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nazionali: il “Corriere della Sera”, “Libero”, “Il Manifesto” e “La
Repubblica”, nel periodo compreso tra il 22 ottobre e il 3
novembre 2007. Le metafore raccolte nei quotidiani presi in
esame sono state ricondotte a diverse categorie (sport, guerra
e tattica militare, medicina, meteo, religione, spettacolo, altre)
e analizzate dal punto di vista quantitativo e qualitativo, al fine
di verificare l’ampiezza e le motivazioni d’uso di questa
strategia retorica nelle quattro testate considerate.
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La metafora:
teorie e caratteristiche generali
“Quando dici ‘il cielo piange’, che cosa vuoi dire?”
“Che sta piovendo.”
“Ah sì…bravo. Questa è una metafora”
“Allora è semplice. Perché questo nome così complicato?”
M. Radford-M. Troisi, Il Postino, Col, 110’, Italia, 1994
“Il mercato ha preso il volo”, “Non ti arrampicare sugli specchi”,
“Quel ragazzo ha la coda di paglia”, “Sono imbottigliata nel
traffico” etc. Le espressioni appena citate sono tutti esempi di
espressioni metaforiche che, senza dubbio, ad ognuno di noi
capiterà spesso di utilizzare nel normale linguaggio quotidiano.
La lingua che usiamo nella sfera del quotidiano è permeata di
metafore, la maggior parte cristallizzate dall’uso, altre nuove,
altre perfino ancora non dette. Sebbene non sempre ce ne
rendiamo conto, infatti, il numero delle metafore utilizzate
quotidianamente da ognuno di noi è sterminato. Non c’è
discorso, per quanto informale esso sia, che non si avvalga di
metafore, similitudini e analogie. Il fatto che la metafora
pervada ogni forma di comunicazione linguistica, visiva, orale
e scritta è un fatto verificabile quotidianamente. Studi recenti
hanno stimato l’uso medio di figure retoriche in 4 per ogni
minuto di parlato, per un totale di circa 21 milioni di figure
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retoriche utilizzate nel corso di una vita media. Nonostante ciò,
è bene ricordare che la metafora solo di recente è diventata
oggetto di studio di linguisti e teorici della comunicazione. Per
secoli ad occuparsi di studi sulla metafora sono stati
soprattutto specialisti di linguaggio poetico e letterario e tutt’al
più filosofi che la consideravano un ornamento occasionale
della superficie dei discorsi. Nelle pagine seguenti, dopo un
breve excursus storico, si procederà a definire che cosa sia la
metafora e come essa sia presente nel nostro sistema
concettuale e conseguentemente nel nostro linguaggio.
1.1 Breve storia della metafora
Le prime riflessioni sul linguaggio metaforico si devono
tradizionalmente ai filosofi. Tra le teorie classiche sulla
metafora fondamentale è il punto di vista di Aristotele
1
, il quale
considerava la metafora un mezzo espressivo molto efficace,
usato specialmente dai poeti. Egli definì questa figura
linguistica una forma di paragone con cui si dà a una cosa il
nome che appartiene a qualcos’altro. Sebbene Aristotele
accennasse alla sua qualità di strumento conoscitivo, egli
classificò la metafora come una strategia retorico -
ornamentale, la cui funzione principale era quella di creare
una comparazione. A sottolineare la funzione sostitutiva della
metafora fu Quintiliano (35-100 d. C.), il quale però considerò
la metafora perlopiù come un ornamento stilistico. Nel mondo
antico, a parte alcune considerazioni relative al potere
conoscitivo del linguaggio, rintracciabili in Aristotele, la
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Ad Aristotele si deve anche l’introduzione del termine “metafora”
(dal greco metà “su, sopra” e phérein “portare”), per riferirsi
all’azione semantica che la metafora permette di realizzare, in cui
l’aspetto di un referente è “portato sopra” o trasferito a un altro
referente, in modo che al secondo ci si riferisce come se fosse il
primo.
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metafora venne considerata un mero ornamento retorico,
utilizzato solo per abbellire il linguaggio letterale. Non miglior
fortuna ebbe la metafora nel Medioevo, quando il dibattito era
dominato dalla polemica tra realisti e nominalisti. I primi
consideravano il legame tra parole e cose “phusei”, i secondi
“nomoi”.
2
Nel sedicesimo e diciassettesimo secolo la metafora
continuò ad essere scartata dai filosofi che la consideravano
poco più di un aspetto decorativo, un accessorio del
linguaggio letterale.
