6
Nell’ambito delle scienze sociali, il concetto di programmazione può essere ricondotto a
uno schema strutturale di questo genere:
• Determinazione di obiettivi tra loro compatibili e valutazione delle strate-
gie alternative per il loro conseguimento (fase decisionale);
• Indicazione delle risorse, dei centri di responsabilità, dei procedimenti e dei
tempi dell’attuazione (fase di implementazione);
• Prefigurazione dei parametri per la misurazione e valutazione dei risultati.
Dal punto di vista della sociologia politica la pianificazione in senso ampio è in-
clusa nel genus dei meccanismi riflessivi ed è intesa come “decisione delle decisioni” o,
in altri termini come quadro di riferimento che “stabilisce le premesse decisionali di al-
tre decisioni”
3
.
Si distinguono, all’interno di questo schema: ”programmazioni di scopo” (o program-
mazioni in senso proprio) che orientano i centri responsabili delle decisioni operative
verso il raggiungimento di obiettivi definiti e quantificabili indicando le condizioni per
il conseguimento di risultati e i criteri per l’ottimizzazione dell’attività; “programmi
condizionali”, regolazioni, che definiscono determinate cause e determinate occasioni
che inducono ad agire e fissano le azioni che devono o posssono verificarsi ogni volta
che si presentano queste cause.
Nel linguaggio della scienza del diritto le programmazioni sono definite all’interno delle
categorie dette “proposizioni prescrittive” che esprimono indirizzi volti a coordinare e
3
Cassese S., Le basi del diritto amministrativo, Milano, Garzanti, 2002.
7
orientare i soggetti pubblici e privati a cui si dirigono o tra i quali intervengono, sulla
base di norme generali “legittimanti” poste dall’ordinamento
4
.
Si configura una funzione di programmazione quando l’attività amministrativa di inter-
vento nell’economia e di gestione finanziaria dei pubblici poteri, è preventivamente de-
finita nei suoi obiettivi e nel suo percorso e include la prefigurazione dei criteri e para-
metri per la verifica, misurazione e valutazione dei risultati. Si è parlato, a questo pro-
posito, di “prefigurazione dell’azione”
5
.
Negli Stati democratici ed industrializzati si può parlare di programmazione economica
“allorché la manovra degli strumenti di politica economica si fonda non solo sugli sti-
moli e le indicazioni del mercato ma anche su un sistema di obiettivi di redistribuzione
del reddito e di perequazione riconducibili ad una ricostruzione unitaria del sistema e-
conomico
6
”.
La programmazione (o pianificazione) in ambito economico può essere globale, se rife-
rita all’intero sistema economico; settoriale, se riferita ad un solo settore o comparto
produttivo; regionale o territoriale, se riferita ad una regione o comunque a zone specifi-
che del territorio. Le imprese pubbliche sono vincolate con la tecnica del PPBS
(planning, programming, budgeting system), ciò costituisce un esempio di programma-
zione “indicativa”
7
.
4
Giannini M. S., Introduzione al diritto costituzionale, Bulzoni, Roma, 1984 p. 69 ss.
5
Cfr., Carabba M. Programmazione pubblica e controllo di gestione in “L’amministrazione italiana”, n. 4, 2000.
6
Carabba M., Programmazione economica voce in “Enciclopedia del Diritto”, XXXVI, 1987, p. 113 ss.
7
Mulazzani M., Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, CEDAM, Padova, 1996.
8
A seconda dell’orizzonte temporale prescelto, si parla di programmazione di breve pe-
riodo, per periodi di un anno, di programmazione a medio termine, per periodi di tre an-
ni, di programmazione a lungo termine, per periodi che vanno da 5 a 20 anni
8
.
Il prodotto dell’attività di programmazione o, diversamente detto, della pianificazione è
il piano. Il piano può assumere rilevanza giuridica se il suo autore è tenuto a presentarlo
ad una pubblica autorità nel caso che chieda di ottenere un ausilio pubblico come accade
ad esempio per i piani urbanistici e territoriali. Nel governo pubblico dell’economia, il
piano è lo strumento che consente di attuare un provvedimento amministrativo con cui
si consente o meno al privato di ottenere ausili pubblici.
