Introduzione
10
Ma sono due, essenzialmente, le ragioni profonde per cui si
sceglie di comunicare: si comunica per costruire relazioni, si
comunica per cambiare.
Come si può notare, si tratta di obiettivi complessi, che
richiedono competenze e risorse appropriate, di cui spesso il
mondo del volontariato non dispone o che non è disposto a
utilizzare per la comunicazione.
Ciò che emerge, dunque, è una “tensione” nella
comunicazione, un’esigenza a cui non corrisponde, in molti
casi, una pianificazione dell’azione comunicativa. Come si
dimostrerà nel corso di questo lavoro, per una quota
relativamente cospicua di associazioni, manca ancora la piena
consapevolezza del proprio potenziale comunicativo, la presa
di coscienza di poter essere protagonisti dell’informazione,
interlocutori attivi e propositivi e non solo soggetti passivi.
È in questa direzione che il volontariato moderno dovrebbe
cominciare a muoversi.
In altre parole, il volontariato dovrebbe riuscire a porsi come
“punto di osservazione”, come “fonte alternativa” di
informazione, soprattutto per quanto riguarda quelle tematiche
di cui può vantare un’indubbia competenza, per ritagliarsi
sempre più spazi nel panorama mediatico e per intervenire con
analisi, approfondimenti, testimonianze, ma anche con idee e
proposte. I benefici che ne deriverebbero sono evidenti: una
vetrina offre visibilità, prestigio, e dunque potere contrattuale.
Tuttavia ciò obbliga anche a interrogarsi su “cosa si ha da
dire”, e soprattutto su come fare per confrontarsi con una realtà
diversa da quella che si è soliti frequentare. Per riuscire a
raggiungere questo obiettivo, il volontariato deve innanzitutto
interrogare se stesso e sforzarsi di acquisire le competenze
giuste per affrontare il grande bacino “massmediologico”. In
altre parole occorre che il volontariato adegui i propri codici
Introduzione
11
per parlare ad una platea che non è più quella in cui si opera
abitualmente, ma che diventa “generalista”.
Dal canto loro i mass media non possono limitarsi
esclusivamente a concedere spazi. Ciò che si vuole auspicare
nel lungo periodo, è la modifica di un particolare
atteggiamento: quello per cui si assiste alla diffusione solo di
un certo tipo di informazioni, secondo una logica che risponde
soltanto a pochi “valori notizia” (soldi, potere, cronaca nera).
Ciò che, in sostanza, si vuole proporre è la riscoperta di quei
temi che vengono troppo spesso messi da parte, temi
controversi di cui il mondo del volontariato si fa portavoce
principale. In altre parole bisogna che i media riscoprano il
senso della comunicazione nella “differenza”, che trovino un
punto di contatto vero, che vada al di là delle semplici
apparenze. E quindi recuperino una delle loro funzioni
principali: offrire un’informazione completa, trasparente,
innovativa e originale.
Il principale vantaggio che ne deriverebbe consiste in un
aumento di credibilità dei mass media dinanzi alla società
civile. Infatti, proprio per l’adesione incondizionata alle regole
del mercato e della concorrenza, più volte i mezzi di
comunicazione di massa si sono trovati, negli ultimi anni, a
dover fronteggiare il rischio di non riuscire più ad accreditarsi
presso il pubblico come erogatori di un’informazione libera e
corretta.
Per verificare, dunque, l’attuale situazione del rapporto di
collaborazione che viene ad instaurarsi tra i mass media e il
mondo del volontariato si è scelto di procedere ad un’indagine
sulla comunicazione effettuata da un piccolo campione di
associazioni ambientaliste presenti o attive sul territorio
romano.
Introduzione
12
Questa scelta è stata dettata da un lato da un interesse personale
per le tematiche ambientaliste, e dall’altro dalla constatazione
di quanto sia importante per le associazioni impegnate in
questo campo avvicinarsi al mondo della comunicazione.
