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La distinzione tra cinema di finzione e cinema
documentario è quindi essenziale, seppur rappresenti solo
il passo iniziale per cercare di comprendere la natura del
mock-documentary; un genere che, a differenza degli
altri, possiede solo il nome di ciò che intende
rappresentare: la realtà.
La tradizione storiografica fa riferimento alle creazioni di
Georges Méliès e alle produzioni dei fratelli Louis e
Auguste Lumière per illustrare le due suddette anime del
linguaggio cinematografico.
La letteratura in materia, infatti, attribuisce ai fratelli
Lumière e a Méliès il ruolo di padri fondatori del cinema,
sebbene li collochi in posizioni antitetiche.
Alle produzioni dei fratelli Lumière vengono attribuite
alcune caratteristiche costanti quali: la rappresentazione
della vita colta sul fatto, le riprese in esterni, il rifiuto di
una messa in scena.
Un cinema della realtà, quindi, tendenzialmente non
narrativo.
Méliès, al contrario, viene indicato come il fondatore di
un cinema più spettacolare, decisamente orientato al
racconto: un cinema del trucco e del mondo inventato
dentro gli spazi chiusi dei teatri di posa.
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I teorici tendono ad affrontare realtà e finzione
separatamente. Così facendo, stabiliscono una distinzione
rigida tra cinema di finzione e cinema documentario.
La realizzazione dei mock-documentary può essere
considerata come la punta dell’iceberg di un sistema di
pratiche che, in concreto e da sempre, disattendono
questa impostazione schematica.
Da Robert Flaherty ad Abbas Kiarostami, passando
attraverso Dziga Vertov, la tecnica del documentario ha
mostrato, fin dalle origini del genere, tutte le sue
contraddizioni e le sue ambiguità.
Nel corso della sua storia, il documentario ha subito
notevoli trasformazioni che lo hanno portato ad assumere
il ruolo di protagonista in un processo sempre più
marcato di contaminazione con la fiction.
Nell’epoca in cui viviamo, è sempre più evidente come
l’opposizione radicale documentario/finzione perda il suo
valore assoluto e si scomponga, nelle produzioni
audiovisive, in una miriade di forme ibride: docufiction,
docusoap, docudrama, factual entertainment.
Tutte forme che, fin dal nome, rivelano la volontà e la
determinazione di mescolare tra loro realtà e finzione in
una contaminazione di generi che privilegia espedienti
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narrativi più spettacolari, utilizzando per esempio effetti
speciali.
Il tempo delle rassicuranti suddivisioni disciplinari,
dunque, sembra essere ormai definitivamente tramontato.
Si pensi, ad esempio, ad alcuni programmi televisivi
come i reality shows, che pretendono di cogliere il reale
in tutte le sue sfumature; o ad alcuni film che vengono
girati e proposti al pubblico di (tele)spettatori come
documentari, mentre in realtà non sono altro che opere di
finzione, come ad esempio The Blair Witch Project (id.,
Daniel Myrick e Eduardo Sanchez, 1999) e Zelig (id.,
Woody Allen, 1983).
Nel presente studio si cercherà, attraverso l’analisi di
alcuni testi fondamentali ascrivibili al genere mock-
documentary, di indagare la natura particolare del
rapporto tra il mock-documentary e il documentario.
L’analisi verterà sulle convenzioni e sui codici del
documentario che in questi testi vengono disattesi e, in
alcuni casi, decostruiti.
Si evidenzierà come il mock-documentary tenda ad
imitare sistematicamente le aspettative del genere
documentario, svelando l’autorità e la pretesa di
oggettività che si cela dietro la sua forma.
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Definire la linea di confine tra realtà e finzione significa,
dunque, rivelare ciò che i finti documentari implicano e
solitamente rendono esplicito: molti documentari
mentono pretendendo di raccontare la verità, e la verità è
relativa.
