Imprenditori, manager, personale direttivo sono pronti ad ammettere la
centralità della parte umana dell'organizzazione ma nella pratica quotidiana
sembrano dimenticarsene, concentrandosi invece sul vano tentativo di
modificare la direzione del vento.
Trascurare la comunicazione, la trasmissione di cultura, valori, obiettivi, il
coinvolgimento e la crescita professionale dei collaboratori non potrà essere
colmato da progetti strategici e pianificazioni.
Contare soltanto sulla propria specializzazione tecnico-professionale,
trascurando la crescita personale, la propria eccellenza, il rafforzamento della
propria leadership, non mettendosi mai in discussione, conduce i capi verso il
rischio di inefficacia nell'affrontare i cambiamenti, sviluppare l'organizzazione
e raggiungere obiettivi.
La centralità dei capi, dell'attività di coinvolgimento e crescita professionale
del capitale umano sono i temi sui quali si sviluppa questo scritto.
L'assunto qui sostenuto enfatizza la funzione della consulenza nello sviluppo
dell'organizzazione ma anche il ruolo dei capi e della comunicazione, intesa
come passaggio di informazioni, conoscenze, esperienze e strumento per
condividere credenze e significati.
L'organizzazione è un Sistema Dinamico Non-lineare (NDS) dove il risultato
non è proporzionale alle condizioni iniziali, poiché le interazioni fra i suoi
elementi interni (persone, contesto, tecnologie, ecc.) e con altri sistemi
esterni sono molto complesse. Questo è il motivo per cui non è sufficiente
dire alle persone cosa fare e come fare per ottenere il risultato auspicato.
Il buon funzionamento dell'organizzazione si basa sull'elasticità e il
coordinamento, l'interdipendenza dei suoi elementi e la coerenza dei
comportamenti ma anche su creatività e autonomia, efficacia nel perseguire i
propri scopi, capacità di cambiare, evolvendosi in base al modificarsi del
contesto. Perché questo si realizzi, gli individui che la compongono devono
comunicare, saper definire obiettivi e condividerli, insieme a valori, credenze
e significati, sviluppare fiducia e motivazione, essere allineati nel proprio
ruolo.
Di proposito non verrà utilizzata la classica definizione "gestione risorse
umane": il termine “sviluppo” è da preferire quando si ragiona di fatti umani e
di dinamiche comportamentali. “Gestione” è troppo limitante: nella realtà le
persone non si gestiscono, esse tendono ad auto-determinarsi. Perché
adottino comportamenti utili all'organizzazione devono essere profondamente
coinvolte nell'organizzazione stessa e trovare in essa condizioni favorevoli.
Essa non è un fatto astratto, bensì è creata dall'interagire degli esseri umani
che ne fanno parte. Possiamo riferire la gestione alla parte strettamente
tecnica e amministrativa mentre se parliamo di buon funzionamento
dell'organizzazione ci addentriamo in meandri complessi, dove gestire non è
sufficiente: sono le persone che tutte insieme cambiano, migliorano e
possono farlo in modo armonico, raggiungendo gli obiettivi auspicati, soltanto
condividendo una serie di valori, credenze e aspettative, la stessa visione
della realtà in cui operano.
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Inoltre le persone non sono risorse, alla stregua delle materie prime, bensì
parte integrante dell'organizzazione: rappresentano l'organismo personale,
determinano e subiscono il destino dell'organizzazione, sono l'organizzazione
e contribuiscono alla sua creazione. Per questo verranno definite "capitale
umano".
I capi svolgono attività di direzione e organizzazione aziendale, sono perciò
centrali per lo sviluppo del capitale umano, il cambiamento, il raggiungimento
degli obiettivi ma, spesso, non sono in grado di affrontare da soli tale sfida.
Se è vero che ai capi vengono richieste competenze che vanno oltre quelle
strettamente tecniche, essi sono raramente specialisti del cambiamento e del
problem solving organizzativo.