In effetti, uno dei principali scopi delle organizzazioni che si
occupano della tutela dell’ambiente è proprio quello di
informare e di mobilitare i cittadini, nonché di diffondere su
larga scala una cultura civica che si fonda sull’assunzione in
prima persona di responsabilità nei confronti dell’ambiente e
dell’intera società. E chi meglio dei mass media e del mondo
della comunicazione può aiutare in questo senso?
In particolare ci si è interrogati intorno a 5 aree problematiche:
a) la conoscenza dei meccanismi della comunicazione
(spazi, tempi, logiche editoriali, strumenti,
metodologie)
b) la comprensione del peso della comunicazione
c) l’immaginario del sistema dei media
d) l’autorappresentazione
e) le concrete attività di comunicazione
La prima parte di questo lavoro è dedicata allo scenario teorico
in cui la nostra ricerca va a collocarsi.
Il primo capitolo, infatti, traccia alcune linee guida per
comprendere l’attuale situazione del mondo del volontariato in
Italia, mentre il secondo entra nel merito del panorama
ambientalista, nelle sue caratteristiche di base e nella storia del
movimento.
Nella seconda parte entreremo nel cuore dell’indagine vera e
propria. A seguito di una sintetica descrizione delle diverse fasi
della ricerca (capitolo 3) si passerà ad illustrare i criteri che
Introduzione
13
hanno consentito di raggruppare le associazioni in 4 categorie
omogenee, ciascuna delle quali ne esprime il grado di
evoluzione raggiunto rispetto alla comunicazione. (capitolo 4)
Il capitolo quinto traccerà un profilo strutturale delle
organizzazioni di volontariato esaminate, delle loro
caratteristiche di base e delle risorse a disposizione.
Il capitolo 6 è dedicato alle strutture dedite alla comunicazione
presenti all’interno delle associazioni, mentre il capitolo
successivo passerà in rassegna i diversi prodotti di cui queste
strutture si occupano.
Il capitolo 8, invece, illustrerà le risposte fornite dalle
associazioni in merito alla soddisfazione dei risultati finora
raggiunti e al riconoscimento dei propri limiti e dei bisogni
cognitivi nel campo della comunicazione.
Successivamente si passerà ad illustrare uno studio di caso
effettuato su una delle associazioni più evolute nel panorama
ambientalista italiano: la Legambiente.
Infine, in allegato verrà riportato il questionario utilizzato nel
corso della ricerca così da consentire un concreto confronto tra
le domande e le risposte fornite dalle associazioni, che hanno
consentito di pervenire ad importanti considerazioni.
Questo lavoro non nasce con la pretesa di pervenire a dei
risultati universali e generalizzabili in tutto e per tutto, ma con
l’intento di fotografare una piccola porzione di quel mondo
così vasto che è il volontariato.
14
PARTE PRIMA:
QUADRO TEORICO DI
RIFERIMENTO
Il fenomeno del volontariato in Italia
15
CAPITOLO 1
Il fenomeno del volontariato in Italia
Il fenomeno della solidarietà nasce e cresce nel nostro Paese
sempre più come un’esigenza reale e concreta. Centinaia di
migliaia di persone, tutti i giorni, dedicano il proprio tempo ad
attività che hanno come obiettivo la presa in carico di
situazioni difficili, la cura di beni di interesse generale, il
sostegno a persone in stato di sofferenza, di disagio, di
solitudine.
Il volontariato, nella sua nuda essenza e nella sua solida
sostanza, è questo. E’ il “farsi carico”, spesso letteralmente, di
qualcosa che nessun altro cura con lo stesso spirito
disinteressato, con la stessa forte ma gratuita motivazione .
Oggi il volontariato potrebbe essere paragonato a un “albero
solido e frondoso”1:
agli inizi, trenta anni fa, non era che un germoglio
formato da poche associazioni, poi è rapidamente
cresciuto, piantando le sue radici nella terra
dimenticata del disagio sociale in modo incontrollato e
ignorato da tutti (governanti, imprese e mass media)
finché non é diventato grande come quelle piante che
crescono libere negli appezzamenti di terra incolti e
vengono notate solo quando il loro fusto è forte e alto.
