Nel primo capitolo mi sono concentrata sulla nascita del
documentario d’arte poiché se si conosce qualcosa sulla produzione
degli anni ’50, poco si sa invece del documentario Assisi di Blasetti,
già presentato alla mostra di Venezia nel 1932. Nel primo paragrafo ho
cercato di inquadrare la produzione italiana all’interno di quella
Europea, poi ho ricostruito la storia del documentario attraverso i
periodi storici: prima della seconda guerra mondiale, durante e dopo.
Poi ho studiato il punto di vista giurisdizionale circa le produzioni,
ossia quali sono state le leggi sul documentario negli anni e quando la
produzione è stata incentivata. Infine ho riportato e analizzato le
diverse raccolte di titoli di film sull’arte, quello del F.I.A.F., del
C.I.D.A.L.C., dell’ Unesco e dell’ I.F.E, che non coincidono tra loro
ma individuano importanti percorsi di sviluppo e di catalogazione.
Nel secondo capitolo invece ho ricostruito una storia della Mostra
cinematografica di Venezia, della prima fortunatissima edizione e di
come e perché è nata in seno alla Biennale d’arte, dell’introduzione del
documentario d’arte in concorso e della ripresa difficile nel
dopoguerra, della competizione con gli altri festival cinematografici e
la quasi scomparsa negli anni sessanta dalla manifestazione dei
documentari d’arte.
2
Nel terzo capitolo ho riportato e valutato i punti di vista delle
personalità che a vario titolo hanno partecipato alle edizioni della
mostra del Cinema di Venezia dagli inizi agli anni sessanta, questa
parte ha preso spunto dalle riflessioni dei critici dell’arte e del cinema
raccolte da Luigi Chiarini in «Bianco e Nero», 1950, rivista edita dalla
scuola nazionale di Cinematografia della quale era direttore. Da questa
monografia ho tratto sia i testi critici relativi alla produzione dei
documentari fino al 1950, che una lista di critici ed esperti dei quali ho
cercato gli interventi negli anni successivi.
Gli apparati finali sono costituiti da una bibliografia e una sitografia.
Per la bibliografia ho elencato le opere in successione temporale,
mentre all’interno di ciascun anno ho ordinato le opere secondo il
nome dell’autore principale. Nella sitografia ho elencato i siti internet
che ho consultato per lo studio e il recupero delle fonti.
3
Capitolo I
Storia del documentario d’arte in Italia
I. 1 Le origini europee del documentario.
Le origini del documentario sono antiche e da collegare
all’invenzione della macchina da presa. Erano da considerare
documentari gli esperimenti dei fratelli Lumiere all’epoca del muto,
infatti solo in un secondo momento il cinema divenne “di finzione” e
prese l’avvento sul documentario. Accadde nel momento
dell’introduzione del sonoro, alla fine degli anni venti, che schiusero al
film nuove e decise possibilità espressive e contenutistiche, permettendo
l’introduzione della musica e del commento
1
.
La nascita del genere documentario viene fatta risalire agli anni ’30-
‘40 in Inghilterra, con la creazione della National Film Board a scopi
educativi. Si crea da quel momento una tradizione forte della quale fanno
parte il documentarista per eccellenza Jhon Grierson, autore di Drifters e
capostipite della tradizione propagandistica inglese, e il naturalista
Robert Flaherty americano di adozione inglese, che sviluppò al contrario
1
A. Giannarelli, Altro cinema e non-film, in Archivio audiovisivo del Movimento Operaio e
Democratico, Annali. A proposito del film documentario, cit., p. 25.
4
la teoria del cine-occhio. Questa teoria si opponeva alla mediazione del
regista e intendeva il cinema come strumento volto a cogliere la realtà
nel suo manifestarsi, senza appunto alcuna forma di interpretazione o
mediazione
2
.
