5
elaborando la teoria della fase post transizionale
2
(Van de Kaa, 1987; Lestaheghe,
1992). Attraverso la sua analisi è stato possibile evidenziare il quadro dei
cambiamenti non soltanto demografici, ma anche sociali, economici e culturali che
hanno prodotto il fenomeno dell’invecchiamento.
Emerge anche un altro aspetto importante: una differenza tra la fecondità desiderata
(ideale) e la fecondità effettivamente realizzata (il numero di figli messi al mondo)
che si concretizza in un bassissimo numero di figli messi al mondo inferiore a quello
desiderato. Le cause principali possono riassumersi in due ordini di problemi: quello
legato al costo (monetario e non solo) dei figli e quello legato alla difficoltà per la
donna di gestire i suoi ruoli, di lavoratrice e di madre, in una società in cui le
strutture pubbliche non la supportano e in una famiglia caratterizzata da una forte
disparità nelle divisioni dei compiti fra i due partner (Salvini, 1999).
L’Italia è il paese su cui si è concentrata l’attenzione di questo studio, anche in
quanto è la nazione più anziana del mondo. Nella parte centrale, quindi, è stata
condotta un’analisi delle singole regioni italiane per individuare le differenze nella
distribuzione della popolazione e osservare l’evoluzione temporale di due indicatori
fondamentali nel determinare i cambiamenti strutturali della popolazione, che sono la
causa del fenomeno dell’invecchiamento. Si tratta del tasso di fecondità totale, cioè
del numero medio di figli che ogni donna mette al mondo e della speranza di vita –
gli anni che mediamente rimangono da vivere ad una persona – alle età anziane. In
questo modo è stato possibile un confronto dettagliato tra le diverse regioni, in base
al quale si sono evidenziate le differenze temporali e quantitative che hanno
2
L’obiettivo principale di questa teoria è l’individuazione delle principali determinanti del continuo
calo della fecondità, analizzando anche variabili economiche e sociali che interagiscono con la
fecondità.
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caratterizzato secondo modalità diverse il processo di invecchiamento a livello
regionale.
L’aumento della componente anziana ha delle conseguenze negative in ambito
economico sul sistema pensionistico e su quello sanitario. Si è qui preso in esame
esclusivamente l’aumento dei consumi sanitari
3
, in relazione all’invecchiamento. La
letteratura internazionale non ha una posizione comune riguardo a tale problema.
Molti studiosi hanno espresso delle preoccupazioni circa la sostenibilità finanziaria
del sistema sanitario, in particolare sulla futura disponibilità di quantità sempre più
elevate di risorse pubbliche necessarie per soddisfare una domanda crescente.
Secondo altri studiosi (Evans et al., 2001), invece, l’ipotesi che la spesa sanitaria
dovrà aumentare notevolmente per soddisfare i maggiori bisogni può essere un
pretesto per richiedere più risorse con le quali incrementare i redditi di chi fornisce
assistenza sanitaria. L’obiettivo principale è stato quello di verificare se
effettivamente l’aumento della proporzione degli anziani comporti un maggior
consumo sanitario. Sono stati analizzati diversi indicatori (numero di ricoveri
ospedalieri, tassi di ricoveri ospedalieri, speranza di vita in buona salute, consumo
dei farmaci) e il loro andamento in relazione all’età, attraverso i quali è stato
possibile valutare l’effettiva esistenza di una relazione tra l’aumento degli anziani e
la crescita dei consumi sanitari. L’analisi delle regioni che viene via via affrontata
presenta aspetti fondamentali per riflettere sul fenomeno.
3
È stata tralasciata la componente economica e finanziaria, poiché non si dispone di dati sufficienti in
base ai quali elaborare un quadro preciso e globale della situazione.
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CAPITOLO I
IL FENOMENO DELL’INVECCHIAMENTO
1.1 – Principali indicatori del fenomeno di invecchiamento
Il processo di invecchiamento della popolazione consiste nella diminuzione del
numero e della proporzione delle persone giovani e nel parallelo aumento del
numero e della proporzione delle persone anziane e vecchie (Golini, 2003). Questo
fenomeno è fortemente collegato alle moderne trasformazioni demografiche, che si
sono prodotte a partire dalla transizione demografica (cioè la diminuzione
progressiva dei livelli di mortalità, cui è seguita successivamente un’altrettanto
progressiva diminuzione dei tassi di fecondità). È proprio la capacità dell’uomo –
sviluppatasi grazie al processo di modernizzazione – di controllare eventi come la
nascita e la morte, che ha contribuito nel tempo a ridurre il numero delle nascite e
a rendere più lunga la vita media delle persone.
L’analisi del processo di invecchiamento merita oggi notevole attenzione non
soltanto dal punto di vista demografico, ma anche per le sue conseguenze
politiche, sociali, economiche che questo processo comporta.
Una difficoltà in cui ci si imbatte nell’analisi del problema dell’invecchiamento è
relativa all’individuazione univoca di una soglia di età per definire chi è anziano.
A livello internazionale non c’è infatti omogeneità: alcuni studiosi considerano
persone anziane quelle che hanno più di 60 anni, altri invece chi ha superato la
soglia dei 65 anni. In questo lavoro si considererà anziano colui che ha più di 65
8
anni, accogliendo quindi la definizione dell’Istituto Nazionale di Statistica italiano
(ISTAT).