1
Cfr. Gawronski Stas . Guida al volontariato, Einaudi editore, Torino,
1997.
Capitolo 1
16
Il volontariato nasce dalla società, e per la società si adopera. È
nella società che sono rintracciabili i bisogni delle persone più
povere ed emarginate, abbandonate dallo Stato: ad esempio le
associazioni nel campo della sanità sono nate attorno alle
problematiche di una determinata patologia, attorno alla
carenza, cioè, del sistema di assistenza medico sociale. In
questi ultimi anni, l’insufficienza dell’intervento pubblico é
addirittura aumentata; si assiste ad un progressivo
smantellamento di servizi, competenze e risorse destinate al
sociale e soprattutto ad una colpevole assenza di progetti e
iniziative mirate ad affrontare un disagio che cresce
vistosamente sotto gli occhi di tutti.
In questa situazione, il dolore di chi é bisognoso tocca le
coscienze di molti cittadini che si responsabilizzano, si
impegnano, si organizzano e si offrono per aiutare in modo
disinteressato coloro che sono più lontani dal benessere
economico e, in generale, per creare una società migliore in un
mondo migliore. A questa forte domanda sociale hanno
risposto, dagli anni Settanta ad oggi, persone di diversa cultura
che, avendo in comune la passione per la causa degli esseri
umani e superando quelli che, a volte, potrebbero essere gli
steccati di una sterile ideologia partitica e di un cattolicesimo
bigotto e spesso dimentico della sua vocazione alla carità, si
sono rimboccati, letteralmente, le maniche.
Perché, dunque, si diventa volontari? Per amore del prossimo.
Per amore del mondo.
Le ragioni sono molteplici, forse una per ogni persona
impegnata nel settore. Per ragioni politiche (politico nel senso
originario, costitutivo della parola: per amore della polis). Ad
emergere nei diversi ambienti di volontariato è, infatti,
l’implicito ma oggettivo ruolo politico, che va oltre le
intenzioni manifestate dai protagonisti: partecipando ai
Il fenomeno del volontariato in Italia
17
processi di vita sociale viene favorita la crescita del sistema
democratico. Oggi il volontariato è una colonna portante della
nostra società. E’ indispensabile, non ne possiamo più fare a
meno non solo per i servizi offerti a chi vive in stato di
bisogno, ma soprattutto per la cultura e i valori che esprime.
Il volontariato si pone come coscienza critica e punto di
diffusione dei valori della pace, della non violenza, della
libertà, della legalità, della tolleranza, della centralità della
persona umana. E ancora come promotore, con la propria
testimonianza, di stili di vita caratterizzati dal senso della
responsabilità, dell’accoglienza, della solidarietà e della
giustizia sociale.
Le azioni dei volontari, organizzate e inquadrate in particolari
attività e campagne, si fanno carico del problema che
prospettano, non rinunciando affatto ad indicare la necessità di
un intervento rinnovato e rafforzato da parte di uno Stato che si
è impegnato ad occuparsi di chi è svantaggiato sulla base del
principio che tutte le persone hanno pari dignità2.
Sono lontani, infatti, i tempi in cui l’azione volontaria poteva
intendersi, soltanto, come un “soggetto supplente” dei servizi
istituzionali. Oggi le cose sono molto cambiate: la realtà del
volontariato e il suo manifestarsi pubblicamente hanno fatto sì
che esso potesse essere riconosciuto come soggetto attivo,
come interlocutore e come autorevole protagonista della vita
pubblica. Vi è, inoltre, la necessità di un legame nuovo, di una
integrazione tra istituzioni e volontariato. Un coordinamento,
una sinergica spinta a potenziare la capacità della comunità di
“prendersi cura di sé”.
