4
l’agricoltura assunse, a partire dai primi sinecismi urbani, un’importanza fondamentale per
la sopravvivenza della città: in tal modo questa si impose con una base locale e con un
rapporto di dipendenza dall’area rurale circostante; tale legame durerà per molto tempo e
verrà meno, come si accerterà in seguito, solo con la rivoluzione industriale.
In seguito, nel contesto delle civiltà pre-elleniche vi furono altri sinecismi urbani: secondo
alcuni studiosi già i “palazzi” di Creta (1800/1700 a.c.), grazie alla loro multifunzionalità,
sono da considerarsi vere e proprie città (Pierotti, 1993, p. 21)
5
, ma è solo con la civiltà
micenea che vennero poste le basi per quello che viene considerato il primo vero esempio
di sinecismo urbano, vale a dire quello greco (VIII sec. a.c.). Infatti, nonostante le funzioni
delle città-stato greche erano sostanzialmente le stesse di quelle antiche, si verificò una
innovazione nella struttura e nel numero dei centri abitati: il sistema delle poleis era
articolato in circa 500 piccole città, molte delle quali colonie fondate in Italia meridionale e
sulle coste orientali dell’Egeo, con al vertice Atene (che nel massimo dello splendore
arrivò ad ospitare circa 250.000 abitanti).
Ciò che ha reso l’esperienza della polis diversa dalle altre è il fattore politico; tralasciando
gli aspetti legati alle modalità di gestione della vita comunitaria, quello che in questa sede
interessa sono le conseguenze dell’avvento della democrazia sulla forma e sulle funzioni
dello spazio urbano nelle città-stato. Innanzitutto esse sorsero in siti di confluenza tra
collina e pianura a una distanza tale dalla costa da permettere di difendersi dagli attacchi
provenienti dal mare, ma allo stesso tempo di sfruttare l’Egeo per i traffici commerciali. La
pianta della polis, ad eccezione delle città erette su siti micenei, era formata da una maglia
di rettangoli molto allungati di eguale dimensione (fig. 1) che rispondeva all’ideale
dell’uguaglianza tra cittadini, i quali disponevano di spazi identici dove erigere le proprie
abitazioni (Morachiello, 2003, p. 122)
6
.
Fig. 1 – Esempio di pianta di una città greca (posidonia-paestum).
Fonte: Quilici, Quilici Gigli, 2004, p. 92
5
PIEROTTI P., La città nella storia, in CORI B., CORNA PELLEGRINI G., DEMATTEIS G., e PIEROTTI P. (a cura di), Geografia
urbana, Torino, UTET, 1993, pp. 3-45.
6
MORACHIELLO P., La città greca, Bari, Laterza, 2003.
5
Fulcro della città-stato era l’agorà, luogo nato come mercato e successivamente divenuto
centro della vita politica e sociale dell’antica Grecia; raramente era localizzato nel centro
baricentrico della città, ma in realtà solitamente sorgeva o nei pressi di luoghi cultuali o in
aree facilmente accessibili. Questo modello urbano ha trovato diffusione in molte aree del
nord Africa e del medio-oriente grazie all’opera colonizzatrice di Alessandro Magno.
Nonostante nell’antica Grecia fosse sorto un imponente numero di città-stato, è solo con
l’avvento dell’impero romano che, grazie alla fondazione di moltissime città in luoghi
strategici, vide la luce il più grande sistema urbano mai apparso al mondo; inoltre, la
stessa Roma giunse ad accogliere più di 2 milioni di abitanti: una dimensione demografica
straordinaria per l’epoca
7
.
Il sinecismo romano nacque da quello etrusco, ma con la differenza che nel mondo
etrusco esso era basato sul potere teocratico mentre nell’impero romano sulla casta
politico-militare. Le stesse procedure di espansione territoriale sono una testimonianza di
quanto appena detto: era il senato che decideva autonomamente quale territorio
assoggettare al dominio romano. In definitiva, le colonie romane rispondevano
esclusivamente a fini politici: attraverso di esse e grazie ad una rete stradale efficiente
l’imperatore e il senato erano in grado di controllare il vasto territorio dell’impero.
Per ciò che concerne la pianta della città, l’urbanistica romana è stata notevolmente
influenzata dalla cultura greca, ma i rettangoli che formavano la maglia urbana si
presentavano meno allungati e, in alcuni casi, diventavano veri e propri quadrati (fig. 2).