Nella letteratura internazionale vengono utilizzati ormai da tempo, diversi
indicatori che sono utili per una più accurata misurazione del fenomeno
dell’invecchiamento: l’indice di invecchiamento che è il rapporto tra la
popolazione anziana e la popolazione totale ed esprime la percentuale di anziani
rispetto alla popolazione nella sua totalità.
L’indice di vecchiaia che è il risultato del rapporto tra l’ammontare della
popolazione anziana (ultrasessantacinquenne) e i giovani al di sotto dei 15 anni e
quindi la parità dei due contingenti.
Infine l’indice di dipendenza che è il rapporto tra la somma degli
ultrasessantacinquenni e i giovani al disotto dei 15 anni (quindi di coloro i quali si
presuppone siano un carico economico della popolazione) e la componente della
popolazione che si presume attiva (cioè che lavora e quindi produce reddito).
Quest’ultimo è un indicatore molto importante perché consente di analizzare in
maniera accurata quali siano le dirette conseguenze economico-sociali dovute
all’aumento del numero di anziani.
1.2 - Le dinamiche demografiche della popolazione mondiale
Il principale punto di partenza che ha portato i paesi industrializzati al fenomeno
dell’invecchiamento è senza dubbio il processo di transizione demografica
conclusosi ormai da diversi decenni e che è tuttora in corso in molti paesi del terzo
mondo. Esso è caratterizzato da una situazione di partenza in cui ci sono alti tassi
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di natalità e mortalità che si evolve progressivamente, in un arco temporale che
può variare dai 75 anni a più di 100 anni, arrivando ad una fase in cui entrambi i
livelli risultano essere bassi. L’inizio di tale processo si può far coincidere con la
diminuzione sistematica dei livelli di mortalità, mentre i tassi di natalità rimangono
alti provocando un forte incremento demografico. Solo successivamente
cominciano a diminuire in maniera progressiva i livelli di natalità, avvicinandosi a
quelli di mortalità che, nel frattempo, si sono stabilizzati. L’espansione della
popolazione comincerà quindi a ridursi e il processo potrà dirsi concluso quando il
saldo naturale risulterà pari a quello iniziale.
La popolazione mondiale con un’età di oltre 65 anni nel 2005 era di circa 475
milioni
4
. Le diverse stime delle Nazioni Unite suggeriscono che l’incremento
annuale continuerà ad essere di 10 milioni all’anno per la prossima decade.
Generalmente l’aumento del numero degli anziani viene associato ai paesi
sviluppati, in particolare all’Europa e al Nord America. I paesi industrializzati
hanno, infatti, le più alte percentuali di anziani, all’interno delle loro rispettive
popolazioni, ma sono i paesi in via di sviluppo ad avere il numero maggiore di
anziani in valore assoluto, con popolazioni numericamente molto più grandi. Il 60
% della popolazione mondiale anziana vive in questi paesi e il numero di queste
persone in futuro è destinato ad aumentare quando il processo di transizione
demografica sarà concluso e quindi i tassi di fecondità raggiungeranno livelli
simili a quelli attuali dei paesi industrializzati (al di sotto della soglia di
sostituzione). Al tempo stesso continuerà ad aumentare la speranza di vita e quindi
sempre più persone raggiungeranno età più anziane. A parte il Giappone, le 20
4
Nazioni Unite: Department of Economic and social Affairs/Population Division. World Population
Prospect: The 2004 Revision
10
nazioni più vecchie del mondo sono europee. Tra queste l’Italia è al primo posto,
con il 19,9% di anziani sul totale della popolazione
5
. Il continente europeo rimarrà
quello con la più alta proporzione di anziani anche nel 21esimo secolo, (come
indica la tabella 1.1) sebbene la percentuale di anziani entro il 2030 raddoppierà
sia in Asia sia in America Latina e Caraibi (raggiungerà il 12% in Asia e l’11,5%
in America Latina).
Diversa è la situazione dell’Africa sub-sahariana, dove i tassi di fecondità, oggi
ancora molto alti mantengono la popolazione giovane: nel 2030 la percentuale di
anziani sarà aumentata solamente di 0,7 punti rispetto al 2000.
Se si analizza e ripercorre l’evoluzione dei cambiamenti demografici è interessante
sottolineare come la popolazione mondiale fino alla metà del XX secolo
presentava una struttura caratterizzata da una percentuale alta di giovani (34,5%) e
una bassa di anziani (5,1%).
Tra il 1950 e il 1970 ci sono stati i primi lievi cambiamenti: si è passati dal 34,5%
al 37,5% per quanto riguarda la percentuale dei giovani, mentre la quota di anziani
è passata dal 5,1% al 5,4%. Bisogna però considerare distintamente la situazione
dei paesi sviluppati (PS) da quella dei paesi in via di sviluppo (PVS). Nei PS la
popolazione è invecchiata (la quota di anziani è aumentata del 2%) nel ventennio
1950-1970, mentre nei PVS è ringiovanita: i giovani di età 0-14 sono passati dal
37,8% al 41,8%. Il ringiovanimento della popolazione mondiale quindi in quel
periodo è stato il risultato dell’azione frenante caratterizzata dalla struttura per età
dei PVS.
5
Dati Eurostat: Yearbook 2006/2007