2
Per ben comprendere tale realtà è opportuno innanzitutto
sottolineare che i reati di falso non figurano tutti nel codice
penale, ma sono spesso previsti e regolati in diversi testi
legislativi.
Volendo fare qualche esempio, si considerino i reati di false
comunicazioni sociali e di falso in bilancio, previsti e regolati nel
codice civile (art. 2621); il reato di “false certificazioni o
comunicazioni degli amministratori delle società di revisione” di
cui all’art. 14 del D.P.R. 136/75; il reato di “soppressione,
distruzione, falsificazione o sottrazione di atti, documenti o cose
concernenti la forza, la preparazione o la difesa militare dello
Stato”, nonché l’agevolazione colposa a commetterlo, puniti
rispettivamente dagli artt. 85 e 97 del codice penale militare di
pace.
Nell’ambito della Parte Speciale del codice penale, poi, i reati
sui quali si appunta la nostra attenzione sono diversamente
sistemati secondo criteri che attengono al particolare interesse di
volta in volta tutelato. Così se è vero che la maggior parte di essi
è prevista nel titolo VII del libro II (delitti contro la fede
pubblica), è anche vero che molti si rinvengono altrove: la falsa
testimonianza, la falsa perizia od interpretazione, la falsa
denuncia (simulazione di reato) o la falsa incolpazione di reato
(calunnia e autocalunnia) si ritrovano nel titolo III, tra i delitti
contro l’amministrazione della giustizia; la “falsificazione,
soppressione o sottrazione di atti o documenti concernenti la
3
sicurezza dello Stato” e la relativa agevolazione colposa sono
classificati tra i delitti contro la personalità dello Stato, e così
via.2
La tecnica legislativa di cui si è detto, poi, ha comportato
un’ulteriore, negativa conseguenza: il sistema che ne è scaturito,
a causa dello spiccato particolarismo che lo connota, risulta
spesso lacunoso3 e sprovvisto dei mezzi necessari per colmare gli
spazi lasciati vuoti dal legislatore. Una situazione del genere ha
inevitabilmente favorito la giurisprudenza, la quale, nel corso
degli anni, è venuta privilegiando un’interpretazione estensiva e
formalistica delle varie norme incriminatrici, con conseguenze
assolutamente negative sul piano della certezza e della tassatività
delle incriminazioni. Il pericolo maggiore è dato dall’eccesso di
repressione che ne potrebbe derivare, attraverso l’attribuzione di
rilevanza a fatti sostanzialmente innocui, e comunque carenti di
apprezzabile lesività. 4
2
Esempi tratti da CANTARANO “Le falsità documentali nella giurisprudenza”, PD ’71
p.1
3
Se è vero infatti che l’originario intento del legislatore è stato quello di prevedere tutte le
possibili forme di falsità, è vero anche che l’evoluzione della società e i progressi della
tecnica pongono sempre nuove esigenze, rispetto alle quali l’attuale disciplina si rivela
assolutamente inidonea.
Ci si riferisce, in particolare, alla necessità – sempre più avvertita – di apprestare
un’efficace tutela per il c.d. documento elettronico, evitando (o quanto meno
regolamentando) quelle manipolazioni informatiche che rappresentano a tutt’oggi un
fenomeno sempre più diffuso e preoccupante.
4
FIANDACA-MUSCO op. loc. cit.
4
Di fronte ad una situazione siffatta, si impone innanzitutto un
obiettivo: determinare con esattezza l’essenza della categoria,
andando ad individuare il ‘sostrato’ comune alle – pur molto
diverse – fattispecie criminose.
2. Essenza dei reati di falso: impostazione del
problema
L’individuazione delle caratteristiche comuni alle varie ipotesi
di falso deve ragionevolmente avvenire attraverso la
chiarificazione del significato che tale termine assume nel
linguaggio giuridico.
Orbene, la nozione di ‘falso’ è essenzialmente negativa: falso,
infatti, è tutto ciò che non è vero, che non risponde a verità.