All’interno della città l’agorà fu sostituita dal foro, ma, mentre nella polis il luogo centrale
era riservato esclusivamente allo svolgimento delle attività politiche ed economiche, nella
città romana vi si aggiungevano anche quelle religiose.
Fig. 2 – Esempio di pianta di una città romana (Fundi).
Fonte: Quilici, Quilici Gigli, 2004, p. 123.
7
Tuttavia con la fine dell’impero romano d’occidente e per tutto il Medioevo Roma subì un’involuzione che toccò il fondo nel ‘300
quando la sua popolazione era stimata in 20.000 abitanti.
6
Parallelamente a Roma s’imposero altre due città molto importanti: Timbuctu in Africa sul
delta interno del fiume Niger e Dixian in Cina, considerata la Roma d’oriente.
In conclusione è possibile ritenere che i primi sinecismi urbani siano stati determinati
dalle migliorie avvenute nelle produzioni agricole grazie all’introduzione di nuove tecniche
di coltivazione e di razionalizzazione dei corsi d’acqua. Ciò nonostante, come già
evidenziato, senza la formazione di un potere politico, militare e teocratico sarebbe stato
impossibile organizzare la vita all’interno dei neonati nuclei urbani soprattutto per ciò che
riguardava l’approvvigionamento alimentare. Ma, al di là di queste osservazioni, l’aspetto
più rilevante concerne il legame che si viene ad instaurare tra città e campagna e che si
spezzerà solo con l’avvento della rivoluzione industriale: «La città a quel tempo aveva
strettamente bisogno della campagna in quanto questa costituiva lo spazio vitale da cui
essa traeva sostentamento, dato lo sviluppo limitato dei trasporti, e su cui far leva per i
bisogni legati all’approvvigionamento alimentare» (Sbordone, 2001, p. 224)
8
.
II. La città murata
Quando nel 476 d.C. gli Sciri di Odoacre deposero l’ultimo imperatore romano
d’occidente, le città più importanti dell’area romanizzata avevano già provveduto a
riutilizzare per scopo difensivo le cinta murarie preesistenti a causa delle scorribande
barbariche iniziate a partire dal III secolo. L’uso di strutture difensive non impedì, nell’alto
medioevo, una crisi generalizzata delle città; in questo momento storico, infatti, si stima
che circa 1/3 dei municipia romani furono abbandonati e che parte della popolazione
urbana lasciò le città per rifugiarsi nelle campagne.
Oltre alle invasioni barbariche furono diversi i fenomeni che interessarono la città
altomedievale: innanzitutto la diffusione del cristianesimo, che ebbe come immediata
conseguenza l’edificazione di luoghi di culto all’interno del tessuto urbano e fece del
complesso episcopale il principale fattore poleogenetico; di fatto ad un centro abitato per
essere considerato civitas bastava essere sede vescovile (città-cattedrale)
indipendentemente dalla dimensione demografica, dalla struttura fisica e da eventuali altre
funzioni che esso svolgeva. Altri importanti eventi che hanno interessato la città
altomedievale furono la diffusione delle sepolture in urbe, la comparsa, nello spazio
edificato, di aree destinate a coltura e l’espansione incontrollata della pratica dello
spolium. Nonostante in questa sede non sia opportuno dilungarsi su tali avvenimenti, è
necessario tenerne conto perchè essi sono una testimonianza dello stato di decadenza in
cui si trovavano le città nei primi secoli del medioevo.
Sebbene le mura vennero riutilizzate e rinforzate per scopo di difesa (durante la pax
romana avevano esclusivamente significato estetico), nel corso del tempo rivestirono
sempre più importanti funzioni. Prima di tutto ebbero valenza fisica poiché separavano la
città dalla campagna; in secondo luogo esse ricoprirono una funzione giuridica, in quanto
delimitavano un’area amministrativa indipendente dal territorio circostante, e una
economica in quanto circoscrivevano aree sottoposte a diversi regimi fiscali. Infine le mura
svolsero anche un ruolo architettonico: al loro interno veniva riposta maggiore attenzione
alla forma urbana.
Un altro importante fattore poleogenetico delle città altomedievali fu la comparsa dei
cosiddetti burgi o vici; tale fenomeno non interessò solo le aree già urbanizzate
dell’Occidente, ma anche i territori dell’Europa orientale. Questi erano dei borghi fortificati
che furono edificati ai margini della città, lungo le principali vie di comunicazione, con lo
8
SBORDONE L., Città e territorio fra sostenibilità e globalizzazione, Milano, Franco Angeli, 2001.
