quale introduce non più un aspetto di oggettività, quanto invece un filtro soggettivo,
quello di un altro soggetto, nella maggior parte dei casi il consumatore.
Un concetto quindi ben delineato ma altrettanto ampio e degno di una attenta analisi.
Una delle definizioni più interessanti date alla marca è quella di J.N. Kapferer, secondo
cui la marca “ ... è la memoria del prodotto, il “magazzino” delle impressioni reiterate
del consumatore, dopo il suo uso” (Kapferer J.N., 1991). Oltre a questa ritengo molto
chiara ed interessante anche la visione data da Semprini, il quale offre un punto di vista
differente: “la marca è costituita dall’insieme dei discorsi tenuti su di essa dalla totalità
dei soggetti (individuali e collettivi) coinvolti nella sua generazione” (Semprini A.,
1993).
Queste definizioni danno sicuramente per scontato tanti concetti più semplici alla base
di questo argomento, ma mettono in luce un aspetto molto importante del termine,
ovvero il ruolo del consumatore e la necessità funzionale che lo stesso conferisce al
brand.
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1. La marca
1.1 La marca
1.1.1 La marca moderna: alcuni cenni storici
Come ho scritto nell’introduzione la marca non possiede una definizione riconosciuta in
modo universale, tanto da essere condivisa da tutti gli studiosi. Sicuramente sono stati
identificati gli aspetti comuni, ma ognuno tende a dare una sfumatura diversa a questo
termine, cercando di completarlo per renderlo più vicino alle proprie idee e alla propria
disciplina.
Questo perché la marca è un concetto che si spinge oltre alla semplice riconoscibilità.
Le marche risultano essere un insieme di dimensioni più o meno evidenti e
razionalmente percepibili, ma che comunque, in un modo o nell’altro, vanno a
completare il bene o servizio su cui vengono apposte.
Molti studiosi ritengono che per la marca esiste da che l’uomo esiste, altri collocano le
prime apparizioni della marca fin dai tempi in cui gli uomini hanno deciso di dare un
ordine alle cose diverso da quello dato dalla natura. Si prenda infatti per esempio un
uomo che decide di marchiare il proprio pascolo con un simbolo per distinguerlo dal
pascolo di un altro uomo o tribù.
In questo caso assistiamo ad una necessità di voler distinguere il proprio gregge che
altrimenti potrebbe mischiarsi a quello di un altro. La necessità è puramente funzionale
ad indicare possesso e appartenenza, per tutelarsi dai furti.
Anche in epoca preistorica ai mattoni venivano applicati segni distintivi, o ancora nella
creazione di diversi utensili veniva apposta una sigla al fine di garantire l’origine e la
qualità dei manufatti.
Come sostengono Fabris e Minestroni si tratta semplicemente di “protomarche”, ovvero
di antenati della marca industriale concepita in epoca moderna (Fabris G., Minestroni
L., 2004).
Quando si parla di marca moderna si devono tenere presenti aspetti legati alla civiltà
industriale come il consumo di massa, i potenti metodi di comunicazione di massa e
l’avvento della pubblicità e della distribuzione in ottica moderna.
Per collocare in un contesto storico la marca moderna, possiamo indicare la rivoluzione
commerciale come punto di riferimento. Si assiste ad un profondo cambiamento del
tessuto sociale ed economico, la produzione di molte categorie di beni passa da una
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dimensione artigianale ad una industriale. I beni prodotti acquisiscono caratteristiche
standardizzate ed anonime, il consumo di massa che ne consegue genera una massiccia
richiesta di beni di ogni tipologia ed ingenti quantità. Il consumo si sposta ad un livello
che supera il semplice bisogno di sostentamento ed entra in una sfera di
soddisfacimento di bisogni sociali e di riconoscimento individuale. Questo è a grandi
linee lo scenario che prepara l’ingresso della marca e dei marchi all’interno del sistema
economico mondiale. La marca moderna nasce dunque con una caratteristica di
distinzione da apporre sui beni e servizi al fine di trarne un vantaggio competitivo
rispetto ai concorrenti (Aaker A.D., 1997).
E’ già dai primi anni del 19° secolo che assistiamo alla comparsa delle prime marche,
dei brand ed in qualche caso dei loghi nel loro stadio primordiale.
E’ straordinario notare come la quasi totalità dei marchi nati fin dai primi anni dell’800
siano tutt’oggi marchi di livello internazionale dotati di caratteristiche ancora attuali ed
al passo con i tempi.