3
Nel diciassettesimo secolo la prospettiva
più radicale fu avanzata dal filosofo napoletano Giambattista
Vico (1688-1744). Per Vico il linguaggio metaforico è la vera e
propria colonna vertebrale (per usare una metafora!) del
linguaggio e del pensiero e non una semplice manifestazione
dello stile ornamentale; la metafora è un indice del
funzionamento della fantasia, che egli definisce una facoltà
della mente umana che consente all’individuo di costruirsi
immagini del mondo in base ai sensi e agli affetti. La metafora,
in particolare, è per il filosofo lo strumento primario di quella
logica creativa che, in assenza di un linguaggio astratto,
ricorre alle somiglianze. Non è dunque una forma linguistica
impropria ma una modalità d’espressione naturale ed efficace,
anzi molto più chiara, distinta e affidabile del linguaggio
astratto e convenzionale perché, al contrario di quest’ultimo, è
legata alle cose e motivata extralinguisticamente. In un passo
della Scienza Nuova (1725), il filosofo si sofferma a parlare
dell’uso naturale, nella lingua comune, della metafora,
2
Solo S. Tommaso (1224-1274), nella sua opera Summa
Theologiae, sosteneva che la metafora avesse un ruolo conoscitivo
perché permetteva di afferrare le verità spirituali, non esprimibili con
il linguaggio letterale. Comunque anche S.Tommaso accettò la
visione aristotelica della metafora, considerandola una
manifestazione della comparazione.
3
Thomas Hobbes (1588-1679), ad esempio, la definì un ostacolo
alla comunicazione perché, secondo lui, rendeva il discorso ambiguo
e oscuro, e quindi era un elemento da eliminare totalmente dal
linguaggio filosofico
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“luminosa” (cioè chiara, illuminante, efficace nel suo fine
comunicativo) e per questo necessaria e “spessa”, cioè
frequente; e inoltre ricca di “senso e passione” da poter essere
considerata una “picciola favoletta”:
Di questa logica poetica sono corollari tutti i primi tropi,
de’ quali la più luminosa e, perché più luminosa, più
necessaria e più spessa è la metafora, ch’allora è
vieppiù lodata quando alle cose insensate ella da senso
e passione, per la metafisica sopra qui ragionata: ch’i
primi poeti dieder a’ corpi l’essere di sostanze animate,
sol di tanto capaci di quanto essi potevano, cioè di
senso e di passione, e sì ne fecero le favole; talchè ogni
metafora sì fatta vien ad essere una picciola favoletta
(Vico 1976: 398).
Nonostante la concezione di Vico fosse davvero innovativa e
radicale per l’epoca, in seguito lo studio della metafora venne
quasi del tutto abbandonato. Filosofi come Hegel (1770-1831)
o Mill (1806-1873), ad esempio, tornarono a concepire la
metafora come un accessorio stilistico del linguaggio letterale,
utilizzabile soltanto come supporto a tale linguaggio. Per
giungere ad uno studio sperimentale sulla metafora bisognerà
aspettare il ventesimo secolo. Negli anni cinquanta, infatti, un
gruppo di psicologi tra cui Asch (1955), Brown, Leiter e Hildum
(1957) intrapresero uno studio interessante sul rapporto tra
metafora, concetti e linguaggio. In particolare gli studi condotti
dallo psicologo Salomon Asch mostrarono che le metafore che
si riferiscono alla sensazione fisica del caldo e del freddo in
lingue diverse sono basate sulle stesse modalità sensoriali
anche se ci si riferisce ad esse in modo diverso. Per esempio,
Asch scoprì che caldo si riferisce a “ira” in ebraico, ad
“entusiasmo” in cinese, ad “eccitazione sessuale” in
tailandese. Già in questi anni si cominciò a pensare che la
metafora non fosse un fenomeno unitario, né esclusivamente
linguistico perché si presentava in diversi comportamenti
culturali. Per esempio, l’associazione metaforica tra un gusto
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fisico, come il dolce, e un concetto astratto, come l’amore, si
manifesta non solo a livello verbale ma anche in altri
comportamenti: ecco perché, ad esempio, i cioccolatini si
regalano ad una persona amata e così via. Tuttavia negli anni
sessanta la metafora tornò ad assumere un ruolo marginale
per molti linguisti e questo anche in seguito alla nascita della
grammatica generativa di Noam Chomsky. Nel 1964 lo stesso
Chomsky propose, infatti, di considerare la metafora una
specie di fenomeno “semi-grammaticale”, che violava le regole
semantiche. La prospettiva chomskyana fu il riflesso di una
prospettiva della metafora che considera quest’ultima un
fenomeno linguistico deviante. Però, nello stesso decennio,
venne elaborata una delle teorie più interessanti della
metafora, la teoria dell’interazione. Il modello interazionista
venne proposto dal filosofo americano Max Black (1962) nel
suo saggio intitolato appunto Metaphor (1962, 1979).