7
scopo di ospitare le attività di mercato cittadino; sono state molte le città sorte attorno ad
un burgos, ma ne sono sopravvissute in poche (ad esempio Strasburgo e Bruges).
Sempre durante l’età altomedievale, la pianta della città rimase sostanzialmente
inalterata rispetto a quella tardo antica; ciò nonostante cominciarono ad emergere
elementi di curvilinearità nelle strade e un innalzamento del calpestio dovuto a crolli e
disfacimenti. Contrariamente alla pianta urbana, i tragitti prevalenti all’interno della città
subirono importanti modificazioni: i luoghi dediti al culto e i complessi episcopali divennero
i punti focali della città e ,in un secondo momento, a questi si aggiunsero i burgi.
Tra l’VIII e l’XI secolo, mentre nell’Europa romanizzata le città stentavano ad uscire dalla
crisi e in quella orientale lentamente iniziava a diffondersi il fenomeno urbano, la civiltà
islamica si affermò come principale motore dell’urbanizzazione, fondando nuove città su di
uno spazio molto ampio: dall’Asia centro-meridionale all’Africa centro-settentrionale fino a
giungere all’Europa mediterranea. Molte di queste divennero presto le più grandi della
terra: intorno all’anno mille Cordova, con il suo mezzo milione di abitanti, fu la città più
popolata del pianeta; inoltre anche Il Cairo, Baghdad e Palermo avevano conosciuto una
formidabile espansione topografica e demografica. All’epoca solo Costantinopoli, che dopo
la caduta di Roma divenne la città più importante del mondo, era comparabile, per numero
di abitanti, alle maggiori città islamiche.
L’urbanizzazione islamica, a differenza di quanto avvenuto fino a quel momento, seguì
prevalentemente le vie di terra trasformando le città in delle vere e proprie “isole urbane”
collegate tra di loro da linee commerciali (Talia, 2003, p. 10)
9
. Questo sistema di città è
riuscito a sopravvivere fino ai giorni nostri grazie ad un efficiente sistema di vie
carovaniere sul cui tracciato vennero eretti, a distanza di un giorno di viaggio l’uno
dall’altro, i caravanserragli, vale a dire dei luoghi di sosta fortificati destinati al ricovero di
uomini, animali e merci (con le dovute differenze, tale sistema sembra ricalcare quello del
cursus publicus romano dove al posto dei caravanserragli vi erano le stationes). Il resto
dell’immenso spazio era, ed è ancora oggi, privo di regole ed abitato dalla popolazione
nomade islamica: i beduini.
La città islamica, di norma, era delimitata da mura realizzate con argilla secca che la
separavano dall’ambiente non urbano dove vigevano le regole della popolazione erratica.
A causa dell’influenza della componente religiosa, gli elementi fondamentali della città
islamica nel corso dei secoli hanno palesato una forte staticità; tali elementi sono, ancora
oggi, la moschea, il palazzo del governo, il bagno e il mercato (bazaar o suk). I primi due
sono, solitamente, collegati tra di loro per simboleggiare l’unitarietà e la convergenza tra il
potere politico e quello religioso, mentre il bagno riproduce le strutture provenienti dalla
cultura romano-bizantina. Questi tre edifici, oltre che per i caravanserragli e l’università
islamica (màdrasa), sono gli unici in cui è consentita l’ostentazione del lusso; per contro, le
case private, seguendo i dettami del Corano, sono umili e si somigliano tutte. Questa
impostazione dello spazio privato riproduce quello della città dell’antica Grecia, ma se per
gli ellenici ciò era dovuto agli ideali di uguaglianza tra i liberi cittadini, per gli islamici essa
risponde agli insegnamenti religiosi del Corano.
Tornando agli spazi pubblici, il mercato è il luogo dove si concentra la vita economica
della città, ma è anche luogo di residenza di artigiani e commercianti. Esso è localizzato
lungo le principali strade cittadine (solitamente quelle che conducono alla Moschea) ed è
aperto a tutti: chiunque vi si può fermare e vendere beni di sua proprietà dando vita ad una
situazione caotica e disordinata tipica di tutte le città di origine musulmana.
A partire dall’XI secolo si assiste alla decadenza delle città islamiche e alla rinascita di
quelle europee; questa crisi fu causata dal ruolo preponderante che ha avuto la religione
nell’organizzare la vita politica, sociale ed economica all’interno delle città (Talia, 2003, p.
9
TALIA I., Le ragioni della metropoli, in BIONDI G., LEONE U., TALIA I., Dal villaggio alla città, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 1-61.
