degli interlocutori e che, al contempo, necessita di un approccio strategico
integrato.
I rapporti tra Industria e Distribuzione moderna rappresentano sì il “contorno
esterno” in cui nasce e si sviluppa il Trade Marketing, ma anche l’oggetto che
esso intende indagare.
Questa disciplina a cui, senza dubbio, occorre riconoscere i connotati di
complementarietà al Consumer Marketing e, nel contempo, di autonomia dallo
stesso, si configura come proposta di miglioramento della interbrand competition
sul mercato distributivo, da considerarsi quest’ultimo come un fondamentale
sensore di cui l’Industria dispone per identificare e valutare i mutamenti macro-
ambientali e le loro conseguenze.
È, quindi, naturale che questo lavoro sulla pratica del Trade Marketing prenda
le mosse proprio dalla dinamica dei rapporti verticali (CAP.I), cercando di
evidenziare come il passaggio graduale del potere di trattativa dai produttori al
Trade, conseguenza dei fenomeni di concentrazione e razionalizzazione di
quest’ultimo, sia stato generatore di atteggiamenti di scontro e competizione
nocivi per entrambi.
L’improduttività della “contrapposizione ad ogni costo” è emersa quando si è
profilata l’ascesa di una nuova stella pronta a dominare le scene: il consumatore.
Da allora “collaborare” è diventato imperativo per Industria e Trade.
Messo a fuoco il contesto ambientale, la tappa successiva (CAP. II) sarà
quella di definire cosa s’intende per Trade Marketing e di delineare i contorni di
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quello che è il suo presupposto di base, ossia la comunicazione. Se questa fase
definitoria risulta un modo corretto per avvicinarsi a qualsiasi oggetto di indagine,
allora essa è anche un’operazione resa imprescindibile dall’eterogeneità dei flussi
comunicativi e della strumentazione utilizzabile dall’azienda industriale e da
quella commerciale per comunicare sia reciprocamente che congiuntamente verso
il consumatore finale. Nello stesso capitolo si è inteso indagare la configurazione
organizzativa dell’Industria e la sua adeguatezza all’inserimento di funzioni
specialistiche deputate alla gestione dei rapporti con gli intermediari commerciali.
Il terzo capitolo è incentrato sulle aree gestionali attraverso cui il Trade
Marketing diventa prassi. In particolare verranno affrontate le possibilità di
collaborazione nella politica del prodotto e degli assortimenti, nel pricing, nel
merchandising, nella logistica e nella comunicazione.
Il quarto capitolo chiude il lavoro prendendo in esame la Cafè do’Brasil
s.p.a., azienda napoletana che tratta da oltre mezzo secolo il caffè, prodotto
importante ed emblematico per la storia e l’economia italiana.
Diversi fattori contribuiscono a rendere il settore alimentare un interessante
campo di ricerca per il mio oggetto di indagine e ne hanno, perciò, favorito la
scelta.
Innanzi tutto la dinamicità che al suo interno ha caratterizzato, nell’ultimo
decennio, sia il comparto industriale che quello distributivo: in entrambi, infatti, la
crescente competizione ha reso le strategie di Trade Marketing fondamentali
fattori critici di successo. Per le aziende industriali è divenuta fonte di vantaggio
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competitivo la coerenza tra il posizionamento per i prodotti e i servizi offerti al
consumatore dai diversi canali distributivi, mentre per le imprese commerciali ha
acquisito un ruolo prioritario la differenziazione a livello di assortimento, di
servizi e di comunicazione.
All’interno del settore alimentare la scelta della Cafè do’Brasil, produttore dei
marchi Kimbo e Kosè, risponde al personale desiderio di valorizzare una realtà
economica che affonda le sue radici nella città in cui ho maturato la mia
preparazione universitaria, Napoli appunto.
Un primo quadro del mercato caffeicolo e del ruolo che la nera bevanda
assume per Cafè do’Brasil, consentono di identificare le modalità con cui
l’azienda affronta la categoria alimentare nel suo complesso.
Nel corso dell’analisi la constatazione dell’assenza di una funzione
specialistica di Trade Marketing ha condotto alla disamina delle strategie
aziendali formulate per fronteggiare la dinamicità del mercato distributivo e, in
qualche caso, senza alcuna pretesa di assurgere a consulenza, alla proposta di
interventi volti ad adeguare sia il disegno organizzativo che alcune attività
aziendali ad una strategia competitiva basata sulla pratica del moderno Trade
Marketing.
Da qui è partita l’idea di approfondire la conoscenza del canale HO.RE.CA.,
prima analizzando la posizione di Cafè do’Brasil in proposito e poi vagliando
l’ipotesi di portare avanti un tentativo di restyling, inteso come rivisitazione di
approccio al canale secondo precisi parametri comunicativi.
