legislativo italiano che ha portato alla definizione dei contratti atipici così come li
conosciamo oggi, cercando di arrivare alla maggior completezza possibile nel limite
dello spazio che avevo a disposizione. In seguito, ho presentato i dati concreti, che
testimoniassero della presenza del fenomeno nella società italiana. Il quarto capitolo,
invece, presenta il fenomeno dai due punti di vista, delle imprese prima e dei lavoratori
(e dell’opinione pubblica) poi. A conclusione della prima parte, sono arrivata infine a
delineare il mutamento nella gestione delle risorse umane a seguito dell’introduzione di
questa forma di flessibilità.
Per la seconda parte del mio elaborato, ho scelto di concentrarmi su una realtà
relativamente anomala nel contesto organizzativo italiano: il settore bancario. Esso ha
visto un’evoluzione in linea con le tendenze di flessibilità della normale impresa
commerciale, ma piuttosto ritardata e, di conseguenza, più “brusca”. Inizialmente,
quindi, mi sono concentrata sull’analisi del settore, cercando di spiegare la sua dinamica
di trasformazione. Ho proseguito, nel capitolo seguente, focalizzandomi sul personale
bancario e sul tipo di utilizzo che il settore fa dei contratti atipici, con lo scopo di
mettere in luce la particolarità di tale uso; ho potuto notare nel corso della mia ricerca
che, se le banche fanno uso di tali forme contrattuali al fine di ridurre i costi tanto
quanto le altre imprese commerciali, a differenza di queste, esse lo fanno in misura
maggiore in un’ottica orientata al futuro e alla prosecuzione del rapporto lavorativo a
tempo indeterminato – lo prova il ricorso regolare alla forma dell’Apprendistato
Professionalizzante. Questo porta ad una rilevante riduzione dei problemi di
ricomposizione del personale che le imprese tradizionali si trovano oggi ad affrontare.
Per avere la possibilità di uno sguardo più ravvicinato al settore, ho terminato questa
tesi con l’esame di un caso aziendale specifico: il gruppo Intesa Sanpaolo, di recente
costituzione e collocabile nella posizione di leader del settore bancario italiano, dunque
particolarmente rappresentativo di tale realtà. L’azienda si è dimostrata in linea con le
altre banche, confermando il tipo di utilizzo e di gestione dei contratti atipici e del
personale che avevo riscontrato nell’analisi generale del settore.
Nello sviluppo della mia ricerca ho potuto consultare un’abbondante quantità di
documentazione legislativa e considerare alcune riflessioni che dell’argomento sono
state fatte in ambito accademico, nell’opinione pubblica, da opinion leaders. Più
IV
difficile è stato, invece, reperire il materiale che esplorasse i cambiamenti che si trova
oggi ad affrontare la Direzione del Personale nella gestione delle risorse umane in
azienda; in sostanza, data la recente introduzione di tale forma di contratti, non esiste
ancora alcun lavoro focalizzato su questa tematica. Al fine di portare alla luce il
fenomeno, quindi, sono partita dalle dichiarazioni e dai pensieri raccolti direttamente sul
campo, tra i manager coinvolti in prima linea
1
, cercando di integrare l’analisi con mie
personali considerazioni, scaturite dalla conoscenza che ho sviluppato finora nella
disciplina della gestione delle risorse umane.
Anche lo studio del settore bancario non ha posto problemi nel reperimento delle
informazioni contrattualistiche, mentre è stato ancora una volta difficile rinvenire
osservazioni riguardanti i cambiamenti nella gestione del personale dovuti alle nuove
forme contrattuali.
Per quanto riguarda il caso aziendale che studia da vicino la realtà del gruppo Intesa
Sanpaolo, ho proceduto dapprima all’approfondimento della struttura dell’azienda
attraverso il sito Internet del gruppo, il materiale contrattuale integrativo e le
testimonianze dirette dei collaboratori; infine, ho potuto addentrarmi nello specifico
della gestione del personale con contratti atipici tramite un’intervista sul campo ad un
responsabile della gestione delle risorse umane del gruppo.