2
art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana. “ È compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
limitando di fatto la libertà e l’ uguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’ effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’ organizzazione politica, economica e sociale del Paese”
Capitolo 1
18
Come si dimostrerà nel corso di questo capitolo, la mano
pubblica può fare molto in questa direzione: può decidere di
ripensare il sistema nazionale di welfare continuamente in
discussione, e soprattutto può sostenere il volontariato e
l’associazionismo creando un quadro legislativo idoneo.
1.1 LE ORIGINI DEL VOLONTARIATO MODERNO IN
ITALIA
Il volontariato, nelle sue diverse forme ed espressioni, nasce e
si sviluppa all'interno dello stesso spazio storico in cui si
delinea e si afferma il sistema assistenziale.3
Pertanto, se si vuole tentare di tracciare un quadro storico del
volontariato, è inevitabile dover ripercorrere le linee evolutive
di questo sistema, evidenziando le forme giuridiche ed
amministrative che esso ha assunto nelle diverse epoche
storiche, cercando soprattutto di interpretarne la cultura
sottesa, l'idea cioè che dei poveri e della povertà la società
aveva e perseguiva, nei vari momenti della storia.
In linea di massima si può affermare che il volontariato italiano
si è sviluppato in tre grandi tradizioni: una ecclesiale e
cattolica, legata all'opera di evangelizzazione della Chiesa,
fondata sul concetto di pietas cristiana e tuttora molto viva;
una di tradizione operaia e socialista4 che si è sviluppata a
partire dalla fine dell’Ottocento e che ha contribuito in maniera
decisiva alla nascita dello Stato sociale nel nostro Paese; infine
3
S. Rocchi, Il volontariato fra tradizione e innovazione, NIS, Roma 1993,
p. 17.
4
Tra di esse ricordiamo, ad esempio, le società di mutuo soccorso, le
cooperative di consumo e di produzione, le associazioni politiche e
sindacali.
Il fenomeno del volontariato in Italia
19
una tradizione di stampo laico che ha da sempre avuto come
obiettivo quello di partecipare attivamente alla difesa e
all’arricchimento del contesto civile, culturale ed economico
della società.
Premettendo che forme di solidarietà tra individui sono sempre
esistite e hanno attraversato i secoli sin da quando le prime
forme di società sono comparse sulla Terra, è possibile
individuare un momento storico in cui esse hanno subito un
processo di istituzionalizzazione, dando vita al cosiddetto
“volontariato moderno”.
1.1.1 DALL’UNITÀ D’ITALIA ALLA COSTITUZIONE
Il periodo storico entro il quale il settore non profit italiano si
istitituzionalizza nella sua accezione più moderna risale alla
fine dell’Ottocento, e cioè agli anni in cui si concluse il
processo di unificazione del nostro Paese ed ebbero inizio la
rivoluzione industriale nonché le prime lotte tra le élite del
nuovo Stato nazionale, la Chiesa cattolica ed il nascente
movimento socialista.
Questo periodo storico è segnato da un crescente orientamento
interventista dello Stato nel settore dell'assistenza, e si
caratterizza per una prima fase definita della carità legale5, cui
seguirà quella della previdenza sociale e una terza
dell'assistenza sociale.
La scelta dello Stato unitario, che si ispirava ai valori laici e
borghesi della Rivoluzione francese, di promuovere una
secolarizzazione del sistema assistenziale, sembrava rispondere
5
La carità legale coincide con quell'atteggiamento dello Stato che, pur
continuando a disinteressarsi dei poveri (perché l'interesse prevalente è
sempre e comunque che questi non arrechino fastidio e non siano di
disturbo per l'ordine pubblico), si preoccupa però che i beni e le istituzioni
di carità preposte alle loro necessità operino secondo una corretta
amministrazione
Capitolo 1
20
a due esigenze: da una parte il rafforzamento della borghesia e
dall'altra un ridimensionamento del potere della Chiesa e delle
sue istituzioni.
