“Il Nuovo Stile” a Lucca
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La parte della città interessata dal grande fermento edilizio di fine Ottocento ed inizio Novecento,
all’interno della quale possiamo distinguere tre zone: la zona nei pressi della stazione ferroviaria,
quella di via Matteo Civitali, vicino Borgo Giannotti e quella posta lungo la via Sarzanese, la strada
di collegamento con la città di Viareggio, che proprio in quegli anni andava acquistando lustro
come luogo di villeggiatura. La maggior parte degli edifici eretti in queste zone presentano una
struttura che rimane legata al modulo dell’abitazione unifamiliare a due piani, e solo alcuni elementi
decorativi si possono ascrivere al “nuovo gusto”.
Vedremo quale tipo di “abbellimento” ogni famiglia borghese sceglie per la propria dimora: c’è chi
decora la facciata con stucchi o con fregi di cemento o di ceramica a disegni zoomorfi; chi adorna
gli stipiti delle finestre con dei bassorilievi, chi fa dipingere il sottogronda. Altri rimandano “il
bisogno di decorazione” alle belle cancellate in ferro battuto come quelle prodotte dalla Ditta Guidi.
Alcuni abbelliscono l’interno della propria casa con affreschi o con pavimenti a marmette, come
quelle prodotte dalla Ditta Tesseri di Borgo Giannotti. Altri, invece, sceglie di adeguarsi alla moda
ponendo nei giardini dei vasi in cemento come quelli realizzati dalla Ditta Rugani di Ponte a
Moriano.
L’ampia diffusione di queste decorazioni mette in risalto l’attività svolta dall’Accademia di Belle
arti di Lucca nell’istruire e formare i nuovi artigiani locali. All’interno di essa si discuteva sul
metodo d’insegnamento e sul rinnovamento degli istituti di formazione artistica, come avveniva in
tutta Italia, e circolavano interessanti riviste d’arte come quella di Boito.
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Anche in “città” l’opinione pubblica si divideva tra conservatori e coloro che avevano piena fiducia
nel progresso, come dimostra anche la pubblicazione de “Il progresso”, attenta alle attività dei
valenti imprenditori lucchesi quali Balestreri e Niemack ed altri.
Sottolineamo che, anche se la realtà lucchese è sempre stata definita “provinciale”, in più esempi
possiamo confermare che così provinciale non era, se prendiamo in esame lo sviluppo di alcune
aziende, in particolare nella zona di Ponte a Moriano. E anche se certi stilemi, chiaramente Liberty,
a Lucca furono adottati timidamente, non fu certo per mancata conoscenza, da parte degli artigiani
lucchesi, quanto per reiterato attaccamento dei committenti, alle tradizioni locali. Committenti che,
appartenendo ad una generazione di proprietari terrieri e di commercianti, non amarono molto certi
stili “fantastichetti”, ma non vollero nemmeno rimanere fuori dalle nuove mode in campo edilizio,
come dimostra l’adozione anche di solo piccoli elementi decorativi (come i reggiterrazzo in
cemento). Degli stessi fu tale la diffusione che ai più non sembrò importante ricordare da chi erano
stati fabbricati. Infatti anche le semplici ditte di laterizi a volte rifornivano oggetti in cemento o
mattonelle. Si trattava di una produzione talmente comune che non ha nemmeno incentivato negli
anni la redazione di una bibliografia appropriata; anzi è quasi sempre rimasta ai margini rispetto
all’edilizia. Tale produzione appartiene ad un passato talmente recente che l’unica via per tracciarne
una storia è quella del ricordo, infatti molto utili in questa ricerca, sono state le notizie ricevute dai
nipoti, in rari casi dai figli di quegli artigiani del cemento.
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1. “Un miracolo economico”, l’economia della Toscana e della Provincia di Lucca
alla fine dell’ Ottocento ed agli inizi del Novecento.
Già nel 1862 “….il giovanissimo Regno d’Italia compie un atto di affermazione, deliberando di
prender parte alla Esposizione Internazionale di Londra…”(1). Anche Lucca vi partecipa, inviando
ben 42 espositori, provenienti da tutta la provincia, ed alcuni cittadini-operai meritevoli di modo che
osservassero le principali fabbriche inglesi. Questo avvenimento rappresenta un passo verso la
ripresa economica della provincia lucchese. Da quando il Duca Carlo Lodovico cedette il proprio
ducato al Granducato di Toscana, a Lucca “…dal 1847 al 1860 nessuna opera di pubblica utilità
venne attuata, ne di edilizia ne di viabilità…”(2) per questo i lucchesi abbracciarono, dapprima la
causa dell’annessione al Piemonte (3), e poi quella di una Italia unita. Tale progetto fin dall’inizio
presentava grossi problemi sociali come l’analfabetismo e l’arretratezza della classe contadina.