La funzione di un consulente nell'area umana e organizzativa, il suo reale
valore non consta però semplicemente nella preparazione specialistica, bensì
anche nell'obiettività che riesce ad avere potendo guardare l'organizzazione
in modo distaccato, dall'esterno, senza essere invischiato nelle sue
dinamiche consolidate.
Sarà poi un ottimo consulente se riuscirà ad aumentare le competenze delle
persone e dell'organizzazione, così che esse possano camminare sulle
proprie gambe.
Questo scritto enfatizza il Coaching come azione centrale della consulenza di
sviluppo organizzativo. Tale tecnica, insieme al Counselling, è stata spesso
presentata come tra le più efficaci nello sviluppo delle persone e molte
esperienze tendono a comprovarlo ma potenziare le persone è sufficiente per
contribuire al buon funzionamento dell'organizzazione? L'azione di Coaching
rischia di esaurirsi nei confini del singolo sistema-individuo, senza riuscire a
incidere significativamente sul contesto organizzativo oppure può avere un
impatto diffuso?
L'enfasi qui attribuita a tale tecnica, deriva dal fatto che essa può
rappresentare l'elemento cardine fra le persone e l'organizzazione, fra gli
obiettivi e il cambiamento. Il Coaching non aiuta semplicemente lo sviluppo
professionale del singolo bensì può favorire un agire comune finalizzato al
buon funzionamento dell'organizzazione. L'ottica adottata considera
fondamentale il suo inserimento in un processo complessivo di
Empowerment.
Il Coaching, benché già utilizzato sul singolo, spesso non è applicato in tutto il
suo potenziale sull'organizzazione. Esso è fondamentalmente una tecnica di
problem solving che può essere applicata anche sul problem solving
organizzativo.
Si deve comunque ammettere che influenzare e orientare il cambiamento è
un fatto complesso e la sociologia dell'organizzazione si è chiesta se sia
veramente realizzabile.
Non si può ignorare che, quando sono coinvolte persone e gruppi, è
improbabile raggiungere esattamente ciò che si è progettato e che agire sui
sistemi dall'esterno non garantisce risultati predeterminati.
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Accogliendo come sfida tali difficoltà, verrà proposta una metodologia per
insinuare in profondità il germe del cambiamento e indirizzare in modo
efficace l'organizzazione verso gli obiettivi scelti. Con la consapevolezza che i
sistemi umani sono permeati dall'incertezza e che in essi non esistono né
punti di arrivo definitivi, né oggettivi punti di partenza.
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1. LO SVILUPPO DELL'ORGANIZZAZIONE
1.1 L'ATTIVITA' DI DIREZIONE E ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
Pianificare, controllare, gestire, sono ancora le attività svolte in modo
prioritario nel tentativo di sviluppare e migliorare l'organizzazione.
Le aziende investono tempo, energia e denaro su tali attività cercando di fare
lavorare le persone in modo coordinato, efficiente, efficace, per fare
assumere loro i comportamenti necessari al raggiungimento degli obiettivi di
crescita e miglioramento.
Come consulente che lavora da anni nell'area umana, ritrovo frequentemente
gli stessi squilibri nella gestione strategica: imprenditori, manager, personale
direttivo, benché spesso sostengano l'importanza dello sviluppo del capitale
umano per realizzare cambiamenti, nella pratica tendono a concentrasi su
interventi tecnico-gestionali, riducendosi ad utilizzare la formazione come
unico strumento di azione sui membri dell'organizzazione.
La visione strategica dei capi è in genere competente e chiara per ciò che
riguarda il miglioramento dei processi e dei modelli gestionali, la gestione
finanziaria, lo sviluppo di prodotti e servizi o l'approccio al mercato e al
cliente. E' invece debole e confusa per quanto concerne il coinvolgimento del
capitale umano, fondamentale perché i processi di cambiamento di realizzino
in modo utile all'organizzazione.
