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Capitolo 1
Manifestazioni cliniche e laboratoristiche dell’uremia
L’uremia determina disturbi della funzione di ogni sistema dell’organismo umano. Le
principali alterazioni fisiopatologiche che si riscontrano nei vari stadi
dell’insufficienza renale cronica sono:
1. Modificazioni dell’omeostasi dell’acqua e del sodio
2. Alterazioni del metabolismo calcio – fosforo
3. Disfunzione endoteliale
4. Infiammazione
5. Tossicità uremica
6. Patologia cardiovascolare
7. Anemia
8. Anomalie nutrizionali
Queste alterazioni si manifestano a livelli diversi di funzione renale residua valutata
attraverso la misurazione del GFR (velocità di filtrazione glomerulare) con la
clearance della creatinina o la stima dello stesso attraverso l’utilizzo di formule
comunemente accettate quali quella derivante dallo studio MDRD e quella proposta
da Crockcroft e Gault.
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Questa metodologia ha portato ad una stadiazione della malattia renale cronica in
diversi livelli in modo da identificare universalmente il grado di insufficienza renale
di cui il paziente è affetto, e in base a ciò effettuare delle previsioni e degli interventi
atti al mantenimento pù a lungo possibile del GFR
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Stadio Descrizione GFR ml/min
1 Danno renale con GFR normale >90
2 Danno renale lieve-riduzione del GFR 60-89
3 Moderata riduzione del GFR 30-59
4 Severa riduzione del GFR 15-29
5 Insufficienza renale terminale <15/dialisi
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1.1. Modificazioni dell’omeostasi dell’acqua e del sodio
Nella maggior parte dei pazienti con IRC stabile, il contenuto totale corporeo di sodio
e acqua risulta lievemente aumentato. Il processo eziologico di base può essere esso
stesso causa dell’alterazione di bilancio glomerulo-tubulare e promuovere la
ritenzione di sodio, come avviene per esempio nelle glomerulonefriti; in alternativa
un’eccessiva ingestione di sodio può determinare un bilancio cumulativo positivo e
una conseguente espansione del volume del liquido extracellulare (VEC), per
inadeguata risposta compensatoria da parte del rene ipofunzionante.
Nel paziente con IRC che non sia ancora in trattamento dialitico ma che presenti
evidenza di espansione del VEC, la somministrazione di diuretici dell’ansa
unitamente alla restrizione dell’apporto sodico costituiscono elementi terapeutici
fondamentali. Quando il GFR scende sotto i 5-10 ml/min per 1,73 m², anche le alte
dosi di diuretici non sono più efficaci. L’espansione del VEC in tali circostanze
solitamente determina la necessità di iniziare la dialisi.
La funzione renale residua è ritenuta fondamentale per il mantenimento del corretto
bilancio dei fluidi nei pazienti in dialisi. Nello studio di Konings et al
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una maggiore
espansione del VEC è stata osservata nei pazienti sottoposti a dialisi peritoneale che
presentano un GFR residuo al di sotto di 2 ml/min. Allo stesso modo, nella re-analisi
dello studio CANUSA, ogni incremento di 250 ml del volume urinario residuo è
associato alla riduzione del 36% del tasso di mortalità.
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Lo studio di Ates et al
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ha confermato l’importanza della rimozione di sodio e acqua
come valore predittivo in termini di sopravvivenza per i pazienti in dialisi peritoneale.
I pazienti che hanno un maggiore sovraccarico di volume presentano un più severo
grado di ipertrofia e dilatazione del ventricolo sinistro così come una peggiore
funzione sistolica e diastolica.
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1.2. Alterazioni del metabolismo calcio – fosforo
Le principali patologie ossee in corso di IRC possono essere classificate in due
gruppi: il primo caratterizzato da elevato turnover osseo e PTH elevato, il secondo da
ridotto ricambio osseo e PTH normale o basso. Nel primo gruppo si evidenzia il
classico quadro di osteite fibrosa, lesione caratteristica dell’iperparatiroidismo
secondario, mentre nel secondo gruppo rientrano l’osteomalacia e la malattia ossea
adinamica.
La fisiopatologia delle malattie ossee da iperparatiroidismo secondario è da
ricollegarsi a un metabolismo minerale anormale. La riduzione del filtrato comporta
escrezione ridotta e, conseguentemente, ritenzione di fosfati inorganici che agiscono
da stimolo diretto sulla sintesi di PTH.