1
Vedi Bibliografia, Speciale Scenario Risorse Umane dal 2006 Isper.
V
PARTE I
1
1. IL CONTESTO: LE ORGANIZZAZIONI NEL
“CAPITALISMO FLESSIBILE”
Il tema centrale di questa tesi, vale a dire l’introduzione in Italia dei nuovi contratti
atipici, si situa in un contesto di ben più ampia portata, sia dal punto di vista della
diffusione territoriale sia da quello delle trasformazioni coinvolte.
Il presente capitolo si propone dapprima di illustrare questo quadro di riferimento, per
poi, nel secondo paragrafo, parlare delle trasformazioni che le imprese hanno messo in
atto per fronteggiare il cambiamento. Lo scopo è di analizzare, nel paragrafo finale, i
cambiamenti che hanno investito il mondo del lavoro e i nuovi modelli organizzativi.
1.1 L’economia post-industriale e la flessibilità
Il fenomeno in questione è quello del passaggio dell’economia mondiale da una fase
industriale a una – non ancora del tutto stabilita – fase post-industriale.
Questa nuova fase, che ha cominciato a delinearsi dagli anni Ottanta, vede collocate le
imprese (ormai per una gran parte multinazionali, a causa del processo di
globalizzazione originatosi proprio in questo periodo) in un ambiente fortemente
instabile.
In primo luogo, i clienti (siano essi imprese o consumatori finali) non sono più fedeli
come nel passato: sono molto più informati; dunque, sanno districarsi nei meandri dei
nuovi processi di consumo, di cui sono ormai diventati esperti; di conseguenza,
pretendono di più (prodotti e servizi sempre nuovi e sempre più completi e integrati);
quindi, osano maggiormente e non temono di provare prodotti e servizi di altre imprese.
Ovviamente questi cambiamenti nel comportamento dei clienti non devono
necessariamente essere presentati nella sequenza logica illustrata sopra: si tratta di
fenomeni concatenati tra loro in una complicata rete di relazioni di causa-effetto e
quella presentata è solo una delle possibili semplificazioni del complesso cambiamento,
che non sarà approfondito in questa tesi, in quanto richiederebbe una lunga
digressione
2
.
2
Per una più completa descrizione del fenomeno vedi Fabris (2003).
2
Il secondo aspetto di instabilità dell’ambiente è dato dai concorrenti e quindi dalle
imprese stesse, che, per conseguenza del fenomeno precedentemente descritto (ma
operanti anche come causa stessa del cambiamento), cercano sempre nuovi modi di
soddisfare i clienti, sia con nuovi prodotti sia con altri sistemi – di cui oggi il più
accreditato sembra quello dell’abbattimento dei prezzi grazie alla delocalizzazione
produttiva in Paesi che permettono di produrre a costi molto ridotti. In questo caso,
unque, le imprese devono confrontarsi con concorrenti che sono in grado di creare
al sistema operativo
d
nuovi prodotti o di dimezzare i prezzi repentinamente.
La pressione dei clienti e dei concorrenti fa sì che l’impresa di oggi punti alla
“flessibilità” come obiettivo primario.
Per spiegare il concetto in questione, si ricorrerà ad una metafora che si potrebbe
considerare forse un po’ ingenua, ma che, proprio in virtù della sua semplicità, sarà
immediatamente comprensibile. Flessibilità significa poter costruire, smontare e
rimontare un’impresa come una costruzione fatta con i mattoncini LEGO
3
. Pensiamo di
voler costruire un castello di mattoncini bianchi: se, al momento di costruire la torre, ci
accorgiamo che i mattoncini di colore bianco scarseggiano, dovremo abbandonare il
nostro progetto di un castello tutto bianco e, per esempio, costruire la torre in mattoncini
rossi; oppure potremo conservare l’idea della costruzione bianca, addirittura
abbandonare il progetto di costruire il castello e convertire la struttura che abbiamo in
una casa (che non necessita di alcuna torre). Lo stesso principio dovrebbe essere
applicabile nelle nuove imprese caratterizzate da flessibilità: imprese con strutture così
flessibili da poter decidere di cambiare rapidamente le caratteristiche di un prodotto (se
ad esempio i clienti di una pelletteria cominciano ad interessarsi ai nuovi valori
dell’ecologia, l’impresa dovrà essere pronta ad investire su un tipo di pelle ecologica)
oppure addirittura di cambiare core business (quando ad esempio una casa produttrice di
software si rende conto che i suoi clienti non sono più interessati
che essa produce come core business, ma al nuovo software per lettori mp3, che essa ha
cominciato a produrre da poco come attività secondaria) e così via.