Frequentemente, le cause dei problemi nelle organizzazioni sono da ricercare
nelle modalità con le quali le persone interpretano le relazioni, gli altri
membri, il lavoro, i problemi e gli imprevisti, le difficoltà, i successi e i
fallimenti, il contesto, l'azienda e se stessi in relazione ad essa.
Se tali modalità non permettono comportamenti coerenti ai piani di
cambiamento decisi dalla proprietà o dal CdA, i capi cercano in genere di
correre ai ripari aumentando il controllo e sviluppando nuove modalità di
gestione. Qualche volta si affianca a tutto questo qualche ora di formazione
per coloro che non mettono in atto i comportamenti attesi.
Si tratta di azioni efficaci? In genere non si ottengono i risultati sperati ma
come consulente ho potuto imbattermi in molti di questi casi.
Assenteismo, scarso rendimento o elevata percentuale di errori, indisciplina
se il capo della funzione o del reparto è assente, vengono interpretati come
volontà delle persone di portare danno all'azienda e al capo o mancanza di
qualsiasi valore relativo al lavoro. Così la "cura" è l'aumento del controllo, del
rimprovero, eventualmente delle sanzioni. A volte viene chiesto a un
consulente di tenere qualche ora di formazione per sensibilizzare a
comportamenti più consoni. Da un'analisi della situazione si può invece
scoprire che il capo dei "cattivi soggetti", pur mettendo impegno, dedizione
nel lavoro, capacità tecnica e pur avendo aderito alla visione, ai valori e agli
obiettivi voluti dall'azienda, non è in alcun modo in grado di trasmetterli ai
collaboratori: comunica poco con loro e solo per dare direttive e rimproverare
o li sottovaluta o non sa essere assertivo oppure utilizza messaggi e
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comportamenti incoerenti. O ancora, si scopre che nell'azienda si svolgono
giochi di potere, per esempio un presidente che si contrappone alla linea di
gestione del direttore generale e cerca di mettere una parte dei membri sui
quali ha autorevolezza contro quelli che accolgono la visione della direzione.
È chiaro che un intervento formativo sui "cattivi soggetti" sarà inutile e
controproducente.
Se il reparto produzione di un'azienda è cresciuto velocemente e sono
necessarie nuove modalità di svolgimento del lavoro per migliorare
l'efficienza, può succedere che le indicazioni del responsabile del controllo di
gestione non siano seguite. Allora lo stesso responsabile potrebbe richiedere
un corso sui tempi e metodi per sensibilizzare le persone all'importanza di
rispettare determinate procedure. Dopo un'analisi, si potrebbe scoprire che è
prima di tutto il responsabile della produzione a non riuscire a coinvolgere i
collaboratori sull'utilizzo di nuovi metodi, magari perché, non essendo mai
stato coinvolto nelle scelte, è lui per primo a non capirne l'importanza.
Se in un'azienda nella quale si stanno attuando forti cambiamenti si verifica
una fuoriuscita a catena di alcuni operatori, il personale direttivo potrebbe
investire tutto il suo impegno e la sua attenzione per cercare di mantenere
invariata la produzione e per sostituire il più velocemente possibile i
dimissionari. Questo significherà un aumento di mole di lavoro e di stress per
chi rimane, che dovrà allo stesso tempo prendersi carico dell'affiancamento
dei nuovi entrati. In questi casi le aziende tendono a sospendere le attività
rivolte al capitale umano mentre, al contrario, soltanto una forte
comunicazione interna, incontri fra capi e collaboratori, azioni di sostegno per
i capi stessi, possono scongiurare la probabile successiva emorragia di
dipendenti.
Pochi, semplici e comuni casi per sottolineare quanto possa essere debole la
visione strategica nell'area umana e la capacità di identificare le cause
prioritarie (possono essere molteplici) dei problemi e le leve determinanti per
raggiungere gli obiettivi.