In genere quindi il documentario era uno strumento utilizzato al fine
di parlare della società o della natura, e la riportava al pubblico in modo
più o meno veritiero. La questione è un po’ diversa quando il tema
trattato sono le opere d’arte. Il mezzo cinematografico può sia presentare
2
E’ opportuno accennare ai caratteri delle principali scuole o movimenti e ai temi portanti della
poetica dei più rinomati documentaristi del passato. La scuola documentaristica più antica è come
abbiamo detto, quella britannica, nata negli anni ’30 sotto l’impulso di John Grierson. Questi, dopo il
successo del suo documentario Drifters, costituì un movimento, raccogliendo attorno a se alcuni
giovani registi, animati da comune spirito: tra questi, Basil Wright, Arthur Elton, Stuart Legg, Paul
Rotha, John Taylor, Harry Watt, Donal Taylor, Edgar Anstey. La poetica portante della scuola
britannica ruotava attorno ai concetti di educazione del pubblico e di propaganda, strumenti questi
finalizzati a favorire la comprensione degli aspetti salienti di una società che
diveniva sempre più complessa, e diretti alla diffusione dei valori e dei doveri civici fondamentali. Il
documentario, in sostanza, volendo dare forma drammatica alla vita di tutti i giorni, piuttosto che agli
avvenimenti straordinari (da qui il concetto di battaglia per il “dramma sulla soglia di casa”), era
inteso come uno strumento al servizio di nobili scopi sociali. Come Grierson e i suoi, anche Ruttmann
in Germania, Flaherty in America, Eisenstein e Pudovkin in Russia, Cavalcanti in Francia,
coraggiosamente, a partire dagli anni ’30 esplorarono con la loro macchina da presa luoghi sconosciuti
ai più e fecero conoscere agli spettatori aspetti della realtà più umili e comuni, ma per questo più veri.
(Cfr in Grierson J., Documentario e realtà, a cura di Di Giammatteo F., Roma, 1950.)
Passato anch’egli alla scuola britannica, ma proveniente dagli Stati Uniti, Robert Flaherty viene
considerato il più grande documentarista di tutti i tempi, o anche il primo vero documentarista in
senso stretto. Il suo modo di raccontare la realtà è generalmente considerato opposto a quello più
spartano di Grierson (convinto che il documentario non dovesse avere finalità di carattere estetico). Le
opere di Flaherty, infatti, nacquero da un’interpretazione della realtà in chiave romantica e lirica, pur
non essendo estranee a tematiche di tipo politico e di denuncia. Per Flaherty lo scontro dell’uomo con
la natura aveva in se tutti i caratteri del dramma; pertanto, non sembrava necessario nessun ulteriore
intervento del regista. L’opera di Flaherty, assieme a quella del russo Dziga Vertov, vengono
considerate i contributi fondamentali nella storia del cinema alla definizione della nozione di
documentario. Un’influenza importante sul documentario di tutti i tempi, infatti, è stata svolta anche
da Vertov, teorico, oltre che regista del documentario. Sua la radicale teoria del “Cine-occhio”,
secondo cui il cinema dovesse essere uno strumento volto a cogliere la realtà nel suo manifestarsi,
senza alcuna forma di mediazione.
Il film, dunque, come qualcosa che si appropria della realtà, anche all’insaputa dei suoi protagonisti, e
la rappresenta fedelmente. Tale concezione del cinema si coniugava con un’importante funzione
sociale ad esso riconosciuta: quella di essere al servizio della massa. Non a caso Vertov iniziò la sua
attività di documentarista subito dopo la Rivoluzione d’Ottobre in Russia e il suo fu un cinema al
servizio del nuovo stato socialista e della relativa propaganda. Cit. in Nepoti R., Storia del
documentario, Bologna, 1988.
5
le opere d’arte, sia aiutare il critico nel suo lavoro di indagine e di critica.
Infatti favorisce l’accostamento di pezzi che si trovano in diverse città,
può ingrandire ed accostare i particolari, può muoversi in verticale e in
orizzontale, lavora insomma come l’occhio umano potenziato
3
. Il
problema che tuttavia si pone è quello dell’interpretazione. Anche a tali
condizioni, critici quali Giuseppe Fiocco e Italo Cremona dalle pagine di
«Bianco e Nero» si oppongono a queste funzioni e dichiarano che il
linguaggio cinematografico ha valori figurativi che si differenziano da
tutti gli altri linguaggi artistici. Per questi storici dell’arte, infatti, l’unica
funzione del cinematografo può essere quindi quella di indagine sulle
vicende indirettamente collegate all’opera d’arte, come possono essere
per esempio il costume dell’epoca o cosa “contarono per Rembrandt i
commerci orientali”
4
. Per cui la funzione del documentario può essere
soltanto quella didattica
5
.