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Centrale, ai fini di questo lavoro, è, infine, la constatazione del sostanziale
equilibrio che l’azienda partenopea ricerca costantemente nella gestione della
clientela commerciale, nella consapevolezza che solo trasparenza e fiducia
possono costituire una solida piattaforma su cui edificare rapporti cooperativi,
duraturi e, quindi, fruttuosi per entrambi.
*****
In dodici lunghi mesi di persone ne ho assillate tante e molte mi hanno fornito, in
diversa forma, un importante contributo alla realizzazione del presente lavoro.
Giunta finalmente al termine, desidero esprimere loro la mia gratitudine.
Ho maturato un debito di riconoscenza nei confronti della Cafè do’Brasil s.p.a., in
particolare nei confronti del Dott. Giovanni Romano che, con grande pazienza e
professionalità, mi ha fornito continui spunti per la riflessione, dati aziendali e un
fruttuoso scambio di idee volti ad arricchire questo lavoro.
Al Prof. Michele Quintano sono riconoscente sia per il contributo offertomi in
termini di informazioni e suggerimenti di carattere squisitamente accademico, sia
per avere risposto dalla prima all’ultima e-mail che ho inviato.
Un ringraziamento, infine, a tutte le persone a me più care.
A Mario, per il preziosissimo supporto morale e l’inesauribile pazienza
mostratemi non solo in questo anno ma durante tutta la mia carriera universitaria.
A Rosaria, per il contributo umano ed intellettuale fornitomi in tutti i momenti di
difficoltà.
Alle mie sorelle, Domenica e Rosalba, per avermi spronato a loro modo, sempre e
comunque.
Il debito più grande è, tuttavia, con i miei straordinari genitori, Gaetano e Rosaria,
che mi hanno trasmesso la forza d’animo e la fiducia per arrivare fin qui…e
andare oltre.
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CAPITOLO I
L’evoluzione dei rapporti di potere tra Industria
e Distribuzione dal 1950 ad oggi
1.1. Considerazioni introduttive
L’organizzazione dei rapporti tra Industria e Trade e la ripartizione delle
funzioni di marketing tra gli attori di canale hanno subito una radicale
modificazione, tutt’ora in corso, secondo una sequenza di fasi, ciascuna
caratterizzata dal predominio economico-contrattuale di una delle parti.
L’analisi delle relazioni verticali nel settore dei beni grocery non può, quindi,
prescindere da un preliminare “excursus storico” delle relazioni di potere tra
fornitori e distributori. Nei mercati di largo consumo dette relazioni, espressive
della forza di uno stadio del canale di coordinare/controllare gli altri stadi
influendo sulle loro decisioni (VARALDO, 1971; STERN, EL ANSARY, 1988),
sono state plasmate dall’evoluzione delle condizioni ambientali di natura
economica (reddito disponibile, andamento dei consumi, livelli d’inflazione,
contesto legislativo ecc.), commerciale (concentrazione e internazionalizzazione
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distributiva, peso dei gruppi strategici, ecc.) e industriale (concentrazione,
differenziazione e innovazione produttiva, investimenti pubblicitari, ecc.)
(FORNARI, 1999).
La trasformazione dell’ambiente socio-economico ha comportato la
modernizzazione delle forme distributive a cui hanno fatto seguito la
centralizzazione delle unità decisionali, la crescita manageriale delle
organizzazioni e lo sviluppo di un’elevata conflittualità nei rapporti di canale.
La concorrenza verticale che nasce tra due attori di mercato, ora dotati di una
propria soggettività di comportamento consiste nel fatto che le imprese
commerciali, grazie alla maggiore importanza del loro “prodotto” per le esigenze
della domanda, tendono << a diventare interpreti dello stesso bisogno di beni dei
consumatori>> e delle soluzioni per il loro appagamento (SPRANZI, 1988),
attraverso l’ampia discrezionalità con cui strutturano il proprio assortimento o
addirittura attraverso le private label o l’integrazione a monte.
Il nuovo approccio comportamentale del Trade fa sì che per i produttori
divengano fondamentali approfondite conoscenze sul funzionamento dei canali,
sulle esigenze, sui fattori critici delle imprese commerciali e una riflessione
strategica sulla distribuzione effettuata a priori, in necessaria armonia con le altre
decisioni aziendali relative al prodotto, al posizionamento e al prezzo. Le
problematiche gestionali e di pianificazione delle relazioni con il Trade portano,
verso la seconda metà degli anni ’80, alla nascita del Trade Marketing, definito
come <<una strategia commerciale volta all’ottimizzazione della complessiva
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azione di marketing condotta nei confronti dei propri clienti commerciali,
finalizzata alla differenziazione della propria offerta sui mercati intermedi e
all’ottenimento in essi di vantaggi competitivi trasferibili sul mercato del
consumo>> (FORNARI, 1990; p.53; PASTORE, 1996; p.93). Tale approccio non
si inquadra ancora, però, in una visione sistemica del canale perché la presenza di
economie di aggregazione e la difficoltà di coniugare gli obiettivi di brand e di
store loyalty rendono problematica la realizzazione di una partnership assoluta e
confermano la presenza di una collaborazione strettamente strumentale al
conseguimento di scopi settoriali.