Nel corso del lavoro sarà inevitabile il riferimento a due
testi che, negli ultimi anni, hanno fornito agli studiosi un
fondamentale sostegno nell’analisi del rapporto tra realtà
e finzione nel cinema documentario e, nello specifico,
nell’analisi del rapporto tra documentario e mock-
documentary. Questi testi, validi strumenti di analisi,
sono: Faking it. Mock-documentary and the Subversion
of Factuality (Jane Roscoe e Craig Hight, 2001) e F is for
Phony. Fake Documentary and Truth’s Undoing
(Alexandra Juhasz e Jesse Lerner, 2006).
Entrambe le suddette opere si distinguono per la loro
capacità di delineare con precisione e acume critico,
attraverso il contributo di alcuni dei più autorevoli
studiosi del genere, il percorso di studio che dal
documentario conduce alla sua falsificazione, il mock-
documentary appunto.
Il testo di Jane Roscoe e Craig Hight acquisisce
particolare importanza in quanto fornisce un ulteriore
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strumento di supporto nell’analisi della natura del
rapporto tra il mock-documentary e il discorso sulla
realtà: il mock-doc degree.
In mancanza di una traduzione ufficiale,
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potremmo
tradurre il termine con l’espressione livello del mock-
documentary, o più semplicemente livello di finzione, in
relazione alla sua natura.
È necessario ricordare in questa sede che l’aggettivo
inglese “mock” non si riferisce soltanto a ciò che può
essere considerato falso, finto, ma implica anche un
aspetto di irrisione nella finzione. È l’ironia, insieme alla
decostruzione, la caratteristica fondamentale del mock-
documentary; caratteristica attraverso la quale il genere
documentario viene decostruito.
Jane Roscoe e Craig Hight giungono ad individuare, nei
testi presi in esame, tre livelli di finzione:
¾ Mock-doc degree 1: il primo livello di finzione
corrisponde alla parodia del genere
documentario;
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Il testo di Jane Roscoe e Craig Hight non è ancora stato tradotto in
italiano.
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¾ Mock-doc degree 2: il secondo livello di finzione
esprime una critica attenuata nei confronti della
comunicazione e della spettacolarizzazione che i
mass media mettono in scena nel raccontare il
mondo;
¾ Mock-doc degree 3: il terzo livello di finzione è
in relazione alla sistematica decostruzione delle
caratteristiche sulle quali il genere documentario
si fonda.
Un’attenta analisi dei testi ci porta a collocare la maggior
parte di questi nel mock-doc degree 1, quello relativo alla
parodia. Rientrano in questa collocazione opere quali
This Is Spinal Tap (id., Rob Reiner, 1984) e The Rutles,
All You Need Is Cash (id., Eric Idle e Gary Weis, 1978)
che prendono di mira il mondo “spettacolare” della
musica pop e rock, con tutti i suoi stereotipi e le sue
regole.
I testi ascrivibili al mock-doc degree 2, invece, sono
spesso caratterizzati da una critica feroce nei confronti
dei mezzi di informazione e di tutti i fenomeni ad essi
connessi, prima fra tutti la politica, o meglio un
determinato modo di fare politica che si avvale della
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connivenza dei mezzi di informazione: la politica-
spettacolo, farsa grottesca caratterizzata da slogan
posticci e “frasi fatte” ormai stantii.
Tra i testi più rappresentativi di questa categoria è
sicuramente possibile inserire il recente Death of a
President (id., Gabriel Range, 2006). Inclusi nel mock-
doc degree 2 sono anche tutti quei testi che, in modo
intenzionale, creano confusione all’interno del pubblico
riguardo alla loro veridicità. Si fa riferimento, in modo
particolare, a tutti quei testi che, in modo assai efficace,
perpetrano un imbroglio. Sono ascrivibili a questa
categoria film come The Blair Witch Project (id., Daniel
Myrick e Eduardo Sanchez, 1999) e September Tapes
(id., Christian Johnston, 2004).
Solo un’ esigua quantità di testi può essere collocata nel
mock-doc degree 3. Tra questi gli studiosi concordano
nel ritenere Il cameraman e l’assassino (C’est Arrivé
Près De Chez Vous, Rémy Belvaux, Andre Bonzel,
Benoit Poelvoorde, 1992), The Falls (id., Peter
Greenaway, 1980) e David Holzman’s Diary (id., Jim
McBride, 1967) i testi più importanti della categoria.