Pianificazione o piano divengono attività e atti di interesse giuridico solo quando vi è
una norma giuridica che se ne occupi.
9
Le programmazioni e in particolare i piani, hanno acquisito progressivamente una mag-
giore rilevanza giuridica. L’espansione più significativa della dottrina si è avuta nei pia-
ni delle figure soggettive pubbliche. Per il soggetto pubblico la pianificazione ha da
sempre costituito una delle tecniche fondamentali di azione. In ordinamenti statali fissati
sul principio democratico, la fissazione di obiettivi e risorse, cioè l’attività di pianifica-
zione è sempre esistita. Cio’ che difetta, è la tecnica pianificatoria e il documento di sin-
tesi da qualificare come piano.
10
Se logicamente il piano è il prodotto della pianificazione, esso a partire dagli anni ’30
del secolo scorso fa riferimento anche a processi definiti programmazioni e programmi i
loro prodotti. Gli economisti degli anni trenta hanno lungamente discusso sulle diffe-
8
Giannini M.S, Pianificazione, voce in “Enciclopedia del diritto”, XXXIII, Milano, Giuffrè, 1993, p. 629 ss.
9
Cfr., Giannini M.S., Pianificazione.
10
Cfr.,Giannini M.S., Pianificazione.
9
renze possibili tra piano e programma. Per programma si intende più spesso una modali-
tà di governo e razionalizzazione dell’attività dei pubblici poteri. Nel governo
dell’economia invero, il piano rappresenta l’insieme coordinato degli strumenti di dire-
zione dell’economia i quali esprimono l’indirizzo del Governo, il quale nel suo agire
deve misurarsi con i numerosi soggetti componenti la società civile.
11
La normativa attuale frutto anche dei dibattiti di quegli anni, non consente di trarre una
differenziazione nozionistica tra i due vocaboli.
Negli anni trenta del secolo scorso e successivi, vi fu una fervida discussione nei paesi
ad economia di mercato incentrata sulla necessità od opportunità di adottare program-
mazioni economiche generali.
Dopo la crisi del 1929, la diffusione della teoria Keynesiana ha fornito una base solida
agli economisti che sostenevano come l’esigenza di perseguire determinati obiettivi, i
quali non potevano essere raggiunti solo attraverso l’evoluzione spontanea del sistema
economico, presupponeva l’adozione di programmazioni economiche
12
.
Teoricamente, costituisce esempio di pianificazione “perfetta” il Bilancio dello Stato:
esso è composto da un oggetto limitato (la spesa dello Stato), e gli obiettivi non sono
stabiliti nella sede della definizione ma derivati: sono quelli stabiliti, con altri procedi-
menti, in parte costituzionali in parte amministrativi, negli atti di determinazione
dell’indirizzo politico economico, e nelle deliberazioni di attuazioni già esistenti com-
portanti spesa. Sembra evidente come siano state proprio le pianificazioni o program-
11
Cfr., Carabba M., Programmazione di bilancio e controllo di gestione in “L’amministrazione italiana” n. 4,2000.
12
Caffè F.,Lezioni di politica economica, Torino, Bollati-Beringhieri,1990, p. 86 ss.
10
mazioni economiche ad aver segnato un salto di qualità nell’esperienza dei pubblici po-
teri del nostro tempo.
Nei paesi in cui vige il regime concorrenziale la programmazione è intesa a correggere
le possibili deviazioni derivate dal funzionamento spontaneo dell’economia, e ad orien-
tarla verso gli obiettivi previsti. In tali paesi, qualora l’evoluzione economica presenti
connotazioni che il sistema consideri insoddisfacenti, si ritiene opportuna una correzio-
ne di rotta del processo di sviluppo del sistema economico globale con l’intento di mu-
tare, attraverso la programmazione economica, il corso che l’economia percorrerebbe
ove se ne affidasse la conduzione alle forze spontanee del mercato. Il fine è quindi quel-
lo di far evolvere il sistema economico, nel corso di un periodo di tempo prestabilito,
verso obiettivi socialmente desiderati.
11
1.1.2 Il dibattito in Costituente
Finora abbiamo visto che programmazione è un lemma piuttosto diffuso nella
storia economico amministrativa del nostro paese
13
. L’assemblea costituente scelse di
parlare di programmazione piuttosto che di pianificazione.