3
Ci si scusa per l’utilizzo così generico del marchio LEGO® (per ragioni di semplificazione), che ormai è
diventato sostanzialmente un sinonimo del giocattolo che l’impresa produce
(http://it.wikipedia.org/wiki/LEGO).
3
Quindi, mentre nel passato l’organizzazione era totalmente programmata a priori, oggi è
un processo perennemente in fieri, legato alle occasioni che il mercato offre di giorno in
pra descritti sono possibili solo con un tipo di struttura organizzativa
è la più recente nell’ambito delle tendenze evolutive delle
rganizzazioni.
La prima forma di organiz , che si configurava come
appare in figura 1.
Figura 1. Modello di impresa fordista
sa
tevano solo per fornire input al nucleo.
Nel secondo dopoguerra, però, quando il mercato delle imprese ha cominciato ad
allargarsi, il modello fordista ha dovuto cedere il passo ad un nuovo tipo d’impresa,
l’organizzazione market-oriented (figura 2).
giorno.
1.2 L’impresa a rete
I meccanismi so
completamente diversa da quella del passato: la struttura cosiddetta “a rete”.
Tale conformazione
o
zazione, infatti, era quella fordista
Fonte Figura 1. Riferimenti dispensa del Corso di Organizzazione d’impresa e gestione delle Risorse
Umane, prof. Boldizzoni, Università IULM, anno 2005/2006.
I confini organizzativi erano forti e stabili, in modo da separare nettamente l’impre
dall’ambiente e ottenere così una maggiore efficienza produttiva; la parte dominante era
il nucleo tecnico-produttivo, che svolgeva l’attività fondamentale; le altre unità
funzionali erano di minore importanza ed esis
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Figura 2. Modello di impresa market-oriented
Fonte Figura 2. Riferimenti dispensa del Corso di Organizzazione d’impresa e gestione delle Risorse
Umane, prof. Boldizzoni, Università IULM, anno 2005/2006.
I confini con l’ambiente sono diventati meno consistenti e più permeabili, per consentire
all’impresa di avere contatti con consumatori e clienti più esigenti ed anche con altre
imprese; il nucleo tecnico-produttivo si è ridimensionato, per lasciare spazio alle unità
di confine; esse si sono ingrandite e hanno cominciato ad occuparsi dell’attività
fondamentale dell’organizzazione, che è passata dalla produzione dell’azienda fordista
al contatto col mercato; tali unità, quindi, hanno iniziato a gestire le risorse in uscita e
non più quelle in entrata, diventando delle “divisioni”, ognuna dedicata ad un certo
segmento dell’ambiente esterno.
Nello scenario economico post-industriale che abbiamo descritto nel precedente
paragrafo, però, nemmeno questo modello poteva risultare adeguato. La necessità di
flessibilità oggi è tale che le imprese hanno dovuto avvicinarsi ancora di più
all’ambiente, ormai troppo mutevole ed incerto, che deve essere presidiato in modo
costante e sistematico.
I confini aziendali non possono più esistere, neanche se permeabili come quelli delle
imprese market-oriented. Nascono così le organizzazioni “a rete”, che invece non hanno
confini – o, se li hanno, sono comunque molto labili (figura 3).
5
Figura 3. Modello di impresa a rete
Fonte Figura 3. Riferimenti dispensa del Corso di Organizzazione d’impresa e gestione delle Risorse
Umane, prof. Boldizzoni, Università IULM, anno 2005/2006.