La minore produzione di calcitriolo nell’IRC è dovuta sia ad una ridotta sintesi, a
causa della riduzione della massa renale, sia all’iperfosforemia. I bassi livelli di
calcitriolo generano un quadro di iperparatiroidismo con meccanismi diretti, mediante
ridotta inibizione della trascrizione del PTH; indiretti per diminuito assorbimento di
calcio dall’intestino, con conseguente ipocalcemia, che, a sua volta, stimola la
secrezione e produzione di PTH.
La contemporanea presenza di iperfosforemia, ipocalcemia e ridotta sintesi di
calcitriolo rappresenta il meccanismo responsabile dell’iperproduzione di PTH e della
proliferazione delle cellule paratiroidee.
Oltre alle anomalie del metabolismo osseo, una deviazione dalla norma del prodotto
calcio – fosforo ingenera calcifilassi, cioè deposizione extra-ossea di calcio nei tessuti
molli e nei vasi sanguigni.
Nonostante la patogenesi non sia del tutto chiara, si ritiene contribuiscano a questo
processo l’iperfosforemia, l’ipercalcemia, l’elevato prodotto calcio – fosforo, e le
elevate concentrazioni di PTH.
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La calcifilassi rappresenta una forma sistemica alquanto grave di precipitazione del
fosfato di calcio nei tessuti molli, associata a necrosi della cute e dei tessuti molli, che
può comportare mutilazioni delle estremità.
Le calcificazioni vascolari rappresentano una importante complicanza nei pazienti nei
vari stadi dell’IRC così come in quelli già in trattamento dialitico.
Sono localizzate sia a livello dell’intima sia a livello della tonaca media.
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Le
calcificazioni intimali sono disseminate e sono associate peculiarmente ad alterazioni
strutturali e funzionali dell’endotelio e alla presenza di infiltrati di macrofagi e cellule
muscolari lisce tipici dell’aterosclerosi. Al contrario le calcificazioni della media si
presentano con una distribuzione irregolare e il citotipo di più frequente riscontro è
caratterizzato dalle cellule muscolari lisce.
Le calcificazioni della tonaca media, conosciute anche come sclerosi di Monckeberg,
sono tipiche dei pazienti affetti da diabete e da insufficienza renale cronica e sono
responsabili dell’irrigidimento della parete arteriosa e della riduzione della
compliance vascolare, portando allo sviluppo di ipertensione sistolica, ipertrofia
ventricolare sinistra e, infine, a insufficienza ventricolare sinistra.
Vi sono numerose evidenze che supportano l’associazione tra calcificazioni
cardiovascolari e morbilità e mortalità nei pazienti in trattamento dialitico cronico.
Lo studio condotto da Wang et al
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ha evidenziato una correlazione positiva tra le
calcificazioni valvolari e la mortalità cardiovascolare e generale in una coorte di 192
pazienti in trattamento dialitico peritoneale. Alla stessa conclusione si è arrivati nello
studio di Blacher et al, condotto su pazienti sottoposti ad emodialisi.
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Secondo lo studio di Block et al, nei pazienti emodializzati, ogni aumento di 0,3
mmol/L della fosforemia correla con un aumento di rischio cardiovascolare del 6%.
Inoltre pazienti con valori di fosforo sierico compresi tra 2,1 e 2,5 mmol/L presentano
un aumento di rischio di morte pari al 18%, mentre per i pazienti con valori compresi
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tra 2.6 e 5.5 mmol/L il rischio sale al 39%.
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Sebbene sia noto da anni che nei soggetti con IRC il sistema vascolare sia interessato
da estese calcificazioni, solo di recente, grazie a numerose evidenze sperimentali, è
emerso che il processo di calcificazione non è un meccanismo passivo di deposizione
di cristalli di idrossiapatite, ma è un meccanismo attivo che coinvolge sistemi
molecolari e cellulari tipici dell’osteogenesi.
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Nel diabete mellito e nell’uremia molti
stimoli, ancora non del tutto chiari, inducono l’attivazione delle cellule muscolari
lisce vascolari (CMLV) e di miofibroblasti dell’avventizia. Queste cellule diventano
cellule tipo osteo/condrociti ed esprimono geni regolatori tipici della differenziazione
ossea e cartilaginea.