Un’indicazione ulteriore, poi, è fornita dall’etimologia della
parola, la quale deriva dal latino ‘fallere’, che significa
‘ingannare’. Ciò rende evidente come in ogni tempo il falso abbia
avuto attinenza ad una condotta umana ingannevole, destinata,
cioè, a porre in essere una situazione capace di far apparire la
realtà diversa da quella che è.5
Con ciò, tuttavia, si è detto tutto e niente.
5
Vd. in tal senso SCARLATA-FAZIO “Falsità e falso” in Enciclopedia del diritto vol.
XVI; MIRTO “La falsità in atti”, MI ’55 pp. 5 e 33; ANTOLISEI op. ult. cit. p. 57;
MALINVERNI “Fede pubblica (dir. pen.)” in Enciclopedia del diritto vol. XVII p. 72;
DINACCI “Profili sistematici del falso documentale”, NA ’87 p. 1
5
Posto, infatti, che il falso implica l’inganno, la creazione di
un’apparenza non rispondente a verità, è di immediata evidenza
che non ogni condotta avente queste caratteristiche assume
rilevanza nell’ambito dell’attuale sistema penale.
Il problema è, in effetti, tutto qui: determinare i caratteri
specifici del ‘falso giuridico’, sì da poterlo chiaramente
distinguere dal falso cd. ‘naturalistico’.
Orbene, al fine di individuare il confine tra ciò che è
penalmente rilevante e ciò che non interessa al diritto, un dato di
fondamentale importanza dev’essere tenuto presente: in ogni
caso la norma penale vieta e punisce una condotta ritenuta lesiva,
idonea cioè a ledere o porre in pericolo un particolare interesse.
Risulta quindi chiaro che solo il falso idoneo ad offendere
l’interesse tutelato dal legislatore merita di essere punito,
risultando di conseguenza lecite tutte quelle condotte che, pur
concretando una ‘immutatio veri’, non presentano tale
caratteristica.
Il principio appena enunciato, peraltro, non è una conquista dei
giorni nostri: già Ippolito De’ Marsilii, nei suoi ‘Consilia’6,
affermava che “falsitas quae nemini nocet non punitur”, e
affermazioni analoghe si ritrovano in moltissimi pratici del
Medioevo7.
6
IPPOLITO DE’ MARSILII “Consilia” 1623, cons. 120, n. 24
7
Vd. per qualche esempio MALINVERNI op. cit. p. 76 n. 63
6
Il legislatore italiano del 1930, poi, ha condiviso tale
orientamento: lo dimostra la Relazione Ministeriale, la quale, nel
giustificare la soppressione – a proposito del falso in atto
pubblico – dell’inciso “ove ne possa derivare pubblico o privato
nocumento” (che compariva nell’art. 275 del codice Zanardelli),
dichiara che la stessa “non può assolutamente apparire in
contrasto con le fonti e resta perfettamente vero che falsitas non
punitur quae non solum non nocuit, sed nec erat apta nocere”.8
In altre parole, la Relazione Ministeriale vuole precisare che la
eliminazione di qualunque riferimento normativo al nocumento
non toglie valore al principio sopra enunciato, secondo il quale al
falso penalmente rilevante inerisce la idoneità lesiva di cui si è
detto.
La stessa dottrina in gran parte si pone lungo questa scia: il
Manzini, ad esempio, nel commentare la nuova disposizione (art.
476), statuisce che “se in concreto risulta che la falsità non è
suscettiva di produrre alcun danno, pubblico o privato, il delitto
non sussiste, perché non esiste una falsità giuridicamente
considerabile”9.
Assodato, quindi, che per essere penalmente rilevante la falsità
dev’essere idonea a ledere l’interesse tutelato dal legislatore, un
ulteriore passo avanti dev’essere compiuto: si tratta di stabilire
8
Relazione Ministeriale al progetto definitivo del codice penale vol. II p. 247, n. 513
9
MANZINI “Trattato di diritto penale italiano” vol. VI p. 833; concordano con lui, tra gli
altri, ANTOLISEI op. cit. p. 69; CATELANI “I delitti di falso”, MI ’89 p. 16; BETTIOL
“Ancora in tema di falsità ideologica” in Archivio Penale ’61, I, 250
7
quale sia tale interesse protetto o, il che è lo stesso, di individuare
l’oggetto giuridico dei reati di falso.