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Alla luce di quanto fin qui detto, riteniamo opportuno
illustrare di seguito la struttura che ha dato forma e
sostanza al presente lavoro di analisi.
Nel primo capitolo, dopo aver fornito una iniziale
definizione di mock-documentary, si analizzerà la
relazione esistente tra il documentario e il mock-
documentary, e tra questi e il discorso sulla realtà. Si farà
riferimento ai codici e alle convenzioni del genere
documentario di cui il mock-documentary tenta di
appropriarsi al fine di rappresentare un soggetto di
fiction.
L’analisi verterà, quindi, sullo statuto culturale del genere
documentario efficacemente messo in discussione dal
mock-documentary.
Utilizzando l’analisi che Bill Nichols ha elaborato sul
documentario, individueremo le quattro componenti
principali che determinano la forma del documentario
stesso: istituzioni, registi, testi e pubblico. Attraverso
questi elementi individueremo le trasformazioni recenti
del genere (la modalità riflessiva e la modalità
rappresentativa) che si collocano nella riflessione sul
confine tra realtà e finzione.
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Infine, si tenterà di collocare il mock-documentary in
relazione ad altri testi di finzione lungo il continuum
realtà-finzione, e in particolare in relazione al drama-
documentary, evidenziandone aspetti comuni e
differenze.
Il secondo capitolo, invece, affronterà una panoramica di
quei testi che possono essere definiti come i precursori
del genere mock-documentary. Di queste produzioni
radiofoniche, televisive e cinematografiche, se ne
evidenzieranno le caratteristiche.
Lo scopo sarà quello di illustrare quegli elementi che
hanno favorito la nascita e la crescita del genere, a partire
dall’appropriazione dell’estetica del documentario,
permettendo un’accoglienza favorevole da parte del
pubblico. Accoglienza che accompagna tutta una serie di
tecniche usate dai filmakers per realizzare opere
televisive e cinematografiche di alto gradimento.
In questo senso, i precursori del mock-documentary
posso essere considerati: il programma radiofonico di
Orson Welles War of the Worlds, le trasmissioni
televisive Monty Python’s Flying Circus e Saturday
Night Live, le serie Dragnet e E.R, le tecniche
cinematografiche utilizzate da autori quali Robert
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Altman, Martin Scorsese e Steven Spielberg, nonché
alcuni movimenti cinematografici quali il Neorealismo,
la Nouvelle Vague e il Dogma 95.
In Italia, un’interessante ipotesi di studio può portare a
riconoscere la crescente gamma e complessità della
fiction televisiva come un fattore importante nello
sviluppo del mock-documentary. In questo senso si pensi
all’importanza di uno sceneggiato televisivo (ma
l’etichetta è riduttiva) come I Promessi Sposi del Trio
Marchesini – Lopez – Solenghi, alla commistione di
generi operata da un prolifico autore televisivo come
Antonio Ricci e all’esperienza di Cinico Tv ideata dai
registi Daniele Ciprì e Franco Maresco, autori di uno dei
rari mock-documentary italiani: Il Ritorno di Cagliostro
(id., Daniele Ciprì e Franco Maresco, 2003).
Il terzo capitolo introdurrà il concetto di mock-doc
degree che, come detto in precedenza, è traducibile in
italiano con l’espressione livello del mock-documentary.
Verranno individuati tre principali livelli nei testi
analizzati, in base al tipo di relazione che il testo instaura
con il discorso sulla realtà.
I livelli qui esposti sono definiti sulla valutazione delle
letture privilegiate costruite dai testi stessi e dimostrano
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l’importanza del ruolo assunto dagli spettatori nella
costruzione di interpretazioni riflessive dei testi.
I livelli corrispondono alla parodia (mock-doc degree 1),
alla critica e all’imbroglio (mock-doc degree 2) e alla
decostruzione (mock-doc degree 3).
Verranno analizzati alcuni testi, ascrivibili al mock-doc
degree 1, che utilizzano i codici e le convenzioni del
documentario per parodiare un aspetto della cultura
popolare.
Sono testi che esplicitano la loro finzione e in definitiva
non mettono in discussione la natura del progetto
documentario in sé.
