4
norme-barriere che impediscano gli eccessi”.
2
Tale difficoltà deriva dall’assenza di una
specifica regolamentazione legislativa, che impone di far riferimento, allo scopo di
qualificare le condotte e le pratiche eutanasiche, ai principi fondamentali del nostro
ordinamento espressi dalla Carta costituzionale (artt. 13 e 32 Cost.) ed a norme dettate
con riguardo ad ipotesi diverse e più generali (art. 579 e 580 c.p.). L’eutanasia, dunque,
è un fenomeno estraneo al dato positivo, ma che, di volta in volta, può ricadere
all’interno di fattispecie dotate di rilevanza penale.
Nella parte finale verrà dato spazio alle varie angolazioni ideologiche in grado di
dare al tema soluzioni interpretative diverse, consequenziali alle scelte di fondo
inizialmente realizzate. Dalla ricostruzione delle origini culturali del fenomeno
eutanasico si giungerà alla presentazione di due tra i più recenti ed esemplificativi
progetti di legge relativi rispettivamente alla depenalizzazione dell’eutanasia ed al
divieto di essa. In essi ritroveremo principi ed opzioni di fondo propri degli
orientamenti interpretativi in precedenza analizzati.
L’intento finale di tale lavoro è quello di stimolare al dibattito il lettore, una
volta fornitogli un primo, ma indispensabile strumento per approcciarsi
responsabilmente alla problematica eutanasica.
2
L. Monticelli, Eutanasia, diritto penale e principio di legalità, in L’indice penale, n. 1/1998, Cedam,
Padova, 465 e ss.
5
CAP. 1 VERSO LA DEFINIZIONE DEL FENOMENO: EXCURSUS STORICO
Il fenomeno eutanasico ha assunto aspetti e significati profondamente diversi
nelle alterne vicende del pensiero dell’uomo. Occorre dunque evidenziare in che termini
sia stata intesa storicamente l’eutanasia, ovvero la morte serena ed indolore ( dal greco
eu - tanatos), provocata al fine di evitare le sofferenze di una lunga agonia.
3
Premettiamo che una ricognizione storica significativa dovrebbe allargarsi
all’evoluzione dell’idea della morte e del morire, soprattutto sul piano esistenziale, sia
in rapporto all’esistenza che la persona ha vissuto, sia in rapporto alle aspettative di una
vita ultraterrena. Nel mondo greco, per esempio, erano presenti diverse concezioni della
vita ultraterrena, ma l’espressione “buona morte” veniva utilizzata prevalentemente in
riferimento alle modalità con cui si concludeva l’esperienza di una vita: per un guerriero
è l’eroica morte in battaglia (si pensi ad Ettore), per un artigiano o un mercante potrebbe
essere la morte serena, circondati dall’affetto dei propri cari. Nella cultura cristiana il
concetto di “buona morte” è assorbito in quello di “morte santa” e si riferisce alle
modalità con cui ciascuno ha vissuto il proprio rapporto con Dio nella vita terrena e si
appresta (nel momento supremo) a viverlo nella vita eterna: tanto è vero che la festa di
coloro che sono stati proclamati santi si celebra nel giorno della loro morte, in quanto
“dies natalis” della vita eterna. Anche in una cultura laica si può parlare di “buona
morte”, sul piano esistenziale, soprattutto in riferimento agli obiettivi che ci si era
prefissi nella propria vita, all’eredità di affetti e di idee che si lascia alle generazioni che
verranno, al modo in cui ciascuno potrà sopravvivere nel ricordo dei propri simili.
Assumendo il termine eutanasia nel suo significato più ristretto, potremmo
tentare di farne una sorta di “storia” attraverso i secoli, individuando alcuni
comportamenti che presentano significative affinità con la pratica eutanasica odierna.
Nel mondo antico era già presente quella che potremmo chiamare eutanasia
sociale, nel senso che la società sopprimeva o abbandonava alla propria sorte persone
che potessero risultare un peso per essa. Tale pratica è attestata a Sparta, nel mondo
romano, ma anche in culture più arcaiche ,come ad esempio tra le popolazioni cannibali
dell’isola di Sumatra, e si può agevolmente supporre che i popoli primitivi uccidessero
3
G. Devoto – G. C. Oli, Il Dizionario della Lingua Italiana, Le Monnier, Firenze, 1990, 701.
6
o abbandonassero alla propria sorte tutti coloro che, in condizioni di vita durissime, non
apparivano in grado di resistere nella lotta per la sopravvivenza.