La "Gestione Risorse Umane" viene in genere interpretata come l'attività
amministrativa che riguarda i dipendenti, il rapporto con i sindacati, la
selezione e la formazione. Non è invece vista come attività strategica e sono
poco conosciuti i vari strumenti di cui essa si avvale.
L'attività per lo sviluppo dell'organizzazione viene classicamente definita
"direzionale" oppure di "direzione e organizzazione aziendale" al cui interno
vengono comunemente identificate una serie di aree come processi e
procedure, contabilità e finanza, qualità e ambiente, risorse umane. Gli
obiettivi di cambiamento vertono sulla competitività, la redditività e l'efficacia
organizzativa.
L'area umana dell'azienda è in pratica considerata una voce secondaria
dell'attività di direzione e organizzazione. Questo rischia di far perdere la
visione d'insieme e di farsi sfuggire ciò che è strategicamente fondamentale.
Partendo dal presupposto che la persona è centro dell'attività economica, che
sono le persone nella loro interazione a far funzionare l'azienda, a porre in
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atto le strategie e le scelte gestionali, a definire la sua personalità e a
orientare il suo destino, il loro sviluppo e coinvolgimento merita di essere
messo in primo piano.
In tale ottica, la proposta di una visione alternativa consiste nel considerare
che l'attività di direzione e organizzazione aziendale sia composta da due
macro aree, alle quali possiamo dare il nome di Area Tecnico-gestionale e
Area dell'Empowerment.
Si tratta di aree strettamente collegate e interagenti, orientante dalle
medesime strategie, obiettivi e visione, poiché entrambe ambiscono allo
sviluppo e al cambiamento dell'organizzazione verso la direzione auspicata e
progettata.
La divisione in due macro aree non rappresenta una biforcazione della
strategia aziendale bensì un acume linguistico e visivo, che assegna la
medesima dignità e forza di cambiamento alle due parti, favorendo un
orientamento mentale corretto.
Il nome che si dà alle cose orienta la visione su di esse, perciò dare al fattore
umano (in senso psicologico, sociologico e organizzativo) lo stesso peso di
quello tecnico-gestionale, favorisce la percezione della sua importanza per
qualsiasi cambiamento e miglioramento, stimolando una considerazione
complessiva e integrata degli interventi da realizzare.
Il termine "Empowerment" contiene accezioni e suggestioni che promuovono
una visione favorevole allo sviluppo. Il sostantivo racchiuso in questa
espressione è "power", che rimanda a significati come potenza, capacità,
forza, potere. Il verbo "to empower" significa dare pieni poteri, autorizzare,
dare delega. L'Empowerment è alla lettera il conferimento o l'aumento del
potere ma implica tutte le sfumature del sostantivo e del verbo in esso
contenuti. Cosa si intende quindi per Empowerment in contesti organizzativi?
Un circolo virtuoso di cambiamento che si attiva attraverso la condivisione di
valori e credenze, il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle persone,
lo sviluppo delle competenze e la valorizzazione dei potenziali in armonia con
gli obiettivi di sviluppo.
L'espressione racchiude in sé grande forza energetica e generativa: non un
semplice miglioramento dell'organizzazione, bensì una spinta innovativa che
porta all'evoluzione del sistema. Tale spinta non può essere apportata
dall'esterno, non avviene dall'oggi al domani attraverso il suggerimento di
buone prassi e l'invito ad adottarle (è paradossale, sarebbe come dire a
qualcuno "fa le cose con più entusiasmo!" o dire a un gruppo "siate più
affiatati!"). Essa è generata dalle persone e dal contesto organizzativo
quando viene abbandonato un certo modo di vedere la realtà aziendale a
favore di nuove credenze, mappe, significati.