Qui sta, in effetti, il punto nodale di tutta la problematica
inerente alla falsità: è evidente, infatti, che è possibile costruire il
falso come categoria unitaria solo dimostrando che la ratio delle
varie norme in materia è unica, costantemente ricorrente nelle pur
diversissime ipotesi attualmente previste.10
10
CARNELUTTI “Teoria del falso”, PD ’35 p. 2, andando contro la dottrina dominante,
ritiene assolutamente “vano e infecondo” occuparsi dell’oggetto giuridico dei reati di falso.
Egli, in particolare, afferma che le varie dispute insorte intorno a tale problema si risolvono
in pure e semplici “questioni verbali”, assolutamente insuscettibili di garantire un qualche
progresso alla scienza del diritto. Per questo motivo la sua attenzione si ferma unicamente
sull’oggetto materiale, il quale, su di un piano schiettamente giuridico, viene identificato
nella prova.
DELITALA “Concorso di norme e concorso di reati” in Rivista italiana di diritto penale
’34 pp. 109, dal canto suo, seguendo il Liszt ritiene i delitti di falsità caratterizzati non
dalla direzione dell’aggressione, ma semplicemente dal mezzo attraverso il quale essa si
concreta.
Più precisamente, secondo l’Autore l’ordinamento punisce il falso non già perché lesivo di
un interesse giuridico autonomo e ben determinato, ma in quanto mezzo di aggressione
particolarmente grave, suscettibile di offendere i più svariati interessi (ad es. patrimonio,
amministrazione della giustizia, ecc.).
La tesi appare inaccettabile: la falsità in sé altro non è che una delle possibili modalità
dell’azione, la quale da un lato non si riscontra in alcune fattispecie pur ricomprese tra i
reati in esame (cfr, ad es., l’art. 464 cp), dall’altro può individuarsi (come ‘immutatio veri’
diretta ad ingannare) in ipotesi criminose estranee alla categoria (es. truffa, frode fiscale,
ecc.).
Come annunciato nel testo, quindi, l’individuazione dell’oggetto giuridico costituisce
l’unica via attraverso la quale tentare di costruire i reati in esame come categoria unitaria.
8
3. L’oggetto giuridico
a) la fede pubblica - origini
La problematica inerente alla determinazione dell’oggetto
giuridico dei reati di falso da tempo divide la dottrina (italiana e
straniera), la quale è venuta elaborando concezioni molto diverse
tra loro.
La tesi tradizionale, dalla quale è bene partire, è quella che,
concentrando l’attenzione essenzialmente sui delitti di cui al
titolo VII del libro II , ravvisa nella ‘fede pubblica’ il bene
giuridico protetto dalle varie norme in tema di falsità. 11
Per comprenderne appieno la portata è opportuno innanzitutto
cercare di chiarire il concetto di ‘pubblica fede’. A tal fine
riteniamo utile accennare, sia pur brevemente, all’evoluzione che
esso ha subito.
Nella sua versione originaria, il concetto in esame si ricollegava
ad un ben preciso presupposto: si assumeva l’esistenza di un
‘diritto alla verità’, un interesse della società, cioè, alla verità di
determinati fatti, meritevole di tutela penale.12
11
Seguono tale orientamento, tra gli altri, CATELANI op. cit. pp.4 ss.; CANTARANO
op. cit. p.1-2; MANZINI op. cit. pp.501 ss.; MIRTO op. cit. pp.74-75 e 79 ss.;
ZUCCALÀ “Errore del pubblico ufficiale sulla veridicità della dichiarazione e falso per
alterazione in atto pubblico” in Giustizia Penale ’53, II, 129 ss.
12
Vd. in proposito GALLO E. “Il falso processuale”, PD ’73 p.11, il quale ravvisa nella
dottrina tedesca la culla di tale tesi: non a caso egli cita autori come CUCUMUS “Uber die
Einteilung der Verbrechen”, in Arch. K. R.., vol. X, 1829, pp.528 ss.; ESCHER “Die
9
Sin dall’inizio, però, tale concezione si è rivelata inaccettabile.
