2
strategico e trainante, quale mezzo atto a sviluppare professionalità, quindi conoscenze,
abilità, atteggiamenti.
Lo scopo della presente indagine è, innanzitutto, osservare alcuni dei mutamenti
avvenuti in campo formativo negli ultimi decenni, con particolare riguardo nei confronti
della cosiddetta “nuova formazione”; successivamente, indagare alcune delle cause
esogene ed endogene che possono rendere oggi remunerativo un investimento in
formazione da parte di un‟impresa, e di riflesso i casi in cui la formazione è solo un
costo.
Lo studio dei processi organizzativi di formazione si muove da una prospettiva storica
degli aspetti formativi e dall‟analisi delle risorse umane come fattore produttivo, per poi
concentrarsi su contenuti e metodologie della formazione, ed accennare alla stessa come
fonte del vantaggio competitivo e come centro di costo. A partire da questo scenario, si
descrive il passaggio dall‟epoca industriale alla società della conoscenza, concausa
dell‟evoluzione del panorama formativo negli ultimi tre decenni. In questa fase si cerca
di capire come un diverso contesto economico e sociale abbia richiesto nuovi stimoli
dalla formazione, causandone di fatto profonde revisioni in ambito contenutistico e
metodologico. Si tenta, inoltre, di tracciare delle linee guida per la formazione futura.
Successivamente, si affrontano ad ampio raggio le metodologie formative, operando una
classificazione tra le stesse che tenga conto della loro evoluzione e suddividendole per
finalità e usi. Si esplorano, in particolar modo, le metodologie facenti parte della
cosiddetta “formazione liquida”, o già citata “nuova formazione”.
Infine, vengono affrontate le politiche formative in un‟ottica operativa e pratica.
Attraverso un approccio prevalentemente etnografico, lo studio condotto sulla Corporate
University (CU) di Seat Pagine Gialle permette di testare le ipotesi poste inizialmente,
nonchè di valutare empiricamente come la formazione possa permettere il
raggiungimento di un vantaggio competitivo permanente.
3
1.
Aspetti generali della formazione organizzativa
“La mondializzazione degli scambi, la globalizzazione delle tecnologie,
in particolare l’avvento della società dell’informazione hanno aperto agli individui
maggiori possibilità di accesso all’informazione e al sapere.
E’ ormai chiaro che sia le possibilità offerte agli individui che lo stesso clima
di incertezza chiedono a ciascuno uno sforzo di adattamento, in particolare
per costituire da sé le proprie qualifiche, raccogliendo e ricomponendo
conoscenze elementari acquisite in svariate sedi
La società del futuro sarà dunque una società conoscitiva […]
L’istruzione e la formazione diventeranno sempre più i principali vettori
d’identificazione, di appartenenza, di promozione sociale e di sviluppo personale. E’
attraverso l’istruzione e la formazione, acquisite in seno al sistema d’istruzione
professionale, all’impresa o in maniera più informale che gli individui si renderanno
padroni del loro futuro e potranno realizzare le loro aspirazioni.
Libro Bianco
Insegnare e apprendere - Verso la società conoscitiva
di Edith Cresson
Commissione delle Comunità Europee, Bruxelles,1995
Il dibattito sulla formazione è ormai da tempo investito da un complesso e articolato
processo di re-interpretazione e di ridefinizione all'interno dei più svariati contesti
disciplinari e settoriali (epistemologia, studi organizzativi, psicologia, sociologia del
lavoro, diritto, economia)1.
Nell'ambito della riflessione critica in campo formativo che si è sviluppata nel corso
degli ultimi decenni nel nostro paese e in Europa le nozioni di sapere, apprendimento,
competenze sono diventati snodi imprescindibili, come rilevante è diventata la
discussione sugli aspetti della formazione nei contesti organizzativi.
1
Pastore S., “Oltre il significato tecnico della competenza: la valenza formativa” in “Formazione e
Cambiamento”, web-magazine sulla formazione, anno V, n.38/2005.
4
La centralità del ruolo della formazione nella società non è certo una consapevolezza
recente. Anche nel passato essa è stata considerata un metro per misurare la cultura
delle persone e dei popoli.