Il dibattito
14
si concentrò in particolare su un emendamento proposto dai socialisti, che
mirava a far adottare il termine “piano” accanto a quelli di “norme e controlli”.
15
Così,
nonostante l’avviso di Einaudi che, riferendosi al Dizionario dei sinonimi del Tomma-
seo, sostenne la perfetta identità dei concetti di piano e di programma, fu il termine
“programmi” ad essere inserito poi testualmente nell’art. 41
16
Cost. Questo aneddoto ci
porta a concludere che la locuzione “programma” fu dovuta più che altro a una discus-
sione tra i Costituenti derivata certamente da quelle che all’epoca erano le più recenti
esperienze di pianificazione propriamente detta (pensando probabilmente alla pianifica-
13
“La nostra Costituzione pone diverse premesse per gli interventi dello Stato nel campo economico. Dall’art. 3 che assegna
alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica e sociale, all’ Art.4, per il quale la
Repubblica riconosce il diritto al lavoro e promuove le condizioni per renderlo effettivo; dall’Art. 41, che pur proclamando
la libertà dell’iniziativa economica privata, ne segna i limiti dell’utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità
umana e consente che essa possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali, all’art. 42 che prescrive alla legge di dettare
norme per assicurare la funzione sociale della proprietà e renderla accessibile a tutti; dall’art. 43, che autorizza la nazionaliz-
zazione o socializzazione di imprese di preminente interesse generale relative a servizi pubblici essenziali, all’art.44 che,
allo scopo di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, dà mandato alla legge di im-
porre obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata. L’art. 45 che, riconoscendo la funzione sociale della cooperazione,
rinvia alla legge per stabilire i mezzi idonei a promuoverla e a controllarla perché risponda al suo carattere e alle sue finalità.
L’art. 47, secondo il quale lo Stato disciplina,, coordina e controlla l’esercizio del credito, etc…” Cfr. Miele G., Problemi
costituzionali e amministrativi della pianificazione economica in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1954, p. 788.
14
Miele G., Problemi costituzionali e amministrativi della pianificazione economica,in “Rivista trimestrale di diritto pubbli-
co”, 1954, 782 ss.
15
Tra i padri costituenti vi fu chi riconobbe che “non era concepibile una economia orientata socialmente senza un sia pur
minimo indirizzo prestabilito” evidentemente doveva esserci una visione unitaria dell’intervento dello Stato nell’economia.
Ma, (aggiungeva), non vediamo per quali motivi questa parola piani debba essere inserita nel testo costituzionale dal mo-
mento che nell’espressione norme e controlli non è detto che questo intervento debba essere fatalmente empirico”.
16
L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività eco-
nomica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
12
zione
17
economica dell’Unione Sovietica
18
) ma non è da considerare sostanzialmente dif-
ferente dalla locuzione “piano”. L’articolo in cui il riferimento alla programmazione è
più evidente è senza dubbio l’art. 41, sull’iniziativa economica.
L’art. 41 della Costituzione italiana, al terzo comma, dispone che “La legge determina i
programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
Per comprendere appieno questa disposizione si deve coordinarla con i primi due com-
mi dello stesso art. 41 che così recitano: ”L’iniziativa economica privata è libera. Non
può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicu-
rezza, alla libertà, alla dignità umana.”
Il regime dell’iniziativa economica privata può considerarsi il punto nevralgico di un si-
stema ad economia mista come il nostro
19
. Alla base della disciplina costituzionale esi-
ste una netta separazione fra libertà civili e libertà economiche. Mentre i tradizionali di-
ritti inviolabili di libertà, nell’ambito della parte prima della costituzione sono collocati
nei titoli primo e secondo, l’iniziativa economica privata è disciplinata nel titolo terzo.
Un riferimento alla responsabilità dello Stato nella promozione della condizione eco-
nomica dei suoi cittadini è da rinvenirsi comunque nel titolo primo relativo alle libertà
fondamentali, all’articolo 3
20
.