In estrema sintesi, ad essa si è obiettato che tale preteso diritto
alla verità è un’entità assolutamente inconsistente sul piano
giuridico, come dimostra il fatto che, oggi come ieri, non ogni
menzogna si rivela meritevole di punizione.
Riportando il ragionamento ai giorni nostri, va rilevato come
non solo sul piano normativo, ma anche – e prima di tutto – sul
piano sociale tale preteso interesse della collettività incontri
limitazioni.
È la società, innanzitutto, a condannare talune, pur veritiere,
manifestazioni di pensiero, avvengano esse per mezzo della
parola, dello scritto, dell’immagine od altro: si pensi, per
esempio, al divieto della scurrilità e dell’oscenità, imposto –
prima che dalla legge – dalla morale corrente; si pensi anche alle
limitazioni concernenti gli apprezzamenti su – magari indubbie –
qualità fisiche o morali della persona: come è noto, infatti, la
veridicità degli stessi spesso non ne esclude l’offensività nei
confronti del destinatario, avuto riguardo alle modalità o alle
circostanze in cui si sono verificati. 13
Su questa scia, poi, l’ordinamento positivo (che è pur sempre
emanazione della collettività, di cui in gran parte riflette
Lehre von dem strafbaren Betruge und von der Falschung”, 1840 p.338; ORTLOFF
“Luge, Falschung, Betrug”, in Ger. S., vol. XII, 1862 pp.240 e 272: tutti operanti nel
secolo scorso, quando tale orientamento ha cominciato a svilupparsi. Vd anche
MALINVERNI “Teoria del falso documentale”, MI ’58 pp.191 ss
13
Vd. amplius GALLO E. op. cit. pp.12-13
10
l’atteggiamento) ha posto ulteriori limiti alla rilevanza penale del
falso. Basti ricordare – oltre alla disciplina in tema di ingiuria e
diffamazione (art. 596) – le disposizioni concernenti le
dichiarazioni rese dall’imputato o dall’indagato: esse (si tratta
soprattutto degli artt. 64 e 65 cpp.) escludono l’esistenza di un
vero e proprio obbligo del soggetto di dire la verità; e se
indubbiamente è eccessivo configurare un vero e proprio diritto
di lui alla menzogna, tuttavia, sicuramente, gli va riconosciuto il
diritto al silenzio, del quale, tra l’altro, deve essere
tempestivamente informato dal giudice14.
Non si può passare sotto silenzio, poi, l’esistenza di varie
“cause di impunità” 15 legislativamente previste (es. art. 384 cp) a
favore di chi rende dichiarazioni false o reticenti, perché spinto
dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un
grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore (nel caso
dell’art. 384 citato) o di tutelare un segreto (familiare,
professionale o d’ufficio).
Anche in questi casi ci troviamo di fronte ad una condotta di
falso, la quale tuttavia, pur integrando una qualche fattispecie
criminosa, è assolutamente sottratta a pena.
Un’ultima riflessione va fatta a proposito di questa concezione:
come rileva il Proto16, neanche da un punto di vista logico-
14Analisi tratta da PISANI, MOLARI, PERCHINUNNO, CORSO “Manuale di procedura
penale”, II ed. BO ’97 p.110
15
L’espressione è di GALLO E. op. loc. cit.
16
PROTO “Il problema dell’antigiuridicità nel falso documentale”, PA ’52 p. 96
11
giuridico è ammissibile parlare di diritto od obbligo di verità.
“Un preteso diritto astratto alla verità”, infatti, “non è mai
esistito”, né se ne rinvengono tracce nell’ordinamento positivo. E
“non è ammissibile un generico obbligo di verità” per tre ragioni:
- perché mancherebbe il corrispettivo diritto;
- perché , di conseguenza, “verrebbe concentrata la lesione del
bene giuridico nella mera trasgressione dell’imperativo”;
- perché, infine, si perderebbe ogni parametro per distinguere il
falso giuridico dal falso naturalistico. Ogni ipotesi di falso,
cioè, sarebbe da punire, contrariamente a quanto è stabilito
dall’ordinamento vigente, in linea con le consuetudini e le
aspettative della collettività.
