con l’enorme investimento in
informatica da parte delle aziende americane. Inizialmente (nel secondo capitolo) viene
preso in considerazione il fenomeno della crescita economica verificatosi negli Stati
Uniti; si indicano due fonti diverse di crescita della produttività: la crescita della
produttività multifattoriale e l’adozione del capitale ICT (capital deepening). La crescita
della produttività multifattoriale sembra essere la fonte di aumento della produttività per
i settori produttori di beni ICT, mentre per i settori utilizzatori di tali beni come input
produttivi la crescita della produttività è essenzialmente legata al capital deepening.
Quest’ultimo, stimolato dalla performance dei prezzi decrescenti nei beni ICT che ne
ha favorito la rapida diffusione a scapito di differenti beni capitali all’interno del
processo di produzione, risulta essere il fattore che maggiormente ha contribuito alla
crescita della produttività e con un contributo crescente nel tempo. Un contributo
positivo è altresì legato alla MFP, soprattutto nel settore di produzione dell’ICT. Ciò non
deve però indurre a sottovalutare il ruolo di stimolo alla crescita da parte dei settori
utilizzatori delle nuove tecnologie che al contrario rappresentano il punto strategico di
una crescita di lungo periodo. L’Europa appare invece lontana dalla performance
positiva dell’economia americana, e questo può essere dovuto in parte all’assenza di un
massiccio settore di produzione di nuove tecnologie ma non bisogna sottovalutare fattori
legati ad un diverso ambiente economico, produttivo ed istituzionale. L’investimento in
ICT nell’area europea risulta infatti essere minore rispetto ai valori americani, e questo
sembra dipendere dalla presenza di ostacoli che si caratterizzano nella mancanza di un
capitale umano adeguato, nella necessità di avviare un processo riorganizzativo
all’interno delle imprese, nella dimensione delle imprese che operano sul mercato e in
fattori di natura finanziaria. Ma prima di queste considerazioni, nel terzo capitolo, sono
stati presentati dei dati di contabilità nazionale (derivanti da Eurostat), relativi
all’incidenza della Spesa in ICT, alla Produttività del lavoro, alla percentuale di imprese
con accesso ad internet e banda larga o di acquisti e vendite on-line. Tutto ciò al fine di
effettuare un’analisi delle componenti principali (detta pure PCA). Questa è una tecnica
utilizzata nell’ambito della statistica multivariata per la semplificazione dei dati
d’origine. Lo scopo primario di questa tecnica è la riduzione di un numero più o meno
elevato di variabili (rappresentanti altrettante caratteristiche del fenomeno analizzato) in
alcune variabili latenti (cfr. Fabbris, 1997). Ciò avviene tramite una trasformazione
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lineare delle variabili che proietta quelle originarie in un nuovo sistema cartesiano nel
quale le variabili vengono ordinate in ordine decrescente di varianza: pertanto, la
variabile con maggiore varianza viene proiettata sul primo asse, la seconda sul secondo
asse e così via. La riduzione della complessità avviene limitandosi ad analizzare le
principali (per varianza) tra le nuove variabili. Diversamente da altre trasformazioni
(lineari) di variabili praticate nell’ambito della statistica, in questa tecnica sono gli stessi
dati che determinano i vettori di trasformazione. La PCA è una tecnica statistica
adoperata in molti ambiti: nell’astronomia, nella medicina, in campo agro-alimentare,
ecc... fino anche alla compressione di immagini; questo perché quando ci si trova a
semplificare un problema, riducendo la dimensione dello spazio di rappresentazione, si
ha allo stesso tempo una perdita dell’informazione contenuta nei dati originali. La PCA
consente di controllare egregiamente il “trade-off” tra la perdita di informazioni e la
semplificazione del problema (basta scegliere il numero appropriato di autovettori).
Tramite questa tecnica sarà possibile osservare la tendenza dei paesi a formare dei
cluster (paesi simili dal punto di vista delle variabili prescelte), e sarà possibile inoltre
vedere come essi si modificano nel tempo. L’analisi infatti consisterà nella
predisposizione di un’intervallo periodale (2003-2006), e nella successiva
interpretazione dei “cambiamenti” avvenuti al suo interno.
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CAP. 1 – IL RUOLO DEL PROGRESSO TECNOLOGICO
1. Introduzione
Originariamente la dottrina economica marginalista non affrontò il problema della
crescita economica di lungo periodo che fu il tema caratterizzante il pensiero classico.