8
12)
10
. D’altronde la società islamica, in tutte le sue componenti (da quella giuridica a quella
politica passando per quella economica), è tuttora fortemente condizionata dai principi
coranici.
Nel basso medioevo si assistette, come già anticipato, ad una rinascita urbana in tutta
l’Europa occidentale con numerose fondazioni di centri abitati e il rinvigorimento di molte
città preesistenti; tale rilancio non sarebbe stato possibile senza la forte ripresa
demografica che interessò l’Europa tra l’XI e la metà del XIV secolo (periodo in cui la
peste nera falcidiò la popolazione europea). L’espansione demografica comportò, quindi,
quella urbana: trasferirsi in città diventò uno stato d’animo poiché i cittadini riscontravano
l’orgoglio di appartenenza ad una comunità che si presentava superiore rispetto a quella
del villaggio o dell’ambiente rurale; inoltre, grazie all’introduzione di nuove tecniche
agricole (come l’uso del cavallo per trainare l’aratro), anche la produttività del terreno
aumentò permettendo, così, a molti contadini di trasformarsi in artigiani o commercianti.
Nonostante le numerosissime fondazioni avvenute in Francia, Spagna e Germania, le
città bassomedievali avevano una dimensione limitata, sia topografica che demografica,
rispetto alla Roma imperiale, a Cordova o a Costantinopoli: i centri maggiori (Venezia,
Milano, Colonia, Firenze, Bruges, Gand, Parigi, Bologna) accoglievano una popolazione
compresa tra i 100.000 e i 150.000 abitanti e la loro estensione territoriale variava da un
minimo di 300 ad un massimo di 600 ettari (Ennen, 1975, pp. 5-7)
11
.
Si trattava di città-mercato che riflettevano molto la frammentazione della struttura
politica ed economica medievale e la cui economia era basata sulle attività commerciali.
Non è un caso, infatti, che i centri che rifiorirono e quelli di nuova fondazione erano situati
lungo le principali vie fluviali (Reno, Rodano, Loira) o lungo le coste. Queste città
entravano in contatto annualmente nelle grandi fiere dove venivano scambiati i loro
prodotti. Inoltre, la città assurse a centro di scambio poiché la produzione era ancora
prevalentemente concentrata nelle aree rurali, ampio bacino di manodopera ricco di fonti
di energia.
Ovviamente alla ripresa urbana si accompagnò anche un processo di profonda
trasformazione sociale: il feudalesimo entrò in una crisi irreversibile e nacque una nuova
classe sociale, la borghesia commerciale, la quale era composta da liberi cittadini dediti al
commercio e all’artigianato che legarono il proprio potere alla funzione di mercato della
città. Non bisogna mai dimenticare, nei termini già esposti, che la città non era ancora in
grado di disancorarsi dalla campagna; anzi, col passare del tempo, il loro legame si andò
rafforzando sempre di più: ogni ambiente si mostrò indispensabile alla sopravvivenza
dell’altro.
Nonostante le città-mercato fossero di piccola e media dimensione, è al loro interno che
la struttura funzionale si complessificò acquisendo molti caratteri della futura evoluzione
della città e dell’urbanizzazione: alla funzione di mercato si aggiunsero quelle culturali (ad
esempio universitarie e religiose), portuali e politico-amministrative.
«La città medievale è, quindi, figlia del commercio» (Pirenne, 1971, p. 164)
12
e i ceti
sociali formatisi al proprio interno hanno poi svolto un ruolo fondamentale nella
costruzione degli Stati nazionali centralizzati: la rete urbana creatasi nel basso medioevo
ha resistito a lungo (in alcuni casi fino alla rivoluzione industriale) ed ha posto le basi
dell’evoluzione futura del fenomeno urbano.
Negli anni immediatamente successivi al Medioevo il fenomeno dell’urbanizzazione
coinvolse l’Europa quasi nella sua totalità anche se, naturalmente, con peculiarità diverse
a seconda dei distinti contesti regionali; più tardi, tra XVI e XIX secolo, l’intreccio delle
maglie urbane, da un punto di vista quantitativo, non si modificò: il numero delle città restò
10
TALIA I., Le ragioni della metropoli, in BIONDI G., LEONE U. e TALIA I., Dal villaggio alla città, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 1-61.
11
ENNEN E., Storia della città medievale, Bari, Laterza, 1975.
12
PIRENNE H., Le città nel Medioevo, Bari, Laterza, 1971.