La conclusione cui la dottrina meno recente è giunta, a seguito
del suesposto ragionamento, è semplicemente questa: la
‘pubblica fede’, intesa come espressione di un generico diritto
della collettività alla verità, non può esser identificata con
l’oggetto giuridico dei reati di falso. Il che equivale a dire che la
nota della falsità, intesa come contrapposto al suddetto interesse
alla verità, non è di per sé sola sufficiente a fondare un’unitaria
categoria di reati17.
b) segue: la concezione attuale
17
GALLO E. op. loc. cit.
12
Dimostrata l’inaccettabilità dell’originario concetto di fede
pubblica, la dottrina si è sforzata di precisarne diversamente la
portata, prestando maggiore attenzione al dato normativo.
Si è giunti così, sulle orme dell’opera fondamentale di Arturo
Rocco18, alla definizione fornita dalla Relazione Ministeriale, di
qui in avanti punto di riferimento primo per la maggior parte dei
teorici del falso.
‘Fede pubblica’ è dunque “la fiducia che la società ripone negli
oggetti, segni e forme esteriori (monete, emblemi, documenti) ai
quali l’ordinamento giuridico attribuisce un valore importante”19.
Essa si configura chiaramente come interesse collettivo, facente
capo a ciascuno non nella sua dimensione individuale (uti
singulus), ma in quanto appartenente alla collettività (uti civis)20.
I reati di falso, di conseguenza, si configurano secondo questa
tesi come fatti lesivi di un interesse generale, facente capo a tutti
e a ciascuno dei consociati.
Sul fondamento di tale interesse, peraltro, c’è stata – soprattutto
in passato – discussione: all’inizio, infatti, si riteneva che la fede
pubblica traesse origine da un comando dell’autorità, un
18
ROCCO “L’oggetto del reato e della tutela giuridica penale”, TO ’13 p.599
19
Relazione Ministeriale sul progetto definitivo del codice penale, vol. II p.242
20
MANZINI op. cit. p.503; CATELANI op. cit. p.7.
Per la giurisprudenza vd in particolare Cass. Sez. Un. 22 marzo ’69 in Mass. Amm. ’69
p.1019
13
prescritto che la imponesse specificamente in relazione a
determinati fatti o situazioni. 21
Con l’andar del tempo, invece, ci si è resi conto dello stretto
rapporto esistente tra fede pubblica e convivenza civile: sono
infatti le necessità e le consuetudini della vita sociale che la
determinano, configurandosi essa, innanzitutto, come sentimento
proprio della collettività. 22
Orbene, secondo la dottrina tradizionale (seguita, soprattutto in
passato, da una consistente giurisprudenza23) è la fede pubblica
l’interesse tutelato dalle varie norme in materia di falso.
21
Tale tesi è stata elaborata fondamentalmente dal CARRARA “Programma del corso di
diritto criminale – Parte speciale” vol. VII, PRATO 1883 p.7; seguita dal PESSINA
“Elementi di diritto penale” vol. III, NA 1895 p.189 e ripresa dallo SPASARI “Fede
pubblica e prova nel sistema del falso documentale”, MI ’62 p.6
22
MANZINI op. cit. p.502 arriva infatti a definirla come la “fiducia usuale che lo stesso
ordinamento dei rapporti sociali e l’attuazione pratica di esso determina tra i singoli o tra la
pubblica autorità e i soggetti, relativamente all’emissione e circolazione monetaria, ai mezzi
simbolici di pubblica autenticazione o certificazione, ai documenti, e all’identità o alle
qualità delle persone”.
Concorda con tale tesi anche BETTIOL op. cit. p.251
23
Vd. in proposito:
- Cass. 10 luglio ’63 in Cassazione Penale – Massimario Annotato ’63 p. 786, m. 1416
ove l’interesse protetto viene identificato nella pubblica fede, “perfezionandosi il reato
con l’offesa a questa, indipendentemente dal verificarsi di un danno, sicchè il reato
esiste anche quando la falsità sia compiuta non solo senza l’ ‘animus nocendi’ o
‘decipiendi’, ma con la certezza di non produrre alcun danno”;
- Cass. 20 gennaio ’64 n. 569 in Giust. Pen. ’64, II, 488 ove si dice che “con la
previsione dei vari reati di falsità documentale [...] la legge penale colpisce, a tutela
della pubblica fede, il contrasto con la realtà in cui il documento sia stato posto
volutamente dall’agente”;
14
A sostegno di tale opinione sono stati addotti due argomenti.