Ritornando al mondo greco possiamo ricordare un testo di Platone che, nel porre
a confronto le arti mediche con quelle giuridiche, scrive:
“Allora, insieme con tale arte giudiziaria, codificherai tu nel nostro stato anche la
medicina nella forma da noi detta? Così, tra i tuoi cittadini, esse cureranno quelli che
siano naturalmente sani di corpo e d’anima. Quanto a quelli che non lo siano, i medici
lasceranno morire chi è fisicamente malato, i giudici faranno uccidere chi ha l’anima
naturalmente cattiva e inguaribile.”
4
L’eugenia trovava una sua giustificazione nel
fatto che le esigenze della polis avevano il predominio su quelle dei cittadini, per cui la
vita dei singoli aveva senso solo se rapportata e se utile alla polis.
D’altro canto il medesimo autore si esprime in termini chiari contro il suicidio,
anche se sembra ammettere qualche eccezione; citiamo tra i diversi testi significativi
quello in cui Platone dichiara di colui che si toglie la vita:
“…privandosi violentemente della sorte assegnatagli dal destino, e che, senza che lo
stato abbia ordinato per punizione la sua morte, né che sia costretto da qualche acerba
e inevitabile sciagura capitatagli, né che sia colpito da qualche ignominia irreparabile
e tale da rendere insopportabile la vita, ma per dappocaggine e per ignavia, prodotta
da debolezza di spirito, infligge a se stesso una pena ingiusta. (…) Le tombe di coloro,
che si sono distrutti in tal modo, siano, in primo luogo, non in comune con gli altri, in
secondo luogo siano essi sepolti senza onori alle estremità delle dodici parti del paese,
in luoghi incolti e senza nome; né vi siano cippi o iscrizioni a indicare le loro tombe.”
5
Platone qualificava quindi il suicidio come un atto di ingiustizia, in quanto l’uomo in
esso affermava il possesso di una realtà che non gli era propria. La vita umana
apparteneva esclusivamente alla divinità.
Aristotele, nell’Etica nicomachea, presenta il suicida come persona che
commette un’ingiustizia nei confronti della città ed affronta specificamente anche il
caso dei malati o in genere di chi è sottoposto a situazioni di particolare disagio,
citandoli come esempio mentre parla della virtù del coraggio:
4
Platone, La Repubblica, in Opere di Platone, vol. II, trad. it. di Ruggiero Bonghi, Colombo Francesco-
Librajo ed., Milano, 1859, 125 e ss.
5
Platone, Le Leggi, in Opere di Platone, vol. II, trad. it. di Ruggiero Bonghi, Colombo Francesco-
Librajo ed., Milano, 1859, 324 e ss.
7
“Invece il morire per fuggire la povertà o la passione amorosa o qualcosa di doloroso
non è di un uomo coraggioso, ma piuttosto di un vile: è infatti debolezza lo sfuggire ai
travagli e chi s’uccide agisce non per affrontare una prova decorosa, bensì per fuggire
un male.”
6
Quanto al ruolo del medico in eventuali casi di “suicidio assistito” possiamo dire
che da un lato la prassi comune non escludeva questo tipo di azione, ma dall’altro lato il
Giuramento di Ippocrate la esclude in modo categorico: “Non darò a nessuno farmaci
mortali, neppure se richiesto, né mai suggerirò di prenderne. Manterrò
scrupolosamente questo mio giuramento con ogni forza e con tutto il mio sapere ...
Guidato dalla mia esperienza e dalle mie cognizioni, ordinerò un regime alimentare per
curare gli ammalati, salvaguardandoli da ogni male e da ogni danno.”
7
Sul suicidio in generale vi sono diverse posizioni, da quella degli stoici che lo
additano come via d’uscita non tanto rispetto ai mali della vita (questo sarebbe una
viltà), ma alla prospettiva di essere costretti a venir meno ai propri doveri di uomini
virtuosi, a Cicerone che, nel "Somnium Scipionis" così scrive: "Tu, o Publio, e tutte le
persone rette, dovete conservare la vostra vita e non dovete allontanarvi da essa senza
il comando di colui che ve l’ha data, affinché non sembriate sottrarvi all’ufficio umano
che Dio vi ha stabilito.”
