4
l’imprenditore Filippo Callipo chiarisce e marca i contorni di
una realtà difficile, ma piena di risorse che portano sempre a
pensare che qualcosa possa cambiare.
Proprio questo diviene l’anima di tale lavoro: attraverso una
visione positivamente ottimista e propositiva si cerca di
guardare oltre la manna dal cielo costituita dai fondi
istituzionali e si cerca di protendere verso un atteggiamento
pratico e risolutivo come quello che accompagna le logiche
d’impresa.
E’ per questo che si ritiene che la pratica dell’attività di RSI da
parte delle imprese potrebbe supplire laddove anni di vaghezza
politica e sperpero di denaro pubblico non sono riusciti.
Sviluppo e coesione sociale nel meridione attraverso la RSI,
un’ideale opportunità.
5
Alla mia Terra, il Sud.
A mio Padre.
A mia Madre.
“Noi non siamo cristiani, - essi dicono, - Cristo si è fermato a
Eboli”.
Cristiano nel loro linguaggio vuol dire uomo: e la frase
proverbiale che ho sentito tante volte ripetere, nelle loro
bocche non è forse nulla più che l’espressione di uno
sconsolato complesso di inferiorità. Noi non siamo considerati
uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che le bestie,
i fruschi, i frusculicchi, che vivono la loro vita diabolica o
angelica, perché noi dobbiamo invece subire il mondo dei
cristiani, che sono al di là dell’orizzonte, e sopportarne il peso
e il confronto.
Carlo Levi
6
7
Capitolo 1. Definizione di un frame teorico e istituzionale
della Responsabilità Sociale delle Imprese.
1.1 Responsabilità Sociale delle Imprese.
Quadro teorico.
La Responsabilità Sociale delle Imprese (RSI in seguito) è
un concetto che ha subito variazioni nel corso del tempo e
continua ad evolversi cercando di meglio adattarsi al
contesto sociale a cui è inscindibilmente legata.
E’ per questo motivo che risulta difficile ascrivere tale
pratica sotto un unico concetto in quanto risulterebbe
riduttivo e quant’anche obsoleto.
Si cercherà, dunque, di definire un frame teorico in modo da
poter avere ben chiaro cosa s’intenda per RSI e quali
pratiche possano essere ritenute socialmente responsabili e
quali no.
La definizione vuole essere un modo per fissare dei punti
stabili per evitare che una pratica tanto importante possa
diventare troppo aleatoria.
Il dibattito sulla RSI comprende più ambiti: dall’economia,
alla filosofia, al diritto, alla sociologia, per citarne alcune;
tutte materie che si sentono chiamate in causa e che allo
stesso tempo sentono di poter dare il loro contributo alla
definizione di un nuovo ambito di studio qual è appunto la
RSI.
L’era della Globalizzazione ha portato a rendersi conto di
quanta importanza abbia il potere dell’impresa all’interno
8
della società in cui opera e di quali vantaggi essa potrebbe
apportare al proprio contesto se agisse in modo
responsabile
1
.
Allo stesso tempo anche la società ha un forte potere
sull’impresa perché in un certo senso riesce a legittimarla ad
operare e le dà prestigio
2
e di questo ne danno testimonianza le
diverse azioni di boicottaggio intraprese da quanti non
appoggiano le politiche di tali imprese.
Si ritiene quindi che il rapporto tra società e impresa sia
strettamente interconnesso a tal punto che l’uno non avrebbe
ragion d’essere senza l’altro.
Volendo estrapolare degli aspetti generali che distinguono e
allo stesso tempo definiscono la RSI possiamo considerare:
¾ l’uso consapevole del capitale;
¾ l’integrazione tra richieste sociali e profitto;
¾ l’azione etica e creazione di valore sociale;
¾ gli obiettivi con profitti a lungo termine
3
.
Con gli effetti della globalizzazione, l’indebolirsi dei poteri
statali, il venir meno del Welfare State, si prende atto del
potere dell’impresa e dei benefici che questa potrebbe
apportare alla società e le istituzioni, soprattutto a livello
1
Davis, K.: 1960, ‘Can Business Afford to Ignore Corporate
Social Responsibilities?’, California Management, Review 2, 70–76.