Se le persone si sentono parte dell'organizzazione, tessere di un mosaico
indispensabili per il risultato finale e responsabili del destino dell'impresa, se
capiscono chiaramente cosa ci si aspetta da loro e ricevono il sostegno
necessario per raggiungere gli obiettivi fissati, se il loro potenziale viene
valorizzato, se sono parte di una fitta e continua rete di comunicazione,
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PROBLEM SOLVING
ORGANIZZATIVO
REVISIONE PROCESSI ANALISI DEL
PROCEDURE E CLIMA
TECNOLOGIE
ANALISI DELLA
GESTIONE CULTURA
FINANZIARA
ANALISI DELLA
POSIZIONE
CONTROLLO
DI GESTIONE VALUTAZIONE
POTENZIALE
E SELEZIONE
DI EM
GOAL SETTING
PROJECT
MANAGEMENT
TEAM BUILDING
SISTEMI DI QUALITA
E AMBIENTALI COACHING E
COUNSELING
INTERNAZIONA- FORMAZIONE
LIZZAZIONE
COMUNICAZIONE
E SISTEMI
INFORMATIVI
Figura 1
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ATTIVITA' DI DIREZIONE E
ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
COMPETITIVITA' E
REDDITIVITA'
EFFICACIA E
CAMBIAMENTO
ORGANIZZATIVO
STRATEGIA
INTERVENTI
TECNICO-GESTIONALI
INTERVENTI
DI EMPOWERMENT
che permetta loro di condividere lo stesso linguaggio e la medesima visione
delle cose, allora tenderanno ad una maggiore partecipazione e
contribuiranno all'evoluzione della cultura aziendale.
Si tratta di un processo di lungo periodo, senza dubbio difficile da realizzare
ma rendere l'organizzazione empowered, è la strada per procedere verso gli
obiettivi prefissati.
Nella figura 1. si può notare la posizione centrale dell'attività di problem
solving organizzativo, condivisa da entrambe le aree di sviluppo. Una prima
analisi generale dell'organizzazione farà emergere i punti cruciali sui quali
intervenire e le risorse a disposizione, per permettere di strutturare
opportunamente l'intervento (si veda cap. 2 par. 2.2.4).
1.2 L'ORGANIZZAZIONE COME SISTEMA
Iniziate a prendervi cura della natura e la natura si prenderà cura di voi,
in modi imprevedibili
(aforisma aborigeno)
Questo scritto si rivolge al personale direttivo, a chi occupa posizioni di
responsabilità e guida. In generale viene utilizzato un linguaggio accessibile
anche a chi non possiede una expertise sociologica e psicologica, tuttavia i
modelli e le teorie su cui si basa lo studio delle organizzazioni e la
promozione del loro sviluppo sono molto complessi. Questo paragrafo e il
successivo si soffermano sulla base teorica della riflessione.
Concentriamoci in particolare sulla teoria dei sistemi, sviluppata dal biologo
Ludwig von Bertalanffy come disciplina logico-matematica. Pur essendo una
teoria formale, si può applicare alle scienze empiriche, così anche alle
scienze umane, alla sociologia e alla psicologia. Qualsiasi disciplina che si
interessi di interazioni non può che essere spiegata in termini di sistemi.
Il sistema è un'entità concettuale, fisica o sociale costituita da parti autonome
ma interdipendenti e interagenti. Tale interazione permette di differenziare un
sistema dagli altri ma non è un fatto tangibile, palpabile, essa può soltanto
essere dedotta attraverso l'osservazione. Se in una strada affollata un uomo
e una donna camminano mano nella mano, deduco che fra loro ci sia una
interazione, essi si differenziano da tutte le altre persone che li circondano,
presentando un confine ben definito. Sono un sistema. Una organizzazione è
un sistema poiché in essa agiscono parti interdipendenti (persone) e la si può
differenziare da altre organizzazioni. Tale differenziazione potrebbe essere
fatta anche se condividessero molte caratteristiche. Per esempio due aziende
potrebbero produrre la stessa gamma di prodotti, fornire gli stessi servizi,
usare i medesimi impianti, macchine e attrezzature, vendere sugli stessi
mercati, essere collocate sullo stesso territorio, avere un identico numero di
dipendenti ed un organigramma strutturato in modo equivalente, lavorare su
una superficie aziendale della stessa entità di metri quadri, paradossalmente
avere lo stesso nome e sarebbero comunque identificabili come sistemi
separati. Questo perché le parti autonome e interdipendenti che li
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costituiscono (le persone appunto) sono diverse, quindi la comunicazione
sarà diversa, così anche la cultura, la memoria, la visione, i comportamenti, la
produttività, la redditività, il numero di clienti e la loro fedeltà. E' chiaro che le
due organizzazioni in questione, nonostante le somiglianze, non
funzioneranno nello stesso modo, avranno performance e risultati differenti.