9
quasi ovunque immutato rispetto all’età Medievale, ma la struttura delle reti cambiò
notevolmente. Le funzioni e le specializzazioni all’interno delle città si complessificarono e
si verificò un fenomeno di gerarchizzazione (Sbordone, 2001, p. 15)
13
: dall’evoluzione delle
principali città-mercato sorsero le città capitali (Madrid, Lisbona, Parigi, San Pietroburgo,
Praga, Vienna), mentre, contestualmente all’espansione della navigazione marittima, si
svilupparono con le città mercantili le prime forme di colonizzazione (Anversa, Londra,
Copenaghen, Amsterdam). Con la nascita di quest’ultime il baricentro della vita economica
si spostò dal Mediterraneo all’Atlantico (Londra nel XVII secolo raccoglieva più di 700.000
abitanti) e nei loro retroterra ci fu una forte espansione delle produzioni artigianali. Ciò non
tolse alle città mercantili, accentrando gran parte del potere politico-economico, la
possibilità di divenire città-capitali (Londra e Amsterdam), ma, mentre la loro fortuna fu da
attribuire a fattori economici, nelle città-capitali ciò dipese esclusivamente da fattori
politici
14
.
Come si diceva, le città-capitali trassero vantaggio dalla sfera politica, orientata al
rafforzamento degli Stati nazionali e alla concentrazione dei poteri nella sede monarchica;
esse conobbero una crescita straordinaria appunto perché i rappresentanti
dell’aristocrazia ritennero necessaria la vicinanza fisica ai centri di potere e di decisione
col fine di conservare la posizione politica, economica e sociale acquisita. D’altro canto,
anche molti nobili fissarono la propria residenza nelle capitali, con una duplice
conseguenza: da un lato, vennero gettate le fondamenta del proletariato urbano poiché
portarono con se domestici e seguaci; dall’altro, la città-capitale continuò ad attirare nuova
popolazione in quanto la presenza dei nobili favorì lo sviluppo delle attività di servizio.
Ciò nonostante, la funzione economica delle capitali era inadeguata rispetto alla
pressione demografica: il numero degli abitanti si presentava decisamente sproporzionato
rispetto alle loro possibilità economiche. Tuttavia, esse continuarono ad arricchirsi da un
punto di vista artistico-architettonico e non cessarono di crescere demograficamente; tra
gli esempi più eclatanti vi sono Napoli, Londra e Parigi che nel corso del XVIII secolo
raggiunsero picchi di prestigio e concentrazione demografica notevoli. È indubbio, infatti,
che con l’avvento delle città capitali, la città europea si trasformò in modo decisivo: si
attuarono ampliamenti dovuti all’eccessiva pressione demografica; vennero messi in atto
nuovi interventi sulle strutture difensive a causa delle sopravvenute migliorie nelle tecniche
belliche; le parti centrali furono ristrutturate per ospitare edifici e funzioni più consone al
ruolo di capitale. «Dunque, la costituzione degli Stati nazionali, e il fatto che essi dovevano
essere rappresentati da una capitale di rilievo, adeguata al rango della monarchia stessa,
costituì una delle discriminanti maggiori nel differenziarsi progressivo delle città»
(Sbordone, 2001, 15)
15
. Tuttavia, una volta disgregatosi il potere politico, le città capitali
poterono sopravvivere solo in caso di riconversione verso le attività economiche più
fiorenti. D’altro canto, tutte le città che affidarono la propria permanenza in vita al
commercio e all’artigianato, oltre a mantenere una certa sobrietà architettonica e a
contenere la crescita della popolazione, misero in luce una solida base economica capace
di garantire la loro prosperità e quella dei cittadini.
Durante l’età mercantile il raggio degli scambi dei prodotti, anche alimentari, aumentò
notevolmente; ciò nonostante il rapporto tra città e campagna continuò ad essere di natura
solidale, soprattutto perché le città si erano ingrandite e con esse il pericolo di improvvise
carestie. Addirittura, in alcune circostanze, è stato l’ambiente rurale ad influenzare la città:
nel Mezzogiorno italiano, ma anche in altre regioni europee, molte città, ancora alla fine
del XVIII secolo, erano compresse all’interno delle mura (che altrove erano state
13
SBORDONE L., Città e territorio fra sostenibilità e globalizzazione, Milano, Franco Angeli, 2001.
14
In Germania e in Italia gli Stati nazionali tardarono ad affermarsi, ma gli stati regionali subirono ugualmente un processo di
rafforzamento che permise alle loro capitali di accrescere il loro potere.