Essa si limitò ad indagare la distribuzione ed i prezzi e, quindi, si occupò dell’analisi
dell’impiego ottimale di date risorse scarse. L’impostazione teorica di tale dottrina si
basa sull’assunto che i compratori e i venditori sono liberi di agire al fine di
massimizzare le loro rispettive utilità attraverso lo scambio di beni e servizi. In tal modo
sono capaci di alimentare uno sviluppo continuo del sistema economico. Le sole forze di
mercato perciò, se lasciate libere di esprimersi, sono capaci di creare crescita economica
di breve periodo. Ciò senza dubitare minimamente che la sommatoria della crescita di
breve periodo equivalga o meno ad una effettiva massimizzazione della crescita di lungo
periodo. Tale “dogma” venne ad incrinarsi dopo la Grande depressione degli anni ’30
del 1900 e così anche la dottrina neoclassica iniziò a formare al suo interno una sua
teoria della crescita economica, assimilando le idee e le intuizioni di due economisti
keynesiani: Harrod e Domar. Robert Solow fu l’economista che più contribuì
all’elaborazione di una teoria neoclassica della crescita economica, anche se i principali
fondatori di tale teoria “erano keynesiani nel loro approccio alla macroeconomia di
breve periodo”. Il modello neoclassico più semplificato della crescita rappresenta
un’economia immaginaria priva di scambi con l’esterno “con un solo bene producibile
che può essere immediatamente consumato oppure risparmiato per essere utilizzato
come bene capitale” (cfr. Solow, 1957). Sebbene la teoria neoclassica della crescita sia
stato oggetto di un vasto e intenso processo di revisione critica negli ultimi vent’anni,
essa costituisce ancor oggi la pietra di paragone di tutte le analisi economiche volte allo
studio del lungo periodo. Anche i più recenti modelli di crescita che si discostano in
modo netto dalle conclusioni della teoria neoclassica non possono essere compresi
appieno senza far riferimento, quantomeno per giustapposizione, a questo stesso
paradigma di fondo.
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Verranno introdotte per prima cosa alcune definizioni e concetti essenziali. Si
apprenderà che la crescita economica si deve all'accumulazione dei fattori della
produzione, in particolare del capitale, e all'aumento della produttività. In questo
capitolo si vedrà come questi due fattori contribuiscano alla crescita economica e in che
modo il tasso di risparmio e l'incremento della popolazione influiscono
sull'accumulazione di capitale. Per studiare i due fattori che determinano la crescita
economica, ci si servirà della funzione di produzione. Il prodotto interno si incrementa
grazie all'aumento sia della quantità di input sia della produttività; quest'ultima può
essere dovuta al progresso tecnologico o da una migliore preparazione della forza
lavoro. Per progresso tecnico si intendono tutti quei miglioramenti nelle conoscenze e
nelle tecnologie che permettono di semplificare e di perfezionare i processi produttivi e
le tecniche organizzative delle imprese, di creare nuovi beni e servizi o di migliorare la
qualità e le caratteristiche di quelli già esistenti (cfr. Daveri, 2001). In ogni caso, quando
si introducono nuove tecnologie di produzione o si migliorano quelle esistenti, si parla di
innovazioni di processo mentre le innovazioni di prodotto si riferiscono alla disponibilità
sul mercato di prodotti nuovi o di migliore qualità
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2. Cenni di contabilità della crescita
I nostri redditi sono di gran lunga più elevati di quelli dei nostri antenati; gli abitanti dei
Paesi industrializzati sono molto più ricchi di coloro che vivono nei Paesi in via di
sviluppo; addirittura, il reddito di cui disponevano i cittadini Statunitensi e molti Europei
un secolo fa era più elevato del reddito di cui dispongono attualmente gli abitanti delle
nazioni più povere. Come si spiegano queste enormi differenze? Da cosa dipenderà il
tenore di vita futuro? A questi interrogativi rispondono la contabilità della crescita e la
teoria della crescita. La contabilità della crescita indica in che misura i diversi fattori
della produzione (capitale, lavoro ecc.) contribuiscono all'incremento della produzione
totale.
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In generale, il risultato del progresso tecnico è quello di produrre di più a parità di fattori produttivi
utilizzati o, in modo equivalente, produrre lo stesso output ma con minor impiego di fattori.