17
In una prima fase è possibile identificare l’idea di socialismo con la pianificazione. “Il termine socialismo usato in senso
stretto indica che molta pianificazione può convivere con poco socialismo oppure che poca pianificazione può coesistere
con molto socialismo” in Hayek F. A. Von, Conoscenza, mercato e pianificazione p. 336, Il Mulino, Bologna 1988.
18
La pianificazione in Unione Sovietica, nasce attorno alle tragiche scelte staliniane della industrializzazione e della collet-
tivizzazione delle campagne. Essa fu caratterizzata dagli anni trenta agli anni cinquanta da un elevato grado di accentra-
mento del processo decisionale e dall’impiego di strumenti di informazione e decisione molto semplici.
19
Esposito C., Gli articoli 3, 41, 43 della Costituzione e le misure legislative e amministrative in materia economica, in
“Giurisprudenza Costituzionale”, 1962, p. 53 ss.
20
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,di lingua,
di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
13
L’iniziativa privata, e in genere, le libertà economiche non sono considerate assolute o
inviolabili e correlativamente godono di forme minori di garanzia rispetto alle libertà
civili. La Costituzione, quindi, proprio perciò fa seguire al riconoscimento
dell’autonomia privata la previsione di una serie di vincoli
21
. Il secondo comma dell’art.
41 non esclude la possibilità di rendere obbligatorie misure positive per assicurare che
l’iniziativa economica non rechi danno ai beni da essa tutelati, e ancor più il terzo com-
ma, contemplando un’attività pubblica di indirizzo e coordinamento, prevede una corni-
ce generale ed astratta relativa al modo di svolgimento delle iniziative economiche, an-
che con l’adozione di norme cogenti
22
.
L’esperienza dell’economia capitalistica, in particolare mostra che, se l’economia viene
totalmente abbandonata alle iniziative dei singoli privati, il suo risultato sociale può ri-
manere gravemente compromesso perché lo spirito di iniziativa, lo sviluppo delle im-
prese, la concorrenza dei mercati si muovono sotto la spinta di un interesse egoistico
non coincidente con una distribuzione richiesta dal principio della solidarietà fra i mem-
bri della comunità. Di qui i tentativi di raggiungere una coordinazione economica, che
contemperi il funzionamento di una “economia” col suo “risultato sociale”.
La libertà dell’iniziativa economica privata non vale ad escludere una sua delimitazione
ed un suo controllo. Il generale riconoscimento dell’iniziativa economica è vincolato al-
lo svolgimento di una funzione definita
23
. Affermando che tanto l’iniziativa pubblica
quanto quella privata necessitano di limitazioni e vincoli determinabili dai programmi e
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del pa-
ese” Art. 3, Cost. Repubblica Italiana.
21
La pianificazione autoritativa staliniana viene recuperata dalle democrazie occidentali come pianificazione settoriale.
22
Cfr., Programmazione statale e programmazione regionale definizione in Enciclopedia Giuridica Treccani p. 3 e ss.
23
La compatibilità con l’utilità sociale.
14
dai controlli, “si riconosce che non vi è nesso di causalità fra l’esercizio dell’attività e-
conomica (da chiunque essa sia svolta) e le finalità sociali. Sussiste quindi un’eguale ef-
ficacia della norma per l’impresa privata e per quella pubblica”
24
; la stessa impresa pub-
blica necessita l’intervento del legislatore perché adempia alla sua finalizzazione, ossia
ottenga come risultato l’utilità sociale. Questo significa che anche per l’impresa pubbli-
ca è necessaria la riserva di legge, in quanto la destinazione sociale dell’attività econo-
mica non è assicurata dalla sola gestione pubblica
25
. Il problema è quello della valuta-
zione dei limiti che incontra il potere legislativo dello Stato nella sua funzione di indi-
rizzo e coordinamento dell’attività economica. La pianificazione rappresenta quindi uno
strumento razionalmente sperimentato nell’ambito di una struttura sociale basata sulla
proprietà privata
26
.
Le leggi di programmazione, che possono anche avere finalità conformative
dell’iniziativa economica, non possono peraltro giungere ad imporre all’impresa deter-
minati comportamenti anti - imprenditoriali
27
.