Lo scenario del 20° secolo vede l’evolversi del contesto in uno sviluppo economico
notevole, nella nascita di importanti attività pubblicitarie oltre che al continuo fenomeno
di nascita di nuovi brands.
La marca in questi anni afferma il suo ruolo e accresce il proprio potere, diventando
fondamentale in questo contesto ed allacciando stretti rapporti con il consumatore.
A renderla necessaria è il consumo di massa il quale richiede, anche a fronte del
cambiamento dei bisogni avanzati dai consumatori, un segno distintivo, uno strumento
di identificazione, di garanzia, di orientamento, di differenziazione.
1.1.2 Il valore della marca
Dopo aver inquadrato il contesto storico in cui viene fatta nascere la marca nella sua
accezione moderna, iniziamo ad analizzare quello che è il vero valore della marca.
Innanzitutto la marca è sempre più riconosciuta come un valore dell’impresa, per molti
addirittura l’asset più importante di cui l’impresa dispone, un valore che prescinde
dall’andamento del mercato o da attributi più o meno tangibili dell’impresa stessa.
Una cosa però da cui non si può prescindere quando si parla del valore della marca è ciò
su cui la marca viene apposta: il prodotto o servizio.
Nonostante i tanti saggi che innalzano la marca a creatore autonomo di valore, ritengo
che prima di giungere a questo punto il brand debba guadagnarsi questo ruolo anche
attraverso i prodotti e i beni che esso firma. Sono in molti a sostenere che prima che una
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marca riesca a generare valore con la propria sola presenza, debba acquisire prestigio
comparendo su articoli di qualità, o quanto meno non su articoli privi di valore.
Ad oggi esistono molte marche dotate di un proprio valore autonomo, capaci di
conferire un ulteriore tono e significato anche al più semplice e banale dei beni, ma sono
altrettanto convinto che prima di arrivare a questo punto la marca debba operare per
anni ad alti livelli, essere curata e coltivata, generando grande desiderabilità e fiducia,
sapendo gestire al meglio i momenti di crisi.
Solo alla fine di un percorso del genere la marca acquisisce, agli occhi del consumatore,
un alone di fiducia e valore che avvolge tutto ciò che le viene messo di fianco.
Di conseguenza la vera conditio sine qua non affinché la marca possa esprimere il suo
potenziale è che compaia, soprattutto inizialmente, su un buon prodotto. Una volta
raggiunto un alto livello di notorietà e credibilità agli occhi del consumatore, sono molti
i casi in cui le marche sono state capaci di sopperire a vistose lacune del prodotto o
servizio che firmavano.
Nel lungo termine però nemmeno la miglior marca, quella con più valore, può
nascondere ai propri consumatori la scarsa qualità di un bene; questo a dimostrazione
del fatto che alla base di una marca forte deve comunque e sempre esistere un prodotto
dotato di un valore oggettivo riconosciuto dagli occhi del consumatore.
Nel corso degli anni sono stati tantissimi i marchi che hanno perso il proprio valore
conquistato nel tempo, in quanto apposti su prodotti non più all’altezza del brand.
Ma se la marca riesce a rispondere a questo prerequisito, quello della qualità dei
prodotti su cui viene apposta, allora il potere che può avere è davvero notevole.
Allo stesso tempo è necessario dire che un prodotto di qualità, non è sufficiente per
creare lo stesso valore che la marca sa creare.
Di fronte ad elevati standard qualitativi di un prodotto è necessaria la comunicazione
degli stessi al pubblico per non rischiare di fare svanire il vantaggio competitivo di cui
si dispone.
Anche qui la casistica è notevole: tantissimi sono i prodotti di alta qualità e di indubbia
utilità che faticano ad avere successo o che non riescono ad ottenere i risultati che altri
prodotti “griffati” raggiungono con semplicità.
E’ quindi forte la relazione che la marca e il prodotto devono avere al fine di arricchire
il mondo del brand di valori e ideali che lo seguiranno nel tempo.
La marca rappresenta, come approfondiremo meglio in seguito, un valore immateriale
per l’impresa. A differenza dei prodotti, che sono tipicamente un valore materiale, quelli
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immateriali sono vantaggi competitivi più difficilmente replicabili e quindi di maggior
valore e durata.
E’ noto come ai giorni nostri le differenze tecniche e materiali di un bene siano sempre
minori tra i prodotti sostituti e come ogni innovazione di carattere fisico possa essere, in
un qualche modo, clonata e replicata, rendendo cosi di breve durata e scarso valore il
differenziale generato dal prodotto se paragonato a quello generato dalla marca.