In quegli anni infatti, in ritardo con gli altri Paesi europei, in
Italia la maggior parte delle istituzioni sanitarie e d’assistenza
erano ancora nelle mani delle istituzioni religiose, molte delle
quali di origine medievale. In particolare, l’assistenza era
fornita prevalentemente dalle cosiddette Congregazioni di
Carità e dalle Opere pie6, che nel 1861 erano oltre 18.000.
Tra il 1861 e il 1890, la novella autorità giuridica italiana
emanò una serie di leggi che avevano l’obiettivo di confiscare i
patrimoni dei vari ordini e congregazioni religiose,
costringendo le Opere pie a sottomettersi al controllo pubblico.
La legge 3 agosto 1862, n. 753 fu emanata con lo spirito di
regolamentare le congregazioni di Carità che avevano il
compito di coordinare le attività delle Opere pie, e con l’intento
di “affidare nelle mani dei più onorati cittadini il prezioso
deposito della beneficenza, sottraendolo alle usurpazioni
governative”.7
Nel 1866, inoltre, il parlamento approvò una legge che aboliva
1.800 ordini e congregazioni religiose e di conseguenza
confiscava i loro beni. L’anno successivo furono, per legge,
confiscati i beni di altre 25.000 istituzioni cattoliche che non si
occupavano di “curare le anime” bensì praticavano assistenza
sociale e sanitaria, lasciando tuttavia libere le parrocchie e le
chiese locali.
Ma il passaggio definitivo delle iniziative assistenziali dalla
Chiesa allo Stato si concretizzò solo nel 1890, con la cosiddetta
6
Enti morali che vivevano di donazioni e lasciti accumulati nel corso di
secoli – quasi tutte sotto il controllo delle congregazioni religiose - che
fornivano servizi nettamente superiori a quelli delle istituzioni pubbliche.
7
Art. 1 Legge 3 agosto 1862, n. 753. Dalla "Raccolta Ufficiale Leggi e
Decreti del Regno d'Italia", 1862.
Il fenomeno del volontariato in Italia
21
“Legge Crispi”8 n. 6972, che sottometteva le Opere Pie che
fornivano assistenza di tipo sanitario ed educativo, sotto il
controllo dello Stato, e in più imponeva ad ogni istituzione di
assistenza che avesse una qualche rilevanza economica di
assumere la natura giuridica pubblica. Con quest’ultima legge
si avviò quel processo che portò alla trasformazione delle
Opere pie in IPAB (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e
Beneficenza) che ebbe fine nel 1923, sotto il regime fascista. 9
Contemporaneamente all’affermarsi del processo di
secolarizzazione del sistema assistenziale, in Italia giunge al
potere la cosiddetta Sinistra storica e, sotto la spinta del
movimento operaio, prende vigore la teoria pluralista
caratterizzata dal libero associazionismo con finalità
solidaristiche e assistenziali.10 Nonostante la lentezza con cui
nel nostro paese si è verificata la rivoluzione industriale, il
movimento operaio viene ad assumere, in pochi anni, sempre
di più un carattere di rivendicazione e di lotta. È con la
costituzione del Partito socialista italiano (1892) che nascono le
8
Legge 17 luglio 1890, n. 6972. Dalla "Raccolta Ufficiale Leggi e Decreti
del Regno d'Italia", 1890.
9
L’autonomia negata alla Chiesa, tuttavia, non fu del tutto veritiera. In
realtà nel corso degli anni, le élite religiose, ed i servizi assistenziali che
esse gestivano, mantennero sempre un certo grado di autorità e di
indipendenza che crebbe notevolmente nel corso del ventennio fascista
(1922-1943) e in particolare, in seguito al Concordato del 1929, che poneva
fine alle ostilità tra lo Stato e la Chiesa. Il Concordato, infatti, concesse alla
Chiesa una grossa autonomia d’azione, e in più dichiarò il cattolicesimo
religione di Stato, mettendo a rischio la separazione di potere tra Stato e
Chiesa. Da quel momento in poi molte organizzazioni di stampo religioso
che da sempre di erano occupate di assistenza, educazione e salute,
divennero parte del sistema pubblico della sicurezza sociale: divennero,
insomma, ciò che noi oggi definiremmo i mediatori tra il pubblico e il
privato.