2
Post, J. E., L. E. Preston, S. Sauter-Sachs and S. Sachs:
2002, Redefining the Corporation: Stakeholder Management
and Organizational Wealth (Stanford University Press, Stanford).
3
Elisabet Garriga, Dome`nec Mele´, Corporate Social Responsibility
Theories: Mapping the Territory.
9
sovranazionale, iniziano a stilare progetti di definizione e
d’incentivazione di RSI.
Sono anche altri ambiti ad essere analizzati e contestualizzati a
livello istituzionale in seguito agli effetti negativi che
l’investimento selvaggio ha provocato: inquinamento, debito
pubblico dei Paesi poveri, esclusione sociale e si cerca di
correre ai ripari dalle conseguenze provocate dallo
sciacallaggio economico cercando di regolare uno sviluppo in
continua evoluzione e nel 1987 viene stilato il rapporto
Brundtland delle Nazioni Unite nel quale si definisce il
concetto di Sviluppo Sostenibile.
Nel 2001 l’Unione Europea scrive il primo documento
interamente dedicato alla RSI: il Libro Verde.
In esso si cerca di definirne il concetto e i vantaggi che
scaturiscono rispetto agli stessi soggetti che la compiono, al
contesto e agli attori che vi ruotano attorno.
Vengono elaborate diverse definizioni ed una serie di cause-
effetti che l’applicazione della responsabilità sociale da parte
delle imprese comporterebbe per ogni livello sociale,
economico ed ambientale.
In realtà la RSI non è legalmente regolata ed infatti è
un’attività volontaria che l’impresa compie per legare la
propria esistenza ad un valore aggiunto non tangibile e tale
attività non è basata su azioni prestabilite, ma a discrezione di
chi la compie può comprendere i più svariati ambiti e le più
differenti attività.
Tenuto conto di questo breve excursus concettuale che si è
arricchito d’interesse e contenuti nel corso del tempo la
domanda è: possiamo considerare la RSI un mezzo per
investire e creare sviluppo economico e sociale nei Paesi meno
avanzati?
Prima di analizzare in maniera esauriente una risposta coerente
a tale quesito è utile chiarire delle espressioni chiave che
ricorreranno spesso all’interno di tale lavoro.
10
1.2 Lo Sviluppo Sostenibile.
Come anzidetto, nel 1987 venne pubblicato il Rapporto
Brundtland elaborato nell’ambito delle Nazioni Unite nel
cui volume viene data un’importante definizione di sviluppo
sostenibile:
Lo sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni delle
generazioni presenti senza compromettere le possibilità per
le generazioni future
4
.
Mentre il tema della sostenibilità viene principalmente
riferito a quelle che sono le tematiche della salvaguardia
dell’ambiente con particolare attenzione a quelle risorse
naturali, rinnovabili e non rinnovabili, compromesse dai
bisogni del genere umano, il concetto di sviluppo, invece, è
strettamente legato alle scienze sociali e all’economia in
particolare. L’uso di questo termine, infatti, è quasi sempre
legato al sottosviluppo, ai Paesi sottosviluppati e a tutti i
problemi che vi ruotano attorno.
Il concetto di sviluppo sostenibile è stato dato cercando di
sganciare dal concetto di sviluppo l’ambito prettamente
economico per essere applicato all’area ambientale, che
tratta sempre di risorse non solo economiche, ma anche
ambientali.
Se per la coerenza di questo lavoro invece si cambiasse il
quadro entro cui viene intesa la parola sostenibilità,
intendendo con questa proprio il senso letterale (non solo
durata, ma anche sostegno, supporto, nutrimento) e
applicassimo questo concetto all’idea prettamente
economico-sociale della parola sviluppo, il risultato ottenuto
4
G. H. Brundtland, Our common future, 1987.
11
è che il senso di sviluppo sostenibile, può essere applicato
ad ambiti in apparenza diversi tra loro, ma in realtà con un
massimo comun denominatore: la collaborazione e l’aiuto
delle società più avanzate per la sostenibilità ambientale,
sociale ed economica di quelle più svantaggiate.