Prendendo in considerazione, ad esempio, la frase Franco è
un leone, Black sostenne che nella metafora fosse presente
una sorta di interazione semantica tra il topic, in questo caso
Franco, ovvero il tema principale della metafora, e il suo
vehicle, in questo caso il leone. La metafora, secondo la teoria
interazionista, proietta sul topic non una singola proprietà ma
un insieme di implicazioni convenzionalmente associate al
vehicle. Come afferma Casonato, questa proiezione comporta
la ridefinizione tanto del soggetto primario quanto di quello
secondario e conseguentemente l’interazione tra i sistemi
concettuali impliciti (1994: 43). La metafora, secondo questo
approccio non “esprime” una similarità, ma la “crea”; essa si
risolve in un’interazione che costituisce una familiare specifica
attività intellettiva, che è quella della comprensione e della
creazione di nuovi significati (Casonato 1994: 43). In seguito
all’analisi di Black apparve subito chiaro come la metafora
non sia semplicemente un fenomeno di comparazione o
sostituzione ma un elemento indispensabile per
“comprendere” concetti come l’amore, la giustizia, la
personalità etc. Nel 1977 lo psicologo americano Howard
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Pollio e alcuni suoi colleghi pubblicarono uno studio
fondamentale in grado di dimostrare finalmente che gli aspetti
metaforici della comunicazione sono tutt’altro che semplici
ornamenti del linguaggio letterale. Questi studiosi riuscirono a
dimostrare che il pensiero metaforico è un elemento
prevalente nel comportamento comunicativo umano. Essi
calcolarono che la maggior parte dei parlanti di una lingua
produce circa 3000 nuove metafore a settimana, nel corso di
una vita media. Dopo la pubblicazione dell’opera di Pollio
l’interesse per la metafora è aumentato in modo esponenziale.
Dal 1977 ad oggi, infatti, il numero degli studi e dei corsi sulla
metafora ha raggiunto proporzioni incredibili. Il solo fatto che la
metafora si manifesti regolarmente nel discorso umano e che
possa essere facilmente capita dimostra che essa è ben altro
che un’opzione stilistica o una anomalia semantica. Oggi la
metafora viene studiata alla stessa stregua degli aspetti più
razionali della mente, poiché se ne è dimostrata la funzione
mentale inscindibile dai processi comunicativi quotidiani.
1.2 L’approccio cognitivista alla metafora
La tesi di Black relativa all’esistenza di una facoltà metaforica,
la quale permetterebbe di capire i concetti astratti di cui
abbiamo bisogno, viene ripresa nel 1980 dal linguista George
Lakoff e dal filosofo Mark Johnson, entrambi statunitensi, nel
famoso lavoro Metaphor We Live By (Metafora e vita
quotidiana)
4
. I due studiosi ribadiscono che la metafora non è
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George Lakoff è professore ordinario di Linguistica e di Scienze
Cognitive all’Università di Berkeley e professore all’Istituto
Internazionale di Computer Science.
Mark Johnson insegna presso la Brown University. Insieme
continuano a svolgere ricerche d’avanguardia nell’ambito della
psicologia cognitiva. Fra i loro scritti più significativi: Philosophy in
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un fenomeno di mero abbellimento poetico, cioè uno
strumento proprio della poesia e della letteratura, ma è un
meccanismo che pervade tutta la nostra comunicazione. La
metafora è sì un elemento del linguaggio quotidiano, ma – ed
ecco la tesi innovativa introdotta da Lakoff e Johnson – è la
modalità attraverso la quale noi esseri umani strutturiamo i
nostri concetti e dunque la realtà. La metafora è un evento
cognitivo prima che linguistico:
La metafora è in primo luogo una questione di pensiero
e azione e solo in modo derivato una questione di
linguaggio: il nostro comune sistema concettuale, in
base al quale pensiamo e agiamo, è essenzialmente di
natura metaforica (1998: 190).
La concezione di Lakoff e Johnson riprende le tesi di Black,
portandone agli estremi alcuni aspetti: non è più la metafora
ad avere una natura concettuale, ma il pensiero ad avere una
sua natura metaforica. Il linguaggio figurato non costituisce di
per sé una metafora: quest’ultima viene invece a identificarsi
con le strutture sottostanti, ovvero le metafore concettuali che
possono – ma non devono necessariamente – trovare
espressione nel linguaggio figurato. Per fare un esempio, una
delle metafore analizzate dai due studiosi è: CONOSCERE È
VEDERE. Si tratta di una struttura che consente di proiettare
l’esperienza diretta della visione su un concetto meno
accessibile come il conoscere. Pensare metaforicamente la
conoscenza come visione significa stabilire una
corrispondenza convenzionale fra questi due domini che
permette di comprendere il primo, meno conosciuto, in termini
del secondo, di cui conosciamo direttamente le caratteristiche.
La corrispondenza fra i due domini è data da una funzione, un
mapping nella terminologia di Lakoff e Johnson, che proietta
the Flesh: The Embodied Mind and Its Challenge to Western
Thought (Basic Books).