E’necessario perciò che i pubblici poteri oltre a rispettare le garanzie della riserva di
legge, e della congruità del rapporto fra sacrificio imposto e finalità da raggiungere, ga-
rantiscano anche la sostanza economica dell’iniziativa privata, non esercitando
l’imposizione di vincoli che siano incompatibili con la “economicità globale”
28
della
struttura del mercato, con la qualità della concorrenza e della competitività fra le impre-
24
Stipo M., op. cit.
25
Si possono così unificare i procedimenti di attuazione dell’utilità sociale stabiliti dall’art.41 co. 2 l’iniziativa economica
privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale) con quelli previsti dal comma 3 dello stesso articolo il quale
rinvia esplicitamente alla legge ordinaria quale veicolo di realizzazione dei fini sociali verso i quali l’impresa privata e
pubblica deve essere indirizzata e coordinata.
26
Hayek F.A. Von., Conoscenza, mercato e pianificazione, p. 340, Il Mulino, Bologna 1988.
27
Spagnuolo Vigorita V., L’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Napoli, Novene, 1959.
28
Stipo M., op.cit.
15
se che vi operano, con la vitalità e l’efficienza del settore, ecc. Rimane ferma la necessi-
tà costituzionale di rispettare la parità di trattamento tra imprenditori, non si potrà im-
porre, alle imprese operanti in un settore di particolare interesse sociale, di destinare la
totalità degli utili in funzione di un certo scopo sociale.
E’ quindi compito del Parlamento quello di mediare il rapporto fra iniziativa economica
privata e utilità sociale.
La garanzia di libertà di cui all’art. 41 della Costituzione non rappresenta una preclusio-
ne alla possibilità per lo Stato e per i pubblici poteri di garantire la tutela di interessi so-
ciali e di perseguire fini generali, ma impedisce essenzialmente interventi pubblici in-
compatibili con la sopravvivenza del sistema, cioè interventi pubblici tanto incisivi da
sacrificare o da sopprimere un sistema caratterizzato dai meccanismi dell’economia di
mercato; in genere tutti i meccanismi economici prevedono e necessitano di intervento
dei pubblici poteri per consentire al sistema di sopravvivere, per rimuovere quegli osta-
coli che possono alterare le regole del gioco e per impedire che la ricerca dell’utile indi-
viduale possa prevalere sugli interessi generali, o pregiudicare la possibilità di conse-
guirli. Se il legislatore ha voluto stabilire la cautela della riserva legislativa è perché ha
avuto presente l’efficacia cogente delle leggi di programmazione
29
. Dovendo la legge
essere diretta (in base alla norma costituzionale) alla realizzazione di fini sociali ne de-
riva il necessario carattere imperativo della programmazione. Una possibile alternativa
utilizzata in passato nei paesi anglosassoni è la programmazione indicativa, una variante
della quale è quella che distingue il settore pubblico da quello privato prevedendo misu-
29
“La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica privata possa essere
indirizzata e coordinata a fini sociali”, Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 41 co .3.
16
re imperative solo per il primo settore ma avente il carattere di un’indicazione o di una
sollecitazione per il secondo: così nel programma si raccomanderà di sviluppare
un’industria piuttosto che un’altra etc
30
.
Nelle esperienze dei maggiori Stati industriali le “programmazioni di Bilancio” che rap-
presentano il più alto livello di programmazione, sono al centro dei meccanismi di go-
verno dell’economia, come punto di riferimento programmatico per l’azione dei pubbli-
ci poteri e, sono disciplinati da norme costituzionali
31
. La Costituzione Italiana all’art.
81
32
comma 3 e 4 definisce un sistema in cui il Bilancio (approvato con Legge) si do-
vrebbe configurare come documento contabile e di indirizzo. La Legge di Bilancio non
deve assumere decisioni da cui derivino “nuove o maggiori spese”
33
, e non dovrebbe
contenere norme sostanziali concernenti l’organizzazione, il procedimento, la misura
dell’entrata e della spesa.
30
Si tratta del sistema PPBS di derivazione anglosassone. Esempio di programmazione per settori.
31
Giannini M. S., Il diritto pubblico dell’economia, Bologna, Il Mulino, 1993.
32
“Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio
del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Con
la legge di approvazione del Bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi
nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”, Art. 81 Costituzione della Repubblica Italiana.
33
L’art. 81 esprime la tendenza verso un bilancio in pareggio ed una gestione neutrale della finanza pubblica.