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Inoltre, numerosi fattori sistemici possono essere responsabili dell’alta prevalenza e
dell’estensione delle calcificazioni vascolari presenti nell’uremia quali i processi
aterosclerotici, il diabete mellito stesso e l’ipertensione arteriosa.
Il metabolismo minerale nell’ESRD può anche essere alterato dalle terapie
normalmente utilizzate in dialisi per controllare l’iperparatiroidismo secondario.
Molti pazienti in trattamento dialitico seguono terapie comprendenti vitamina D e
calcio carbonato o acetato per ridurre l’assorbimento intestinale di fosforo,
ripristinare i livelli di calcemia e sopprimere la secrezione di PTH. Vari studi hanno
dimostrato un’associazione tra le dosi di chelanti del fosforo a base di calcio e le
calcificazioni vascolari, probabilmente dovute a un sovraccarico di calcio e al
conseguente aumento del prodotto Ca x P.
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Inoltre, nei pazienti affetti da IRC sembra esserci una riduzione di uno dei più
importanti inibitori sistemici della calcificazione: la fetuina A. Si tratta di una
proteina negativa di fase acuta (l’opposto della proteina C reattiva, PCR) che riduce la
formazione di cristalli di calcio in soluzioni in vitro. Topi knock-out per la fetuina A
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sviluppano precocemente calcificazioni vascolari.
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In uno studio osservazionale un
livello basso di fetuina A è stato identificato come fattore predittivo indipendente di
mortalità generale e per cause cardiovascolari nei pazienti affetti da insufficienza
renale cronica.
Figura 1: diagramma di flusso per lo sviluppo di anomalie ossee, dei fosfati e del calcio
nell'insufficienza renale cronica.
Iperfosfatemia
Ridotta funzione renale
Riduzione di vit. D
Intossicazione
da alluminio
Accumulo di ß-2-
microglobulina
Riduzione del Ca
ionizzato
Iperparatiroidismo
Osteite fibroso-cistica Osteomalacia
Osteopatia
adinamica
Amiloidosi
secondaria alla
dialisi
Acidosi metabolica
Eccesso di calcio e vit. D,
dialisi peritoneale, diabete
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1.3. Disfunzione endoteliale
L’endotelio è dotato di attività autocrina e paracrina e rappresenta il maggiore
regolatore dell’omeostasi vascolare, esercitando numerosi effetti vasoprotettivi come
la vasodilatazione, l’inibizione della risposta infiammatoria e la soppressione della
crescita delle cellule muscolari lisce vascolari.
La disfunzione endoteliale è una condizione fisiopatologica caratterizzata da una
perturbazione delle funzioni omeostatiche delle cellule endoteliali che favoriscono
fenomeni di vasospasmo, trombosi, proliferazione intimale, infiammazione e rottura
delle placche, aventi come risultato l’ischemia tissutale, l’aterotrombosi e l’infarto.
La disfunzione endoteliale svolge quindi un ruolo centrale nella patogenesi delle
malattie cardiovascolari. In corso di IRC l’endotelio rappresenta un importante
bersaglio delle tossine uremiche e numerosi studi rivolti a spiegare l’alta prevalenza
delle malattie cardiovascolari in corso di insufficienza renale cronica hanno
dimostrato la stretta associazione tra disfunzione endoteliale, infiammazione e
aterosclerosi.
I pazienti affetti da IRC presentano un quadro di aterosclerosi accelerata. Una delle
cause di tale processo è proprio rappresentata dalla disfunzione endoteliale che
innesca l’aumento della permeabilità endoteliale, l’aggregazione piastrinica,
l’attivazione dell’adesione leucocitaria e la sintesi di citochine.
Ogni fase del processo aterogenetico è mediata da macrofagi e da linfociti T, mentre i
granulociti sono scarsamente rappresentati. L’attivazione di questi elementi cellulari
determina il rilascio di enzimi idrolitici, citochine e fattori di crescita che perpetuano
il danno vascolare e portano a fenomeni di necrosi focale. Si instaura così un circolo
vizioso che porta alla formazione di tessuto fibroso che forma un cappuccio (fibrous
cap) intorno ad un core lipidico e detriti necrotici.