Molti italiani, di fronte alle incertezze economiche ed all’incombenza di tasse sul proprio operato,
pensarono bene di recarsi a cercar fortuna in altri paesi. Nel 1861 si contavano 194 emigranti
lucchesi, 986 nel 1881, nel 1887 la cifra sale a 3428 anime, fino a raggiungere nel 1906 le 10279
unità (4). Gran parte di costoro mantenevano i legami con la propria terra natia favorendo il
commercio dei prodotti lucchesi all’estero, altri ritornarono a Lucca con i risparmi accumulati per
edificare la propria abitazione e, spesso, per iniziare qui una propria attività. Non dobbiamo
dimenticare però che per molti la ricerca di fortuna all’estero non ebbe buon esito e ritornarono più
poveri di prima.
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1 E. Lazzareschi- F. Pardi, “ Lucca nella storia dell’arte e nell’industria”, edito a cura dell’ Unione fascista degli
industriali della provincia di Lucca; A. benedetti, Pescia, 1941, paag.309.
2 Op. cit. pag. 304.
3 E’ del 1859 la proposta Mansi- Massei di annettere il Parlamento Toscano al Piemonte, op. cit., pag. 307.
4 E. Lazzareschi – F. Pardi, op. cit., pag. 314.
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Comunque l’afflusso di capitali dall’estero contribuì al rapido sviluppo economico che interessò
l‘Italia durante il periodo giolittiano (5), gli inizi del secolo e la guerra in Libia. Il nostro paese
rappresentò “un miracolo economico”(6), così definì quel preciso periodo Benedetto Croce.
Nel periodo considerato, che va dal 1861, cioè all’indomani dell’Unificazione del Paese, al 1911, in
Toscana il settore produttivo più attivo rimaneva comunque quello agricolo. Le industrie erano
poche e fra esse emergevano soltanto: il cantiere “Orlando” di Livorno, alcuni cotonifici a Pisa ed a
Lucca, la fabbrica di ceramiche di Doccia, la fonderia Pignone, la Saint Gobain di Pisa, il Lanificio
Pratese (7). Le attività più importanti rimanevano quelle commerciali ed artigianali, come la
lavorazione della paglia.
A monte del veloce progresso economico, che si stava sviluppando, vi era una nuova fonte
energetica: quella elettrica, nella quale molti videro la possibilità di far crescere il settore industriale
(8). Quest’ultimo era stato fino ad allora frenato dalla mancanza di disponibilità di carbon fossile,
che avrebbe dovuto essere importato dall’estero col conseguente innalzamento dei prezzi e la
mancanza di competitività.
Fu il tecnico ed uomo politico Giuseppe Colombo (9) che, avendo visto a Parigi all’Esposizione
Universale del 1880 il primo impianto al mondo di illuminazione elettrica, promosse la costruzione
della principale centrale elettrica in Italia (10). Da qui prese l’avvio l’installazione di numerose
centrali elettriche in tutto il paese. “….In Toscana mentre nel 1898 vi era una potenza installata di
5509 kw ( di cui 4603 di provenienza termica), nel 1918 tale potenza era di ben 82.164 kw. Ma già
nel 1911, come risulta dal censimento industriale (….). essa superava i 31.000 kw “ (11);
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5 Il I° Ministero di Giolitti è del 1892-1893, il II°ministero degli anni 1903- 1914.
6 B. Croce, “ Storia d’Italia dal 1871 al 1915”, Gius. Laterza & Figli, Bari 1928.
7 G. Mori: “L’industria toscana fra gli inizi del secolo e la guerra di Libia”, in “ La Toscana nell’Italia unita: aspetti e
momenti di storia toscana, 1861-1945”, Unione regionale delle provincie toscane, Napoli, 1962, pag.221-228.
8 “…Le Società Anonime del settore, che nel 1898 erano appena 40 con un capitale investito di poco più di 89 milioni,
erano salite nel 1914 a 258 con un capitale investito di 559.000.000 …..”, Op. cit. vedi nota 7, pag. 231.
9 G. Colombo, ingegnere milanese (1836-1921), deputato, quindi ministro, fu presidente della Camera dal 1899 al 1900
durante il “II° Gabinetto Pelloux”, e poi senatore.
