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Riassunto
Durante l’attività di ricerca è stata studiata la composizione aromatica, a
livello di molecole, di vini bianchi e rossi speciali. Nel caso dei vini bianchi è stata
esaminata la componente aromatica del Moscato di Trani a DOC, effettuando
l’indagine su due campioni di differenti annate, al fine di evidenziare le differenze
compositive e dare qualche suggerimento su come ottimizzare la produzione di
questi vini aromatici in ambiente caldo-arido, e quali devono essere gli accorgimenti
che a monte permettono di ottimizzare l’estrazione degli alcoli monoterpenici, senza
deturpare il colore di questi vini.
Sui vini rossi affinati in barrique, invece, è stata monitorata la presenza di
molecole che il vino acquisisce nel momento in cui sosta nel legno, con particolare
riferimento agli etilfenoli, che possono alterare la finezza aromatica di questa
tipologia di vini. Anche in questo caso è stata proposta una strategia che può
contribuire a minimizzare la problematica dei fenoli volatili, con particolare
attenzione alla gestione delle botti usate. Infine, è stato proposto un trattamento che
permette di ridurre la presenza degli etilfenoli nel vino.
Summary
During the research activities has been studied aromatic composition, at
molecule level, of special white and red wines. In the case of white wines, has been
studied the composition of aromatic Muscat of Trani DOC of two different vintages,
in order to highlight the differences in the composition and to give some suggestions
to optimize the extraction of alcohol monoterpenic and the storage of these aromatic
wines. However, has been studied the presence of molecules in red wines aged in
barrels with particular reference to ethylphenols that can alter aromatic finesse of this
wines. Even in this case has been proposed a strategy that can minimize the problem
of volatile phenols, with particular attention to the management of casks used.
Finally, it was proposed a treatment to reduce the presence of ethylphenols.
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Introduzione
La maggior parte dei disciplinari di produzione prescrivono per i vini un certo
periodo di affinamento, variabile da zona a zona. Produrre vini, e di qualità, è
sicuramente un’impresa non facile poiché le variabili da controllare sono molteplici,
ma la ricerca, comunque, ha messo a disposizione di quanti operano nelle cantine una
serie di strumenti che ne permettono la gestione in modo alquanto efficace. Vero è
che non si è riusciti ancora a mettere a punto una soluzione per tutte le problematiche
che possono verificarsi in cantina, in quanto ci sono delle fasi, lungo la catena di
produzione, più facilmente gestibili rispetto ad altre. Una delle tappe che desta
ancora preoccupazione e che va gestita in modo razionale tenendo conto di tutti gli
elementi che potrebbero deprimere la qualità dei vini, è proprio l’affinamento.
Tradizionalmente l’affinamento dei vini avviene in fusti di legno, ed il legno non è
sicuramente un materiale inerte, ma si può dire che partecipa come parte attiva a
questo processo di miglioramento della finezza aromatica e della stabilità del colore.
La conservazione dei vini in legno ha da sempre accompagnato l’enologia dei
primordi, e tutt’ora accompagna le produzioni familiari, che vedono addirittura le
botti tramandate da padre in figlio; questo è sicuramente un aspetto importante dal
punto di vista affettivo e richiama a mente un mondo ancora attaccato alle proprie
tradizioni ed origini, ma da un punto di vista scientifico ed igienico, non è
sicuramente auspicabile.
I gusti dei consumatori sono in continua evoluzione, e seguono tendenze che
sono proprie anche di specifici periodi storici, e l’avvicinamento al mondo del bere
della componente femminile, e la diffusione della cosiddetta “cultura del bere”,
impone ai produttori il rispetto di alcuni standard qualitativi.
Da un po’ di anni stanno riscuotendo notevole successo i vini invecchiati a
contatto con il legno, c’è una ricerca, nei grandi vini, di quello che i francesi
chiamano gusto “boisè”, ossia nota legnosa.
Se da una parte, però, l’affinamento in barrique o tonneaux è in grado di
produrre questo particolare complesso aromatico, dall’altra se mal gestito può portare
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alla formazione di molecole che mascherano questi sentori legnosi, vanigliati,
speziati, e ciò sta a significare quanto importante sia la gestione oculata di questo
processo.