Si può considerare invece un fenomeno abbastanza recente e che si colloca dopo
l‟avvento della rivoluzione industriale il suo impatto sul benessere materiale, sulla
produzione dei beni e di servizi. A partire dagli anni ottanta, la formazione e
l'orientamento professionale sono diventate sempre più questioni sulle quali investire e
che hanno richiesto prima soluzioni individuali - o riservate a determinate categorie
sociali - e poi delle soluzioni in contesti più ampi fino a quelli nazionali e comunitari,
traducendosi - sulla base di modelli teorici di riferimento - in precise scelte anche di
carattere legislativo.
Per comprendere i termini del dibattito attuale è opportuno, pertanto, ripercorrere
brevemente la storia della formazione nel corso dei due secoli appena trascorsi,
evidenziando come, quando e perché siano cambiati i significati attribuiti a questo
termine in relazione allo sviluppo socio-economico che ha seguito il processo di
industrializzazione.
5
1.1. Prospettiva storica
Per tutto l'Ottocento e per gran parte del Novecento il concetto di formazione (in senso
organizzativo) resta quasi esclusivamente circoscritto alla formazione professionale,
intesa come insieme di attività di addestramento e preparazione al lavoro, nonché
nell‟ambito dell'apprendistato, che è stato e resta uno degli istituti più rappresentativi di
formazione in ambiente lavorativo.
In un primo periodo, circoscrivibile tra fine Ottocento e prima metà del Novecento,
l'impianto teorico che ispira tutta la concezione e la legislazione sulla formazione
professionale è fondato su una relazione lineare e funzionale tra educazione e lavoro2, e
su un impianto economico produttivo tipicamente fordista-taylorista - retto sulla regola
aurea del “one best way” - caratterizzato da un ambiente stabile, chiuso, protetto. Il
principio che ispira questa visione è quello della razionalità assoluta, che prevede la
massima prevedibilità e il miglior rapporto costi/benefici3.
Anche la cornice macrosociale che orienta queste concezioni è di tipo razionalista e
meccanicistica. In tale visione il soggetto è considerato perfettamente adattabile al
sistema; si presenta alla stregua della macchina, una sorta di protesi della stessa: il
lavoro dell'uomo è rigidamente predefinito e standardizzato. Secondo questa ottica vige
il criterio della mansione parcellizzata; è la definizione minuziosa della procedura a
guidare il processo. Si tratta, dunque, di un modello meccanicistico della realtà
organizzata.
1.1.1. Istruzione e Formazione in Italia: l’approccio duale
Il sistema meccanico è quello che si connette alla prima fase di sviluppo anche nel
sistema formativo italiano, caratterizzato in particolare da un approccio duale tra
istruzione e formazione. Questo sistema trova pieno riconoscimento nella legge
fondamentale dello Stato: la costituzione; tuttavia si struttura sul piano legislativo in
maniera disorganica e ambivalente.
2
Inteso come formazione esclusivamente tecnica, finalizzata al mero apprendimento delle competenze
basilari per eseguire il proprio mestiere.
3
Capogna S., “L‟apprendistato come politica formativa: teoria, pratica, esperienza”, in “Formazione e
Cambiamento”, web-magazine sulla formazione, anno V, n.37/2005.
6
In Italia la prima legge sulla formazione pubblica risale al 1859 (Legge Casati)4. Oltre a
disciplinare l'istruzione primaria e secondaria, questa prima normativa detta disposizioni
anche per l'istruzione tecnica, precisando che questa "ha per fine di dare ai giovani che
intendono dedicarsi a determinate carriere del pubblico servizio, alle industrie, ai
commerci e alla condotta delle cose agrarie, la conveniente cultura generale e speciale"
(art. 172).
Nel 1938, con il R.D. 1380, si registra una prima disposizione pubblica specifica
sull'addestramento professionale, mentre si dovrà attendere il dopoguerra, e
precisamente il 1949, con la legge n. 264, per avere un prima normativa organica in
materia. Le norme della l. 264/49 in sostanza hanno regolato l'intero sistema di
formazione professionale fino alla metà degli anni settanta (l. 845/78) e hanno
contribuito a segnare per decenni una separazione netta sul piano istituzionale tra il
sistema dell‟istruzione e quello della formazione professionale. “In precedenza tale tipo
di formazione era stato fuso e confuso con l‟istruzione tecnica, di cui costituiva in un
certo senso una specie di sub-aggregazione poco chiara e poco distinta”5. Nel nostro
Paese la formazione professionale, a partire dagli anni Cinquanta, si svilupperà pertanto
come sistema distinto dall‟istruzione, trovando fondamento in proposito nella stessa
Carta costituzionale.