In tempi più recenti, la crescente competizione intersistemica e la contestuale
consapevolezza dell’inefficienza da questa generata in termini di valore per
l’intera catena, hanno portato produttori e distributori a rivedere profondamente il
loro rapporto da gestire, ora, in chiave strategica e in un’ottica di lungo periodo.
Si delinea dunque un vero cambiamento della bilancia del potere contrattuale
tra Industria e Trade (RUSTHON, 1982) che, sebbene tradizionalmente si siano
considerati reciproci avversari, hanno acquisito (o meglio, stanno acquisendo) la
consapevolezza che intimidazioni e ritorsioni possono non essere il modo più
efficace di interagire.
Grazie allo sviluppo di grandi superfici specializzate, alla formazione delle
centrali d’acquisto e al consolidamento dell’ondata di fusioni ed acquisizioni, un
ristretto numero di gruppi di distribuzione controlla ora l’accesso ad un enorme
numero di consumatori. Se lo sfruttamento del potere contrattuale nei rapporti
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commerciali tra gli attori di mercato può essere vantaggioso nel breve termine, nel
lungo periodo tende a trasformarsi in un’autosconfitta. Per il momento,
propedeuticamente ad una visione più ampia del processo che ha portato
all’accennata evoluzione dei rapporti verticali, è opportuno soffermarsi più
diffusamente sull’analisi storica delle relazioni di canale.
1.2.Il rapporto industria –distribuzione negli anni 1950-60
Il processo di rinnovamento dei rapporti tra industria e distribuzione che ha
preso avvio nel periodo immediatamente successivo alle oscurità del secondo
conflitto mondiale, viene stimolato dal prodigioso sviluppo economico a cui si
assiste negli anni 1950-60, caratterizzato dalla rapida espansione produttiva,
dall’inurbamento di massa, dalle imponenti migrazioni interne, dall’espansione
del Prodotto Nazionale Lordo e dalla crescita del reddito pro-capite.
Nel corso degli anni ’50, in Italia, gli attori-chiave di questo processo
evolutivo sono gli intermediari commerciali all’ingrosso, il cui indiscusso potere
viene favorito da un’ evidente problematicità del contatto tra produzione e
consumo, determinata dalla presenza di un apparato produttivo industriale
frazionato e di un altrettanto polverizzato mercato commerciale.
Era, quindi, l’impresa grossista a controllare le principali funzioni di
marketing attraverso la ripartizione delle stesse tra produttori e dettaglianti,
ripartizione che si concretizzava nella formazione di ampi e profondi assortimenti,
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nell’orientare le scelte d’acquisto (grazie ad una maggiore capacità, rispetto al
produttore, di interpretare l’evoluzione dei gusti), nel finanziamento al
dettagliante, nella semplificazione dei percorsi amministrativi. Quest’assetto dei
rapporti industria-distribuzione si reggeva su un rigido criterio di divisione del
lavoro (W.STANTON, R.VARALDO, 1986) in base al quale, al produttore
spettava la sola funzione di produzione in senso stretto accompagnata da un
“disinteressamento” per le pratiche di comunicazione al livello del consumatore
finale e, al grossista competeva la cura di queste ultime, al fine di frazionare i
rischi dell’attività commerciale e stimolare la concorrenza di prezzo tra i
produttori (COZZI, FERRERO, 2000; p. 458).
Con l’avvento della produzione standardizzata di massa, la preclusione al
controllo delle attività di marketing fu giustamente interpretata dagli industriali
come un limite, un’incoerenza strutturale dei rapporti verticali, che avrebbe
portato, nel mutato contesto socio-economico, ad un forte incremento dei rischi a
danno di entrambe le parti. Così, la massificazione dei consumi, che raggiunse
l’apice nel decennio 1960-70 (Tabella n.1), e la standardizzazione produttiva
fecero i produttori consapevoli del fatto che, per poter operare con successo nella
nuova compagine di mercato, si rendeva necessario un nuovo inquadramento dei
rapporti verticali, finalizzato a sovvertire la subordinazione nei confronti dei
grossisti.
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