Non avere confini significa, ad esempio, dare completa autonomia alle divisioni di
prodotto, che non dipenderanno più dal centro nelle loro scelte d’azione; significa fare
outsourcing, ossia affidare ad altre imprese alcune attività non core, se queste sono in
grado di svolgerle a costi minori o con risultati migliori; significa collaborare con altre
imprese per la realizzazione di determinati progetti, come avviene nelle joint venture;
significa avere accesso più facile all’innovazione nel momento in cui la si può comprare
da un’altra azienda della rete che l’ha già sviluppata a sue spese; e si potrebbero fare
molti altri esempi.
Si potrebbe dunque considerare l’azienda proprio come una costruzione LEGO, vale a
dire formata da tanti pezzi, tanti mattoncini, che si possono spostare, eliminare o
aggiungere con estrema facilità, secondo le esigenze, riuscendo con successo
nell’adattarsi sempre ad un ambiente ormai imprevedibile.
E’ bene tenere presente che, nell’attuale fase economica post-fordista, questi processi
avvengono ormai su scala mondiale. Infatti, sebbene già alcune imprese fordiste fossero
internazionali, esse avevano rapporti con l’estero solo per quanto riguardava le vendite:
oggi la globalizzazione permette di allargare ad altri Paesi lo spazio di tutte le attività
aziendali e di costruire reti a livello planetario.
L’impresa è composta dunque di tante unità, che si relazionano con lo scopo di
raggiungere determinati obiettivi e progetti organizzativi, costruendo delle catene
6
produttive (dette anche “catene del valore”, in quanto ogni unità aggiunge un po’ di
valore alla catena apportando le sue competenze specifiche). Tali catene hanno origine a
partire dalle esigenze del mercato; ecco perché risultano instabili e sono soggette ad una
continua ristrutturazione.
Le unità, che costituiscono dunque i nodi della rete, sono molto eterogenee tra di loro e
possono essere costituite da reparti dell’impresa, divisioni, fornitori, clienti, partner
commerciali per determinati progetti, altre imprese a cui ci si lega per mezzo di contratti
e così via.
I legami tra unità non sono più quelli gerarchici o burocratici, ma sono quelli
contrattuali, di mercato. Del resto, i nuovi sistemi informatici permettono al centro
(ormai molto piccolo) di valutare in ogni momento il lavoro di ogni unità, che ormai si
comporta come autonoma, e di capire subito quando un’attività diventa poco redditizia.
In questo caso, in un’impresa a rete, il legame contrattuale con l’unità si può rompere
con maggiore facilità rispetto a quanto accadeva nelle organizzazioni tradizionali,
permettendo così di concentrare le risorse dell’organizzazione su altri business.
In effetti, se si parla di imprese a rete pure, bisognerebbe tenere presente che il centro
decisionale non dovrebbe esistere: ogni unità dovrebbe essere completamente autonoma
nella sua attività e stabilire i suoi legami come meglio ritiene opportuno. In pratica,
però, quella delle imprese a rete pure è ancora solo una prospettiva: si può dire che la
tendenza sia di ristrutturare le organizzazioni sulla base di questo modello, ma, al
presente, le imprese non rinunciano ancora ai confini organizzativi, anche se molto
labili, e neppure al loro centro. Quest’ultimo, pur essendo di dimensioni ridotte,
continua a detenere una funzione di indirizzo per l’intero network: stabilisce quali
catene produttive siano da attivare e quali da eliminare; quali necessitino di investimenti
in termini di risorse economiche e quali di disinvestimenti; possiede i sistemi
informativi per collegare tra loro le unità, che possono comunicare in real time; ecc.
In questo modo, le imprese di oggi ottengono la flessibilità di cui necessitano riducendo
le loro attività, ma continuano allo stesso tempo a sfruttare l’esistenza di un’identità
forte come nel passato, che permette loro di avere influenza nel mercato.
In luogo di una rete pura, dunque, ci si trova in presenza di più network gestiti da
diverse imprese, che possono ulteriormente collegarsi tra loro nelle attività.
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