La costituzione del 1947, da un lato afferma che “La repubblica detta le norme generali
sull’istruzione” (art. 33), dall‟altro che “La regione emana per le seguenti materie
norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato
…”. Tra le materie sono elencate l‟istruzione artigiana e professionale e l‟assistenza
scolastica.
Da un lato, si prevede l‟istruzione rivolta a tutti e obbligatoria e gratuita per almeno otto
anni, ma di fatto contraddistinta da accessi abbastanza limitati (scuola d'elite), dove a
molte persone si richiede appena di saper leggere e scrivere (competenze di base) per
affrontare i compiti derivanti dalla propria mansione. Dall‟altro lato, si prevedono
percorsi di formazione professionale, brevi e non certo ricchi sotto il profilo culturale,
ma pragmaticamente utili per entrare in un mondo del lavoro che comincia a richiedere
una manodopera con competenze specifiche, seppur modeste.
4
Zanatta A.L.F., “Il sistema scolastico italiano”, p. 260, il Mulino, 1971.
5
Gozzer G., “Formazione professionale, formazione generale, formazione tecnica”, in “Formazione e
Lavoro”, p.31, n.32.
7
Nel corso degli anni „50, quindi, matura e si consolida l‟idea di una formazione
professionale, come “terza via” o terzo filone dell‟area formativa, dopo quella classico-
umanistica (istruzione generale) e quella tecnica o degli istituti tecnici comprese le
strutture atipiche delle istituzioni femminile e artistiche6
In seguito, pertanto, mentre lo Stato si farà carico dell‟istruzione generale, da quella
dell‟obbligo a quella superiore fino all‟università, saranno le Regioni, direttamente e/o
tramite enti accreditati, che avranno competenze sempre più estese in materia di attività
di preparazione professionale finalizzate alla formazione dei cittadini, futuri lavoratori,
ai quali si richiede di acquisire conoscenze e competenze spendibili direttamente e
“solamente” nel mondo del lavoro. Il conseguimento di titoli nell‟ambito delle attività di
formazione professionale (attestati di qualifica) precluderanno per decenni non solo il
rientro nel sistema dell‟istruzione statale (i cui percorsi si concludono con un diploma),
ma la stessa possibilità di accesso all‟istruzione universitaria.
A prescindere dalle tante possibili definizioni, la formazione nel nostro contesto
istituzionale e costituzionale (prima della riforma del titolo V con la l. 3/2001) sarà
intesa, quindi, prevalentemente come formazione professionale e sarà disciplinata
prevalentemente da circolari del Ministero del Lavoro, con la sola eccezione della legge
19 gennaio 1955 n. 25 “Disciplina dell‟apprendistato”. Anche in questa normativa,
comunque, con il termine formazione si fa riferimento sostanzialmente alla
preparazione professionale nel mondo del lavoro. Nell‟art. 2 si precisa che
“l‟imprenditore è obbligato ad impartire o far impartire nella sua impresa, all‟apprendista
assunto alle sue dipendenze, l‟insegnamento necessario perché possa conseguire la
capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l‟opera nell‟impresa
medesima”.
In pratica, l‟istituto dell'apprendistato in coerenza con l'impianto teorico che lo ispira,
considera il giovane apprendista un soggetto da socializzare al lavoro attraverso
l'imitazione del "mastro". Tutto il sapere è concentrato nell'esperienza pratico-operativa
dell'operaio anziano e a lui spetta il compito di iniziare l'apprendista al mestiere: non
serve altro. Al giovane, in genere, non è richiesta alcuna particolare abilità o conoscenza
6
Gozzer G., p.31, cit.
8
teorica: “la formazione professionale dell’apprendista si attua mediante
l’addestramento pratico e l’insegnamento complementare” (l. 25/55 , art. 16).