In primo luogo è stata attribuita notevole importanza alla
sistematica del codice, la quale ricomprende nel titolo VII del
libro II la maggior parte dei delitti in esame. Il fatto che il
legislatore abbia intitolato alla fede pubblica tale consistente
sezione, è stato inteso come prova evidente della validità della
tesi
24
.
La seconda argomentazione assume invece rilievo sul piano dei
rapporti sociali: in questo ambito, infatti, la fiducia riposta dalla
generalità dei cittadini in determinati oggetti e segni – lungi
dall’essere un prodotto dell’immaginazione, una finzione – ha
un’importanza notevolissima, tanto da esser considerata da molti
come uno dei presupposti necessari per il normale svolgimento
della vita in comune, e addirittura la base di gran parte delle
relazioni giuridiche25.
Entrambi tali assunti, tuttavia, appaiono criticabili.
- Corte d’Appello di Firenze 3 marzo ’69, Imp. Sampaolesi e altri, in Giurisp. di merito
’70, II, 165; Cass. 4 ottobre ’80 in Mass. Dec. Pen. ’80, m. 146.120
24
CATELANI op. cit. p.5; RANIERI “Manuale di diritto penale – parte speciale” vol. II,
PD ’62 p.587
25
Vd. in tal senso ANTOLISEI op. cit. p.62; CANTARANO op. cit. p.2; DINACCI op.
cit. p.17. FIANDACA-MUSCO op. cit. p.535 osserva che “la vita di relazione non solo
sarebbe gravemente ostacolata, ma finirebbe con l’essere del tutto inibita se ciascuno, al
momento di compiere un’operazione economica o stipulare un negozio giuridico, dovesse
sempre verificare di persona la genuinità dei mezzi di scambio, dei documenti e degli altri
mezzi simbolici di volta in volta utilizzati”.
15
Il primo, a nostro parere, non riveste alcuna decisiva
importanza: non tutti i reati di falso, infatti, sono contenuti nel
titolo suddetto (si pensi, ad esempio, alla falsa testimonianza, alla
simulazione di reato, alla calunnia e all’autocalunnia, contenuti
nel titolo III; ovvero alla falsificazione, soppressione o
sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello
Stato, di cui al titolo I), a dimostrazione del fatto che il bene
protetto è stato diversamente individuato dal legislatore in
relazione alle diverse fattispecie.
Per quanto riguarda poi il secondo, anch’esso ci appare dotato
di un rilievo secondario: come ha osservato il Gallo 26, infatti, è
per certo indiscutibile che la fede pubblica sia un sentimento
proprio della collettività; quello che serve in questa sede, però, è
ben altro, ossia la dimostrazione che si tratti di un vero e proprio
interesse, dotato di sufficiente concretezza per giustificare la
norma penale.
Questa considerazione apre la via all’analisi della più
consistente critica rivolta all’orientamento in esame: si afferma
da più parti27, infatti, che il concetto di pubblica fede è
26
GALLO E. op. cit. p.15
27
Per la dottrina più antica vd. GABBA “Saggio intorno alla dottrina e alla repressione dei
reati contro la fede pubblica” in Monit. Tribunali 1881 p.49;. FRASSATI “Della falsità in
atti” in Riv. Pen. 1894, 325; ID. “Elementi costitutivi della falsità in atti” in Suppl. Riv.
Pen. III (1894-1895), 5; MAINO “Commento al codice penale italiano”, 3° ed. MI ’12,
parte II pp.98-99; BORETTINI “Il documento nel diritto penale”, PD ’36 pp.21 ss.
Di recente si sono espressi in tal senso DINACCI op. cit. p.20; RAMACCI “La falsità
ideologica nel sistema del falso documentale”, NA ‘65 p.228; MAZZA “Offensività e