Il più delle volte la brand equity, ovvero il patrimonio di marca, viene attribuito ad
eventi dati dal caso. In realtà è fuori di dubbio che esistano aspetti della marca dati da
alchimie e contesti favorevoli, ma alla base della creazione di valore per l’impresa vi
sono chiare e precise strategie di marketing, scelte di posizionamento ed una attenzione
costante al brand.
Questo mette in luce la vera natura del “fare marca”, una disciplina di carattere
scientifico, con chiare regole e necessità di pianificazione e controllo. Quello che spesso
emerge dalle operazioni di brand management è una forte componente di creatività ed
inventiva; queste componenti risultano a volte essenziali nel processo di creazione o
mantenimento dell’immagine di marca, ma devono sempre essere subordinate a logiche
strategiche pianificate e ben delineate.
Il vero valore della marca prescinde dal segno grafico: questo è solamente una scatola
vuota, un puro segno con valore identificativo.
Quello che dunque rappresenta e genera il contenuto di questa scatola sono l’insieme di
valori, messaggi, significati di cui il marchio si fa portatore. Il modo in cui un prodotto-
servizio o la stessa impresa si rapporterà con il pubblico, con il mondo.
Per creare quindi una marca forte e importante l’impresa deve operare con una strategia
nitida, attraverso logiche di coerenza indiscutibili, operando continuamente scelte
secondo un costante insieme di valori.
1.1.3 Il posizionamento
Inserisco a questo punto il concetto di brand positioning, ovvero il posizionamento della
marca.
Quello del posizionamento è un passaggio obbligato per la marca, a volte avviene in
maniera automatica ed impercettibile, altre è frutto di numerose indagini e studi, ma è
comunque e sempre un passaggio che ogni brand deve affrontare. Al fine di favorire
l’affermazione ed il successo, la marca deve scegliere un proprio posizionamento
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all’interno del mercato, deve in sostanza scegliere a quale tipo di pubblico rivolgersi,
deve identificare il proprio target.
Il posizionamento di marca acquisisce importanza nel corso degli anni settanta, o
meglio in quel periodo dello scorso secolo in cui il consumatore inizia a manifestare
necessità di distintività e di riconoscimento. La marca aumentò la propria attenzione
verso la scelta accurata del proprio target, dedicando tempo e risorse per scegliere al
meglio un preciso spazio mentale da presidiare nell’immaginario dei consumatori
(Kapferer J-N., Thoenig J.C., 1991).
L’idea era appunto quella di associare la marca a valori e performance capaci di
collocarla in un preciso punto dell’immaginario mentale del consumatore, associandola
a specifici consumer benefits.
Si tratta perciò di individuare ed edificare una particolare area per la marca, magari di
ridotte dimensione ma anche per questo riuscire a presidiarla efficacemente. Come dice
Bogart “questo target può avere in comune alcune caratteristiche sociali o di personalità,
oppure i suoi membri, oppure i suoi membri possono condividere un particolare insieme
di motivazioni d’uso del prodotto” (Bogart L., 1990).
Come si può dunque capire da queste definizioni, il posizionamento del brand e i valori
di cui il brand si fa sostenitore e portavoce, sono tra di loro legati.
Il positioning ha come obiettivo quello di trasformare l’offerta in una marca; si tratta del
processo attraverso il quale una società offre le proprie marche ai consumatori.
Attraverso il sistema di positioning anche i prodotti o i servizi offerti
dall’organizzazione acquisiscono un valore diverso, assumono valori e discorsi di
diverso spessore.
In questo senso il marchio e l’impresa non sono più completamente autonomi nella
scelta della propria immagine, ma devono tenere conto del contesto, ovvero del
posizionamento dei consumatori e delle necessità e dei bisogno dei consumatori.
In diversi saggi viene inoltre sottolineata l’importanza dell’arrivare a presidiare per
primi un determinato spazio nella mente del consumatore. A volte non è necessario
essere innovatori o precursori di prodotto se poi non si riesce ad acquisire un vantaggio
di posizionamento da questa novità.
Ries e Trout spiegano questo concetto in modo semplice e facendo riferimento ad un
prodotto che ha cambiato il modo di vivere dell’intero pianeta: “Nell’era del
posizionamento, non basta inventare o scoprire qualcosa. Può addirittura non essere
necessario. Bisogna, invece, essere i primi ad entrare nella mente del pubblico. IBM non
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ha inventato il computer. Lo ha fatto Sperry-Rand. Ma IBM è stata la prima azienda a
creare posizionamento per il computer nella mente del consumatore” (Ries A., Trout J.,
2001).