15
SBORDONE L., Città e territorio fra sostenibilità e globalizzazione, Milano, Franco Angeli, 2001.
10
“scavalcate” dalla diffusione urbana) e poterono continuare a crescere solo verticalmente
poiché non era possibile edificare sugli spazi coltivati di proprietà feudale. Dunque,
nonostante le mura non delimitassero più già da tempo il perimetro urbano, vi era ancora
una netta distinzione strutturale tra città e campagna.
Sempre restando sull’argomento del rapporto tra la spazio urbano e quello rurale, nella
fase immediatamente precedente la rivoluzione industriale esso subì una ulteriore
complessificazione poiché venne meno l’equazione rifornimento di beni alimentari in
cambio di controllo e direzione del territorio; le città cominciarono ad offrire sempre nuovi
servizi (amministrativi, legali, finanziari, commerciali, ecc.), mentre la campagna, oltre ai
prodotti agricoli, giunse a manifestare solo le prime forme protoindustriali. Per di più,
anche queste attività erano controllate dai cittadini, i quali si occupavano di reperire le
materie prime, di distribuirle a domicilio nelle abitazioni rurali ed, infine, di
commercializzare i prodotti finiti nelle città. Quindi, in questa fase, si iniziò ad affermare il
predominio della città sulla campagna, ma non vi era ancora un totale squilibrio: la città
aveva però imboccato la strada che, in epoca industriale, la porterà ed esercitare una
reale superiorità sul territorio.
Sul finire del XV secolo, come conseguenza dello sviluppo della navigazione marittima,
della nascita degli Stati nazionali e delle scoperte geografiche ha inizio la fase coloniale
segnando la diffusione della città europea nel mondo. Nacque così la città coloniale che
ricalcò la struttura urbana della madre patria: in America centro-meridionale spagnoli e
portoghesi, dopo aver raso al suolo i centri abitati preesistenti, disegnarono città con
cattedrali, palazzi e monasteri. Più a nord i francesi e, soprattutto, gli inglesi si insediarono
ovunque era possibile produrre e commerciare: nelle baie, nell’ansa dei fiumi, all’incrocio
delle valli vennero fondate Boston, Nuova Amsterdam (New York) e Philadelphia.
Inizialmente, verso Oriente, sulla scia dell’attività commerciale della “Compagnia delle
Indie”, furono gli inglesi e gli olandesi a favorire la diffusione dei modelli di urbanizzazione:
sorsero in tal modo le “città dissociate”, vale a dire città divise in due, con una parte
europea, in cui i colonizzatori riproducevano forme e strutture dei loro luoghi di
provenienza, e una parte indigena, che rispecchiava le specificità culturali della
popolazione autoctona. Questa tipologia urbana è particolarmente diffusa in Asia e nel
mondo Arabo, ma anche in India; esempi di tali città sono Bombay, Madras, Calcutta,
Nuova Delhi, Giacarta, Singapore, Hong Kong e le città costiere cinesi (Corna Pellegrini,
1993, pp. 232-269)
16
.
Spettò al colonialismo francese, a partire dagli anni Trenta del XIX secolo, dare
un’ulteriore spinta alla diffusione della città europea: in Africa del nord (Algeria), in
Indocina e oltre l’Africa sahariana (dal Senegal fino all’arco fluviale del Congo).
Successivamente toccò ai britannici diffondere modelli di urbanizzazione europea
dall’Africa del sud fino all’Australia e la Nuova Zelanda. Con le due guerre mondiali la
presenza europea in queste aree si farà sempre più incombente e solo a partire dagli anni
Sessanta del novecento prenderà il via il processo di decolonizzazione.
In conclusione, durante gli anni immediatamente precedenti la rivoluzione industriale le
città, ad esclusione delle città-capitali e di quelle mercantili più ricche (Parigi, Londra,
Amsterdam, ecc.), erano generalmente di piccola e media dimensione ed ancora
circondate da mura. La loro economia si basava su attività commerciali ed artigianali e,
nonostante era in via di complessificazione, il rapporto con la campagna restava solidale.
Questa situazione era destinata ad essere stravolta nell’arco di brevissimo tempo, quando,
a partire dalla metà del XVIII secolo, dall’Inghilterra prese il via e si diffuse la rivoluzione
industriale.
16
CORNA PELLEGRINI G., Le città dei paesi extraeuropei, in CORI B., CORNA PELLEGRINI G., DEMATTEIS G. e PIEROTTI P. (a
cura di), Geografia urbana, Torino, UTET, 1993, pp. 223-308.