8
In età medievale la riflessione sulle virtù etiche del medico si evolve nella linea
segnata da Ippocrate ed arricchendosi delle suggestioni che provengono dalla cultura
ebraico-cristiana. Anche il tema del suicidio viene affrontato in tale ottica e, fin dai
Padri della Chiesa, sono numerose le prese di posizione di quanti ne sottolineano
l’assoluta inconciliabilità con la morale cristiana: l’uomo non è padrone della propria
vita e non ne può disporre da arbitro assoluto. Tommaso d’Aquino esprime in modo
lapidario le tre motivazioni per cui il suicidio è un atto moralmente illecito, sia
nell’ottica della legge morale naturale, sia in quella della legge divina positiva. Per
l’Aquinate quindi il suicidio è assolutamente illecito per tre motivi. Primo, perché per
natura ogni essere ama se stesso, e ciò implica la tendenza innata a conservare se stessi
e a resistere per quanto è possibile a quanto potrebbe distruggerci. Secondo, perché la
parte è essenzialmente qualche cosa del tutto; ciascun uomo è parte della società, e
6
Aristotele, Etica a Nicomaco, a cura di Armando Carlini, Laterza, Bari, 1924, 87 e ss.
7
tratto da htttp://www.Lamedicinaantica-IlgiuramentodiIppocrate.it
8
G. Milano, Bioetica. Dalla A alla Z, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 1997, 126 e ss.
8
quindi è essenzialmente della collettività: perciò uccidendosi fa un torto alla società,
come insegna il Filosofo. Terzo, la vita è un dono divino, che rimane in potere di colui
il quale “fa vivere e fa morire”. Perciò chi priva se stesso della vita pecca contro Dio.
9
Infatti a Dio soltanto appartiene il giudizio di vita e di morte, secondo le parole della
Scrittura: “Io solo sono Dio, e non v'è altro dio accanto a me. Io faccio morire e faccio
vivere, ferisco e risano, e non v'è chi possa liberare dalla mia mano.”
10
Fondandosi sul
principio biblico che soltanto Dio ha il diritto di disporre della vita e della morte, gli
ebrei ed i cristiani condannarono l’omicidio sotto qualsiasi forma venisse perpetrato.
L’età moderna si presenta con diversi volti e non è possibile ricondurla
univocamente ad un unico filone di pensiero. Da un lato prosegue la linea di pensiero
che vede nel suicidio un atto immorale e contrario al bene comune della società,
dall’altro lato vi sono alcuni pensatori che sviluppano posizioni differenti. Posizione
nettamente contraria al suicidio è espressa da Immanuel Kant, sulla base di
argomentazioni laiche che si fondano sulla necessità di rispettare quell’ordine morale su
cui si fondano tutti i doveri dell’uomo.
11
Sul versante che più ci interessa, dell’eutanasia in senso stretto, compare anche il
termine in modo esplicito ed il suo uso sembra certo che risalga ad uno scritto di
Francesco Bacone del 1605:
“Dirò inoltre, insistendo su questo argomento, che il compito del medico non è solo
quello di ristabilire la salute, ma anche quello di calmare i dolori e le sofferenze legate
alle malattie; e questo non solo perché questo alleviamento del dolore, considerato un
sintomo pericoloso, contribuisce alla guarigione e conduce alla convalescenza, ma
inoltre per poter procurare al malato, quando non c’è più speranza, una morte dolce e
tranquilla; questa eutanasia è una parte non trascurabile della felicità (…). Ma nel
nostro tempo sembra che i medici ritengano loro dovere abbandonare i malati al
momento della fine; contrariamente alla mia opinione, se essi fossero zelanti
nell’adempiere il proprio dovere e di conseguenza rispettassero i propri doveri nonché
le esigenze della propria professione, non risparmierebbero nessuna cura per aiutare
gli agonizzanti ad uscire da questo mondo con maggior dolcezza e facilità. Ora, questa
9
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, vol. VI, trad. it. a cura dei domenicani italiani, Salani, Firenze,
1949 – 1975, 235 e ss.
10
La Sacra Bibbia. Antico e Nuovo Testamento, cit. da 1° Samuele 2:6, 223 e ss. – Deuteronomio 32:39,
149 e ss., trad. it. di Luigi Moraldi, Rizzoli, Milano, 1973.
11
Cfr. I. Kant, Metafisica dei costumi, a cura di Giovanni Vidari, Laterza, Roma- Bari, 1991, 279.
9
ricerca la qualifichiamo ricerca sull’eutanasia esteriore, che distinguiamo da
quell’altra eutanasia che si riferisce alla preparazione dell’anima e che poniamo fra le
nostre raccomandazioni.” Va osservato come anche in questo testo, pur tenendo conto
dell’evoluzione del dibattito sul suicidio a cui abbiamo sommariamente accennato, il
termine “eutanasia” viene utilizzato in riferimento ad un’idea di “buona morte” che
nulla ha a che vedere con le odierne proposte di legalizzazione della medesima, ma si
collega ancora all’idea di un accompagnamento del morente nel momento supremo
della sua esistenza.
12
In età contemporanea, soprattutto nel XX secolo, alla domanda eutanasica,
portata avanti da alcuni gruppi di pressione, fa riscontro un riemergere di quella che
possiamo chiamare eutanasia sociale, la quale, già presente nel mondo antico, assume
forme nuove soprattutto sul piano giuridico.