17
1.1.3 Il percorso storico
1.1.3.1 La programmazione in Italia fino agli anni ’70 del secolo scorso
Nella esperienza degli Stati moderni, almeno a partire dagli anni trenta
34
del
‘900, l’esperienza di “governo dell’economia” consente di distinguere, e talora di con-
trapporre, strumenti ed istituzioni finalizzati alla guida della politica economica genera-
le (politica di bilancio e fiscale, politica monetaria e creditizia) ed apparati organizzativi
pubblici (interni o esterni alla amministrazione tradizionale) preposti alla direzione
dell’intervento pubblico nell’economia o delle funzioni amministrative di regolazione
dell’economia per settori, materie, obiettivi funzionali definiti
35
.
Anche quando il metodo di direzione dell’economia è, almeno in parte, quello della
programmazione, resta una distinzione chiara fra i due momenti, globale
36
e settoriale
37
.
Nella esperienza di programmazione italiana si sono distinti “progetti sociali” operanti
nel campo degli impieghi sociali del reddito
38
ed affidati alla preminente responsabilità
34
“Le esperienze di direzione pubblica dell’economia in Occidente trovano il loro punto di riferimento storico nelle
politiche programmate di intervento pubblico del New deal Rooseveltiano. eretto a modello di programmazione in uno
stato industriale ad economia capitalistica” . Cfr., Schlesinger A., L’età di Roosevelt, Il Mulino, Bologna, 1959 p. 88 ss.
35
Nelle sue linee fondamentali, l’organizzazione della programmazione economica è stata delineata con la legge n. 48
del 27 febbraio 1967. In particolare il titolo II della legge contiene una serie di norme sulla istituzione, composizione ed
attribuzioni del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE). Il CIPE, quale organo collegiale
ha membri assegnati personalmente al collegio e membri occasionali. Il CIPE è presieduto dal Presidente del Consiglio
dei Ministri e il vice-presidente di diritto è il Ministro del Bilancio e della programmazione economica. L’art. 16 della l.
n. 48/67 specifica le attribuzioni del CIPE disponendo che, “ ferme restando le competenze del Consiglio dei Ministri e
subordinatamente ad esse predispone gli indirizzi della politica economica nazionale; indica le linee generali per la ela-
borazione del programma economico nazionale e le linee generali per l’impostazione del progetto di bilancio di previ-
sione dello Stato; indica la direttive generali intese all’attuazione del programma economico nazionale ed a promuovere
e coordinare a tale scopo l’attività della P.A; esamina la situazione economica ai fini della adozione di provvedimenti
congiunturali; promuove l’azione necessaria per l’armonizzazione della politica economica nazionale con le politiche
economiche degli altri Paesi della Comunità Europea”.
36
La programmazione globale (piano nazionale) muove dalla indicazione di finalità generali e definisce obiettivi per
l’azione pubblica anche riferiti a risultati da conseguire sul terreno di processo di sviluppo sociale e economico global-
mente considerato; essa individua un quadro di riferimento volto ad assicurare la compatibilità fra obiettivi, mezzi e
previste evoluzioni economiche del sistema; formula direttive generali per la ripartizione delle risorse fra i vari impie-
ghi; definisce indirizzi per la manovra degli strumenti generali della politica economica, nel breve e nel medio periodo.
37
Le politiche di settore o, in un sistema di programmazione, i “ programmi di settore” individuano le specifiche azioni
programmatiche affidate all’operatore pubblico in ambiti settoriali ovvero per il perseguimento di obiettivi funzionali
definiti.
18
di soggetti pubblici, e “programmi di promozione” nei campi di settori produttivi quali-
ficati dalla autonoma responsabilità delle imprese private e pubbliche, pur nel quadro di
un’azione di promozione e regolazione dei pubblici poteri.
Il tema della programmazione di settore interessa le caratteristiche del sistema politico-
amministrativo in quanto è frequente, nella evoluzione degli “Stati industriali”, la ten-
denza al ricorso ad apparati organizzatori specializzati per settore, al cui interno operano
sia organi della pubblica amministrazione in senso proprio, sia enti ed apparati tecnico-
amministrativi funzionali autonomi
39
. Tali ordinamenti di settore sono qualificati dalla
costruzione (giuridicamente rilevante) di speciali rapporti funzionali fra pubblici poteri
e soggetti privati operanti nel settore considerato.