La tradizione artistica europea ha coinvolto il Belgio, la Francia,
l’Italia. Scrive Verdone, a proposito delle condizioni favorevoli a tale
sviluppo: “paesi dove la tradizione e lo studio delle opere d’arte ha
raggiunto livelli di tanto splendore”
6
. Molti registi come Henry Stork
(1907-1999) e Paul Haesaerts (1901-1974), M. Cloche (1907-1990) e J.
3
I. Cremona, Sul documentario d’arte figurativa, in «Cinema», n.8-9,1950.
4
I. Cremona, Sul documentario d’arte figurativa, in «Bianco e Nero», n.8-9 1950, pp.66-68.
5
V. Mariani, Cinema e Arti figurative «Bianco e Nero», n.8-9 1950, pp.69-73. G. Fiocco,
Documentari d’arte, in «Bianco e Nero», n.8-9 1950, pp.103-107.
6
M. Verdone, Il film sull’arte in Italia,in «Bianco e Nero», n.8-9 1950, pp.127-128.
6
Mitry (1907-1988), Luciano Emmer (1918 -), Enrico Gras (1919-1981) e
Carlo Ludovico Ragghianti (1910-1987), si sono cimentati nella
produzione non solo di documentari in senso stretto, ma anche di film di
alto valore artistico, i film d’arte appunto.
Nel 1962 sulla rivista specializzata «Ferraia» leggiamo tale
differenziazione circa i film sulle opere d’arte: “che dimostri nei suoi
autori un interesse precipuo per il mezzo espressivo (film d’arte) o per il
tema artistico trattato (film sull’arte).”
7
Quest’ultimo termine nasce dalla
traduzione francese del titolo della raccolta che il Comité International
pour le Cinéma et les arts figuratif, (C.I.D.A.L.C.) pubblica nel 1953 e
che intende raccogliere tutte le pellicole che trattano sia di opere d’arte
pittoriche, che scultoree o architettoniche, sia delle vite degli artisti, sia
dei musei, o comunque con delle opere con intento storiografico e
didattico. Con il termine documentario artistico o critofilm si
identificano quei lavori che si propongono di tradurre il soggetto artistico
da un linguaggio visivo all’altro
8
.
In ambito internazionale, un episodio particolarmente significativo
avvenne nel 1935 quando Augusto Baron, regista francese che già
lavorava agli esperimenti cinematografici, ottenne dal Conservatore del
7
G. Rondolino, Film d’arte e sull’arte a Bergamo, in «Ferraia», 9/1962, pp. 19-20.
8
R. Nepoti, Storia del documentario, Bologna, 1988, pp. 170-172.
7
Louvre uno speciale permesso per accedere al Grand Salon Carré dove è
esposto il dipinto di Paolo Veronese Le nozze di Cana. Il critico d’arte
che seguiva la proiezione per Le Figaro scrisse: “vedemmo l’opera di
Paolo animarsi sullo schermo di vita propria”
9
.
Un importante teorico della ripresa cinematografica delle opere
d’arte fu Paul Heilbronner
10
. Egli ha teorizzato principi che sono rimasti
fondamentali nella storia dei documentari artistici, in particolare
sull’origine del movimento nella ripresa statica dell’opera d’arte. Infatti,
mentre in genere i soggetti si muovono davanti alla macchina da presa e
l’immagine risulta in movimento, nei documentari d’arte, al contrario,
sono i movimenti della macchina da presa che creano il movimento
nell’immagine statica del quadro. Ma, assicura Heilbronner, i movimenti
del regista saranno guidati e studiati proprio come quelli di un
osservatore davanti all’opera d’arte, assecondando la consueta visione
dell’opera
11
. Le due opere frutto del lavoro del 1937 furono il
Macchiavelli, Palazzo Vecchio e la Notte di Michelangelo in San
Lorenzo a Firenze.