1.1.2. L’evoluzione della formazione professionale in Italia.
A partire dagli anni '50/'60, in Italia si assiste ad un crescente processo di
industrializzazione con una conseguente crescita occupazionale nel settore secondario.7
Nel corso degli anni „60 e ancor più negli anni „70/‟80, pertanto, nonostante
l‟occupazione presenti un andamento variabile di anno in anno e il sistema economico si
dimostri incapace di realizzare compiutamente il passaggio da un‟economia agricola e
mista ad un‟economia industriale, si avverte una forte vivacità in materia di
professionalizzazione8.
La situazione strutturale appare caratterizzata in particolare dai seguenti fenomeni:
ξ incapacità del sistema di assicurare un pieno utilizzo delle potenzialità di lavoro
esistente;
ξ incapacità di assicurare uno sviluppo economico equilibrato sul piano
territoriale.
Le conseguenze più rilevanti sono:
ξ accentuazione degli squilibri tra città e campagna, nord e sud, agricoltura e
industria;
ξ disgregazione della società rurale e crescita spesso artificiosa
dell‟urbanizzazione;
ξ obsolescenza dei tradizionali modelli culturali e l‟affermazione di una cultura o
meglio sottocultura di massa legata all‟urbanesimo e alla crescita dei ceti medi;
ξ riduzione del peso della cultura imprenditoriale e professionale.9
In questo periodo, che si potrebbe definire neo-modernista, anche in Italia la richiesta di
manodopera specializzata comincia a far intravedere la necessità di valutare le persone
in base alle loro competenze. Entra in gioco la soggettività dell'individuo, viene meno la
7
Periodo 1965/77- Tassi di occupazione per settori di attività: agricoltura -4.655; industria: +7.627; altre
attività: +6.545. Fonte: “Formazione e Lavoro” n. 38.
8
Enaip “Formazione e Lavoro”, n. 86, 1991.
9
Rapporto IREF “Professionalità e formazione professionale in Italia”, in “Formazione e Lavoro”
n.83/84, 1978.
9
regola della perfetta adattabilità e intercambiabilità tra le persone. Il mercato del lavoro
cambia, richiede nuove conoscenze. Non esiste più la sicurezza derivante dalla
prescrizione della mansione e della procedura, si spezza la linearità tra domanda ed
offerta tanto nel mercato del lavoro quanto nei classici mercati di scambio.10
Sul piano legislativo questi cambiamenti inducono ad una riforma dell‟intero sistema
della formazione professionale, con la promulgazione della legge quadro 845/78.
La formazione professionale viene definita strumento della politica attiva del lavoro, si
svolge nel quadro degli obiettivi della programmazione economica e tende a favorire
l‟occupazione, la produzione e l‟evoluzione dell‟organizzazione del lavoro (l. 845/78
art. 1).
Sul piano legislativo la formazione professionale, dunque, non è più considerata
soltanto uno strumento di riequilibro del mercato del lavoro - e soprattutto del lavoro
manuale - ma ne cambia la percezione: è considerata un contributo alla crescita -
ovviamente professionale, ma pure culturale - dei lavoratori e, indirettamente, alla
mobilità e promozione sul lavoro.
Questa svolta non è di poco conto in quanto anni più tardi, con la nuova legge sul lavoro
(l. 197/97) si affermerà in modo esplicito che “è necessario valorizzare i rapporti di
lavoro con contenuti formativi” e ancora “che dovrà essere definito un sistema
organico di controllo sul reale rapporto tra attività lavorative e attività formative”.
Gli anni „80 e „90 sono stati quindi decisivi nel nostro Paese per quanto riguarda
l‟evoluzione della formazione professionale e per un cambiamento di prospettiva verso
una nuova concezione della formazione in senso lato. A questo processo non è stato
indifferente il contributo del dibattito che si e registrato contemporaneamente a livello
comunitario.
1.1.3. Dalla formazione professionale alla formazione organizzativa: la
spinta in ambito comunitario.
A partire dagli anni „60 il discorso fin qui condotto sulla formazione professionale in
Italia è stato affrontato in comune con altri Paesi europei e si è sviluppato a livello
internazionale. Per l‟Italia e per gli altri cinque Paesi che con il Trattato di Roma
diedero vita alla CEE (1957), la formazione professionale è stata considerata soprattutto
10
Accornero A., “Era il secolo del lavoro”, Il Mulino, 1997.