10 Si tratta dell’Impianto di San Radegonda che segna la nascita della “Edison”.
11 G. Mori, Op. Cit. pag 231.
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nel 1897 fu fondata da un gruppo di capitalisti ( Carlo Kapp, Emilio Fierz, Rudolf Cohen), diretti
da Franco Magrini, “ la Società toscana per le imprese elettriche” con un capitale di 2.000.000 di
lire, che nel 1911 era già salito ad 8.500.000.
Nel 1905 nascevano la “ Società mineraria ed elettrica del Valdarno e nello stesso anno, a Livorno,
la terza grande società “ Ligure-toscana di elettricità” con un capitale di un milione di lire, che nel
1911 era salito a 7.000.000.
Spetta a questa società il merito di aver costruito il primo impianto idroelettrico di una certa
importanza in Toscana, quello sul fiume Lima ( che è il maggiore affluente del fiume Serchio)
con prese al “Giardinetto”, nei pressi di Bagni di Lucca, con una potenza installata di 6000 kw
(12). Come sappiamo questa zona era molto adatta allo sviluppo di questo settore industriale per la
grande presenza di corsi d’acqua. L’ energia elettrica fu largamente utilizzata sia per
l’illuminazione pubblica, in sostituzione del gas, che per le industrie manifatturiere .
A riguardo risulta simpatica la lettura del piccolo articolo tratto da “Il figurinaio”, giornale lucchese,
( attorno al quale ruotavano gli industriali locali), del 1°dicembre 1889 intitolato: “La luce elettrica
a Lucca”....
Lettore possiedi tu una casa, un negozio, un caffè, uno stabile qualunque? -No
Allora quest’articolo non è per te .....ne per me.
una poderosa società tedesca rappresentata dai Sigg Niemack e Henry, tratta di
regalare, valendosi della forza motrice del Serchio, l’illuminazione elettrica a Lucca.
Con ciò è terminato il regno di tutti quelli svariatissimi moccoli, di preadamitica
memoria, che hanno fino ad ora costretto il mondo ad andare a letto al buio!
Ma in particolare beneficiarono di questa nuova fonte energetica i capaci imprenditori
proprietari delle manifatture lucchesi come quelle presenti nella zona di Ponte a Moriano.
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12 “... le risorse idrauliche per la produzione della energia elettrica traggono origine dal bacino del Serchio e dal suo
principale affluente Lima; mentre gli altri affluenti secondari, come la Turrite, il Corfino, l’Ebron ecc. hanno
impianti...minori”, Lazzareschi-Pardi, Lucca nella storia, nell’arte e nell’industria, A.Benedetti, Pescia, 1941, pag. 358
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1.I La zona industriale di Ponte a Moriano.
A Lucca la nascita dei primi impianti industriali interessa proprio le zone poste lungo le
sponde le fiume Serchio: Ponte a Moriano e le località dette del “Piaggione” e dell’ “
Acquacalda”, situate appena fuori la città verso nord.
Furono questi i siti che attirarono l’attenzione di un giornalista del quotidiano “La Nazione”,
Antonio Morosi (1), il quale nel 1894 si apprestava a svolgere, per la sua redazione, una ricerca
sulle industrie della Toscana.
I suoi viaggi attraverso le provincie toscane fruttarano 27 articoli. Quelli che trattano delle industrie
lucchesi sono pubblicati sulla “ Nazione” dal 5 al 9 luglio 1894.“.... A Lucca numerose le industrie
e floridi i commerci” (2); “...a Ponte a Moriano gli era parso di essere nel cuore del dinamismo
economico, che invece altre realtà ...ancora non conoscevano ...”(3); il Morosi rimase colpito dalla
organizzazione delle imprese che visitò, alimentate grazie alla diga fatta costruire dal Balestreri che
forniva l’energia di circa 2000 cavalli.
Emanuele Balestreri era un facoltoso imprenditore, proprietario dell’ omonimo jutificio: uno
stabilimento progettato dall’ingegnere James Smith, “...che è addirittura un paese...” (4).
Questo stabilimento era molto ampio ed era strutturato come una comunità. Accoglieva infatti
circa 2000 operai, alcuni dei quali disponevano anche di una abitazione nei dintorni dell’azienda
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1 Antonio Morosi pubblicava i suoi scritti anche sul giornale “Lo Staffile” e il “Germinal”diretto da Enrico Corradini.
2 A. Morosi, “ La città industriosa, Lucca alla fine dell’Ottocento”, a cura di Umberto Sereni, M. Pacini- Fazzi editore,
Lucca, 1997, pag. 41.