Ai fini della valutazione d’assieme delle caratteristiche del sistema istituzionale, ciò che
interessa è il rapporto che viene ad instaurarsi fra apparati pubblici di settore e forze so-
ciali ed imprenditoriali, da un lato e governo dell’economia, nelle sue sedi istituzionali
responsabili del processo di sviluppo globalmente considerato, dall’altro.
Il fenomeno di una gestione pubblica dell’economia, affidata ad amministrazioni ed enti
pubblici con compiti di regolazione e di intervento settoriali caratterizza l’evoluzione
dell’apparato amministrativo nel periodo fascista. Tali apparati settoriali sono caratte-
rizzati, sotto il profilo organizzativo, dal proliferare di enti pubblici autonomi con com-
petenze amministrative e d’intervento settoriale (amministrazioni parallele); sotto il pro-
38
La crisi del welfare si è presentata in Italia con caratteristiche particolari legate: al basso profilo del compromesso
raggiunto fra sistema politico e forze sociali attorno ad alcune delle riforme degli anni sessanta e settanta; alle carenze
organizzative della pubblica amministrazione; alle difficoltà incontrate nello Stato regionale.
39
“Un’economia liberista può essere priva di pianificazione pubblica, ma può essere fortemente influenzata ed improntata
da una pianificazione attuata dai massimi gruppi economici privati, che dominano le arie associazioni di categoria e con-
trollano i mercati finanziari”, Forte F., Introduzione alla politica economica. Il mercato e i piani, Torino, Einaudi, 1964.
cit.. p. 52.
19
filo politico, dal legame attraverso l’ordinamento corporativo, con una sistematica com-
posizione, settorialmente articolata, degli interessi in gioco
40
.
Dopo i primi anni del secondo dopoguerra caratterizzati dal declino dell’ipotesi della
programmazione globale e dal predominio delle concezioni liberiste, gli anni della legi-
slatura Degasperiana
41
sono segnati dalla costruzione di una serie di “programmazioni
di settore” ispirate ad obiettivi riformisti.
Abbandonata l’ipotesi di un programma globale, affidata la gestione della politica eco-
nomica corrente ad una rigorosa guida di ispirazione liberista, rotti gli schemi autoritari
del corporativismo fascista e quelli chiusi dell’autarchia, il riformismo Degasperiano af-
fronta i temi di maggiore rilievo economico e sociale attraverso programmi d’intervento
nell’economia chiaramente ispirati ad obiettivi, sia pur settoriali, di riforma
42
.
I più importanti interventi di programmazione di settore sono caratterizzati dal legame
con specifiche ipotesi di riforma e definiti obiettivi di intervento economico e sociale;
dal punto di vista degli strumenti si ricorre ad un apparato tecnocratico e burocratico e-
sterno alla amministrazione ordinaria.
I tentativi compiuti in quella fase storica di programmazione globale tra i quali il “Piano
di lavoro” proposto dalla Cgil, pur costituendo punti di riferimento importanti del dibat-
tito culturale e politico non incidono sulla gestione della politica economica.
40
Se è vero che l’utopia corporativa non incide sulle caratteristiche generali del sistema politico, appare evidente che
l’intreccio tra strumenti burocratici di regolazione di settore ed apparati di organizzazione degli interessi raccolti attorno
alle corporazioni finisce per caratterizzare il reale funzionamento del complesso amministrativo, preparando le decisioni
dell’esecutivo, piegandone a logiche particolari l’attuazione, estendendo la portata di provvidenze e finanziamenti statali. Si
veda in particolare Cassese S., Corporazioni e intervento pubblico nell’economia in La formazione dello Stato amministra-
tivo, Milano, Giuffrè, 1974, p. 63 ss.
41
Barocci P., Ricostruzione, Pianificazione, Mezzogiorno, Bologna, Il Mulino,1978.
42
Si veda Barocci P., Introduzione a Vanoni E., La politica economica degli anni degasperiani, scritti e discorsi, Firen-
ze, Le Monnier 1977.