Quando si posiziona un nuovo prodotto si vanno ad operare due distinte operazioni:
- Si va ad individuare il tipo di pubblico a cui destinare il nostro bene/servizio;
- Si definisce un insieme di significati ed attributi che andranno a caratterizzare il nostro
bene agli occhi del consumatore.
Queste scelte vengono ritenute cruciali dall’impresa che difficilmente le affiderà
all’esterno; sarà il management a prendere l’ultima decisione a riguardo delle scelte di
posizionamento del brand e dei prodotti.
Spesso le scelte vengono fatte sulla base di studi ed indagini commissionate all’esterno,
magari per individuare segmenti liberi oppure dove è necessario essere presenti, ma le
decisioni vengono prese a livello direttivo.
Spesso l’aiuto più importante arriva dai campi della sociologia e dell’indagine
demografica, capace per tanto di indicare precisi segmenti più o meno omogenei ai quali
rivolgere la propria attenzione.
Alla distinzione per sesso, età, professione, residenza geografica, etc... di natura
demografica, vengono affiancate e via via sostituite tecniche relative agli stili di vita.
Se ormai il solo sesso o l’età non rappresentano più dati interessanti per le imprese, lo
sono sempre di più i dati relativi agli stili di vita dei consumatori.
Le tecniche si studio del target di consumatori sono diverse e possono essere distinte in
5 categorie:
1. ricerche motivazionali di base;
2. analisi dei dati descrittivi derivanti da panel di consumatori;
3. il brand mapping;
4. la cluster analysis;
5. la grande mappa.
I metodi che mi appresto a descrivere meriterebbero molto più spazio per ricevere una
spiegazione esaustiva. Quello che mi propongo di fare è dare una descrizione generica
ed il più possibile completa. Le ricerche motivazionali di base sono raccolte di dati con
frequenza pluriennale mirate a descrivere la popolazione di riferimento nelle sue
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dinamiche di carattere motivazionale. Il tutto viene fatto attraverso analisi di carattere
qualitativo in fase esplorativa e di carattere quantitativo in fase descrittiva.
Il secondo metodo elencato, l’analisi dei dati descrittivi derivanti da panel di
consumatori, si basa su tabelle contenenti dati statistici relativi al panel di consumatori.
In questo modo si cerca di analizzare la composizione del target di riferimento.
Il brand mapping è uno studio basato su analisi fattoriale in cui si analizzano gli attributi
ritenuti importanti e il grado di importanza che essi hanno per la clientela; in questo
modo si riesce ad ottenere una mappa capace di rappresentare il posizionamento dei
brands agli occhi del consumatore permettendo quindi di arrivare ad una sintesi comune
e non soggettiva dei diversi items. Il quarto punto presenta la cluster analysis, la quale
emerge dalla creazione di gruppi, i cluster, composti da consumatori e soggetti con
giudizi simili. Il processo di clusterizzazione può avvenire in diverse ottiche, per
esempio per numerosità o per distinzione intergruppi. Quello che di norma è
interessante fare è una sovrapposizione della brand mapping e della cluster analysis al
fine di capire in che modo i diversi brand performano. Non è infatti possibile osservare
il miglior brand in assoluto dalla sola analisi del brand mapping, in quanto possono
esistere brand che performano ad ottimi livelli quando il proprio gruppo di consumatori
ha esigenze molto più semplici.
Il vero successo da parte di una marca è di incontrare le esigenze dei propri consumatori
e questo può emergere solo dalla analisi incrociata e sovrapposta di brand mapping e
cluster analysis. In questo modo sarà possibile osservare se le imprese stanno operando
in direzione del proprio target, senza disperdere risorse ma ottenendo il risultato
desiderato in modo efficiente.
Negli ultimi anni si è diffusa ed affermata la grande mappa di sinottica, ovvero una
rappresentazione grafica capace di classificare e raggruppare la popolazione per stili di
vita.
In questo caso non vi è la necessità, come invece nei primi 4 punti descritti, di operare
ricerche e calcoli, in quanto la grande mappa sinottica è uno strumento che esiste. Una
ditta specializzata in questo tipo di studi produce ogni anno una mappa grafica capace di
rappresentare gli stili di vita della popolazione del nostro paese. Le due dimensioni su
cui viene create la mappa sono dette tratti duri (detti anche tratti maschili, ovvero più
razionali) e tratti morbidi (ovvero caratteristiche più astratte ed emotive, femminili).
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