3 Op. cit. pag. 22.
4 Op.cit. pag 59.
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e di luoghi di svago impiantati lì apposta. Balestreri aveva fatto realizzare una tramvia per il
trasporto degli operai provenienti dalla campagna lucchese “...A Ponte a Moriano, al Piaggione e
all’Acquacalda sorgono le prime industrie e nasce il primo collegamento diretto fra città e
campagna grazie ai trenini Lucca-Ponte a Moriano “Adele” e “Vittoria”. Le due locomotive
entrano ed escono sostituendosi in parte alla diligenza e al calessino a tre seggiolini...”(5).
Il Morosi il 5 luglio visita il lanificio Burlamacchi posto sui “Fossi coperti”, in cui, sotto la
direzione del signor Bevilacqua, viene prodotta lana per materassi.
Dopodiché passa al mulino della Ditta Lazzareschi e Lazzeroni, detto di San Jacopo, diretto da
Pompeo Fabroni: qui si lavora, all’occorrenza, anche con una macchina a vapore di 80 cavalli.
A Ponte a Moriano, oltre la già menzionata ditta Balestreri, ci sono le ditte Sciaccaluga, Wiemsok,
Davini. Quest’ultima era di proprietà di Giuseppe Davini e produceva materiali in ferro e legno:
rocchetti per la filatura e bottoni d’osso.
Al “Giannotti” Morosi visita la “filanda a fuoco” di M.Fontana (6), ed a Ponte a Moriano le tre
filande: oltre la già citata Ditta G.Davini e C., la A.Nieri e quella di Carlo Pierotti.
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5 G.Lera, “Aspetti del mondo culturale lucchese tra la fine dell’ ‘800 e la metà del ‘900”,Arte della stampa, Lucca
1995, pag. 1.
6 Rispetto alla filanda a vapore questa presentava delle bacinelle riscaldate con un fornellino.
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Dobbiamo sottolineare come “...le due grandi fabbriche tessili che sorgono in Lucchesia a partire
dal 1880, trasformano larghi strati di popolazione femminile e infantile in forza lavoro capace di
procacciare i pochi centesimi al giorno, che servono comunque a sollevare la misera economia
della famiglia contadina...”(7).
Infatti, nella zona chiamata Acquacalda vicino a Marlia, sorgeva la Fabbrica Italiana di filati
cucirini, la C.Niemack e C.. Questa Ditta si avvaleva del primo impianto di trasmissione elettrica
a distanza, realizzata dal Tecnomasio di Milano; ed al suo interno erano impiegate 600 operaie.
Altra ditta di cotoni filati era quella di Carlo Sciaccaluga e C. “al Piaggione” (a cinque chilometri da
Ponte a Moriano); anche qui vi era un impianto di luce elettrica realizzato dal Tecnomasio.
Sempre all’Acquacalda sorgevano le cartiere dei fratelli Giacomelli e la Ditta Dardi, produttrice di
amido e ciprie di riso. “ ...in conclusione, erano localizzati lungo i 13 km e 300 mt del condotto più
di 40 opifici...” (8).
La fiducia verso lo sviluppo economico e l’operato di questi imprenditori venne esaltato dalle
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7 F. Petrini, “Aspetti dell’industrializzazione in Lucchesia, 1880-1901”, Documenti e Studi, semestrale dell’ist.Storico
della Resistenza in Provincia di Lucca, pag. 10.
8 F.Petrini, Aspetti dell’industrializzazione....., op. cit. pag. 16.
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pagine del settimanale “Il Figurinaio” diretto da Carlo Paladini (9).
Questo excursus ci consente di avere un’ immagine della fiorente zona di Ponte a Moriano ed
introduce l’argomento a noi più caro, quello della produzione di laterizi.
A Lucca la fornace più importante era quella a vapore di Casentini e Piegaia che si trovava a Monte
San Quirico e produceva mattoni forati, embrici, mattoni volterrani e tubi per acqua. Il materiale
veniva cotto in una grande fornace a fuoco continuo alimentato da sansa, carbone e torba. La ditta
Casentini fabbricava oltre ai laterizi, lavori d’ornato come statue, fontane, capitelli.
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9 Questo settimanale fu pubblicato a partire dal 1889. Il Direttore responsabile allora era Ezio Pardocchi. Nelle pagine
del “Figurinaio” si lodavano il progresso e gli imprenditori: Sciaccaluga, Niemack, Spada, Balestreri. Quest’ultimo fu
anche proposto come candidato, nelle elezioni Amministrative del 1890 insieme a Angelo Giambastiani,Arnaldo
Gemignani, Francesco Matteucci.