10
come leva delle politiche del lavoro, quindi al servizio del mercato più che della
persona11. Lo stesso Trattato di Roma che istituì la comunità economica conteneva già
espliciti riferimenti alla formazione professionale e imponeva alla Commissione di
promuovere una stretta collaborazione in materia tra tutti gli stati membri (art. 128). Le
politiche della formazione professionale a livello comunitario costituirono per tutti gli
Stati un momento di crescita comune di tutto il settore della formazione anche in senso
lato. Fu alla fine degli anni „70, comunque, che la veloce evoluzione delle tecnologie,
dell‟automazione e dell‟informatica determinarono una rapida trasformazione dei
processi di lavorazione manifestando l‟esigenza di conoscenze e competenze sempre più
elevate, diversificate e complesse a livello europeo12.
Una svolta decisiva sulle tematiche della formazione si ebbe soltanto nel 1993 con la
pubblicazione del Libro Bianco della Commissione dal titolo “Crescita, competitività,
occupazione: le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo” legato al nome
di Jacques Delors13. Tale documento pose in evidenza, tra l‟altro, il ruolo dell‟istruzione
per la crescita, la competitività e l‟occupazione, nonché la necessità di rinnovare i
sistemi di formazione per far fronte alle sfide economiche e sociali della Comunità.
Questi temi vennero ulteriormente approfonditi, nel 1995, su iniziativa di Edith
Cresson14, con la presentazione, dal Libro bianco sull‟istruzione e la formazione dal
titolo “Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva”.
Il libro Bianco di Cresson parte da una constatazione: “i cambiamenti in corso hanno
incrementato la possibilità di ciascun individuo di accedere all’informazione e al
sapere”. Al tempo stesso questi fenomeni comportano una modifica delle competenze
necessarie e dei sistemi di lavoro che necessitano notevoli adattamenti. Questa
evoluzione in corso pertanto determina per tutti situazioni di incertezza e per alcuni può
determinare processi di emarginazione. Nel Libro bianco si afferma che “sempre più la
posizione di ciascuno di noi nella società verrà determinata dalle conoscenze che avrà
acquisito. La società del futuro sarà quindi una società che saprà investire
11
Accornero A., cit., 1997.
12
Magni V., “Europa” in “Voci della Scuola”, Tecnodid, 2002.
13
Per ulteriori informazioni si vedano le note sintetiche del Parlamento Europeo: “Principi generali della
politica industriale dell‟UE” (http://www.europarl.europa.eu/factsheets/4_7_1_it.htm). Jacques Delors è
stato alla presidenza della Commissione Europea dal 1985 al 1994.
14
Edith Cresson, ex-primo ministro della Repubblica Francese, membro della Commissione Europea nel
1995 con la delega alla scienza, alla ricerca e allo sviluppo.
11
nell‟intelligenza, una società in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuo
potrà costruire la propria qualifica. In altri termini una società conoscitiva”.15
Fra i numerosi e complessi mutamenti che attraversano la società europea, sono
particolarmente percettibili tre grandi “fattori di cambiamento”:
ξ l‟estensione a livello mondiale degli scambi;
ξ l‟avvento della società dell‟informazione;
ξ il rapido progresso della rivoluzione scientifica e tecnica.
L‟estensione a livello mondiale degli scambi è un fattore che sconvolge i dati sulla
creazione di posti di lavoro, in quanto riduce le frontiere fra i mercati del lavoro.
La conseguenza principale della società dell‟informazione è quella di trasformare le
caratteristiche del lavoro e l‟organizzazione della produzione.
Il progresso della rivoluzione scientifica e tecnica fa sorgere in buona parte della società
un sentimento di minaccia, di incertezza, e per alcuni addirittura una paura irrazionale, e
il timore del cambiamento ha come conseguenza di conservare della scienza
un‟immagine violenta e preoccupante.
Il Libro bianco, senza pretendere di essere esaustivo propone due risposte che possono
essere fornite dall‟istruzione e dalla formazione per eliminare gli effetti nocivi causati
da questi tre fattori.
La prima risposta consiste nella rivalutazione della cultura generale. Lo sviluppo della
cultura generale, cioè della capacità di cogliere il significato delle cose, di capire e di
creare, è la funzione di base della scuola, nonché il primo fattore di adattamento
all‟economia e all‟occupazione.