I testi presi in esame sono: The Rutles, This Is Spinal
Tap, Borat – Studio culturale sull’America a beneficio
della gloriosa nazione del Kazakistan (Borat: Cultural
Learnings of America for Make Benefit Glorious Nation
of Kazakhs, Larry Charles, 2006) e le produzioni di
Woody Allen: Zelig, Prendi i soldi e scappa (Take the
Money and Run, Woody Allen, 1969), Mariti e mogli
(Husband And Wives, Woody Allen, 1992) e Accordi e
disaccordi (Sweet And Lowdown, Woody Allen, 1999).
Il secondo livello di finzione, invece, è relativo a quei
testi che adottano un’ambivalente appropriazione della
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forma documentaria: questi testi non solo utilizzano i
codici e le convenzioni del genere ma operano anche una
critica, sebbene attenuata, delle pratiche utilizzate dai
mass media nel raccontare il mondo che ci circonda.
Sono ascrivibili al mock-doc degree 2 anche tutte quelle
opere che effettuano una critica della politica o meglio di
quel particolare modo di fare politica definito politica-
spettacolo, che si avvale della connivenza dei mezzi di
informazione.
Infine, vengono presi in considerazione gli esempi più
interessanti di mock-documentary ovvero tutti quei testi
che possono essere considerati, a ragione, come imbrogli
mediatici costruiti deliberatamente per creare confusione
negli spettatori, non solo attraverso le caratteristiche del
testo, ma in gran parte anche attraverso elementi extra-
testuali.
I testi ascrivibili a questo livello, presi in esame nel
capitolo, sono: Death of a President (id., Gabriel Range,
2006) e The Blair Witch Project (id., Daniel Myrick e
Eduardo Sanchez, 1999).
Infine, l’analisi verterà su alcuni testi, ascrivibili al mock-
doc degree 3, i quali rappresentano quella che può essere
definita come un’appropriazione ostile dei codici e delle
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convenzioni del documentario; un’appropriazione
finalizzata a far acquisire agli spettatori una
consapevolezza critica nei confronti della parziale e
costruita natura del documentario.
Il terzo livello di finzione è in relazione alla sistematica
decostruzione delle caratteristiche sulle quali il genere
documentario si fonda.
Non sono molti i testi che in modo esplicito spingono lo
spettatore ad interrogarsi direttamente sulle aspettative e
sui presupposti associati al genere documentario.
I testi presi in esame in questo capitolo sono: Il
cameraman e l’assassino (C’est Arrivé Près De Chez
Vous, Rémy Belvaux, Andre Bonzel, Benoit Poelvoorde,
1992), David Holzman’s Diary (id., Jim McBride, 1967)
e The Falls (id., Peter Greenaway, 1980).
Il quarto ed ultimo capitolo presenterà, alla luce di
quanto proposto nell’intero lavoro, lo stato della forma
mock-documentary nello scarno panorama italiano di
produzione del genere.
Il capitolo illustrerà come la strada italiana al mock-
documentary sembri essere caratterizzata dalla
realizzazione di cortometraggi tra cui spiccano, per
quantità e qualità, quelli realizzati dal regista Paolo
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Caredda. Nonostante in Italia la produzione di
lungometraggi mock-documentary sia ancora
un’esperienza rara, negli ultimi anni si è assistito ad una
significativa intensificazione.
I lungometraggi presi in esame in questo capitolo sono:
Cannibal Holocaust (id., Ruggero Deodato, 1980),
Fascisti su Marte – Una vittoria negata (id., Corrado
Guzzanti e Igor Skofic, 2006), La vera leggenda di Tony
Vilar (id., Giuseppe Gagliardi, 2006), Il ritorno di
Cagliostro (id., Daniele Ciprì e Franco Maresco, 2003) e
Il mistero di Lovecraft - Road to L. (id., Federico Greco e
Roberto Leggio, 2004).
Seguirà un’appendice comprendente le interviste
realizzate a Folco Quilici, noto documentarista, e a
Federico Greco, co-regista del film Il mistero di
Lovecraft – Road to L., e una filmografia dei principali
mock-documentary prodotti fino alla stesura del lavoro.