In quest’ottica giocano un ruolo fondamentale anche le dimensioni aziendali
e la capacità imprenditoriale del titolare dell’azienda e, non ultimo, la sua
propensione a recepire ciò che la ricerca mette a punto e collaborare con gli enti di
ricerca.
Se da un lato c’è l’esigenza di arricchire il vino di aromi cosiddetti terziari,
dall’altra c’è invece il bisogno di potenziare quello che è l’aroma primario, cioè
quell’aroma che il vino acquisisce dall’uva stessa. Il patrimonio viticolo italiano è
dotato di vitigni, specie a bacca bianca, particolarmente aromatici, fra cui
menzioniamo le diverse tipologie di uve Moscato, le Malvasie, il Mantonico, il
Fiano, il Greco di Bianco (RC) ed altre varietà locali; tra queste, quelle che
sicuramente hanno riscosso un notevole successo sono le uve della cultivar Moscato
bianco, soprattutto perché sono la materia prima di un prodotto d’eccellenza
dell’industria enologica italiana, ossia l’Asti Spumante. Il Moscato bianco è coltivato
su tutta la penisola, dando origine a diversi vini che, seppur d’eccellenza, non sono
conosciuti a livello nazionale. Ad esempio tra le produzioni meridionali a base di uve
Moscato, tutti conoscono il Passito di Pantelleria, mentre pochi conoscono il
Moscato di Trani o altri come il Moscato di Saracena, il Passito del Raganello ecc.;
ciò non significa che questi prodotti non siano degni di attenzione, ma
semplicemente che non sono riusciti, per diversi motivi, a farsi strada tra i
consumatori. Sono proprio questi prodotti a richiedere una maggiore attenzione dal
punto di vista scientifico, sia per comprenderne meglio la composizione chimica, e
sia per apportare delle migliorie alla tecnica di vinificazione che permettano di
esaltarne la qualità.
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Scopo della ricerca.
L’attività di ricerca svolta presso il CRA-UTV Cantina Sperimentale di
Barletta, ha avuto come scopo precipuo lo studio della componente aromatica di vini
bianchi Moscato e di vini rossi affinati in barrique, monitorando le molecole che
tipicamente partecipano a descrivere l’aroma di queste due categorie particolari di
vino. L’intero lavoro, naturalmente, è stato condotto nell’ottica di riuscire a dare dei
suggerimenti utili a preservare e ad esaltare il corredo aromatico dei suddetti
prodotti.
I vini Moscato studiati sono ascrivibili alla zona di produzione “Moscato di
Trani” a Denominazione di Origine Controllata, ed appartengono a differenti annate ,
ossia 2004 e 2006; l’indagine condotta ha voluto che se ne studiasse la composizione
tipica e l’evoluzione di tutte le molecole che, a diverso livello, contribuiscono alla
determinazione di quello che viene definito “aroma Moscato”. Analizzando vini
appartenenti ad annate differenti, si è voluto dare un certo peso al fattore tempo, il
quale gioca sicuramente un ruolo di spicco nell’evoluzione dei vini in generale e,
nello specifico, dei vini Moscato. Nell’intento di voler correlare i valori ottenuti con
l’influenza dell’invecchiamento, e quindi ancora una volta del tempo, è stato studiato
anche il colore di questi due vini. La valutazione del colore, però, non è stata fatta
con criteri empirici, bensì con l’utilizzo di un metodo oggettivo adottato dall’O.I.V.
Infine, sono stati stimati i polifenoli totali e la DO (densità ottica) a 420 nm, i cui
valori hanno permesso di delineare, nonché proporre, una possibile strategia di
vinificazione tipica da adottare per la vinificazione di uve Moscato coltivate in
ambiente caldo arido pugliese. Pur tuttavia è bene precisare che, gli accorgimenti
tecnologici proposti in virtù dei dati ottenuti dallo studio dei due Moscati, non sono
stati sperimentalmente testati per farne un possibile confronto, poiché lo scopo della
tesi non è di tipo tecnologico, ma meramente chimico-analitico.