Il documentarismo in Italia quindi, non ha una tradizione, non ha un
manifesto e neanche un proposito comune, ha però esempi eccellenti e
9
R. Palella, Arti plastiche e documentario d’arte, da ''Bianco e Nero'', n.8-9 1950, p. 96.
10
Paul Heilbronner (1904-n.d.), anticipò di circa 10 anni le teorie di Ragghianti e fu allievo di
Wolfflin. Noto anche con il nome di Paul Laporte fu esule dalla Germania nazista prima in Italia e in
seguito negli Stati uniti durante la Seconda guerra mondiale.
11
Questa teoria sollevò non poche critiche che analizzerò in un secondo momento.
8
“individualità di rilievo”, che si sono distinte per singolari capacità
12
.
Una possibile scansione cronologica la offre Brunetta, dividendo i
momenti salienti nella storia del documentario in Italia in tre fasi: I
pionieri quali Luca Comerio e Roberto Omega; il momento della
rinascita con il sonoro, la Cines di Emilio Cecchi; e infine gli anni 1938
e il 1943 caratterizzati dalla produzione Incom e dell’Istituto Luce.
I registi italiani che hanno lavorato alla produzione di documentari,
inclusi quelli d’arte, lo hanno fatto isolatamente e da inesperti,
formulando esperienze di ricerca del tutto personali. Infatti, guardando ai
nomi degli autori che hanno regalato alla storia del documentario italiano
le opere più prestigiose, si scopre come pochissimi tra essi sono stati
documentaristi in senso stretto ad esempio Michele Gandin. infatti
“soprattutto [si sono adoperati] gli autori cinematografici di finzione
[alla causa documentaria,] che non hanno mai cessato di riformulare e
interrogare il senso della realtà al cinema”
13
. Il documentario dunque è
stato inteso da tali autori sia come territorio di sperimentazioni
linguistiche sia come mezzo educativo
14
.
12
C. Bertieri , Dieci anni di documentario in Italia (1955-1965), “Civiltà dell’immagine”, n. 1, 1965,
pp. 29-33, cit. in Bernagozzi G. (a cura di), Il cinema allo specchio: appunti per una storia del
documentario, Bologna, 1985, pp. 94-95.
13
Il problema è stato anche quello di aver considerato la forma documentaristica come trampolino di
lancio per i registi che volevano entrare nel mondo del cinema a soggetto cfr Murri S., Il
documentario d’autore nel cinema italiano. Dal dopoguerra alla contestazione.,«Bianco e Nero», n. 1-
2, Gennaio-Aprile 2001, p. 87.
14
Brunetta G., Storia del cinema italiano. Dal Neorealismo al miracolo economico 1945-1959, cit., p.
486.
9
I. 2 I documentari durante e dopo la seconda guerra
mondiale.
La produzione italiana di documentari nel ventennio fascista è strata
finanziata dal governo italiano, infatti moltissimi sono i documentari di
vario genere prodotti dalla Cines e dall’istituto LUCE. L’istituto LUCE,
in particolare, è stato creato appositamente dal Regime Fascista per
assicurare ovunque l’informazione, poiché controllando quest’ultima si
cercava di rafforzare il potere centrale. Favorire la realizzazione dei
cinegiornali e dei documentari serviva per scopi informativi e di
intrattenimento, anche se, alcuni sono da considerare propagandistici. Il
documentario in genere così come quello artistico sarà prodotto quasi in
condizioni di monopolio dall’istituto LUCE e proiettato nelle sale dallo
stesso o da altri enti statali
15
.
Alcuni anni dopo, tra il 1940 e il 1943 alcuni registi e storici
dell’arte, non senza difficoltà, dovute all’evento, presero parte in qualità
di esperti alla realizzazione di documentari prodotti dalla INCOM,
sempre per conto dell’istituto LUCE
16
. Nelle sale cinematografiche
15
Tommaso Casini, Critica d’arte e film sull’arte. Una convergenza difficile. In «Annali di critica
d’arte», 1/gennaio, Torino, 2005.
16
Emmer che ha lasciato esempi eccellenti di film sull’arte scrive nell’opera monografica di «Bianco
e Nero»:” Cosa dire del netto divieto postomi dalle autorità fasciste verso la fine della guerra, […] dei
lunghi periodi di inattività”. L. Emmer, Dieci anni di lavoro e di vita” in da ''Bianco e Nero'': n.8-9
1950, pp. 108-110.
10