La seconda risposta consiste nello sviluppare l’attitudine all’occupazione, attraverso
strategie che incoraggino la mobilità dei lavoratori.
Un‟altra idea-impulso riguarda l’accesso alla formazione che deve essere sviluppata
nell’arco di tutta la vita. L‟idea della formazione permanente, che in questa sede verrà
approfondita più avanti, acquisisce autorevolezza su documenti di valore comunitario.
Il Libro bianco, in particolare, suggerisce che vengano raggiunti cinque obiettivi
generali per un‟azione e per ciascuno di loro propone uno o più progetti di sostegno da
svolgere a livello comunitario.
15
Tratto da “Insegnare ed Apprendere – Verso la società conoscitiva”, Libro bianco su istruzione e
formazione, commissione delle comunità europee, p. 3, Bruxelles, 1995.
12
1. favorire l‟acquisizione di nuove conoscenze ovvero innalzare il livello generale
delle conoscenze;
2. avvicinare la scuola e l‟impresa;
3. lottare contro l‟emarginazione;
4. acquisire tre lingue comunitarie;
5. trattare sullo stesso piano l‟investimento a livello fisico e l‟investimento a livello
di formazione;
Nel 1996 Jacques Delors nel Rapporto Unesco Learning the tresure within, che
costituisce una pietra miliare per la ricerca di un sistema in cui istruzione e formazione
fossero considerati elementi inseparabili di un tutto, lanciò il concetto dei quattro
pilastri dell‟educazione:
1. imparare a conoscere;
2. imparare a fare (passaggio dal concetto di abilità a quello di competenza, in
forza della progressiva dematerializzazione del lavoro e dello sviluppo dei
servizi;
3. imparare a vivere insieme;
4. imparare ad essere.
E' nel corso dell‟ultimo ventennio che si affermano "visioni pedagogiche più attente a
promuovere capacità di adattamento alle variabilità del sistema e dell'ambiente (logica
dell'adattamento attivo e formazione al ruolo)".16 Il modello di riferimento è quello
organicistico, capace di rappresentare "sistemi in movimento" ma, pur sempre,
all'interno di una logica ispirata all'adattamento funzionale. Nella logica del sistema
organico la formazione non è più finalizzata all'adattamento al lavoro, ma è diretta ad
attivare, esaltare, guidare le motivazioni e le attese dei soggetti, è stimolo al
cambiamento. E' in questo filone di pensiero che si afferma e si diffonde la formazione
extrascolastica, dove l'apprendimento rivolto alla responsabilizzazione e alla gestione
del ruolo anziché del compito prende le distanze dall'apprendimento per affiancamento
e imitazione.
16
Lipari D., “Logiche di azione formativa nelle organizzazioni”, Guerini e Associati, 2002.
13
1.1.4. In sintesi
Figura 1 - L'evoluzione del sistema macroformativo negli ultimi due secoli.
dagli anni '90 in poi
Svolta sulle tematiche formative: Libro Bianco e Società della Conoscenza
dagli anni '70 in poi
sviluppo della Formazione manageriale Spinta in ambito comunitario
dagli anni '50 agli anni '70
Approccio duale Istruzione + Formazione
dall'800 fino agli anni '50 del '900
Formazione solo professionale Apprendistato e Preparazione al lavoro
14
1.2 Le risorse umane “macchina” per il vantaggio competitivo
Dopo aver affrontato ad ampio raggio il contesto istituzionale e politico in un‟ottica
storica, l‟analisi si sofferma sulle relazioni tra gli “attori” della formazione sul
palcoscenico organizzativo: le risorse umane, insieme ad una visione generale delle
teorie inerenti un‟efficace gestione delle stesse.
1.2.1. La teoria classica
La teoria dell’organizzazione classica (sino alle sue derivazioni più moderne) si basa
sull‟assunto che le organizzazioni possono, o almeno dovrebbero, essere sistemi
razionali che funzionano nel più efficiente modo possibile: macchine ben oliate. Con un
breve passo indietro, ricordiamo che le organizzazioni sono strumenti nati per
raggiungere obiettivi che ad un solo uomo sarebbero negati. Tale concetto è rispecchiato
nella stessa etimologia della parola, che deriva dal greco organon, ovvero “strumento”,
“mezzo”; gli strumenti sono appunto dei mezzi sviluppati allo scopo di aiutare ad
espletare delle attività ben finalizzate.