Accanto a ciò, durante la sperimentazione, si è ritenuto opportuno
monitorare il tenore di alcune molecole proprie dei vini affinati in barrique. Le
molecole che sono state indagate appartengono a diverse famiglie chimiche, ma tutte
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partecipano a donare quella complessità aromatica che è tipica dei vini affinati. Il
problema, però, sorge nel momento in cui si formano, sempre durante il contatto con
il legno, molecole che entro certi limiti partecipano alla complessità aromatica dei
vini in modo positivo, ma, superando gli stessi, vanno a deturpare profondamente il
flavour del vino, determinandone la non accettabilità da parte del consumatore.
L’obiettivo, dunque, è stato quello di analizzare diversi vini entrati a
contatto con il legno, naturalmente con tempi diversi, al fine di osservare la presenza
delle diverse molecole, la loro concentrazione e l’impatto sull’aroma generale del
vino; come ultimo aspetto, è stata considerata l’efficacia o meno dell’impiego di
barrique usate nell’affinamento.
Le molecole a cui è stato dato un maggior peso sono i fenoli volatili, poiché
essi sono responsabili di deviazioni olfattive descritte come sentori di stalla, animale,
farmacia, affumicato ecc.. Essendo queste molecole prodotte dal metabolismo di
lieviti Brettanomyces/Dekkera che si sviluppano agevolmente nelle barrique, ed
essendo la loro presenza associata ad una scarsa igiene del bottame ed a bassi tenori
in solforosa libera, la ricerca condotta ha permesso di:
1. evidenziare le condizioni predisponenti all’infezione;
2. individuare le barrique infette e provvedere alla loro opportuna
sanitizzazione;
3. minimizzare il contenuto di etil fenoli mediante utilizzo di un prodotto messo
a punto recentemente (Tamborra et al. 2007).
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1. Determinazione e studio dell’evoluzione della componente volatile
in vini bianchi Moscato.
1.1 Approfondimenti teorici.
1.1.1 Nozioni generali sui precursori d’aroma.
Le differenze tra le varie cultivar di Vitis vinifera, che ovviamente sono
riconducibili alla componente genetica, possono manifestarsi oltre che nei diversi
colori del frutto e nelle diverse forme che possono assumere le foglie, i grappoli ed il
frutto stesso, anche a livello di composizione chimica dei singoli organi della pianta
(organi fotosintetici, di trasporto e di riproduzione). I composti che più
vantaggiosamente sono stati utilizzati allo scopo di mettere in luce tali differenze
appartengono alla classe dei metaboliti secondari (Di Stefano, 1996), e cioè di quelle
sostanze che non sembrano essenziali per la vita delle cellule dei diversi tessuti, pur
apparendo importanti per le funzioni dei tessuti stessi. Fra questi sono stati studiati in
dettaglio i composti fenolici (composti legati al colore, alla crescita e probabilmente
ad altre funzioni importanti per lo sviluppo della pianta) (Mattivi, 1991) ed i
precursori d’aroma, e si è iniziata un’analisi approfondita sui composti correlati con
l’aroma delle uve e dei vini (in particolare i terpeni) (Versini, 1991, Di Stefano,
1988).
Nell’uva sono stati identificati una quarantina di composti terpenici i più
odorosi dei quali appartengono alla classe degli alcoli monoterpenici, in particolare il
linalolo, l’α-terpineolo, il nerolo, il geraniolo, il citronellolo e l’ho-trienolo; queste
molecole sono responsabili dell’aroma fiorale dell’uva e di altri frutti.
I monoterpeni rappresentano un sottogruppo di un ampio numero di
composti conosciuti come terpenoidi, la cui struttura si rifà all’unità elementare
dell’isoprene (C
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H
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), e sono generalmente composti da due unità di isoprene, dalla
cui unione si ottiene il geranilpirofosfato che può idrolizzarsi a geraniolo o legarsi ad
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un’altra unità isoprenica per dare sesquiterpeni (C15), il processo continua per dare
diterpeni (C20), triterpeni (C30), carotenoidi (C40).