10
S. Rocchi, Volontariato tra tradizione e innovazione, cit., p. 29.
Capitolo 1
22
Società di resistenza che lottano per superare i bassi standard
assistenziali del capitalismo liberale e per conseguire un regime
di assicurazioni sociali obbligatorie.
Il passaggio dalla concezione liberista di uno Stato meramente
assistenziale al sistema della previdenza sociale è determinato
dall'ormai chiara consapevolezza che il malcontento diffuso
rischia di trasformarsi in lotta di classe.
Questo doppio dualismo – Stato/Chiesa e élite nazionale/classe
operaia – ha portato lo Stato italiano ad assumere su di sé la
responsabilità di soddisfare i “bisogni collettivi” dei cittadini e
di alimentare il benessere generale della collettività.
La legislazione di previdenza sociale che verrà attuandosi in
Italia segue il modello prussiano. Infatti, dal 1904 al 1917 lo
Stato in Italia provvede, seguendo la legislazione bismarkiana,
all'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e la vecchiaia di
alcune categorie di lavoratori; bisogna però attendere il 1919
affinché l'assicurazione sia resa obbligatoria per tutte le
categorie e sia approvata quella contro la disoccupazione.
L'intervento dello Stato in questa politica previdenziale
assicurativa, anche se ancora molto marginale, determina
comunque un altro significativo passaggio dallo Stato
assistenziale all'avvento di un sistema di “sicurezza sociale”.
Durante e dopo la seconda guerra mondiale le esperienze di
disoccupazione e povertà che investono non solo la classe
operaia, ma anche le classi medie e parte della borghesia,
costituirono una spinta decisiva per una nuova interpretazione
dello Stato sociale, che andrà ad esprimersi nel concetto
dell’universalismo delle prestazioni, per il quale l’erogazione
dei servizi e delle assicurazioni non deve avvenire in modo
selettivo, ma secondo misure uniformi per tutti i cittadini.
Si tratta tuttavia di un inizio ancora condizionato in Italia dalle
motivazioni ideologiche proprie di uno Stato prettamente
assistenziale, di uno Stato, cioè, che non privilegia certo i diritti
Il fenomeno del volontariato in Italia
23
dell'uomo, ma che interviene nel sociale solo per soddisfare un
proprio interesse e non per rendere effettivo un diritto della
persona.
Una demarcazione ideologica tra questo Stato assistenziale e
quello che potremo definire “sociale”, nucleo di diritti
inviolabili della persona, sarà segnata solo dall'avvento della
Costituzione. Infatti, è solo a partire dal 1948 che si assiste ad
un radicale mutamento nella struttura dello Stato: tra i diritti
inviolabili della persona, non compaiono più solo quelli
individuali, ma anche quelli sociali e della comunità.
Avendo vissuto, durante il fascismo, un’esperienza totalitaria
che mortificava i diritti e che interveniva nel sociale solo per
soddisfare propri interessi o per tenere lontane autonome
iniziative popolari, il nuovo governo della Repubblica si
mostrò molto più sensibile all’evoluzione sociale e ai bisogni
dei cittadini.
Viene quindi a concretizzarsi un concetto di solidarietà che
applica i valori della Costituzione stessa: i diritti dell’uomo, la
pari dignità sociale, l’uguaglianza di tutti i cittadini e
soprattutto l’impegno dei poteri pubblici nel mantenimento di
tali principi.
Si ricordino a proposito gli articoli 2 e 3 della Costituzione
della Repubblica italiana:
“La Repubblica, dopo aver riconosciuto e garantito i
diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle
formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità,
richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale”
[art. 2 Costituzione della Repubblica italiana]