Se la strumentalità è palese già nelle prime organizzazioni di cui si ha conoscenza
storica, è con la proliferazione delle macchine – ovvero a partire dalla rivoluzione
industriale – che le concezioni organizzative acquisiscono connotazioni
meccanicistiche, che precedentemente erano avulse dal concetto di impresa. Questo
perché l‟impiego delle macchine, specie nel settore industriale, ha richiesto che fossero
le organizzazioni ad adeguarsi alle necessità delle macchine stesse, e non il contrario17.
Se già Weber aveva evidenziato le correlazioni tra la meccanizzazione dell‟industria e la
proliferazione delle forme burocratiche di organizzazione, è oggi evidente ai più come i
teorici classici abbiano sempre prestato scarsa attenzione agli aspetti umani delle
organizzazioni; pur riconoscendo l‟importanza di fattori come il bisogno di leadership,
o la capacità d‟iniziativa dei singoli dipendenti, l‟organizzazione è sempre rimasta
concepita come un problema essenzialmente tecnico. Ed anche avendo trovato in nuove
metafore nuove forme organizzative18, non c‟è motivo di negare l‟importanza risolutiva
17
Morgan G., “Le metafore dell‟organizzazione”, Franco Angeli, 1999.
18
Dalla macchina per l‟organizzazione burocratica si è passati all‟organismo biologico per
l‟organizzazione flessibile, sino al sistema olistico.
15
che ancor oggi un approccio classico, benché a volte rinnovato nelle forme, può avere
nella gestione di determinate problematiche aziendali; alcuni esempi sono l‟efficienza
che l‟economia di scala introduce quando si è in presenza di compiti facilmente
routinizzabili, il rigido controllo che i dirigenti hanno facoltà di esercitare sui
subordinati, ed altri fattori fruibili in un ambiente essenzialmente stabile.
Tecnologia e struttura sono rimaste per due secoli, a buon ragione, le due parole chiave.
Perché cambiare?
L‟ondata dell‟innovazione tecnologica ha pervaso, ineluttabilmente, l‟intera classe dei
settori produttivi - dal primario al secondario, fino al terziario - e tutti gli ambiti
lavorativi - da quelli operativi a di controllo, a quelli specialistico-professionali, sino ai
ruoli manageriali; pervade attività produttiva e gestionale. Reenginering, Management
by Objectives (MBO), Planning Programming Budgeting System (PPBS) sono nuove
metodologie - che fanno dell‟uso di sistemi ICT e CRM la loro principale forza -
adottate solo dagli anni ‟80 in poi. Sono già obsolete?
La tecnologia è indispensabile per trasformare più velocemente materie prime o
semilavorati in prodotti finiti, così come lo è per elaborare o per far circolare in breve
tempo grandi quantità di dati ed informazioni. Le derivazioni sono le più remote, se
riconosciamo che l‟innovazione tecnologica si lega indissolubilmente all‟abusato
concetto di globalizzazione, e che ciò comporta non solo lo stravolgimento dei mercati
economici di prodotti e servizi (nonché del mercato del lavoro) ma pure un loro ampio
ridimensionamento, imprevedibile sino a pochi decenni fa; basti pensare che oggi negli
Stati Uniti oltre l‟87% della forza lavoro è attiva nel solo settore dei servizi, e meno del
13% lo è nel settore primario19.
Raramente le risorse umane erano state considerate una fonte di creazione di valore,
poiché il costo riguardante la forza lavoro rappresentava per la maggior parte delle
imprese la maggiore componente delle spese operative. I tagli nel personale rientrano,
inoltre, spesso nelle strategie volte alla ristrutturazione e al contenimento dei costi.
L‟evoluzione del ruolo delle risorse umane come fonte di vantaggio competitivo,
piuttosto che come costo da minimizzare, deriva direttamente dai nuovi imperativi di
mercato, da un‟economia sempre più basata sui servizi, da una maggiore concorrenza
domestica e internazionale, dal rapido progresso scientifico e tecnico; fattori che hanno
condotto a richieste sempre più veloci di cambiamenti nella produzione e vendita di
19
Robert Norman, “La gestione strategica dei servizi”, Etas, 1992.