Dal geranilpirofosfato si ottiene il geraniolo e quindi gli altri terpeni
(linalolo, nerolo, diendiolo 1 e 2, cis e trans furan linalol ossido, cis e trans piran
linalol ossido, cis e trans 8-OH-linalolo, acido geranico), i quali, a causa della loro
scarsa solubilità, si accumulano all’interno della cellula in globuli citoplasmatici. La
solubilità aumenta considerevolmente allorquando i terpeni si legano a mono- e
disaccaridi, dando origine a terpeni glicosidici e precisamente: disaccaridi quali α-L-
arabinofuranosil-β-D-glucopiranosidi di geraniolo, nerolo, linalolo; β-D-
apiofuranosil-β-glucopiranosidi di geraniolo e nerolo; α-L-ramnopiranosil-β-D-
glucopiranosidi di linalolo, nerolo e geraniolo; monosaccaridi quali β-D-
glucopiranosidi di linalolo, nerolo e geraniolo, 2-fenil-etanolo, 3-6-diolo, furan e
piran linalol ossidi (Williams et al., 1982; Voirin et al., 1990).
I terpeni glicosidici, molto più solubili dei terpeni liberi, possono così
accumularsi nell’acino, ma l’aumentato peso molecolare li rende non volatili e quindi
non avvertibili olfattivamente: solo l’idrolisi acida o enzimatica permette la
liberazione degli agliconi terpenici, gli unici che odorano; per tale motivo le forme
glicosilate costituiscono una riserva d’aroma, utile nel corso dell’invecchiamento dei
vini Moscato.
Un’ importante lavoro di Wilker et al., (1974) ha permesso di dedurre che la
biosintesi dei terpeni ha luogo a livello dell’acino, fatto che è stato sperimentato
dallo stesso Autore su un grappolo di Moscato. Il ricercatore concludeva che è
l’acino ad avere nel suo corredo genetico l’informazione necessaria all’accumulo dei
terpeni a partire da precursori presenti in tutte le piante.
Accanto ai composti terpenici compaiono i norisoprenoidi a 13 atomi di
carbonio, i quali sono biosinteticamente imparentati con i composti terpenici in
quanto entrambi derivano dall’acetil-Co-A e dal geranil-pirofosfato. Si ipotizza che
queste molecole derivino dalla demolizione dei caroteni (β-carotene) e delle
xantofille (luteina, luteina-5,6-epossido, violaxantina, neoxantina). Il tenore di questi
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composti, infatti, diminuisce durante la maturazione dell’uva mentre aumenta quello
dei norisoprenoidi.
Da un punto di vista chimico si distinguono due principali gruppi di composti, i
megastigmani e i non megastigmani, costituiti, ognuno, da un sensibile numero di
composti volatili.
I megastigmani sono norisoprenoidi a 13 atomi di carbonio ossigenati sul carbonio
n.7 (serie damascone) o sul carbonion.9 (serie ionone). Fra questi composti il β-
damascenone, di cui ne è particolarmente ricco il Mantonico (Di Stefano et al.,1986),
ha un odore complesso di fiori, frutti esotici, mentre il β-ionone ha un tipico odore di
violetta.
In alcuni studi condotti su uve coltivate nell’Italia meridionale sui metaboliti
secondari, è stato dimostrato che alcune vie metaboliche secondarie sono privilegiate
e caratteristiche della cultivar (Tamborra, 2007). Dallo studio emerge che la sintesi di
composti benzenoidi è favorita nelle uve Francesina bianca e nera, mentre quella dei
terpeni appartenenti alla famiglia dell’α-terpineolo è agevolata nel Primitivo gigante,
dove sussistono, in seguito all’idrolisi chimica, quantità importanti di γ-terpineolo e
di 1-terpinen-4-olo. La sintesi di terpeni della famiglia del geraniolo è invece
dominante in Degno F22, caratterizzata dalla rilevante presenza del β-citronellolo e
di idrossicitronellolo. Infine nell’Uva fragola bianca, oltre alla sintesi dei composti
tipici delle uve americane o ibride (metossi furaneolo, furaneolo, antranilato di
metile), risulta sorprendente la produzione di 2-feniletanolo in concentrazione molto
elevata, ad un livello riscontrabile solo tra i composti liberi dopo fermentazione
alcolica.
In conclusione, lo studio della natura dei composti liberi o derivanti da
precursori d’aroma (terpeni, norisoprenoidi e benzenoidi) presenti nelle uve, può
dare un valido contributo alla caratterizzazione delle cultivar ed alla formulazione di
ipotesi sulle tendenze biosintetiche preferenziali di una data cultivar, in quanto tali
metaboliti chimici secondari rappresentano l’espressione del patrimonio genetico,
solo in misura marginale modificabile da aspetti colturali ed ambientali.