Per affrontare tale tema, possiamo sviluppare in modo più analitico l’esempio
paradigmatico della Germania, anche prima dell’avvento del regime nazista. Già
durante la Grande Guerra si assiste ad un’impennata delle morti dei malati cronici
presenti negli ospedali, anche a motivo della scarsità di cibo che rendeva oneroso nutrire
tante “bocche inutili”. Nel 1920 viene pubblicato un libro di Alfred Hoche e Karl
Binding, dal titolo “L'autorizzazione all'eliminazione delle vite non più degne di essere
vissute”, che, secondo gli autori, sono in se stesse luogo di sofferenza e provocano
sofferenza ai parenti e danno economico allo stato che, quale arbitro della distribuzione
delle ricchezze, avrebbe dovuto autorizzarne l’uccisione. La motivazione economica,
portata all’interno del dibattito tra gli scienziati, non fu certamente sufficiente a
motivare un’azione effettiva e sistematica, che invece venne con il progetto eugenetico
nazista, che collegava la necessità di eutanasia sociale nei confronti di alcune categorie
di persone con quella di preservare la purezza della razza ariana. Il primo passo verso
l'attuazione del piano eugenetico si ebbe nel 1933 con l'emanazione della "Legge sulla
prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie". La legge venne
discussa il 14 luglio. Poiché il 20 luglio si sarebbe dovuto firmare il Concordato tra
Chiesa Cattolica e Stato Nazista si ritenne politicamente più opportuno promulgarla
ufficialmente il 25 luglio successivo. L'8 ottobre 1935 venne emanata una seconda legge
per "La salvaguardia della salute ereditaria del popolo tedesco". Con essa si autorizzava
12
P. Verspieren, Eutanasia? Dall’accanimento terapeutico all’accompagnamento dei morenti, Paoline,
Cinisello Balsamo – Milano, 1985, 137-138.
10
l'aborto nel caso in cui uno dei genitori fosse affetto da malattie ereditarie.
Parallelamente venne varata un’intensa campagna di propaganda mirante a convincere il
popolo tedesco dell’opportunità sociale e dell’intrinseca bontà delle pratiche
eugenetiche (sterilizzazione ed eutanasia) e venne anche creata la "Commissione del
Reich per la salute del popolo" che si dedicò all'organizzazione della propaganda nelle
scuole, negli uffici pubblici e nel Partito Nazista. La Direzione Sanitaria del Reich creò
in tutta la Germania circa 500 "Centri di consulenza per la protezione del patrimonio
genetico e della razza". I medici che li dirigevano furono incaricati di raccogliere tutti i
dati necessari per stimare quale parte della popolazione dovesse essere sterilizzata e
controllare le nascite di bambini deformi o psichicamente disabili. Si giunge così alla
preparazione prossima dei provvedimenti direttamente eutanasici nei confronti di quei
bambini che il “monitoraggio” aveva individuato. A dare inizio al processo di eutanasia
fu un ordine scritto di Adolf Hitler retro-datato al 1° settembre 1939 (in realtà emanato
in ottobre) su carta intestata della Cancelleria. Il testo recitava:
"Il Reichsleiter Bouhler e il dottor Brandt sono incaricati, sotto la propria
responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da loro nominati,
autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo
l'umano giudizio, previa valutazione critica del loro stato di malattia.”
In tal modo la pratica di eliminazione fisica dei malati gravi e dei minorati
psichici trovava la sua copertura giuridica. Venne subito creato un centro di
coordinamento dell’intera operazione che trovò la sua sede in un villino espropriato ad
un ebreo, a Berlino in Tiergartenstrasse n. 4 (di qui il nome in codice dell’intera
operazione: “Aktion T 4”). La procedura può essere riassunta in alcuni passaggi
essenziali: invio, a tutti i responsabili di ospedali psichiatrici, di generici questionari,
apparentemente miranti a censire la capacità lavorativa dei soggetti inabili; sulla base
dell’analisi di tali questionari (senza visitare il malato) una commissione di esperti
decideva quali dovessero essere soppressi; tali persone venivano poi prelevate dagli
ospedali, trasportate con pullman dai finestrini oscurati nei centri di eliminazione (di cui
non si comunicava la destinazione e scelti in genere lontani dal luogo di cura, per
depistare i parenti delle vittime), dove erano state predisposte delle camere a gas
mascherate da docce e si procedeva all’uccisione; ai parenti veniva inviata una lettera
standard che annunciava la morte per una causa qualsiasi. Si avvertiva che per ragioni