A questo proposito c’è da dire che nel corso del tempo
questa riflessione è stata fatta, ma in maniera molto blanda
in quanto il concetto di sviluppo sostenibile resta comunque
principalmente legato alle problematiche ambientali.
Infatti nel vertice mondiale di Rio (1992) nel quale si sono
riuniti i Rappresentanti di tutti i Paesi della Terra si è
dibattuto di questo tema per cercare di trovare punti
d’accordo e mediazione tra un’economia selvaggia, priva di
etica, dettata prettamente dal profitto ed un’economia che si
basi su un comportamento più attento al degrado
ambientale, da essa stessa provocato, e al rispetto di principi
etici universali quali l’onestà, la giustizia e la dignità di ogni
uomo.
A questo proposito viene ampliata la definizione di sviluppo
sostenibile che abbiamo visto finora e vengono individuati
ed evidenziati alcuni principi cardine come:
ξ il Principio di Solidarietà nel quale si sottolinea che il
pianeta in cui viviamo è un bene comune e che insieme
si dovrebbe cercare di risolvere i problemi comuni con
una più equa redistribuzione delle risorse ed in tal senso
chi ha maggiori possibilità deve aiutare chi ne ha
minori;
ξ il Principio di Equità: ciascuno deve fare la sua parte
sulla base delle proprie responsabilità;
ξ il Principio di Democrazia, secondo cui il governo
mondiale dell’ambiente si realizza attraverso accordi
multilaterali;
12
ξ il Principio di Sussidiarietà che delega all’istituzione
più vicina al cittadino il suo sostegno.
Tale principio, che viene ripreso e integrato con altri principi,
cerca di regolare i rapporti tra le varie strutture istituzionali
cercando di agire nella maniera più utile all’individuo. Si
ritiene importante tale concetto per poter capire quali siano le
istituzioni che possono fornire sussidi alle parti che lo
richiedono e in quale misura.
Nel paragrafo successivo si analizza come sia intesa e regolata
la sussidiarietà a livello europeo.
1.3 Il Principio di Sussidiarietà.
Una prima definizione compiuta del Principio di Sussidiarietà
deriva dalla Dottrina Sociale della Chiesa, in particolare
dall’enciclica Quadragesimo Anno (1931) di Pio XI dove si
legge:
Come è illecito togliere agli individui ciò che essi possono
compiere con le loro forze e l’industria propria per affidarlo
alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più
alta società quello che dalle minori ed inferiori comunità si
può fare [...] perchè è l’oggetto naturale di qualsiasi intervento
nella società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva
(subsidium) le membra del corpo sociale, non già di
distruggerle e assorbirle.
E quindi è necessario che l’autorità suprema dello Stato
rimetta ad assemblee minori ed inferiori il disbrigo degli affari
e delle cure di minore importanza” in modo che esso possa
“eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti
che a lei sola spettano [...] di direzione, di vigilanza, di
13
incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle
necessità.
5
Questo principio si afferma progressivamente anche all’interno
della scienza giuridica tanto da divenire perno fondamentale
dell’intera impalcatura istituzionale su cui si fonda l’Unione
Europea infatti, viene richiamato nel preambolo del Trattato di
Maastricht (1997) dove si enuncia di essere “[...] decisi a
portare avanti il processo di creazione di un’Unione sempre
più stretta fra i popoli dell’Europa in cui le decisioni siano
prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al
principio della sussidiarietà
6
.”
Il principio di Sussidiarietà viene, inoltre, esplicitamente
sancito dall’articolo 5 di tale Trattato (come modificato a
seguito dell’introduzione, il 1 febbraio 2003, dal Trattato di
Nizza) come principio regolatore dei rapporti tra Unione e Stati
Membri:
La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono
conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente
trattato.
Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la
Comunità interviene secondo il principio della sussidiarietà
soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione
prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli
Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o
degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a
livello comunitario.
L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario
per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato
7
.
5
Pio XI, Enciclica Vaticana, Quadragesimo anno 1931.
6
Unione Europea, Trattato di Maastricht, 1997
7
Unione Europea, Articolo 5, Trattato di Maastricht 1997