Del resto uno stesso sistema funziona diversamente in momenti diversi: le
medesime decisioni e azioni intraprese in una stessa organizzazione non
portano mai uguali risultati.
Una delle caratteristiche salienti dei sistemi è la complessità: in essi
interagiscono più parti o sottosistemi (più variabili aggregate) e tali interazioni
non sono di tipo lineare (causa-effetto), bensì circolare.
Descrivere tale complessità graficamente è piuttosto difficile ma si po’ fare un
piccolo esempio.
Se due persone decidono di costituire una società, si crea un sistema
composto essenzialmente da due sottosistemi interni in relazione fra loro.
SOCIO A SOCIO B
Se ad un certo punto la mole di lavoro richiederà l'inserimento di una nuova
persona, il sistema si farà più complesso perché aumenteranno le interazioni.
SOCIO A SOCIO B
COLLABORATORE A
Se di nuovo aumenterà la mole di lavoro e si avrà bisogno di un ulteriore
collaboratore, la complessità aumenterà drasticamente.
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SOCIO A SOCIO B
COLLABORATORE A COLLABORATORE B
In tale complessità (e consideriamo che abbiamo evidenziato soltanto le
relazioni fra i membri dell'organizzazione, senza considerare quelle con altri
sistemi esterni!), uno stesso effetto è generato da un intreccio di tante cause
in rapporto reciproco, così che diventa impossibile capire cosa è causa e
cosa è effetto: l'effetto si ripercuote sulla causa, che a sua volta diventa
effetto.
Chi ha frequentato qualche corso sulla comunicazione interpersonale, potrà
riconoscere in tale circolarità le caratteristiche del feedback, quindi l'essenza
stessa della comunicazione: il risultato della mia comunicazione è la risposta
dell'altro e tale risposta non sarà semplicemente un output, bensì un input per
la mia successiva risposta. Si tratta di quella qualità specifica dei sistemi che
viene definita non-linearità, la quale determina il fatto che il risultato di
un'azione non sia proporzionale all'input o alle condizioni iniziali. Ciò significa
che l'esito di un'azione, di un intervento, non è perfettamente predicibile,
bensì tendenzialmente imprevedibile. Tale non-linearità viene più
comunemente descritta come teoria del caos.
Non si deve però credere che un input provochi, a prescindere, qualsiasi
output, bensì quanto descritto significa che, il modo in cui gli elementi del
sistema interpretano e gestiscono il susseguirsi di input-output, può portare a
risultati molto lontani dall'intenzione del primo input.
E non significa che non esistano modi per raggiungere degli obiettivi utili al
soggetto e all'organizzazione. Dipende dalla capacità di a aggiustare
creativamente il "tiro", facendo buon uso di ogni variazione che si verifica
durante il percorso.
Non a caso, la teoria dei sistemi ha influenzato tutte le teorie della
comunicazione dalla seconda metà del '900 in poi. La ritroviamo nella
psicoterapia sistemica di Gregory Bateson, di Paul Watzlavik e della scuola di
Palo Alto, nell'Analisi Transazionale di Eric Berne. Essi, nel formulare le loro
teorie e nel curare i loro pazienti, hanno fatto buon uso del concetto di non-
linearità e hanno saputo destabilizzare per poi far ritrovare ai sistemi-pazienti
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